Raccontare Melfi, atto primo (di Alberto Piccinini)

RACCONTARE MELFI (atto primo)Alberto Piccinini [1] 

Il caso dei tre licenziamenti di Melfi ha occupato l’attenzione dell’opinione pubblica per tutto il mese di agosto 2010, tanto da indurre – come sempre accade in questo casi – tanti ”esperti” ad esprimere la loro opinione, spesso con scarsa cognizione di causa, non solo sui fatti  ma persino sulle questioni di diritto ad essi connesse.Proverò quindi a fare il punto della situazione per quanti, anche senza essere giuristi, desiderano approfondire la vicenda.

IL CONTESTO

La decisione della Fiat di costruire un nuovo stabilimento a Melfi risale alla fine degli anni ‘80 ed è riconducibile a diversi motivi. Se da un lato vi hanno giocato un ruolo rilevante i finanziamenti pubblici dell’ex legge 64/1986 (3.100 miliardi di euro, di cui 500 per le aziende dell’indotto), le altre ragioni più evidenti hanno riguardato la posizione baricentrica dello stabilimento rispetto al resto degli stabilimenti Fiat già esistenti e le caratteristiche socio economiche della popolazione interessata nel bacino territoriale di reclutamento della forza lavoro: una platea di lavoratori e lavoratrici priva dell’esperienza del lavoro industriale e per questo lontana da analoghe esperienze sul piano della partecipazione sindacale, soprattutto poi di quella più conflittuale.  Gli oltre 5000 addetti – che producono circa 450.000 autovetture all’anno - quotidianamente si recano alla SATA per lavorare non solo dalla due province lucane, ma anche dalle province di Bari, Foggia e Avellino (alcuni lavoratori giungono persino da più lontano, dalla provincia di Taranto in qualche caso e dal Molise) per poi intraprendere subito il viaggio di ritorno a casa: mancano, quindi, occasioni di aggregazione e confronto tra i dipendenti  al di fuori dell’orario lavorativo.Resiste inoltre ancora la figura sociologicamente definita di “metalmezzadro”, un lavoratore un po’ operaio, un po’ agricoltore part-time, e per questo più prossimo a una cultura contadina della conservazione e poco conflittuale.Tutti questi elementi fanno sì che le maestranze della SATA di Melfi  non siano, di regola, particolarmente  ribelli e rivendicative, salvo che non vi siano seri e concreti motivi di insoddisfazione.

I FATTI DI CAUSA

Alla fine del mese di giugno 2010 veniva proclamato a livello unitario dalle diverse sigle sindacali uno stato di agitazione per protestare rispetto ad un aumento non concordato dei carichi produttivi. La mobilitazione, per quel che ci interessa,  coinvolgeva in particolare quattro linee produttive -  in cui l’attività produttiva aveva subito il maggior incremento -  denominate UTE (Unità Tecnologiche Elementari) che vengono normalmente rifornite di materiale da veicoli a guida automatica denominati carrellini AGV.Nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2010, alle ore 1,45 circa, veniva indetto lo  sciopero dalle RSU aziendali nell’ambito del citato stato di agitazione. Man mano che i lavoratori delle quattro UTE, informati delle sciopero, decidevano di aderirvi  uscivano dalle linee,  aggregandosi tra loro attraverso un corteo interno che si arrestava tra la UTE 3 e al UTE 4 per discutere dei carichi di lavoro. Nel momento in cui circa cinquanta dipendenti in sciopero (tra i quali numerosi delegati delle diverse sigle sindacali)  si trovarono a stazionare in quell’area vi erano i carrellini AGV fermi.Intorno alle 2,20 sopraggiungevano due  responsabili delle UTE che intimavano a delegato FIOM Antonio Lamorte di riprendere la produzione. Il lavoratore, interdetto per il tono inutilmente acceso utilizzato dai due colleghi,  rispondeva loro che si era ancora in sciopero. Poco dopo sopraggiungevano il Gestore Operativo Francesco Tartaglia e il Responsabile del Personale Savino Tribuzio  che si rivolgevano allo stesso delegato contestandogli l'interruzione della produzione in quanto posizionato in modo tale da bloccare la movimentazione dei carrelli AGV, per sentirsi rispondere che  i carrelli AGV non erano bloccati dalla presenza degli operai in sciopero. Tartaglia si rivolgeva quindi con tono minaccioso e duro a Pignatelli Marco, un dipendente che si trovava casualmente vicino a Lamorte, accusandolo di ostruire il percorso dei carrelli AGV e ammonendolo che avrebbe potuto essere licenziato. Attirato dalle urla del Gestore Operativo, il delegato Barozzino si dirigeva sul posto dicendogli che non gli era consentito di rivolgersi in quel modo al lavoratore. A questo punto, Tartaglia cominciava a dire: «allora sei contestato pure tu!» ripetendo più volte: «Barozzino e Lamorte  siete contestati». Diversa la versione dei fatti della SATA. Secondo le lettere di contestazione disciplinare  due capi, avendo visto il (solo?)  delegato FIOM Antonio Lamorte “davanti a un carrello in maniera da impedirne il decorso” lo avrebbero - invano - invitato a spostarsi. Chiamato quindi il Gestore Operativo  Tartaglia e sopravvenuto quest’ultimo  insieme con il responsabile del personale Tribuzio,  “intorno alle 2,20”,  lo stesso avrebbe trovato Lamorte, l’altro delegato FIOM Giovanni Barozzino e il dipendente (iscritto alla FIOM) Marco Pignatelli, nella stessa posizione. A quel punto anche Tartaglia li avrebbe invitati a “consentire il regolare transito dei carrelli”. La discussione, sempre secondo la versione aziendale, sarebbe proseguita “sino alle ore 2,30”  allorquando i tre si sarebbero allontanati. Dopo il loro allontanamento però - e la circostanza è pacifica - il carrellino asseritamente bloccato dagli scioperanti non ripartiva, rendendosi necessario l’intervento di un capo che, schiacciando  il pulsante reset, determinava il ravviamento dello stesso.E’ curioso come nella versione dei fatti riportata dalla stampa e contenuta nella contestazione disciplinare (e fino alla diversa versione contenuta negli scritti difensivi del processo) sarebbero stati i soli tre licenziati a “bloccare il carrello”.  Dei 50 circa lavoratori -  tra i quali sei delegati di altre sigle sindacali (UILM, FISMIC, FIM e UGL) -  nelle lettere di contestazione disciplinare non v’è traccia.  

IL RICORSO AI SENSI DELL’ART. 28 STATUTO DEI LAVORATORI

La FIOM-CGIL  di Potenza decideva di impugnare i tre licenziamenti con lo strumento della denuncia per condotta antisindacale, trattandosi di un comportamento “plurioffensivo” che, oltre a ledere i diritti dei singoli lavoratori (i cui licenziamenti venivano impugnati, separatamente, a livello individuale, promuovendo il tentativo obbligatorio di conciliazione avanti alla Direzione Provinciale del Lavoro, che ha convocato le parti per il 10 settembre) aveva colpito propri rappresentanti per l’attività sindacale dagli stessi svolta e per il ruolo avuto durante lo sciopero del 7 luglio. Nel ricorso - proposto avanti al Tribunale di Melfi, Sezione Lavoro - veniva evidenziato anche il clima di intimidazione e ritorsione, nell’attuale contesto storico, nei confronti della FIOM-CGIL  in quanto organizzazione sindacale avversa ad un’interpretazione delle relazioni sindacali passiva e remissiva. Si sottolineava infine l’effetto intimidatorio diretto ai lavoratori delegati ed iscritti alla FIOM di qualsiasi stabilimento FIAT in occasione di forme di lotta sindacale, con ciò raggiungendo lo scopo di porli sotto pressione  indebolendo il ruolo e la capacità interlocutoria della FIOM stessa. 

IL PROCESSO

I fatti di causa venivano meglio definiti nel corso delle “sommarie informazioni” disposte dal Giudice, che interrogava, in due udienze durate complessivamente 16 ore, otto informatori.In particolare, interrogato  alla prima udienza del 30 luglio il Gestore Operativo Francesco Tartaglia, questi dichiarava che, una volta “avvertito telefonicamente dai capi UTE (…) che vi era un assembramento di lavoratori scioperanti (…) che impediva il transito dei carrelli AGV” vi si recava con il responsabile del personale. E finalmente compaiono gli altri scioperanti: “Mi sono recato nei pressi dell’assembramento. Non so precisare quale fosse la distanza tra i carrelli e il gruppo dei lavoratori, poiché l’elevato numero degli stessi impediva di valutare detta distanza”. Ma nonostante l’elevato numero di scioperanti, il responsabile del personale sig. Tribuzio non ha dubbi nell’individuare le persone da mettere sotto tiro. Racconta infatti Tartaglia: “Una volta giunti sul posto il Tribuzio si è rivolto espressamente ai sig.ri Lamorte e Barozzino, invitandoli a voler predisporre l’allontanamento degli scioperanti dalla pista magnetica, dove transitavano i carrelli AGV. Preciso che il Tribuzio si è rivolto in particolare ai due delegati proprio in virtù della loro funzione istituzionale, poiché siamo soliti interagire esclusivamente con i rappresentanti sindacali”.Dunque sono proprio  i due delegati FIOM  che verranno licenziati - e solo loro - quelli ai quali espressamente si rivolgono i capi. Se ne potrebbe dedurre che erano gli unici delegati sindacali presenti. Ma non è così. A domanda, infatti, così risponde il Tartaglia: “Oltre a Barozzino e Lamorte vi erano altri sei rappresentanti sindacali, anche di sigle diverse dalla FIOM”.Questo è certamente l’aspetto più inquietante della vicenda: nessuna ragionevole spiegazione viene data del fatto che, tra cinquanta  scioperanti, vengono selezionati proprio i due delegati della FIOM (in realtà uno dei due, Barozzino, è intervenuto successivamente all’aggressione da parte del Tartaglia al “soldato semplice” Pignatelli, per difenderlo dai toni arroganti e minacciosi; in particolare Barozzino sopraggiungeva dopo essere stato convocato da Lamorte con una telefonata registrata al suo cellulare alle ore 2,24: poiché l’intero episodio è terminato, secondo la lettera di contestazione, alle 2,30, il suo destino di licenziando si è consumato in pochi minuti…) in presenza di ulteriori sei delegati di altre sigle sindacali (UILM, FISMIC, FIM e UGL). E’ di palmare evidenza che l’appartenenza alla FIOM è stato l’unico criterio di selezione adottato.Come poteva quindi SATA giustificare i licenziamenti, e, soprattutto, la notizia diffusa ai media che erano stati in tre (e solo in tre) a “sabotare la produzione”?Era necessario “raddrizzare il tiro” delle contestazioni disciplinari (dalle quali appariva che gli unici dipendenti accusati di aver sostato davanti al carrello erano i tre licenziati, con ciò avallando la suggestione di una condotta di pochi “guerriglieri” che intendono ostacolare l’attività produttiva, e non di un gruppo di cinquanta persone alla ricerca di un luogo ove poter svolgere l’assemblea), per cui veniva elaborata la “teoria dei due tempi”, prontamente raccolta e sviluppata negli scritti difensivi dell’azienda.Afferma infatti Tartaglia che l’invito a spostarsi sarebbe stato raccolto da tutti gli scioperanti, ad eccezione di Barozzino e Lamorte, rimasti ad un metro dai carrelli. Su questa presunta “seconda fase” la difesa avversaria gioca tutte le sue carte, rettificando quindi il contenuto della contestazione e illustrando il seguente scenario: dopo la reiterata richiesta agli scioperanti di spostarsi, quasi tutti (ivi compresi i delegati della UILM, FISMIC, FIM e UGL) lo facevano, tranne i due delegati FIOM Lamorte e Barozzino, ai quali si sarebbe arditamente affiancato Pignatelli, collocatosi a braccia conserte tra il carrello fermo ed il Gestore Operativo che aveva impartito l’ordine. In questa seconda fase, quindi, si sarebbe concretizzata l’insubordinazione dei soli tre licenziati (che altrimenti avrebbe riguardato tutti gli scioperanti presenti). Ma Tartaglia è costretto a spiegare il motivo per cui i due non si sono spostati: “sono rimasti… a discutere con me”: il loro protrarsi per alcuni minuti in prossimità del carrello è stata determinata semplicemente - come lo stesso Gestore Operativo è costretto ad ammettere - dalla necessità di proseguire la discussione dallo stesso iniziata. Resta comunque il fatto che la   stessa presunta infrazione (aver impedito il transito dei carrelli), non risulterebbe rilevante disciplinarmente per l’insieme dei circa cinquanta lavoratori (tra i quali i delegati UILM, FISMIC, FIM e UGL) protagonisti della “prima fase”, ma sarebbe suscettibile di licenziamento in tronco  per i tre della FIOM, asseritamente unici protagonisti della “seconda fase”. Tutti concordano peraltro sul fatto che quando anche i tre ultimi dipendenti si sono spostati il carrello (già fermo al momento dell’assembramento) non è automaticamente ripartito.  

IL DECRETO DEL TRIBUNALE DI MELFI DEL 9 AGOSTO 2010

Il Giudice del procedimento sommario ha  attribuito particolare rilevanza al fatto che nella lettera di contestazione non si sia fatta alcuna menzione “della pacifica e rilevante (…) circostanza che, una volta che gli scioperanti si sono allontanati dalla pista di transito riservata agli AGV, è stato necessario effettuare un ripristino manuale del carrello per renderlo operativo”.Osserva il Tribunale come nella fase disciplinare l’azienda avesse individuato, come causa prossima  del blocco dei carrelli, la posizione degli scioperanti, mentre nel corso del giudizio abbia ipotizzato una diversa causa (ad esempio  un “contatto” del carrello con un ostacolo) che non è mai stato oggetto di contestazione nei confronti dei tre licenziati: “E la circostanza non è di poco conto (…) laddove si consideri che, come già detto, è emerso pacificamente, dalla sommaria istruttoria svolta, che diversa è la reazione del veicolo a seconda che esso rimanga fermo per l’una o per l’altra delle due anzidette cause”.A ciò si aggiunga che neppure la notte dello sciopero ai dipendenti è stato contestato di avere bloccato il carrello, essendosi limitato il Gestore Operativo ad intimare (con toni particolarmente aggressivi) agli scioperanti di allontanarsi. Considerando, tra l’altro, che il decreto ha accertato “con sufficiente grado di certezza” che “quando gli scioperanti si sono riuniti in assemblea nei pressi del carrello, quest’ultimo era già fermo” il Giudice è arrivato ad “escludere, in capo ai lavoratori licenziati (…) quantomeno l’elemento soggettivo del dolo, che necessariamente deve accompagnarsi alla condotta oggettiva contestata (si ricordi che l’azienda ha contestato che il transito degli AGV fosse stato deliberatamente impedito), al fine di condurre ad una dichiarazione di legittimità degli operati recessi”.In sostanza si è creato – a tutto concedere – un equivoco, come evidenzia il decreto del Tribunale, specificando che “l’assenza di volontà diretta a creare un danno alla società resistente sono ben evidenziati dalle dichiarazioni dei lavoratori presenti ai fatti”.Osserva il Giudice, a proposito della natura antisindacale dei provvedimenti: “Nel caso di specie, poi, occorre considerare che i fatti posti a base della sanzione espulsiva sono maturati nel corso di un’astensione dal lavoro per ragioni economico-produttive (sciopero la cui legittimità, in sé, non è stata contestata dalla SATA) e che il licenziamento ha interessato attivisti e militanti FIOM (in particolare è emerso dall’istruttoria che il Barozzino – delegato sindacale da circa nove anni – nelle ultime consultazioni è stato il delegato più votato nello stabilimento di Melfi) organizzazione notoriamente protagonista, a seguito di determinate scelte di politica industriale e di organizzazione del lavoro operate dal gruppo FIAT (v., in particolare, il cd. “accordo Pomigliano”) di una serrata critica sindacale nei confronti di tutte le società facenti capo al gruppo medesimo”Conclude quindi il decreto ritenendo il licenziamento dei tre dipendenti “obiettivamente idoneo (…) a concultare il sereno esercizio del diritto – costituzionalmente tutelato – di sciopero e a limitare l’esercizio dell’attività sindacale, attraverso l’illegittimo allontanamento dall’azienda di militanti dell’organizzazione che è, notoriamente, fra le più attive nel particolare momento storico sopra delineato” e conseguentemente ordinando la loro reintegrazione nel posto di lavoro (oltre alla pubblicazione del dispositivo sulle pagine di due quotidiani a diffusione nazionale). 

LA DIFFIDA

La SATA dopo aver, in un primo tempo, comunicato con lettere 18 agosto 2010 (anticipate a mezzo fax)  ai tre dipendenti licenziati di voler dare esecuzione al decreto (“impregiudicato ogni diritto di opposizione”) e conseguentemente la loro “immediata reintegra nel posto di lavoro” senza condizioni di sorta, con successivo ripensamento, in data 21 agosto 2010  informava la FIOM e gli interessati che gli stessi erano “esonerati dalla prestazione lavorativa” pur venendo - asseritamente - garantite, oltre alle retribuzioni correnti, anche le “prerogative sindacali” dei due delegati. La Fiom rispondeva in pari data con il seguente atto di diffida:  Facendo seguito alla vs. comunicazione con la quale, smentendo le precedenti comunicazioni inviate il 18 agosto u.s. ai nostri delegati ed iscritti FIOM Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli, esonerate gli stessi dalla prestazione lavorativa, con ciò  non  procedendo alla loro effettiva reintegrazione  nel  posto di lavoro considerando-                        che l’interesse tutelato dall’art. 28 Legge n. 300/70 è quello di avere, per la FIOM-CGIL, la presenza quotidiana in azienda dei suoi delegati Lamorte e Barozzino (e del suo iscritto Pignatelli) illegittimamente licenziati, onde consentire loro di espletare effettivamente  – tra l’altro – tutte le funzioni e le prerogative attinenti al loro ruolo;-                        che, conseguentemente, la asserita disponibilità a consentire l’espletamento delle prerogative sindacali appare uno vuota  formula di stile, inidonea a garantire concretamente  l’attività sindacale, oltre al libero espletamento della personalità umana che si realizza solo  con la effettiva  prestazione lavorativa;   -                        che tale gravissima vostra ultima presa di posizione appare come una sfida non solo nei confronti della scrivente organizzazione sindacale, ma anche della stessa magistratura che ha emesso il decreto contenente  l’ordine di reintegrazione;-                        che, per quanto riguarda la FIOM-CGIL, essa risulta  finalizzata a limitare l’esercizio della sua attività sindacale, e come tale verrà valutata anche come autonomo comportamento; -                        che, in ogni caso,  il decreto del Tribunale di Melfi del 9 agosto 2010 appare  -  nella sostanza -  non ottemperato, con conseguente violazione dell’art. 650  del codice penale così come espressamente previsto dal quarto comma dell’art. 28 Legge n. 300/70 e come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione penale; -                        che la posizione aziendale non può trovare alcuna legittimazione nella pendenza del giudizio di opposizione in quanto, ai sensi del secondo comma dell’art. 28 Legge n. 300/70,  l’efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino a quando la sentenza del Tribunale di Melfi, in funzione di giudice del lavoro, non definirà detto giudizio; vi diffidiamoa consentire nella giornata del 23 agosto p.v. l’accesso in azienda dei signori Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli, riservandoci in difetto ogni azione, oltre che sul fronte sindacale, anche in sede penale, civile e di esecuzione.  

LA REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO

Il giorno 23 Agosto i tre dipendenti si presentavano in azienda all’inizio del turno delle ore 14 accompagnati dal segretario della FIOM-CGIL della Basilicata e dall’Ufficiale Giudiziario. Erano anche presenti i legali delle parti. L’Ufficiale giudiziario ingiungeva al legale rappresentante della SATA “di reintegrare nel posto di lavoro con la stessa qualifica e con le stesse mansioni che esercitavano al momento dell’illegittimo licenziamento gli operai Barazzino Giovanni, Lamorte Antonio e Pignatelli Marco sotto le comminatorie di legge”. La società ribadiva di non ritenere necessario di avvalersi della loro prestazione lavorativa, pur garantendo:-          il diritto alla retribuzione;-          l’accesso allo Stabilimento “consentito ai fini dell’esercizio dei diritti e delle prerogative di carattere sindacali”. In particolare ai due delegati veniva assicurato che avrebbero potuto “accedere e sostare, durante il turno di lavoro, presso i locali messi a disposizione della RSU in conformità con le previsioni di cui all’art. 27 St. Lav. nonché svolgere, fruendo dei relativi permessi retributivi, le attività sindacali connesse all’espletamento del mandato, partecipare alle riunioni delle RSU, a quelle delle Commissioni, ecc. (…) prendere parte alle attività di carattere sindacale, anche ad esercizio collettivo (assemblea, referendum, ecc.) che si svolgeranno all’interno dello Stabilimento”; a  Barozzino veniva inoltre precisato:  “avuto riguardo al Suo ruolo di RLS,     Ella avrà facoltà, durante tutti i turni di lavoro, di compiere all’interno dello Stabilimento il complesso delle attività previste dalla disciplina di legge in materia”La FIOM, i lavoratori e l’Ufficiale Giudiziario insistevano per l’effettiva reintegra nei loro posti di lavoro. Dopo ore di inutili trattative  la FIOM si recava a denunciare i rappresentanti aziendali per violazione dell’art. 650 del codice penale, norma espressamente richiamata dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori per l’ipotesi di inottemperanza al decreto. 

LA LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Il 24 Agosto i tre lavoratori licenziati scrivevano al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la seguente lettera:Ill.mo Presidente,ci rivolgiamo a Lei, quale massima carica dello Stato e supremo garante della Costituzione, per sottoporre alla sua attenzione una vicenda, la cui eco da diversi giorni ha raggiunto tutti gli organi della stampa nazionale, che non lede soltanto i nostri diritti di cittadini e di lavoratori ma colpisce direttamente i diritti collettivi e generali degli operai e dello stesso sindacato a cui siamo iscritti. Siamo i tre operai, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, iscritti alla FIOM-CGIL, licenziati dalla FIAT SATA di Melfi in occasione di uno sciopero indetto unitariamente da tutte le sigle sindacali facenti parte della RSU aziendale. Per l’azienda, ci saremmo resi responsabili di un reato avendo deliberatamente ostruito il transito a dei carrelli (AGV) che servono la linea di produzione all’interno dello stabilimento. In verità, non vi è mai stato alcun blocco dei predetti carrelli da parte nostra e men che mai può ritenersi sussistente alcuna fattispecie delittuosa a nostro carico, così come comprovato dalle testimonianze di tutti i lavoratori presenti in occasione dello sciopero innanzi detto e da tutta la RSU unitaria. Non si tratta soltanto della nostra versione dei fatti, la quale potrebbe risultare viziata dalla carità di parte, ma di ciò che ha stabilito il Tribunale di Melfi, in funzione di Giudice del lavoro, adito dalla FIOM CGIL ai sensi e per gli effetti dell’art.28 della legge 300 del 1970. In pratica, il Magistrato ha riconosciuto l’antisindacalità della condotta posta in essere dalla FIAT-SATA, ordinandole conseguentemente di reintegrarci immediatamente nel nostro posto di lavoro. Tuttavia, sebbene il decreto del Tribunale di Melfi, depositato in cancelleria in data 9.8.2010 a conclusione del giudizio recante il numero 435/2010 RGL, per espressa previsione di legge, abbia immediata efficacia esecutiva e non sia revocabile fino alla conclusione del giudizio di opposizione, l’azienda in un primo momento ci ha comunicato la reintegra sul posto di lavoro e, successivamente, con un telegramma, ci ha dato notizia della sua volontà di non avvalersi delle nostre prestazioni lavorative. Oggi, alla ripresa del lavoro dopo le ferie estive, nel momento in cui ci siamo recati in azienda per riprendere regolarmente (come peraltro annunciato alla FIAT SATA) il nostro lavoro, quest’ultima ci ha comunicato che avremmo potuto avere accesso allo stabilimento unicamente al fine di svolgere le nostre prerogative sindacali ma intimandoci di sostare, durante il turno di lavoro, presso la saletta adibita alle attività sindacali ai sensi dell’art.27 dello Statuto dei diritti dei Lavoratori. In pratica, secondo l’azienda, potremmo continuare a percepire la sola retribuzione ma non avremmo il diritto ad essere reintegrati nella nostra postazione lavorativa. Allo stesso tempo, la FIAT SATA sostiene che potremmo svolgere regolarmente la nostra attività sindacale rimanendo confinati nella saletta sindacale la quale, sia detto per completezza di esposizione, è distante circa quattrocento metri dal luogo in cui svolgono il lavoro i nostri compagni. Non sia senza significato precisare che soltanto due di noi sono RSU mentre Marco Pignatelli è un mero iscritto alla FIOM CGIL e non avrebbe “prerogative sindacali” da svolgere all’interno della saletta.In realtà, questa riflessione ci consente di precisare che per il Tribunale di Melfi la condotta lesiva della sfera giuridica della FIOM CGIL si è sostanziata nei nostri tre licenziamenti che sono stati ritenuti, per l’appunto, antisindacali. L’ordine impartito dal Magistrato di rimuovere gli effetti della predetta condotta coincide espressamente con la nostra  immediata reintegra nelle postazioni lavorative. Un diverso contegno da parte della azienda produce non solo una reiterazione della condotta antisindacale ed una permanente lesione della sfera giuridica della FIOM CGIL ma mortifica ed umilia la nostra dignità di lavoratori prima ancora che di cittadini.Signor Presidente, per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare. Questo non è mai stato un nostro costume, né come semplici operai né come delegati sindacali aziendali, avendo sempre svolto con diligenza e professionalità il nostro lavoro.La decisione della FIAT SATA di non reintegrarci nel nostro posto di lavoro è una palese violazione dell’art.28 della legge 300/70 e della norma penale da esso richiamata. In uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dalla Autorità Giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e  per le leggi civili e penali del nostro ordinamento giuridico.Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perché richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi e perché nel suo ruolo di massima carica dello Stato sia da garanzia del rispetto della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto in modo da ripristinare e garantire il libero esercizio dei diritti sindacali nonché dei diritti costituzionalmente riconosciuti a tutti, all’interno dello stabilimento Fiat Sata di Melfi.Signor Presidente, le chiediamo di farci sentire lavoratori, uomini e padri.Il Presidente della Repubblica così rispondeva il giorno stesso: "Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli, ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi. Anche per quest'ultimo sviluppo della vicenda è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l'Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate.
Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità "percepire la retribuzione senza lavorare". Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale".
Alla solidarietà del Presidente della Repubblica faceva seguito quella di altre personalità, tra cui anche quella del Presidente della CEI cardinale Angelo Bagnasco, il quale definiva le parole  del Capo dello Stato “una linea di azione valida per tutti” precisando: “Il lavoro è fondamentale per costruirsi una famiglia. Ripeto: speriamo che attraverso un dialogo insistente e intelligente si possa arrivare a una soluzione definitiva ed equa per tutti”.Ma la SATA ha obbedito o no all’ordine di reintegrazione?La questione, in punto di diritto, ruota attorno al concetto di “fungibilità”: così come non si potrebbe costringere un pittore a dipingere un quadro, pur in presenza di un obbligo contrattuale, secondo la tesi aziendale l’ordine di reintegrazione, quantomeno per alcuni aspetti (quale quello relativo, appunto, all’esecuzione della prestazione lavorativa) non sarebbe coercibile. La partita, in proposito, è ancora aperta.In realtà il problema è solo di potere:  il Gruppo Fiat si fa vanto di non aver mai eseguito gli ordini di reintegra, se non sotto l’aspetto retributivo, ed intende, anche in questa occasione, sottolineare il fatto che le proprie decisioni non devono essere messe in discussione neppure dall’Autorità Giudiziaria. Condotta coerente per chi dichiara pubblicamente di cercare  soluzioni che le consentano di non rispettare il contratto collettivo nazionale di lavoro.  

I PROSSIMI ATTI

Questo resoconto si riferisce alla sola fase del procedimento sommario promosso secondo la procedura disciplinata dall’art. 28 della legge n. 300/1970, consumatasi in un - nemmeno troppo caldo - mese di Agosto. Ma ad essa potrebbero seguire ulteriori fasi di giudizio: il giudizio di opposizione, che si terrà di fronte ad un diverso Giudice dello stesso Tribunale di Melfi (la prima udienza è già stata fissata per il 6 ottobre 2010) e che, all’esito di una normale istruttoria, si concluderà con una sentenza che potrà confermare o revocare il decreto (l’art. 28 precisa che fino a tale sentenza il decreto non è revocabile).Nei confronti della sentenza di primo grado si potrà poi fare ricorso davanti alla Corte d’Appello di Potenza così come la stessa sentenza di secondo grado potrà essere impugnata in Cassazione.Nello stesso tempo i tre licenziamenti saranno impugnati con ricorsi individuali avanti al Tribunale di Melfi – Sezione Lavoro, per ottenere una ulteriore sentenza che dichiari gli stessi non solo antisindacali, ma anche illegittimi perché privi di giusta causa o giustificato motivo. Anche questa sentenza potrà essere appellata e seguire le stesse sorti di quella relativa al procedimento per condotta antisindacale.La vicenda giudiziaria dei tre licenziati di Melfi, quindi, all’inizio di settembre 2010, è solo all’inizio.  


[1]Legale della FIOM-CGIL di Potenza, nel procedimento ex art. 28, unitamente agli avvocati Franco Focareta e Lina Grosso.