Rivalutazione e interessi

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Questione 1

Cosa succede nel caso in cui un credito di lavoro sia pagato in ritardo?

I crediti aventi ad oggetto una somma di denaro maturano interessi, a far tempo dal momento in cui gli stessi sono divenuti liquidi (quindi certi nel loro ammontare, o comunque determinabili in forza di una semplice operazione matematica) ed esigibili. Attualmente, gli interessi legali sono del 5%, ma nel periodo compreso tra l'1/1/91 e il 31/12/95, gli stessi ammontavano al 10%. Pertanto, se alla sua scadenza il debito non viene pagato, cominciano a decorrere gl interessi nella misura legale.

Tuttavia, sulle retribuzioni il lavoratore matura non solo il diritto agli interessi. Infatti, gli interessi rappresentano solamente la remunerazione che il debitore deve al creditore, una volta che il debito sia scaduto, per la disponibilità del denaro altrui. Tuttavia, il ritardato pagamento produce anche danni derivanti dalla svalutazione monetaria. Il legislatore ha preso in considerazione questi danni, disponendone il risarcimento nel caso dei crediti da lavoro. Conseguentemente, alla scadenza del debito retributivo non corrisposto, il lavoratore comincia a maturare, oltre agli interessi, anche la rivalutazione monetaria, calcolata sulla base dell'indice dei prezzi elaborato dall'Istat per la scala mobile per i lavoratori dell'industria.

Se il pagamento avviene in ritardo e senza la corresponsione degli interessi e della rivalutazione, il minor pagamento effettuato deve essere imputato - salvo patto contrario - innanzi tutto agli interessi e solo nella parte residua al capitale. Pertanto, il pagamento parziale lascia insoddisfatta una quota di capitale che continuerà a produrre interessi, nonchè rivalutazione monetaria, fino al saldo.

Gli interessi devono essere calcolati sulla somma di denaro rivalutata: infatti, il credito rivalutato rappresenta il valore reale (cioè il potere d'acquisto) del debito originario, al di là del suo valore nominale; pertanto, su questa base devono essere quantificati gli interessi.

Infine, è ovvio che il calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi debba essere effettuato sull'ammontare lordo del debito. Infatti, il datore di lavoro è debitore, verso il lavoratore, di una somma lorda; il fatto che su tale somma debbano essere pagate le imposte rappresenta un debito del lavoratore verso il fisco, che non riduce l'ammontare del debito del datore di lavoro. Il fatto che il datore di lavoro, in quanto sostituto d'imposta, provveda direttamente a versare al fisco il debito tributario del lavoratore non sposta i termini della questione, perchè il datore di lavoro, pagando il lavoratore e il fisco, estingue comunque il suo debito complessivo nei confronti del primo.

Questione 2

Interessi e rivalutazione sono cumulabili?

Una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (n. 12523 del 12 dicembre 1998) sembra aver chiarito in modo definitivo una questione da tempo dibattuta nell’ambito del diritto del lavoro, ovvero quella relativa alla cumulabilità di interessi e rivalutazione per quanto riguarda i crediti di lavoro.

In base a quanto stabilito dall’art. 429 del codice di procedura civile, quando un giudice riconosce il diritto di un lavoratore al pagamento di importi relativi a crediti maturati nell’ambito di un rapporto di lavoro, deve altresì riconoscere al lavoratore il diritto al pagamento degli interessi maturati, nonché quello alla rivalutazione del credito. Ciò significa, in buona sostanza, che il lavoratore ha diritto di ricevere un importo che abbia un valore (ovvero un potere di acquisto) non inferiore rispetto a quello che detto importo aveva quando il credito è maturato, nonché gli interessi legali. Grazie a tale norma, il lavoratore che, magari solo a distanza di anni, riusciva a recuperare gli importi a lui dovuti, riceveva un capitale che non aveva perso, con il tempo, il suo valore e, in aggiunta, gli interessi nel frattempo maturati, che costituivano una sorte di risarcimento per aver dovuto attendere del tempo prima di entrare in possesso di quanto gli spettava. Un regime analogo vigeva anche con riferimento ai crediti previdenziali (quali, per esempio, i crediti pensionistici), e ciò sino a quando, nel 1991, è stata emanata una norma (L. 412/91) in forza della quale la perdita di valore del credito doveva ritenersi, in sostanza, già compensata dal riconoscimento degli interessi, con conseguente venir meno della possibilità di cumulare interessi e rivalutazione.

Nel dicembre del 1994 è stata emanata una nuova disposizione di legge (art. 22 L. 724/94) che, apparentemente, sanciva il divieto del cumulo tra interessi e rivalutazione anche per i crediti di lavoro. Poiché, però, tale norma era inserita nell’ambito di provvedimenti che riguardavano il pubblico impiego, la stessa era stata, inizialmente, interpretata come riferita ai soli dipendenti pubblici.

Disattendendo tale interpretazione, la Cassazione, con la sentenza in precedenza indicata, ha invece affermato che la norma che ha stabilito il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione anche per i crediti di lavoro, non può essere intesa come riferita ai soli dipendenti pubblici, poiché altrimenti si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, che vieta ogni discriminazione tra i cittadini. Pertanto, secondo la Cassazione, per i crediti di lavoro maturati successivamente al gennaio 1995 non è più possibile rivendicare la rivalutazione, se non per la parte eventualmente eccedente gli interessi legali; peraltro, considerato che l’attuale tasso di inflazione è piuttosto contenuto, è difficile che tale ipotesi si possa verificare.

Indipendentemente da ogni valutazione, sotto il profilo giuridico, sul merito della decisione assunta dalla Cassazione, non si può non rilevare come, nell’attuale situazione, essendo stato ridotto anche il tasso legale di interesse, sceso da gennaio 1999 al 2,5%, risultino avvantaggiati i debitori inadempienti, viste le scarse penalizzazioni che il ritardo nel pagamento comporta.