Licenziamento individuale in generale

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Questione 1

Cosa si intende per licenziamento e quali sono i motivi che possono giustificarlo?

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro.

Il licenziamento, per essere legittimo, deve essere supportato da una motivazione idonea a giustificarlo e, in particolare, può essere giustificato da:

 

1. GIUSTA CAUSA

Comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119).

La giusta causa pertanto, rappresenta nei fatti il licenziamento disciplinare per eccellenza; tale da troncare immediatamente il rapporto di lavoro senza neppure erogazione dell’indennità di preavviso.

In quanto sanzione disciplinare dovrà essere necessariamente preceduta dall’attivazione dell’obbligatorio procedimento disciplinare ed in particolare dalla preventiva comunicazione delle “contestazioni di addebito” al fine di consentire al dipendente una adeguata difesa da accuse eventualmente infondate.

I contratti collettivi elencano normalmente le ipotesi ed i fatti ritenuti tali da costituire giusta causa di licenziamento (per maggiori approfondimenti si veda Licenziamento per giusta causa);

 

2. GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO

È rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso.

Anche il giustificato motivo soggettivo pertanto rientra nell’ambito dei licenziamenti di tipo disciplinare, costituendo pur sempre una sanzione a comportamenti ritenuti tali da incidere in modo insanabile nel regolare proseguimento del rapporto di lavoro.

Ricordiamo che il licenziamento di tipo disciplinare è soggetto ad una specifica procedura, la cui violazione rende nullo il licenziamento stesso.

Vengono fatte rientrare nell’ambito del giustificato motivo soggettivo anche le figure dello scarso rendimento e/o del comportamento negligente del dipendente.

Trattandosi comunque di valutazioni sul comportamento del dipendente, anche nelle ipotesi di “scarso rendimento”, costituisce condizione di legittimità del recesso la preventiva contestazione degli addebiti con diritto del dipendente a svolgere adeguatamente le proprie difese (per maggiori approfondimenti si veda Licenziamento per giustificato motivo).

 

3. GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

È rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’impresa.

Costituisce pertanto G.M.O. la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.

Vengono ricondotti alla figura del giustificato motivo oggettivo anche le ipotesi in cui il lavoratore perda, non per propria colpa, le capacità necessarie a svolgere le mansioni per cui venne assunto.

Tale ipotesi tuttavia è stata più volte oggetto controversie giudiziarie e la giurisprudenza ha delimitato tale fattispecie.

È quindi estremamente importante che sia un esperto (ufficio vertenze sindacale o studio legale specializzato in diritto del lavoro) a considerare nel merito le motivazioni addotte, così da verificarne l'attendibilità (per maggiori approfondimenti si veda Licenziamento per giustificato motivo).

In assenza di una delle predette cause, il licenziamento comminato non può dirsi legittimo e il lavoratore ha il diritto di chiedere far valere le tutele previste dalla legge.

Da ultimo, è opportuno precisare che il nostro ordinamento prevede ancora alcuni casi in cui il lavoratore può essere licenziato “ad nutum”, e cioè in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In particolare, ciò può avvenire esclusivamente nelle seguenti ipotesi:

  • Lavoratori in prova durante tale periodo (che comunque non può protrarsi oltre sei mesi);
  • Lavoratori domestici;
  • Dirigenti, purché il licenziamento avvenga nel rispetto delle norme previste dai contratti collettivi in materia;
  • Sportivi professionisti;
  • Apprendisti al termine dell’apprendistato;
  • Dipendenti che abbiano raggiunto il requisito pensionistico e abbiano superato i 70 anni di età anagrafica (per maggiori approfondimenti si veda la questione 4).

 

Questione 2

Il licenziamento deve essere intimato attraverso forme particolari?

La legge impone al datore di lavoro di comunicare il licenziamento per iscritto e afferma che il licenziamento verbale è inefficace: ciò significa che il licenziamento comunicato solo oralmente non produce alcun effetto e, in particolare, non interrompe il rapporto di lavoro tra le parti, sicché il datore di lavoro è tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando non sopravvenga un’efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto di lavoro o l’effettiva riassunzione.


In questi casi è necessario che il lavoratore faccia pervenire immediatamente una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia) nella quale lo stesso si mette a disposizione per la ripresa immediata dell’attività dando conto del fatto di essere stato allontanato dal datore di lavoro.

Le conseguenze derivanti dal licenziamento intimato in forma orale sono disciplinate, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato fino al 7 marzo 2015, dall’art. 18 Statuto lavoratori, come modificato dalla legge n. 92/12, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in avanti, invece, dall’art. 2 del d.lgs. 23/15.

Tali norme, peraltro, hanno contenuto sostanzialmente identico, prevedendo entrambe che il lavoratore licenziato verbalmente ha diritto a:

  • essere reintegrato nel posto di lavoro;
  • ottenere il risarcimento del danno per il periodo successivo al licenziamento e fino all’effettiva reintegra, dedotto quanto percepito da altra occupazione (il risarcimento non può comunque essere inferiore nel minimo di cinque mensilità di retribuzione);
  • ottenere il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegra;
  • scegliere fra la reintegra e l’indennità sostitutiva pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.

Inoltre, è opportuno precisare che il datore di lavoro, quando intenda intimare un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, è obbligato a seguire precise procedure previste dalla legge.

In particolare:

  1. nel caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro deve seguire la procedura prevista dall’art. 7 Statuto lavoratori (su cui si veda la voce Licenziamento per giustificato motivo);
  2. nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro deve seguire la procedura di cui all’art. 7 l. 604/1966, introdotta dalla riforma (sulla quale si veda la Questione 3 della presente voce).

 

Questione 3

Quali tutele sono previste a favore del lavoratore illegittimamente licenziato dopo la cd. riforma Fornero (legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro) e il cd. Jobs Act (legge delega n. 183/14)?

A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015, l’ordinamento prevede regimi di tutela diversi a seconda che il lavoratore licenziato sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015.

 

1. Le tutele previste a favore dei lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015

Per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, valgono le seguenti garanzie.

Anzitutto, in caso di licenziamento nullo (perché discriminatorio, oppure perché comminato in costanza di matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità oppure negli altri casi previsti dalla legge) o inefficace (perché intimato in forma orale), a tutti i lavoratori, quale che sia il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, è riconosciuto:

  • il diritto a essere reintegrati nel posto di lavoro,
  • il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorrente fra il licenziamento e la reintegrazione, e
  • la corresponsione di un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, e in ogni caso non inferiore a 5 mensilità (c.d. tutela reintegratoria piena). Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.


Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha comunque la possibilità – entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza – di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

Al di fuori delle suddette ipotesi, le tutele variano a seconda delle dimensioni del datore di lavoro che ha comminato il licenziamento e del tipo di vizio che rende illegittimo il provvedimento espulsivo.

In particolare, se il licenziamento viene intimato da un datore di lavoro che supera le soglie dimensionali previste dall’art. 18 della legge 300/1970 (unità produttiva con più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo, o più di 60 dipendenti in totale), si applicano i seguenti regimi di tutela.

Quando non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa, il giudice applica la cd. tutela reintegratoria attenuata (reintegrazione nel posto di lavoro e indennizzo commisurato alla retribuzione con il limite di 12 mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione).

Il medesimo regime sanzionatorio si applica anche nei casi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; (ii) licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore; (iii) licenziamento intimato nel periodo di comporto.

Nelle altre ipotesi in cui non ricorrano gli estremi della giusta causa, del giustificato motivo soggettivo e del giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro, il giudice applica la c.d. tutela obbligatoria standard: ossia condanna il datore al pagamento di un’indennità risarcitoria in una misura compresa fra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore, del numero dei dipendenti, della dimensione dell’attività economica e del comportamento e condizioni delle parti.

Nei casi di licenziamento illegittimo per carenza di motivazione o per inosservanza degli obblighi procedurali previsti per il licenziamento disciplinare o per giustificato motivo oggettivo, infine, il giudice applica la cd. tutela obbligatoria ridotta: condanna il datore di lavoro al pagamento di un indennità variabile tra 6 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, indennità il cui esatto ammontare viene stabilito in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro.

Se il licenziamento è intimato da un datore di lavoro che non raggiunge soglie dimensionali dell’art. 18 St. Lav., invece, trova applicazione il più blando regime di tutela previsto dall’art. 8 della legge 604/1966, così come sostituito dall’art. 2 della legge 108/1990, che riconosce al lavoratore illegittimamente licenziato il solo diritto a percepire un indennizzo economico, la cui misura viene determinata tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità (tenendo conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore, nonché del comportamento e della condizione delle parti). L’indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni, e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a 20 anni.

 

2. Le tutele previste a favore dei lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015

Ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in avanti si applicano le diverse tutele introdotte nell’ambito del c.d. Jobs Act, e contenute in particolare nel decreto legislativo 23/2015.

La nuova normativa, in linea con quanto disposto dalla disciplina previgente, prevede, per le ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale, un unico regime di tutela, applicabile a tutti i dipendenti – indipendentemente cioè dalle dimensioni del datore di lavoro –, in virtù del quale al lavoratore ingiustamente licenziato spetta sia la reintegrazione nel posto di lavoro, sia un’indennità risarcitoria corrispondente alla retribuzione dovuta dal giorno del licenziamento al giorno di effettiva reintegrazione.

Le medesime tutele valgono anche nel caso in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivi relativi alla salute e disabilità fisica o psichica del lavoratore.

Per tutte le altre ipotesi di licenziamento illegittimo, la nuova disciplina continua a prevedere tutele diverse a seconda che il licenziamento riguardi lavoratori assunti presso imprese che superano le soglie numeriche fissate dall’art. 18 della legge 300/1970 ovvero lavoratori assunti presso datori di lavoro che non raggiungono dette soglie.

Quanto ai primi, il decreto legislativo 23/2015 stabilisce l’obbligo di reintegro nei soli casi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. In queste ipotesi, oltre alla reintegrazione, al dipendente spetta anche un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative e quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro. L’indennità non può in ogni caso superare le 12 mensilità.

Fuori di questi casi, il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto a percepire esclusivamente un indennizzo economico, la cui misura è calcolata in base alla sua anzianità di servizio (2 mensilità per ogni anno di retribuzione, in un range che varia da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità – la tutela è dimezzata nel caso di licenziamento illegittimo per vizi formali o procedurali).

I lavoratori assunti presso le piccole imprese, invece, godono del medesimo regime di tutele previsto per i dipendenti delle imprese di maggiori dimensioni, con due significative differenze: è esclusa la reintegrazione nell’ipotesi del licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto materiale e la tutela economica risulta sostanzialmente dimezzata.

 

Questione 4

E’ vero che il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto sino al 70° anno di eta’ ?

Ai sensi dell’art. 24 d.l. 201/ 2011 (cd. riforma delle pensioni Monti), le tutele previste a favore del lavoratore illegittimamente licenziato si applicano sino a che quest’ultimo non abbia compiuto 70 anni, anche quando abbia raggiunto l’età prevista per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Più precisamente, prima dell’introduzione della norma citata, il lavoratore che avesse raggiunto l’età pensionabile poteva essere licenziato ad nutum. Ciò significa che, una volta raggiunta dal lavoratore l’età anagrafica fissata dalla legge per l’ottenimento della pensione di vecchiaia, il datore di lavoro poteva licenziare il dipendente anche in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.

A seguito della citata riforma delle pensioni, la situazione è, invece, mutata.

Il decreto legge n. 201/2011, infatti, in riferimento alla pensione di vecchiaia (ossia quella cui si accede per raggiunti limiti di età), è intervenuto su due punti importanti.

In primo luogo, ha innalzato l’età pensionabile e ha previsto un meccanismo di adeguamento alla speranza di vita finalizzato ad elevare annualmente l’età anagrafica necessaria ad accedere automaticamente alla pensione (per il 2012, l’età minima è fissata rispettivamente a 66 anni per gli uomini e a 62 anni per le donne, salva sempre una contribuzione di almeno 20 anni).

In secondo luogo, ha introdotto degli incentivi a favore dei lavoratori che, pur possedendo tutti i requisiti necessari per accedere alla pensione, decidano di rimanere comunque a lavorare fino a 70 anni.

Fra gli incentivi, il più rilevante è quello che riguarda il diritto potestativo del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro fino al compimento dell’età predetta. Il dipendente che non abbia ancora compiuto 70 anni può, quindi, continuare a lavorare. Inoltre, egli conserva le tutele previste a suo favore dalla legge nel caso in cui subisca un licenziamento e questo non sia sorretto da giusta causa o giustificato motivo (rispettivamente tutela obbligatoria per le cd. piccole imprese e tutela ex art. 18 S.L. per le aziende con più di 15 dipendenti).

 

Questione 5

Come ed entro quali termini deve essere impugnato il licenziamento a seguito dell’entrata in vigore della l. 183/2010 cd. Collegato lavoro?

Il cd. Collegato lavoro ha introdotto un nuovo regime relativo ai termini di impugnazione del licenziamento illegittimo.

In particolare, a seguito dell’introduzione della legge 183/2010, al fine di ottenere le tutele previste dalla legge, è necessario innanzi tutto procedere all’impugnazione del licenziamento.

Tale impugnazione deve avvenire entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale. L’impugnazione del licenziamento può essere fatta con qualsiasi atto stragiudiziale comunque idoneo a manifestare la volontà del lavoratore: normalmente basta una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia).

Essa è inefficace se non è seguita entro il successivo termine di 180 giorni (270 giorni per i licenziamenti intimati prima del 18/07/2012, data di entrata in vigore della riforma), dal deposito in tribunale del ricorso oppure dalla comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione.