Il nuovo art. 420 bis cpc. (di Mario Fezzi)

Sul finire del secolo scorso, il nostro Legislatore, preoccupato da un lato dall’intasamento che le controversie “seriali”  proposte da dipendenti di enti pubblici privatizzati (FFSS e Poste Italiane su tutti) stavano determinando nelle (allora) Preture del lavoro, e dall’altro lato preoccupato dall’imminente trasferimento di giurisdizione delle controversie dei pubblici impiegati dai Tribunali Amministrativi Regionali alle Preture del lavoro (il che, si presumeva, avrebbe innescato migliaia e migliaia di nuove controversie seriali), si inventò una normativa nuova di zecca per impedire la preconizzata paralisi della giustizia del lavoro.

Nacque così l’art.30 del D.Lgs. 80/1998 che introduceva l’art.68-bis al D.Lgs.29/1993 (la c.d. privatizzazione del pubblico impiego) dal titolo “Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi”, il cui contenuto prevede che quando per la definizione di una controversia relativa alla materia del pubblico impiego sia necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validita' o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale il giudice debba sospendere il giudizio e far instaurare un sotto-procedimento di natura sindacale per verificare se le parti che hanno sottoscritto il contratto riescono a raggiungere un accordo sull’interpretazione della clausola “incriminata”. Se così non dovesse essere il giudice decide con sentenza la sola questione pregiudiziale sull’interpretazione della norma. La sentenza sul punto è ricorribile solo per Cassazione e il processo viene sospeso sino alla pronuncia della Cassazione. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi tutti i processi (pendenti presso lo stesso o altri Tribunali) la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte e' chiamata a pronunciarsi.

Ebbene, questa norma, in vigore ormai da oltre otto anni (si vedano comunque anche le modifiche introdotte con l’art.64 del D.Lgs. 165/2001) ha partorito solo … dei topolini.

In primo luogo non si è verificato un contenzioso seriale del pubblico impiego pari alle previsioni, e quindi non vi è stato un ricorso massiccio alla giustizia del lavoro su questioni di interpretazione di norme contrattuali; ma soprattutto i giudici del lavoro (fatta eccezione per pochissime decisioni, tra cui spiccano per una valutazione diametralmente opposta della norma, Pretura Pistoia 26/5/1999, in Foro It. 1999, I, 2133 e Tribunale Brescia 9/5/2000 –ord.- in Il Lavoro nelle P.A. 2000, 620) hanno fatto ampio uso della loro discrezionalità in materia e hanno risolto le varie vicende di interpretazione contrattuale alla stregua delle altre questioni sottoposte, affrontando e decidendo il tutto con la sentenza definitiva, evitando così di instaurare il sotto-procediemnto sindacale, e la successiva devoluzione della questione alla Corte di Cassazione; evitando così anche di sospendere i procedimenti in corso.

In seguito il Legislatore del 2005, in un fervore nomofilattico, ha delegato il Governo alla modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché alla  riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali. Tralasciando arbitrato e fallimento, che in questa sede non interessano (anche se molto vi sarebbe da dire anche su questi istituti), c’è subito da osservare che la Legge Delega (L. 80/2005) al punto 3 stabilisce che il Governo debba attenersi al principio direttivo di disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica, applicando vari criteri, tra cui quello di estendere il sindacato diretto della Corte di Cassazione sull’interpretazione e sull’applicazione dei contrattti collettivi nazionali di diritto comune, ampliando la previsione del numero 3) dell’art.360 cpc.

In sostanza, la legge delega si limita ad ampliare la portata dell’art.360, n.3, cpc, consentendo il ricorso per cassazione non più solo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ma anche per violazione o falsa applicazione delle norme contenute nei contratti collettivi nazionali. Si può essere o meno d’accordo sul punto (non foss’altro per la profonda diversità tra contratti collettivi pubblici e privati e tra i soggetti stipulanti), ma un dato è comunque certo ed indiscutibile: il legislatore delegante si è limitato ad estendere le possibilità di ricorso per cassazione, parificando, a questi soli fini, i contratti collettivi alla legge.

Suscita quindi stupore il fatto che il Governo, in applicazione della legge delega, emani, nel febbraio 2006, il D.Lgs. 40/2006 con il quale, anziché limitarsi a quanto il Parlamento lo aveva delegato (l’estensione dei casi di ricorso per cassazione), entra a gamba tesa sull’intero processo del lavoro, snaturandolo e minacciando di paralizzarlo, introducendo una norma  che ricalca sostanzialmente quella contenuta nell’art.68 bis del D.Lgs.29/1993. Viene infatti stabilita all’art.18 l’introduzione nel codice di procedura civile dell’art.420 bis, secondo il quale quando per la definizione  di una controversia di lavoro (quelle previste dall’art.409 cpc)  sia necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale il Giudice decida con sentenza tale questione, prima di affrontare il resto del giudizio. La sentenza sulla questione pregiudiziale è ricorribile solo per cassazione e il processo viene sospeso. Per di più, in pendenza del giudizio avanti la Cassazione, possono essere sospesi tutti i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione (art.64 D.Lgs.165/2001 richiamato dall’art. 146 bis disp. att. cpc, introdotto dall’art.19 D.Lgs. 40/2006).

Una prima domanda sorge spontanea dal cuore: perché ?

Cosa è saltato in mente al Governo ? Che bisogno c’era di una norma del genere nel settore del lavoro privato ?

E la ratio, quale mai puo’ essere la ratio che ha portato il Governo ad emanare un decreto legislativo grossolanamente e clamorosamente affetto da eccesso di delega ?

Cause seriali non se ne vedono da tempo nel settore privato (le ultime, sull’incidenza retributiva del valore della mensa, e che risalgono a piu’ di dieci anni fa, sono state risolte con una legge apposita che ha escluso l’incidenza). Questioni particolarmente rilevanti di interpretazione di norme contrattuali non ne risultano in corso. Altre questioni urgenti che meritassero di essere risolte dai Giudici nomofilattici, con valore di interpretazione autentica di norme contrattuali, non è dato conoscere.

Nella migliore delle ipotesi può dirsi che l’art.420 bis rappresenta un obiter dictum, svincolato da ogni necessità e da ogni ragionevole intento.

Fondamentale per comprendere appieno la portata della nuova normativa sarà l’atteggiamento che  verso di essa la magistratura riterrà di adottare.

E le linee di intervento potrebbero essere di quattro tipi: la prima e la piu’ scontata è rappresentata dalla immediata rimessione della questione alla Corte Costituzionale per il vizio di eccesso di delega di cui ho parlato prima. E’ stato anche esattamente segnalato (Corvino, Modifiche al processo del lavoro: i contratti collettivi tra le fonti di diritto ? in Bollettino ADAPT n.14 del 10/3/2006) che la legge dispone, tra i principi della delega, la non ricorribilità immediata delle sentenze che decidono  di questioni insorte senza definire il giudizio e la ricorribilità immediata delle sentenze che decidono parzialmente il merito. L’art.420 bis invece, all’opposto, prevede che la sentenza emessa dal giudice per risolvere in via pregiudiziale le questioni attinenti alla efficacia, validità o interpretazione di un contratto o accordo collettivo, è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione. Ce n’è quanto basta perché il giudice delle leggi faccia giustizia di un decreto legislativo fatto … a orecchio, anziché sulla base dei principi contenuti nella legge delega.

La seconda linea di intervento, sin qui fortunatamente isolata nell’esperienza del  pubblico impiego, è quella sostenuta da Tribunale Brescia (vedi sopra), secondo la quale “ Il Giudice investito di controversia individuale di lavoro la cui definizione richieda la risoluzione di una questione concernente la validità, efficacia o interpretazione di un contratto o accordo collettivo ….  deve applicare il procedimento di cui all’art.68 bis senza avere nessuna discrezionalità al riguardo”.

I riflessi negativi di una tale impostazione sono evidentissimi: uno strumento a suo tempo pensato per deflazionare il processo del lavoro e consentire celeri decisioni, si trasformerebbe nel suo opposto, vale a dire in uno strumento idoneo a paralizzare i processi, nell’attesa che la corte di cassazione trovi il tempo e il modo di definire la questione. Anche una banale causa di rivendicazione di categoria superiore si fonda infatti sulla declaratoria contenuta nel CCNL e sulla interpretazione da darne. E’ raro trovare una causa che non abbia come proprio fondamento una norma contrattuale. Il che è come dire che quasi tutte le cause di lavoro si troverebbero nelle condizioni di essere sospese in attesa della decisione della Cassazione. Se si riflette sul fatto che già oggi i tempi del giudizio in cassazione sono pluriennali, e sul fatto che per effetto di varie riforme, tra cui questa, i carichi di lavoro dei giudici nomofilattici vanno a  crescere in misura esponenziale, pare sensato prevedere una totale paralisi per anni dei processi del lavoro.

Potrebbe poi capitare (terza ipotesi) che la giurisprudenza si orienti nel senso di parificare la pregiudiziale del 420 bis alla pregiudiziale di cui all’art.34 cpc (“Il Giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale ….. “) e quindi  intervenendo  nei soli casi ivi previsti, riducendo così in modo drastico la portata della nuova norma. C’è solo da dire in proposito che la dottrina non sembra convinta di un simile percorso interpretativo e la ritiene, in prevalenza, contraria allo spirito e alla lettera della legge.

 

Infine, e siamo alla quarta ipotesi, la magistratura del lavoro potrebbe orientarsi sulla linea tracciata dalla  Corte Costituzionale (7/6/2002 n.233, ord.) secondo la quale “presupposto per l’applicazione della procedura in esame è, come evidente, l’esistenza di un reale dubbio interpretativo, concernente la clausola contrattuale della quale il giudice deve fare applicazione nella controversia”. Ancor più secca in proposito è la posizione che era stata assunta da Pretura Pistoia (vedi sopra) che affermava che  la procedura prevista dalla normativa in esame debba essere utilizzata solo nei casi in cui la clausola contrattuale sia di contenuto oscuro e quindi possa prestarsi a diverse e contrastanti ipotesi interpretative oppure sia sospettabile di nullità. Si tratta della tesi della discrezionalità sostenuta da buona parte della dottrina (vedi per tutti De Angelis, Accertamento pregiudiziale .. in AA.VV. Il lavoro alle dipendenze delle p.a. Milano, 2000, 1869 e ss.)  e ad esempio anche dal Tribunale di Roma (24/1/2001, in LPA 2001, 1047) che ritiene che il Giudice investito della controversia ha il potere-dovere di sindacare se la clausola contrattuale da applicare sia oscura e possa dare adito a dubbi interpretativi o addirittura non abbia alcun significato.

 

Premesso che a me pare quest’ultima l’opzione interpretativa più sensata, c’è da osservare che tutte le altre, ad eccezione della seconda (obbligatorietà assoluta della decisione sulla questione pregiudiziale e attesa della decisione della Corte di Cassazione sul punto), portano ad un uso assolutamente residuale del nuovo 420 bis (la prima opzione porterebbe addirittura alla cancellazione del 420 bis dall’ordinamento, a cura della Corte Cost. per i clamorosi vizi di delega cui s’è accennato).

Non vi è del resto ragione di ritenere che la giurisprudenza che si è formata sul procedimento previsto dall’art.68 bis per l’impiego pubblico (sostanzialmente identico –salvo per il sotto-procedimento sindacale- a quanto previsto dal 420 bis) non debba essere adottata anche per la valutazione della nuova normativa introdotta per il lavoro privato.

Gli allarmismi  che si sono creati nel mondo degli operatori della giustizia del lavoro (tutti concordi nel ritenere inutile, se non addirittura dannosa la novità legislativa) potrebbero dunque risultare infondati alla luce di un intervento giurisprudenziale correttivo di scelte legislative dissennate.