In genere

  • Secondo la disciplina di cui alla L. n. 1369 del 1960, l’interposizione illecita va esclusa quando l’appaltatore utilizza una propria organizzazione e gestisce direttamente i rapporti di lavoro ed i requisiti dell’appalto lecito vengono individuati nella organizzazione propria dell’appaltatore e nella assunzione di questi del rischio di impresa per il conseguimento di un autonomo risultato produttivo, mentre ai sensi dell’art. 29, D.Lgs. n. 276 del 2003, l’appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza che l’appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell’appaltatore e il requisito della organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, previsto dal citato art. 29, può essere individuato, in presenza di particolari esigenze dell’opera o del servizio, anche nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto (respinta, nella specie, la richiesta avanzata da alcuni autisti che sostenevano di avere operato direttamente per la società appaltante, non risultando provata l’ingerenza della società appaltante, atteso che essa si era solo limitata a standardizzare il servizio che, essendo svolto su tutto il territorio nazionale, doveva rispondere a parametri di omogeneità e qualità). (Cass. 3/11/2020 n. 24386, ord., Pres. Nobile Est. Cinque, in Lav. nella giur. 2021, 199)
  • Successione negli appalti di call-center: la disciplina speciale del 2016 non comporta l’obbligo di accettare l’assunzione presso il nuovo appaltatore.
    La normativa sul cambio di appalto per i call-center di cui all’art. 1, comma 10, l. n. 11/2016 e all’art. 53 CCNL Telecomunicazioni, prevede una tutela aggiuntiva per i lavoratori ma non dispone una successione automatica del rapporto di lavoro in capo al nuovo appaltatore. Per i lavoratori che non sono stati assunti dall’impresa subentrante deve essere applicata la disciplina dei licenziamenti collettivi, e i criteri di scelta vanno applicati considerando anche la possibilità di essere adibiti su altri appalti, anche ove sia necessaria una contenuta attività di addestramento. La mancata accettazione dell’assunzione da parte del subentrante, motivata dalla scarsa consistenza di tale impresa, non può costituire criterio di scelta nei licenziamenti per riduzione del personale, da parte dell’impresa uscente. (Trib. Roma 15/5/2020, Giud. Pucci, in Wikilabour, Newsletter 10/2020)
  • Il lavoratore licenziato per cessazione dell’appalto può impugnare il licenziamento nei confronti dell’impresa uscente, anche se assunto dalla società subentrante in forza della previsione della contrattazione collettiva di passaggio diretto dei dipendenti.
    Il Tribunale di Bologna riconosce la legittimità dell’azione di impugnazione del licenziamento esperita da una lavoratrice nei confronti dell’azienda uscente da un contratto di appalto, a seguito del licenziamento motivato con la cessazione dell’appalto. Il Tribunale esclude che la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con la società subentrante nell’appalto, in attuazione di previsione della contrattazione collettiva, possa pregiudicare tale azione o configurare un’implicita rinuncia a impugnare il licenziamento. (Trib. Bologna 4/3/2020, Giud. Pugliese, in Wikilaboour, Newsletter n. 8/2020)
  • Il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 38-bis ha come obiettivo esclusivamente quello di tutelare il lavoratore, lasciando fuori dal suo ambito di applicazione quei comportamenti finalizzati alla elusione della contribuzione, che restano soggetti alla disciplina dell’art. 640 c.p., comma 2, n. 1. (Cass. pen 11/3/2020 n. 9758, Pres. Diotallevi Est. Coscioni, in Lav. nella giur. 2021, con nota di L. Baron, Il fittizio distacco transnazionale di lavoratori tra somministrazione fraudolenta e truffa ai danni dello Stato, 248)
  • È applicabile in via analogica al subfornitore per i crediti retributivi e contributivi dei lavoratori dipendenti il regime di responsabilità solidale tra committente e appaltatore o subappaltatore previsto dall’art. 29, comma 2 del d.lgs. n. 276/2003. (Cass. 5/3/2020 n. 6299, Pres. Manna Rel. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di M. Lovo, “Applicazione analogica della responsabilità solidale tra committente e appaltatore per i crediti retributivi e contributivi dei lavoratori: quali limiti?”, 481)
  • Appalti pubblici: l’obbligo per gli affidatari di applicare la contrattazione collettiva di settore stipulata dalle organizzazioni sindacali più rappresentative non è in contrasto con la Costituzione.
    L’art. 30 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 150/2016) impone alle imprese appaltatrici di applicare la contrattazione collettiva stipulata dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative del settore, e tale obbligo sussiste anche a prescindere da una previsione in tal senso del bando e dell’appalto. L’obbligo di applicazione di trattamenti migliorativi, rispetto a quelli previsti dal CCNL applicato dall’impresa appaltatrice (nel caso, quelli del CCNL Terziario confederale, rispetto al CCNL intersettoriale Conflavoro PMI) non contrasta né con l’art. 39 né con l’art. 41 della Costituzione. (Trib. Firenze 28/1/2020, Giud. Nuvoli, in Wikilabour, Newsletter n. 8/2020)
  • In tema di appalto di opere e servizi, il termine di decadenza di due anni previsto dall’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003 non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali nei confronti del committente essendo la stessa soggetta al solo termine di prescrizione. (Cass. 14/11/2019, Pres. Manna Est. Berrino, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di P. Tosi e E. Puccetti, “Gli oneri previdenziali del committente tra solidarietà e intermediazione”, 327)
  • In caso di appalto illegittimo, l’azione dell’ente previdenziale volta all’accertamento della sussistenza in fatto di un rapporto di lavoro subordinato tra il lavoratore ed il committente trova la sua causa petendi nell’art. 2094 c.c. e non nell’art. 29, co. 3-bis, d.lgs. n. 276/2003 che, comunque, nel suo riferimento al solo lavoratore non preclude la legittimazione degli enti previdenziali stante la nullità degli atti interpositori. (Cass. 14/11/2019, Pres. Manna Est. Berrino, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di P. Tosi e E. Puccetti, “Gli oneri previdenziali del committente tra solidarietà e intermediazione”, 327)
  • È compatibile con le direttive comunitarie in tema di appalti, nonché con i principi di parità di trattamento e trasparenza in esse contemplati, un assetto nel quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera comporta l’esclusione dell’impresa, senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità offrono all’amministrazione la possibilità di far sanare alle imprese la situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla legislazione nazionale in materia entro un termine stabilito dalla stessa amministrazione. (Corte di Giustizia 2/5/2019 C-309/18, Pres. Jurimae Est. Escobar, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di C. Macchione, “La Corte di giustizia torna a pronunciarsi in tema di appalti pubblici sulla questione della mancata indicazione dei costi per la manodopera”, 678)
  • Nell’ipotesi di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante, atteso che, per l’applicazione dell’art. 2112 c.c. occorre accertare in concreto il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del know-how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell’art. 29, co. 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda. (Cass. 29/3/2019 n. 8922, Pres. Bronzini Est. Patti, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di G. Spinelli, “Successione di un imprenditore a un altro nell’appalto di servizi. I requisiti dell’art. 2112 c.c.”, 471)
  • Non vi è alcuna contraddizione né incompatibilità tra l’impugnazione del licenziamento per cessazione dell’appalto e l’azione diretta ad ottenere l’applicazione della clausola sociale e l’assunzione presso l’appaltatore subentrante. Né l’accettazione della nuova assunzione integra acquiescenza al licenziamento o equivale alla rinuncia ad impugnare il recesso. (Corte app. Milano 20/2/2019 n. 72, Pres. Vitali Est. Casella, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di G. Marchi, “Clausole sociali di riassunzione e impugnazione del licenziamento”, 424)
  • In ipotesi di successione nell’appalto, il fatto costitutivo del diritto all’assunzione alle dipendenze del nuovo appaltatore non è la risoluzione del precedente contratto di lavoro, ma l’adibizione del lavoratore all’appalto da un determinato periodo di tempo. (Corte app. Milano 20/2/2019 n. 72, Pres. Vitali Est. Casella, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di G. Marchi, “Clausole sociali di riassunzione e impugnazione del licenziamento”, 424)
  • La richiesta stragiudiziale di pagamento delle retribuzioni arretrate, effettuata prima del fallimento della società appaltatrice, è sufficiente a integrare i requisiti per l’operatività dell’art. 1676 c.c., costituendo un vincolo di indisponibilità sul credito dell’appaltatore, ancorché il committente abbia versato in sede fallimentare il corrispettivo per l’appalto. (Corte app. Venezia 25/1/2019 n. 687, Pres. e Est. Alessio, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di A. Nicolussi Principe, “Tutela dei lavoratori ex art. 1676 c.c. e fallimento dell’appaltatore”, 435)
  • In ipotesi di sussistenza di appalto illecito di manodopera, il lavoratore che ha ottenuto il ripristino del rapporto di lavoro ha diritto alla retribuzione e non al risarcimento del danno da parte del datore di lavoro, costituito in mora, che non ottempera all’ordine giudiziale di riammissione in servizio. (Cass. SU 7/2/2018 n. 2990, Pres. Rordorf Est. D’Antonio, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Sottile, “Sulla natura retributiva delle somme spettanti al lavoratore riammesso in servizio al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 18, l. n. 300/1970: il cambio di rotta delle Sezioni Unite in attesa della Corte Costituzionale”, 599)
  • In caso di successione nell’appalto di servizi la mera riduzione quantitativa dei servizi appaltati non comporta discontinuità d’impresa ai sensi dell’art. 29, comma 3, d.lgs. 276/2003 come modificato dall’art. 30, l. 7 luglio 2016, n. 122, con conseguente applicazione dell’art. 2112 c.c. (fattispecie successiva alla modifica dell’art. 29, d.lgs. 276/2003 a opera dell’art. 30 della l. 7 luglio 2016, n. 122). (Trib. Bologna 7/7/2017, n. 5941, Est. Sorgi, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di L. A. Cosattini, “Successione negli appalti, cambia la legge ma non la sostanza: decisive l’identità e la continuità della gestione”, 15)
  • Deve escludersi che la fattispecie relativa al cambio di appalto rientri in quelle previste dall’art. 32, c. 4, della l. n. 183 del 2010, con conseguente insussistenza dell’obbligo di impugnativa nel termine di 60 giorni imposto del licenziamento comunicato dal precedente datore di lavoro. (Cass. 25/5/2017, n. 13179, Pres. Napoletano Est. Curcio, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di F. Aiello, “Decadenza: ‘cambio appalto’ e tentativo di conciliazione”, 74)
  • La determinazione dei costi in sede di partecipazione a un appalto basata sull’applicazione di un Ccnl sottoscritto da soggetti non rappresentativi può costituire indice di inattendibilità economica dell’offerta e di lesione del principio della par condicio dei concorrenti. (Cons. St. 13/10/2015 n. 4699, Pres. Romeo Est. D’Alessio, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Dario Calderara, “Quali sono i contratti collettivi applicabili nelle gare di appalto?”, 20)
  • Con riferimento alla pretesa di imputazione del rapporto in capo all’utilizzatore effettivo, dunque, i diritti pregiudicabili dalla decadenza sono non solo quelli aventi a oggetto la ‘stabilizzazione’ presso l’utilizzatore stesso, ma anche quelli maturati per effetto dello svolgimento delle prestazioni (ad esempio per differenze retributive o a titolo di risarcimento del danno). [Omissis] Né fornisce argomenti a favore della tesi delle appellanti, il contesto normativo in cui la decadenza in questione è inserita, riguardando l’art. 32 in prevalenza l’impugnativa delle fattispecie risolutive del rapporto di lavoro (e non le domande di pagamento di differenze retributive, o altro). In realtà le ipotesi prese in considerazione dalla lettera d) del quarto comma dell’art. 32 (che abbracciano vari casi, dalla somministrazione fraudolenta a quella irregolare, dagli appalti illegittimi alla violazione delle norme sul distacco, sino ai fenomeni interpositori che possono realizzarsi nell’ambito dei gruppi di imprese e ai casi nei quali si rivendichi la cosiddetta contitolarità dei rapporti), non sono le uniche a non riguardare il momento risolutivo del rapporto di lavoro: come visto la decadenza introdotta dalla normativa in parola riguarda anche il trasferimento del lavoratore ai sensi dell’art. 2103 c.c. o la cessione del contratto di lavoro ex art. 2112 c.c., che poco hanno a che vedere con l’atto finale interruttivo del rapporto di lavoro. Ciò a riprova del fatto che l’art. 32, al di là della sua rubrica, è diretto a introdurre una disciplina generale della decadenza in materia di lavoro, che va oltre quelle riferibili ai casi di impugnativa del licenziamento o alla scadenza del termine invalidamente apposto al contratto di lavoro, abbracciando anche ipotesi che non attengono strettamente alla risoluzione del rapporto di lavoro. (Corte app. Brescia 2/10/2014 n. 406, Pres. Novo Rel. Finazzi, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Annamaria Minervini, 393)
  • In una situazione nella quale un offerente intende eseguire un appalto pubblico avvalendosi esclusivamente di lavoratori impiegati da un subappaltatore stabilito in uno Stato membro diverso da quello a cui appartiene l’amministrazione aggiudicatrice, l’art. 56 TFUE osta all’applicazione di una normativa dello Stato membro, a cui appartiene tale amministrazione aggiudicatrice, che obblighi detto subappaltatore a versare ai propri lavoratori il salario minimo legale, in quanto tale disposizione costituisce un onere economico supplementare atto a impedire, ostacolare o rendere meno attraenti la prestazione di servizi transfrontaliera. (Corte di Giustizia 18/9/2014 C-549/13, Pres. Safjan Rel. Prechal, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Michele Forlivesi, “La clausola sociale di garanzia del salario minimo negli appalti pubblici al vaglio della Corte di Giustizia europea: il caso Bundesdruckerei”, 550)
  • L’inapplicabilità dell’art. 29, co. 2, d.lgs. 276/2003 agli appalti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni è sancita dall’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 276/2003 e confermata di recente dal d.l. n. 76/2013, conv. in l. n. 99/2013. In caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni o dei contributi dovuti al personale utilizzato nei contratti di appalto pubblico, il d.lgs. n. 163/2006 prevede speciali strumenti di tutela, le cui modalità di utilizzazione sono determinate, in particolare, dagli artt. 4 (per i contributi) e 5 (per le retribuzioni) del d.p.r. n. 207/2010. In via residuale è possibile fare ricorso alla tutela di cui all’art. 1676 c.c. (Cass. 7/7/2014 n. 15432, Pres. Vidiri Rel. Tria, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Anna Rota, “Garanzie dei crediti da lavoro negli appalti pubblici: quid novi dopo l’entrata in vigore della l. n. 99/2013?”, 1066)
  • A seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 92 del 2012, l’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, nel prevedere la congiunta chiamata dell’appaltatore, obbligato principale, e della committente (obbligata solidale), pur ponendo quale regola generale la concentrazione dell’azione nei confronti dei coobbligati, non vale certo ad impedire l’autonoma proposizione del giudizio nei confronti del solo committente, obbligato solidale, nei casi in cui la domanda nei confronti del datore di lavoro, obbligato principale, sia improponibile o improcedibile nell’ordinaria sede di cognizione. (Trib. Monza 1/4/2014, Giud. Sommariva, in Lav. nella giur. 2014, 823)
  • L’art. 29, co. 2, d.lgs. 276/2003, per come modificato dall’art. 9, co. 1, d.l. n. 76/2013, conv. in l. n. 99/2013, non trova applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 165/2001 precedentemente alla data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2013, in quanto la sintetica formulazione della novella legislativa non presenta le caratteristiche della norma imperativa. (Corte app. Milano 5/3/2014, Pres. e Rel. Curcio, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Anna Rota, “Garanzie dei crediti da lavoro negli appalti pubblici: quid novi dopo l’entrata in vigore della l. n. 99/2013?”, 1066)
  • In un appalto avente a oggetto servizi di facchinaggio, l’esercizio del potere organizzativo e direttivo da parte dell’appaltante, attraverso un’ingerenza diretta sulle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e conseguente inserimento del lavoratore nel gruppo di lavoro dell’appaltante medesimo, è circostanza di per sé sufficiente a configurare una violazione dei requisiti di liceità di cui all’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276/2003. Il lavoratore ha dunque diritto a veder costituito un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’appaltante, non assumendo efficacia, nei confronti di quest’ultimo, le dimissioni rese dall’appaltatore, quale datore di lavoro apparente. (Trib. Milano 15/11/2013, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Valentina Scocca, 590)
  • Risponde allo schema tipologico dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 – secondo cui l’organizzazione dei mezzi da parte dell’appaltatore, funzionale all’opus dedotto in contratto, può consistere anche solo nell’esercizio di potere organizzativo e direttivo verso i lavoratori – un contratto d’appalto avente a oggetto servizio di logistica, entro magazzini, di capi d’abbigliamento. È ipotesi appieno integrante la figura dell’appalto c.d. labour intensive. Il che è tanto più vero quando l’appalto risponda alle seguenti caratteristiche: a) la presenza di più prestazioni oggetto d’appalto, che vanno dal controllo di qualità dei capi, alla loro etichettatura, al loro stoccaggio a magazzino, al confezionamento e imballo per le spedizioni; b) l’alto numero di lavoratori chiamati a operare in ciascun magazzino, donde la necessità di un coordinamento delle prestazioni di ciascuno e, ancor più, di formare gruppi di lavoro ripartiti in ragione delle varie prestazioni dedotte in appalto; c) l’obbligo di movimentare una certa quantità di capi entro limiti temporalmente prefissati dalla clientela dell’appaltatore – costituendo ciò il risultato del servizio che il committente attende dall’appaltatore –, sì che il potere organizzativo ex art. 29, comma 1, assume fort consistenza, nell’obiettivo di dover assicurare, giorno dopo giorno, una professionalità della prestazione lavorativa in linea con i livelli di obiettivo richiesti dal committente. (Trib. Reggio Emilia 19/7/2012, Giud. Gnani, in Lav. nella giur. 2012, 1117)
  • La disposizione dell’art. 1676 c.c. – in base alla quale i dipendenti dell’appaltatore hanno azione diretta verso il committente, fino a concorrenza del debito del committente verso l’appaltatore, per conseguire quanto loro dovuto per l’attività prestata nell’esecuzione dell’appalto – si applica anche al subappalto di lavori pubblici, ai sensi dell’art. 141 del DPR n. 554/99, sia perché il subappalto è un vero e proprio contratto di appalto, seppure caratterizzato da derivazione da altro contratto di appalto, sia perché, nell’appalto e nel subappalto, ricorre la stessa esigenza di tutela dei lavoratori, onde preservarli dal rischio di inadempimento del datore di lavoro. (Cass. 22/6/2012 n. 10439, Pres. Lamorgese Est. Tria, in D&L 2012, 812)
  • Non è applicabile agli appalti conferiti dalle pubbliche amministrazioni la norma di cui all’art. 29, 2° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276, secondo la quale, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti. (Corte app. Torino 9/5/2012, Pres. ed Est. Girolami, in D&L 2012, con nota di Filippo Capurro, “Una tecnica di tutela che ad alcuni sta stretta: ancora sulla solidarietà negli appalti conferiti dalle pubbliche amministrazioni”, 771)
  • A norma del combinato disposto degli artt. 21 (rubricato “Forma del contratto di somministrazione”) e 27 del d.lgs. n. 276/2003 (rubricato “Somministrazione irregolare”), la costituzione del rapporto di lavoro direttamente con l’utilizzatore si verifica solo se un vizio di forma riguardi il contratto di somministrazione, e non anche se vi siano vizi formali riguardanti il contratto di assunzione stipulato tra il somministratore e il lavoratore. (Trib. Roma 3/5/2011, Giud. Forziati, in Lav. nella giur. 2011, 964)
  • La Corte di Appello di Roma è stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità del datore di lavoro/appaltatore per infortunio occorso al dipendente nello svolgimento della prestazione presso altra impresa e sulla ripartizione del relativo obbligo di sicurezza con il terzo a cui era stato contrattualmente trasferito l’obbligo di fornire le attrezzature di sicurezza. Il giudice di secondo grado ha, altresì, affrontato il tema della intrasferibilità in capo al preposto dei compiti relativi all’approntamento delle misure di prevenzione. (Corte app. Roma 6/4/2011, Pres. Gallo Rel. Pascarella, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Daniele Iarussi, 276)
  • La clausola inserita in un contratto di appalto che permette all’appaltante di ottenere la sostituzione degli addetti non graditi non può consentire, nell’ambito dei rapporti di lavoro tra appaltatrice e i suoi dipendenti, un trasferimento in assenza delle ragioni richieste dall’art. 2103 c.c. e della disciplina collettiva e in violazione del generale principio di buona fede. (Trib. Trieste 22/3/2011, Giud. Barbazi, in Lav. nella giur. 2011, 746)
  • In tema di procedure selettive del personale, il principio di buona fede a cui si deve conformare colui che procede alla selezione implica: la fissazione ex ante di criteri oggettivi e non irragionevoli; l’applicazione secondo correttezza dei criteri prestabiliti; in caso di adozione di criteri implicanti discrezionalità valutativa, l’adeguata motivazione con l’indicazione di circostanze verificabili delle operazioni valutative poste in essere. In particolare, il potere discrezionale del datore di lavoro incontra il limite della necessità che lo stesso fornisca, in conformità ai criteri precostituiti al bando e, comunque, alla buona fede e correttezza, adeguata ed effettiva motivazione delle operazioni valutative e comparative connesse alla selezione effettuata. Di conseguenza, deve considerarsi viziata la procedura selettiva mancante della predeterminazione dei criteri e della motivazione circa le operazioni valutative. (Trib. Reggio Calabria 28/2/2011, ord., in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di A. Rota, “’Istruzioni per l’uso’ alle agenzie di lavoro: quando la procedura di selezione dei candidati va ripetuta?”, 388)
  • E' nullo il termine apposto al contratto di somministrazione stipulato per motivi diversi da quelli dichiarati nel contratto di somministrazione. Per l'effetto il rapporto deve essere costituito direttamente in capo all'utilizzatore con effetto ex tunc. (Trib. Milano 2/12/2010, Est. Visonà, in D&L 2010, 1041)
  • La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è legittima ove abbia ad oggetto una delle attività espressamente previste dall'art. 20 del d.lgs. n. 276/2003, anche se tale attività coincida con l'attività principale svolta dall'impresa utilizzatrice. (Trib. Roma 19/11/2010 n. 18385, Giud. Baroncini, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Roberto Romei, "Somministrazione a tempo indeterminato e dintorni: le tendenze creative della giurisprudenza", 51)
  • La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è legittima ove abbia ad oggetto una delle attività espressamente previste dall'art. 20 del d.lgs. n. 276/2003, ma è necessario che tali attività abbiano carattere accessorio e non coincidente con l'attività principale svolta dall'impresa utilizzatrice (Trib. Torino 20/7/2010, Giud. Cirvilleri, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Roberto Romei, "Somministrazione a tempo indeterminato e dintorni: le tendenze creative della giurisprudenza", 51)
  • La mancanza di specificità della causale del contratto di somministrazione a tempo determinato ex artt. 20-21, d.lgs. n. 276/2003, comunque non confortata dall’istruttoria orale ammessa, vizia, definitivamente, lo stesso, assoggettando l’utilizzatore al riconoscimento, in suo danno, del rapporto di lavoro subordinato in contestazione. (Trib. Bergamo 15/6/2010, Giud. Ed Est. Cassia, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Pasquale Regina, 402)
  • L'inapplicabilità del d.lgs. n. 276/2003 alle pubbliche amministrazioni, previsto dall'art. 1, comma 2, non può che essere riferita alle stesse in qualità di datori di lavoro, per cui il regime di responsabilità solidale previsto dall'art. 29, comma 2, del suddetto decreto trova applicazione anche nel caso in cui il committente sia una Pubblica Amministrazione. (Trib. Milano 22/1/2010 n. 317, Giud. Mennuni, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di S. Varva, "La responsabilità solidale del committente pubblico ex art. 29 d.lgs. n. 276/2003", 888)
  • L'azione diretta proposta dal dipendente dell'appaltatore contro il committente per conseguire quanto gli è dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore quando è proposta la domanda, è prevista dall'art. 1676 c.c. con riferimento al solo credito maturato dal lavoratore in forza dell'attività svolta per l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio oggetto dell'appalto, e non anche con riferimento a ulteriori crediti, pur relativi allo stesso rapporto di lavoro e non afferenti in alcun modo all'appalto. (Cass. 19/11/2010 n. 23489, Pres. Foglia Est. Toffoli, in D&L 2010, 1138)
  • Costituisce un contratto d'opera e non un contratto d'appalto quello tra un committente e un artigiano (nel caso di specie un falegname) il quale svolga l'attività con prevalente lavoro personale, seppur coadiuvato da componenti della sua famiglia e da qualche collaboratore. (Cass. 2/9/2010 n. 19014, Pres. Oddo Est. Bursese, in D&L 2010, con nota di Filippo Capurro, "Ancora sulla qualificazione del contratto d'appalto", 1131)
  • Gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, gravano solo sull'appaltante (o interponente), sicché non può configurarsi una concorrente responsabilità dell'appaltatore (o interposto) in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi a esso sottesi. Tale principio esclude una responsabilità concorrente dell'interposto, ma non impinge sulla norma dell'art. 1180, comma 1, c.c. relativa all'effetto liberatorio del pagamento del terzo, quale deve ritenersi l'interposto, e sulla norma di cui all'art. 2036 relativa all'irripetibilità da parte dello stesso delle somme corrisposte in esito a tale pagamento, non essendo possibile ritenere la scusabilità dell'errore sulla identità dell'effettivo debitore. (Cass. 14/7/2010 n. 16547, Pres. Sciarelli, in Lav. nella giur. 2010, 945) 
  • La ragione addotta ("ragioni di carattere produttivo e organizzativo derivante dall'aumento delle attività nell'ambito degli uffici postali interessati al progetto gestione del cliente" e "garantire la fase di rilancio ed estensione del progetto attraverso il potenziamento delle strutture organizzative interessate", N.d.R.) a giustificazione del ricorso alla somministrazione di manodopera, riferibile all'ordinaria attività d'impresa, sembra difettare del requisito della "temporaneità", che, ad avviso del giudice, è intrinsecamente presupposta per il ricorso alla somministrazione di manodopera a tempo determinato. (Trib. Milano 6/7/2010, Giud. Visonà, in Lav. nella giur. 2010, 954) 
  • L'applicazione della disposizione normativa di cui all'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 agli appalti c.d. labour intensive, vale a dire caratterizzati dalla prevalenza delle prestazioni lavorative, consente di ravvisare una fattispecie di appalto genuino anche in presenza del solo potere direttivo nei confronti dei lavoratori, unito all'effettiva assunzione del rischio di impresa, mentre l'utilizzo di strumenti di proprietà del committente non può considerarsi elemento decisivo per la qualificazione del rapporto. Solo in caso di insussistenza degli elementi propri dell'appalto genuino, si integra la fattispecie di somministrazione irregolare di manodopera. (Trib. Milano 5/5/2010, Giud. Pattumelli, in Lav. nella giur. 2010, 735) 

  • È applicabile anche agli appalti conferiti dalle pubbliche amministrazioni la norma di cui all’art. 29, 2° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276, secondo la quale, in caso di appalti di opere o di servizi, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e ad adempiere agli obblighi contributivi previdenziali. (Trib. Milano 22/1/2010, Est. Mennuni, in D&L 2010, con nota di Filippo Capurro, “E’ ormai ius receptum la sussistenza della responsabilità solidale tra appaltatore e Pubblica Amministrazione committente, in relazione ai crediti dei lavoratori impiegati nell’appalto”, 534) 

  • È applicabile anche agli appalti conferiti dalle pubbliche amministrazioni la norma di cui all’art. 29, 2° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276, in quanto la deroga contenuta nell’art. 6, 1° comma, L. 14/2/03 n. 30 è limitata esclusivamente al personale delle stesse e non si estende invece ai lavoratori dipendenti dall’appaltatore. (Trib. Milano 22/1/2010, Est. Mennuni, in D&L 2010, con nota di Filippo Capurro, “È ormai ius receptum la sussistenza della responsabilità solidale tra appaltatore e Pubblica Amministrazione committente, in relazione ai crediti dei lavoratori impiegati nell’appalto”, 534)

  • Il divieto di intermediazione nelle prestazioni di lavoro di cui all'art. 1 L. 23/10/60 n. 1369 posto al fine di impedire che il datore di lavoro effettivo possa sottrarsi agli obblighi conseguenti alla titolarità dei rapporti di lavoro, opera oggettivamente allorquando un lavoratore distaccato presso un'organizzazione diversa da quella del suo datore di lavoro renda la sua prestazione al servizio esclusivo del soggetto di destinazione, mentre è irrilevante l'intento fraudolento delle parti. (Cass. 3/11/2009 n. 23213, Pres. Vidiri Est. Balletti, in D&L 2009, 951) 

  • Il contratto con il quale un imprenditore vende ad altro imprenditore delle apparecchiature, nonché si impegna a effettuare la fornitura in opera e l’assistenza tecnica delle stesse con l’utilizzo di personale tecnico e operaio idoneo e qualificato e preventivamente addestrato alla specifica attività de qua, è riconducibile a un contratto di appalto e servizi e non a un contratto di vendita, in quanto risulta prevalente l’obbligazione di facere rispetto a quella di dare, con la conseguente applicazione dell’art. 29, 2° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276 in materia di responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore per le obbligazioni retributiva afferenti al rapporto di lavoro dei soggetti impiegati nell’appalto. (Trib. Milano 27/10/2009, Est. Vitali, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, “Sulla vis espansiva della nozione di appalto ai fini giuslavoristici”, 1019)
  • La responsabilità solidale di cui all'art. 29, 2° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276 si estende all'intero credito retributivo e non solo ai limiti tabellari. (Trib. Milano 27/10/2009, Est. Vitali, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, “Sulla vis espansiva della nozione di appalto ai fini giuslavoristici”, 1019)

  • Il divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro (L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1), in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento a un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata a un risultato produttivo autonomo (fattispecie relativa ad appalto con le Ferrovie dello Stato). (Cass. 16/3/2009 n. 6336, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Orient. Giur. Lav. 2009, 84)

  • La sentenza dichiarativa di fallimento dell'impresa utilizzatrice, intervenuta anteriormente alla stipulazione di contratti di somministrazione e non comunicata alla società di somministrazione, invalida i contratti di somministrazione, i quali non possono validamente ritenersi stipulati e atti a impegnare l'impresa fallita. (Trib. Milano 28/7/2008, Est. Beccarini Crescenzi, in Orient. della giur. del lav. 2008, 645) 
  • Il divieto di interposizione di manodopera trova applicazione anche nei confronti degli enti pubblici e delle aziende di Stato, ma non nel caso in cui le amministrazioni pubbliche non siano costituite in forma di azienda e non svolgano attività di impresa. (Cass. 21/5/2008  n. 12964, Pres. Mattone Rel. Di Nubila, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Luigi Menghini, 53)  
  • In tema di interposizione e intermediazione nella prestazione lavorativa, se, da un lato, l'imprenditore è libro di affidare in appalto tutte le attività suscettibili di fornire un autonomo risultato produttivo, senza che si possa escludere l'ipotesi in cui l'organizzazione e del committente sarebbe in grado di eseguire direttamente la lavorazione, dall'altro, il divieto posto dall'art. 1 della legge n. 1369/1960 (applicabile "ratione temporis") opera, in riferimento agli appalti "endoaziendali" (caratterizzati appunto dall'affidamento a un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente inerenti al ciclo produttivo del committente, come si evince dall'art. 3 della citata legge n. 1369), tutte le volte in cui l'appaltatore, pur titolare di effettiva organizzazione aziendale, metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione  delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata a un risultato produttivo autonomo. (Rigetta, App. Torino, 20 Maggio 2004). (Cass. 9/4/2008 n. 9264, Pres. Ianniruberto Est. Picone, in Dir. e prat. lav. 2008, 2499, e in Lav. nella giur. 2008, 836)
  • In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti. Si deve rilevare che ai fini della sussistenza della responsabilità solidale del committente in relazione ai debiti di lavoro gravanti sull'appaltatore non è più richiesta la sussistenza di un rapporto di credito tra i due, così come richiesta dall'art. 1676 c.c., essendo al contrario sufficiente  la sussistenza di un rapporto di appalto, l'inadempimento dell'appaltatore nei confronti dei lavoratori alle proprie dipendenze e il decorso di un tempo non superiore a un anno dalla cessazione dell'appalto. (Trib. Roma 16/1/2008, Rel. Mimmo, in Lav. nella giur. 2008, 736)
  • In tema di divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazuioni di lavoro, solo sull'appaltante (o interponente) gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una concorrente responsabilità dell'appaltatore (o interposto) in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi a esso sottesi; tuttavia, è fatta salva l'incidenza satisfattiva dei pagamenti eventualmente eseguiti dal datore di lavoro fittizio, dovendo trovare applicazione l'art. 1180, primo comma, c.c., atteso che si versa in ipotesi di pagamento di debito altrui ai fini della relativa efficacia estintiva dell'obbligazione. (Cass. 15/1/2008 n. 657, Pres. De Luca Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2008, 526, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1879)
  • A norma dell'art. 29, d.lgs. n. 276/2003, elemento sufficiente perchè possa configurarsi un genuino appalto di servizi è (insieme all'assunzione del rischio di impresa) l'organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore, la quale, in relazione agli appalti labour intensive, è suscettibile di concretarsi nel solo esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori. Ne consegue che l'utilizzo di strumenti di proprietà del committente, non costituisce, di per sé, elemento decisivo per la qualificazione del rapporto in termini di appalto o interposizione vietata. (Trib. Milano 5/2/2007, Giud. Porcelli, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Francesca Chiantera, "Meccanismi di conversione delle collaborazioni prive di progetto e criteri di liceità degli appalti ad alta intensità di lavoro", 809)
  • In virtù dell' "effetto utile" delle sentenze della Corte di Giustizia "Merci convenzionali c. Siderurgica Gabrielli" e "Silvano Raso", in cui la Corte ha stabilito che l'intermediazione e la fornitura di lavoro temporaneo nei porti non possono essere riservate alle Compagnie Portuali in regime di monopolio, ma devono essere consentite a una pluralità di imprese in regime di concorrenza, la possibilità di fornire di lavoro temporaneo in deroga ai divieti di cui all'art. 1, legge 23 ottobre 1960, n. 1369, accordata dal legislatore italiano alle sole Compagnie, deve essere estesa anche alle altre imprese portuali (nella fattispecie l'estensione si riferisce al periodo luglio 1990 - maggio 1994, antecedente alla riforma di cui alla legge 30 giugno 2000, n. 186). (Cass. 18/1/2007 n. 1104, Pres. Sciarelli Rel. Di Nubila, in ADL 2008, con commento di Stefano Costantini, "L'applicabilità dei divieti di intermediazione e di interposizione di manodopera nel settore portuale: vecchi e nuovi problemi", 137)
  • L'art. 4 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369 (sul divieto di intermediazione e interposizione delle prestazioni di lavoro), che pone il termine di decadenza di un anno dalla cessazione dell'appalto per l'esercizio dei diritti dei prestatori di lavoro, dipendenti da imprese appaltatrici di opere e di servizi nei confronti degli imprenditori appaltanti - pur facendo riferimento, oltre che ai diritti al trattamento economico e normativo, anche al diritto di pretendere l'adempimento degli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali - limita l'ambito di efficacia del suddetto termine ai diritti suscettibili di essere fatti valere direttamente dal lavoratore; non potendosi estendere invece l'efficacia della disposizione legislativa a un soggetto terzo, quale l'ente previdenziale, i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro disciplinato dalla legge si sottraggono, pertanto, al termine annuale decadenziale. (Cass. 17/1/2007 n. 996, Pres. Ianniruberto, Rel. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Enrico Barraco, 571)
  • Nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono i primi tre commi dell'art. 1, l. 23 ottobre 1960, n. 1369, la nullità del contratto tra committente e appaltatore (o intermediario) e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - comportano che solo sull'appaltante (o interponente) gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonchè gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell'appaltatore o interposto in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi che vi sono sottesi. (Cass. 26/10/2006 n. 22910, Pres. carbone Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Federica Paternò, "Interposizione illecita e titolarità della responsabilità datoriale", 291) 
  • Al fine di evitare la presunzione di legge circa l’intermediazione di mere prestazioni di mano d’opera è necessario che l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di mezzi dell’appaltante deve essere significativa e non marginale nell’ambito dell’insieme dei mezzi utilizzati, e soprattutto riferirsi al rapporto di appalto una volta che l’esecuzione di quest’ultimo sia a regime e non limitata a un momento iniziale di assestamento. (Cass. 24/2/2006 n. 4181, Pres. Mattone Rel. Monaci, in Lav. Nella giur. 2006, 811)
  • Per accertare l’esistenza di un appalto di manodopera vietato è necessario, quando non ricorrano le presunzioni di cui all’art. 1 della L. n. 1369/1960, verificare se il contratto posto in essere dalle parti mascheri un intento fraudolento, utilizzando come criterio interpretativo fondamentale quello dell’esistenza del rischio economico di impresa in capo all’appaltatore e valutando se questi sia provvisto di una propria organizzazione con riferimento allo specifico lavoro, se si sia impegnato a fornire all’appaltatore un’opera o un servizio determinato, affrontando l’alea economica insita in ogni attività produttiva autonoma, se i lavoratori impiegati siano effettivamente da lui diretti e agiscano realmente alle sue dipendenze e nel suo interesse. (Trib. Roma 5/9/2005, Est. Di Sario, in Lav. Nella giur. 2006, 709)
  • Nell'ipotesi di cessazione del contratto di appalro nel settore dei servizi di ristorazione e di assunzione della gestione da parte di un altro soggetto, qualora sia mutato soltanto il titolare rimanendo identica l'attività economica organizzata, non si versa nella fattispecie della successione dell'appalto ma in quella del trasferimento di ramo d'azienda.(Trib. Firenze 15/10/2005, ord., Pres ed est. Muntoni, in D&L 2006, con nota di Filippo Pirelli, "Interposizione e appalto di servizi", 832)
  • Alla previsione normativa dell’art. 1, L. n. 1369/1960 è estraneo il caso in cui sia lo stesso appaltatore ad impegnarsi ad eseguire personalmente mere prestazioni di lavoro, trattandosi in tal caso di qualificare soltanto il rapporto tra imprenditore appaltante e appaltatore come di lavoro autonomo o subordinato. (Trib. Grosseto 21/12/2004, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2005, 388)
  • La fattispecie vietata dall'art. 1 L. 23/10/60 n. 1369 si configura in tutti i casi in cui l'impresa appaltatrice esaurisce la propria prestazione nella messa a disposizione di manodopera alle sue dipendenze ed è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal 3° comma del citato art. 1 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante), sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione a proprio rischio e di un'organizzazione autonoma rispetto all'impresa committente; pertanto, negli appalti che richiedono uno scarso apporto di mezzi produttivi, è l'elemento della preposizione all'organizzazione del lavoro (direzione del personale, scelta delle modalità e dei tempi di lavoro) a tracciare la linea di demarcazione tra appalto genuino ed interposizione vietata. (Corte d'appello Firenze 24/9/2003, Pres. Drago Est. Amato, in D&L 2004, con nota di Lisa Giometti, "L'interposizione vietata secondo la L. 1369/1960: coordinate essenziali della contrapposizione tra appalti leciti ed illeciti", 112)
  • Deve escludersi la sussistenza di un'interposizione nella prestazione di lavoro a mente della L. n. 1369/1960 quando non risulta l'utilizzazione di capitali, macchine ed attrezzature fornite dalla pretesa interponente, né la sottoposizione della dipendente all'esclusivo servizio della pretesa interponente. Pacifica poi la natura imprenditoriale delle case produttrici dei prodotti, essendo dotate di una gestione di impresa a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione, e sostenendo le stesse in ogni caso il rischio di impresa relativo al servizio fornito, sia pure all'interno dei locali dell'altra impresa. (Trib. Roma 3/9/2003, Est. Mucci, in Lav. nella giur. 2004, 85)
  • Ricorre l'interposizione illecita di manodopera qualora l'organizzazione imprenditoriale dell'appaltatore si esaurisca nella mera gestione del personale, senza fornire autonomo risultato produttivo. (Cass. 30/10/2002, n. 15337, Pres. Mileo, Est. Toffoli, in Foro it. 2003 parte prima, 815; Cass. 10/10/2002, n. 15337, Pres. Mileo, Est. Toffoli, in Riv. it. dir. lav. 2003, 254, con nota di Anna Valentina D'Oronzo, Sulla distinzione tra interposizione ed appalto di servizi a carattere continuativo; Cass. 22/8/2003 n. 12363, Pres. Trezza Est. Balletti, in Foro it. 2003, parte prima, 2942)
  • In base all'Art. 3 della l. n. 1369/1960, possono costituire oggetto di lecito appalto endoaziendale tutte le attività che, pur se strettamente inerenti al ciclo produttivo del committente, siano in grado di fornire un autonomo risultato produttivo e siano svolte con un'organizzazione ed una gestione autonoma dell'appaltatore, con l'assunzione dei correlativi rischi economici da parte di quest'ultimo in ordine al risultato pattuito, non essendo tuttavia consentito, ai fini della liceità dell'appalto, che l'organizzazione dell'appaltatore-sia pura con riferimento ad attività richiedenti modesti mezzi strumentali-si estrinsechi nella mera assunzione e retribuzione nonché nella connessa gestione amministrativa del personale (nella specie, la Suprema Corte ha annullato sia per violazione di principi di diritto, sia per vizio di motivazione, la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto rilevanza decisiva alla mera organizzazione del personale) (Cass. 30/10/2002, n. 15337, Pres. Mileo, Est. Toffoli, in Riv. it. dir. lav. 2003, 536, con nota di Pasqualino Albi, Interposizione illecita ed organizzazione dei mezzi necessari, secondo la l. n. 1369/1960)
  • Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (art. 1, 23 ottobre 1960, n. 1369), in riferimento agli appalti "endoaziendali", caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato organizzativo autonomo. (Nel caso di specie, relativo a due lavoratori che avevano svolto compiti di fattorino e di commesso, rientranti nel ciclo produttivo dell'azienda Ferrovie dello Stato, ma inseriti nella organizzazione della cooperativa di servizi della quale erano soci, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva escluso la illiceità dell'appalto, disponendo ulteriori accertamenti di merito al fine di verificare se nella fattispecie vi sia stato un lecito appalto di servizi o una ipotesi vietata di mera fornitura di manodopera). (Cass. 5/10/2002, n. 14302, Pres. Mileo, Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2003, 660, con commento di Gianluigi Girardi)
  • L'introduzione, mediante gli artt. 1 e ss. della l. 24 giugno 1997, n. 196, dell'istituto della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, non ha riflessi interpretativi in materia di identificazione delle ipotesi lecite ed illecite di appalti a norma della l. n. 1369/1960, che rimane dunque in vigore conservando il suo contenuto precettivo ordinario. (Cass. 5/10/2002, n. 14302, Pres. Mileo, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 254).
  • In un appalto di servizi informatici il fatto che l'appaltatore sia un imprenditore dotato di una propria struttura aziendale non esclude la configurabilità di un'ipotesi di illecita interposizione di manodopera. Tuttavia, perché tale ipotesi ricorra in concreto occorre, da un lato, che il lavoratore-sul quale incombe il relativo onere probatorio-sia strutturalmente e funzionalmente inserito nella struttura aziendale del committente e sia soggetto al suo potere direttivo-riceva cioè da questi disposizioni inerenti alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e disciplinare; dall'altro, che il lavoratore medesimo sia dotato di quella competenza professionale necessaria e sufficiente a far conseguire al committente il risultato promessogli, posto che la particolare natura del servizio offerto dall'appaltatore impone di valutare coi criteri qualitativi e non quantitativi la rilevanza dell'apporto strumentale da parte del committente rispetto all'apporto dell'appaltatore. (Trib. Milano 19/4/2002, Est. Porcelli, in Lav. nella giur. 2003, 186)
  • L'esecuzione di appalti concessi da imprese che esercitano un pubblico servizio e che abbiano ad oggetto l'installazione delle linee e reti di distribuzione non è compresa nella previsione di cui al comma secondo dell'art. 3, l. 23/10/60, n. 1369; ne consegue che le imprese appaltatrici possono applicare nei confronti dei loro dipendenti il trattamento economico e normativo proprio del settore industriale del quale fanno parte. (Cass. 1/2/01, n. 1428, pres. De Musis, est. D'Agostino, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 319)
  • Non sussiste un appalto di mere prestazioni di lavoro qualora il lavoratore non provi l'esistenza di un duplice rapporto: il primo tra colui che conferisce l'incarico e usufruisce in concreto delle prestazioni del lavoratore (committente o interponente) e colui che riceve l'incarico e retribuisce il lavoratore (appaltatore o intermediario); il secondo tra il lavoratore stesso e l'intermediario, che deve presentare i caratteri della subordinazione, e non può avere ad oggetto una prestazione di lavoro autonomo (nel caso di specie è stata esclusa la configurabilità del subappalto di manodopera in una ipotesi in cui, pur essendo accertata l'esistenza di un contratto di subappalto di opere edili tra due imprese, era stata acclarata l'inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le stesse imprese e i ricorrenti, i quali si presentavano in cantiere come squadra di lavoro autogestita, ed erano dunque da considerarsi lavoratori autonomi) (Cass. 7/10/00, n. 13338, pres. Sciarelli, est. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 402, con nota di Marinelli, Appalto di manodopera e lavoro autonomo)
  • In caso di appalto introaziendale contemplato dall'art. 3, l. n. 1369/60, il lavoratore alle dipendenze dell'impresa appaltatrice che rivendichi il diritto allo stesso trattamento retributivo previsto per i dipendenti dell'impresa committente (nel caso di specie, le Ferrovie dello stato s.p.a.), deve fornire la prova che tra le due fasce di lavoratori sussiste piena corrispondenza di mansioni (art. 2, d.p.r. 22/11/61, n. 1192), da intendersi come identità delle attività e delle modalità di svolgimento delle stesse, sul presupposto che, come condizione per l'ammissibilità del raffronto medesimo tra il trattamento retributivo riservato ai lavoratori posti alle dipendenze della società appaltatrice e quello spettante ai dipendenti dell'impresa committente, nel contratto collettivo di quest'ultima sia prevista l'attività (quivi consistente nella pulizia delle carrozze delle Ferrovie) eventualmente anche data in appalto in toto (Cass. 22/4/00, n. 5296, pres. Grieco, est. Trione, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 33, con nota di Lazzeroni, La corrispondenza di mansioni come presupposto del diritto alla parità di trattamento nell'appalto introaziendale)
  • Nel caso di appalto di servizi non ricorre l'ipotesi vietata di cui all'art. 1 L. 23/10/60 n. 1369 allorché il ricorrente non fornisca la prova della subordinazione (nel caso di specie, il Giudice ha ritenuto non sussistente il fenomeno interpositorio nel rapporto fra le FF.SS. e i soci di una cooperativa chiamata a svolgere vari servizi, fra i quali la custodia di passaggi di livello) (Trib. Pisa 2/8/1999, est. Schiavone, in D&L 2000, 421, n. Giometti, Appalto di servizi e fattispecie interpositoria)
  • Il divieto di intermediazione/interposizione di manodopera di cui all’art. 1 L. 23/10/60 n. 1369 si applica anche ai lavoratori soci di cooperative (Pret. Milano 17/2/99, est. Vitali, in D&L 1999, 345)
  • L’appalto concesso da un ente esercente pubblico servizio (nella specie la Sip Spa ), pur essendo svolto in connessione con l’erogazione di un servizio pubblico, provoca gli effetti (responsabilità solidale verso i dipendenti tra l’appaltante e l’appaltatore) tipici della fattispecie ex art. 3, 1° comma, L.1369/60 (Pret. Roma 26/3/97, est. Cannella, in D&L 1997, 798, n. Fiorai, Servizio pubblico e L. 1369/60)
  • L'art. 1 L. 1369/60 vieta all'imprenditore di affidare in appalto o in qualsiasi altra forma l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro anche a società cooperative, mediante impiego di mano d'opera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, né consente di distinguere tra i lavoratori a seconda che gli stessi siano soci di cooperative oppure dipendenti da esse (Cass. 27/5/96 n. 4862, pres. Buccarelli, est. Vigolo, in D&L 1996, 988, nota MUGGIA, Società cooperative e appalto di mere prestazioni di lavoro. In senso conforme, v. Pret. Milano 8/4/98, est. Peragallo, in D&L 1998, 706)