***Il distacco (di Filippo Capurro)

1 Origine dell’istituto, morfologia ed inquadramento normativo - 2. Il distacco dopo il D. Lgs. 276/2003 e successive modifiche - 2.1 I termini generali della Riforma - 2.2 Profili specifici dell’istituto dopo la Riforma - 2.2.1 Le parti del distacco - 2.2.2 Il requisito dell’”interesse del distaccante” - 2.2.3. Il requisito della “temporaneità del distacco” - 2.2.4. La forma - 2.2.5. La questione del “consenso” del lavoratore distaccato e quella del distacco di “impatto geografico” - 2.2.6. Il rapporto di lavoro del lavoratore distaccato - 2.2.7. Le patologie del distacco - 3. Il distacco internazionale - 3.1. I profili di giurisdizione e della legge applicabile - 3.2. La sicurezza sociale

 

1 Origine dell’istituto, morfologia ed inquadramento normativo

 Nel diritto del lavoro privato l’istituto del distacco, conosciuto anche con il nome di comando, trae origine dall’elaborazione giurisprudenziale che ha così risposto a concrete esigenze economico-organizzative delle imprese. L’ispirazione è stata probabilmente tratta dall’esperienza sviluppatasi nel campo del diritto pubblico dove il riferimento al distacco era contenuto già nell’artt. 56 e 57 del TU n. 3/57 e nell’art. 34 DPR 1077/70. Più precisamente si definiva “comando” la particolare posizione del dipendente statale destinato a prestare servizio presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, mentre la prassi amministrativa enucleava nel “distacco” il passaggio del dipendente da un’amministrazione statale ad un ente pubblico diverso, per esigenze temporanee, ovvero l’assegnazione ad un ufficio diverso da quello dove il dipendente era stabilmente assunto, in attesa che fosse formalizzato il trasferimento definitivo. Le norme in parola sono tuttora vigenti in quanto confermati dagli artt. 14 e 17 L. 127/97 ma sostanzialmente superate dai contratti collettivi destinati a prevalere su di esse ai sensi dell’art. 69, comma 1 e 71, comma 1, D. Lgs. 165/01.

Nel settore privato, prima del recente intervento normativo di cui si dirà, la giurisprudenza aveva in linea di massima delineato la morfologia dell’istituto nei seguenti termini: il “comando" o "distacco" di un lavoratore disposto dal datore di lavoro presso altro soggetto, destinatario delle prestazioni lavorative, è configurabile quando sussiste l'interesse del datore di lavoro a che il lavoratore presti la propria opera presso il soggetto distaccatario, la temporaneità del distacco, intesa non come brevità, ma come "non definitività" e permanenza, in capo al datore di lavoro distaccante, sia del potere direttivo, eventualmente delegabile al distaccatario, sia del potere di determinare la cessazione del distacco. Ai fini della legittimità del distacco non vi era, invece, necessità, né di una previsione contrattuale che lo autorizzasse, né dell'assenso preventivo del lavoratore interessato, che doveva pertanto eseguire la sua prestazione altrove in osservanza del dovere di obbedienza di cui all'art. 2104 c.c.[1]

Il distacco pertanto si distingueva dalla fornitura di lavoro interinale e dall’interposizione di manodopera in quanto in tali ipotesi era del tutto assente uno specifico interesse produttivo di chi effettuava l’invio del lavoratore, mentre sussisteva esclusivamente l’interesse di chi utilizzava la prestazione lavorativa.

L’istituto del distacco è stato di recente regolamentato nell’ambito della riforma del mercato del lavoro e più precisamente dall’art. 30, D. Lgs. 276/03.

Prima di tale importante intervento normativo sul quale ci si intratterrà tra breve, vi sono stati alcuni tentativi di disciplinare l’istituto in modo sistematico. Si pensi al progetto di legge 11/2/88, n. 2324 ed art. 13, ultimo comma, DL 5/1/1993, n. 1 poi decaduto che sostanzialmente recepiva l’elaborazione giurisprudenziale formatasi sull’istituto.

Al di la di questi tentativi di disciplina sistematica, l’ordinamento è intervenuto nel tempo sull’istituto in via perlopiù frammentaria e sporadica.

Emblematico è l’art. 8, comma 3, del D.L.  48/93, convertito, con modificazioni, dalla L. 236/93 in materia di mobilità, e tuttora vigente in quanto espressamente conservato dalla riforma. Secondo tale norma “Gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall'impresa ad altra per una durata temporanea”. Si tratta in sostanza di una tipizzazione normativa di un’ipotesi di interesse che rende legittimo il distacco, interesse che, tuttavia, pare avere un duplice volto in quanto riferibile sia al datore di lavoro distaccante che al lavoratore distaccato, il quale in tal modo riesce a conservare il proprio posto di lavoro. Si evidenzia che, al fine del funzionamento dell’istituto, occorre in tale caso il “consenso” delle parti sociali.

Va ricordato altresì l’art. 16 D.L. 299/94, convertito con L. 451/94 in materia di CFL ed ormai abrogato dalla riforma, secondo il quale i progetti formativi potevano prevedere l’esecuzione dell’attività formativa anche attraverso il comando presso una pluralità di imprese.

Va menzionato altresì il D. Lgs. 72/2000, attuativo della Direttiva 96/71/CE del 16/12/1996 che, come si dirà, mira a migliorare la tutela dei lavoratori distaccati nell'ambito di una prestazione di servizi transnazionale.

Anche la prassi amministrativa, con la Nota Min. Lav. 11/4/2001, n. 5/26183/70/VA[2], si era fatta carico dell’istituto, confermando di fatto i tratti definiti dalla giurisprudenza.

 

2. Il distacco dopo il D. Lgs. 276/2003[3]

 2.1 I termini generali della Riforma

La L. 30/2003, contenente Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro, prevedeva all’art. 1, comma 2, lett. m), n. 3, l’abrogazione della L. 1369/1960 e la sua sostituzione con una nuova disciplina basata su alcuni criteri direttivi tra i quali la “chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco, nonché di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro”.

La disciplina di attuazione della menzionata legge delega è contenuta nell’art. 30, D. Lgs. 276/2003, norma successivamente integrata dal D. Lgs. 251/2004 mediante l’aggiunta del comma 4 bis. Sulla materia è altresì intervenuto in funzione interpretativa il Ministero del Lavoro con proprie Circ. Min. Lav. 15/1/2004, n. 3 e Circ. Min. Lav. 24/6/2005, n. 28, nonché l’INAIL con propria circolare Circ. INAIL 2/8/2005, n. 39.

L’art. 30, D. Lgs. 276/2003 precisa che “L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa”. Successivamente la norma precisa che “In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore” e che “Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive”.

Come già sopra anticipato, la norma ribadisce la perdurante vigenza dell’art. 8, comma 3, del D.L.  48/93, convertito, con modificazioni, dalla L. 236/93 in materia di distacco effettuato nell’ambito di procedure di mobilità.

Infine il neoaggiunto comma 4 bis dell’art. 30, D. Lgs. 276/2003, affronta, come si vedrà, l’ipotesi di distacco (rectius invio) del lavoratore posto in essere in violazione dei requisiti richiesti per il distacco, prevedendo in sostanza la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo al datore di lavoro utilizzatore.

 

 

2.2 Profili specifici dell’istituto dopo la Riforma

 2.2.1 Le parti del distacco

A proposito dei soggetti del distacco vi è da chiedersi anzitutto se la morfologia dell’istituto sia rimasta immutata con riguardo alla necessaria dicotomia tra distaccante e distaccatario. Come si è visto, in epoca precedente alla riforma, la giurisprudenza differenziava chiaramente i soggetti del distacco[4]. Senonché l’art. 30, D. Lgs. 276/03, prendendo in esame l’ipotesi del distacco che “comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km” pare non riferirsi esclusivamente ad un soggetto distinto dal datore di lavoro distaccante.

La stessa Circ. Min. Lav. 15 Gennaio 2004, n. 3 precisa che “Nell'ipotesi di distacco di un lavoratore presso un “altro soggetto”, il distaccante potrà stipulare un contratto a termine con un altro lavoratore ove sussistano le esigenze legittimanti l'apposizione del termine in base a quanto previsto dal d.lgs. n. 368/2001”, con ciò ammettendo che il distacco possa alternativamente essere effettuato presso altro luogo di lavoro facente capo al datore di lavoro distaccante oppure presso un vero e proprio “altro soggetto”.

In epoca precedente alla riforma tale possibilità pareva essere contemplata solo con riguardo al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi transnazionale, di cui si dirà, disciplinato dal D. Lgs. 72/2000 che all’art. 1 parla di distacco del lavoratore “presso un'unità produttiva della medesima impresa”.

Da un punto di vista pratico, se è davvero questa l’intenzione del legislatore, si potrebbe osservare che si è assottigliata la distinzione tra distacco e trasferimento il quale si distinguerebbe dal primo per la definitività della dislocazione del lavoratore in altra sede o unità produttiva.

Il rischio è tuttavia che il datore di lavoro possa tentare di eludere il proprio obbligo previsto dall’art. 2103 c.c. in ordine alla motivazione del trasferimento fondata su comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, dissimulando il trasferimento stesso sotto la veste di uno spostamento temporaneo nell’interesse dell’unità produttiva distaccante, e quindi di un distacco, che, nei casi comporti uno spostamento inferiore a cinquanta chilometri, può essere effettuato, almeno secondo le prime interpretazioni (in parte discutibili), sulla base di qualsiasi interesse del distaccante e quindi con ampia latitudine. Al fine di evitare pratiche elusive è pertanto fondamentale adottare un particolare rigore nella definizione del concetto di “interesse del distaccante”.

Sotto il profilo della natura imprenditoriale dei soggetti del distacco, l’art. 30, D. Lgs. 276/03 si limita a riferirsi, in quanto al distaccante al “datore di lavoro” ed in quanto al distaccatario a qualsiasi “soggetto”, mentre è noto che la giurisprudenza formatasi sull’istituto in epoca precedente alla riforma, richiedeva che il distaccante fosse un vero imprenditore e ciò al fine di poter essere certi che il datore di lavoro formale fosse idoneo a ricoprire il ruolo di “substrato giuridico-economico di un rapporto di lavoro”, circostanza che concorreva a suffragare la genuinità del rapporto di lavoro stesso di fronte a rischi di interposizione di manodopera[5].

 

2.2.2 Il requisito dell’”interesse del distaccante”

I requisiti oggi richiesti per il distacco sono l’interesse del distaccante e la temporaneità del distacco.

Con riguardo all’interesse del distaccante la novella nulla precisa. Poiché la struttura sostanziale dell’istituto non ha di fatto subito particolari stravolgimenti si ritiene ragionevole far riferimento agli approdi giurisprudenziali che hanno concorso nel tempo e definire, ma meglio sarebbe dire a costruire la sua morfologia.

Può pertanto sostenersi che l’interesse del distaccante deve riguardare l’attività istituzionalmente svolta dallo stesso e dunque una qualsiasi motivazione tecnica, produttiva ed organizzativa al medesimo facente capo. Occorrerà ovviamente che tale interesse sia lecito e rilevante[6]. L’utilizzo del termine “soddisfare”, da parte della nuova norma, suggerisce inoltre l’esigenza di concretezza dell’interesse e la sua effettiva soddisfazione nell’ambito della prestazione resa dal lavoratore distaccato, mentre non è possibile escludere che tale interesse abbia una natura non economica, ad esempio morale o solidale[7]. Infine, e questo è l’aspetto più importante, deve trattarsi di un interesse che non derivi da stabili esigenze produttive o organizzative dell’impresa distaccante; diversamente la definitività di tale interesse farebbe debordare l’istituto, come si dirà, in fattispecie giuridiche diverse.

Secondo la Circ. Min. Lav. 15/1/2004, n. 3 il distacco può essere legittimato da qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui e che si protragga per tutto il periodo di durata del distacco. In tale ottica, aggiunge la circolare, la formulazione della novella legislativa legittima le prassi di distacco all'interno dei gruppi di impresa, le quali corrispondono a una reale esigenza di imprenditorialità, volta a razionalizzare, equilibrandole, le forme di sviluppo per tutte le aziende che fanno parte del gruppo[8].

E’ pertanto ovviamente da escludersi, come si è appena detto, che l’interesse del distaccante possa risiedere nella mera aspettativa di guadagno derivante al distaccante dalla fornitura di manodopera poiché in tal caso si verterebbe in ipotesi di somministrazione irregolare. Sul punto è emblematica la Circ. Min. Lav. 15 Gennaio 2004, n. 3 che ha escluso che l’eventuale rimborso corrisposto dal distaccatario al distaccante dei costi afferenti al lavoratore, possa superare “quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante”.

Va osservato che la circolare ministeriale scivola sul concetto di temporaneità, ed ammette, di fatto, la legittimità del distacco con un’ampiezza assai indefinita che appare assai ampia e discutibile.

Un’ipotesi particolare di interesse del distaccante è stata affrontata dalla Circ. Min. Lavoro 24/6/2005, n. 28[9] che ha ritenuto lecito il distacco del lavoratore in alternativa ad una procedura di cassa integrazione guadagni per contrazione dell’attività produttiva, al fine di salvaguardare il patrimonio professionale del lavoratore e, pare anche di scongiurare eventuali dimissioni da parte di lavoratori in possesso delle professionalità più rare. Siamo in presenza di una lettura assai ampia, anche se molto interessante, della nozione di interesse tecnico produttivo, necessario, come si è visto, ai fini della legittimità del distacco. L’impostazione del Ministero del Lavoro è omogenea con il parere che lo stesso Ministero ha dato in sede di Interpello, Min. Lav. 11/7/2005, Prot. n. 1006[10], in relazione alla compatibilità dell’art, 96, C.C.N.L. dell’edilizia, con la nuova normativa sul distacco. Tale norma, prevede la possibilità del distacco del lavoratore, con il consenso del medesimo, qualora esista l’interesse economico produttivo dell’impresa distaccante anche con riguardo alla salvaguardia delle professionalità, a che il lavoratore svolga la propria attività a favore dell’impresa distaccataria.

Nulla porta infine a escludere che il distacco possa avvenire parzialmente, ossia possa riferirsi solo ad una parte della prestazione lavorativa del distaccante svolgimento parziale della prestazione presso il distaccatario, ipotesi questa confermata altresì dalla Circ. Min. Lav. 15 Gennaio 2004, n. 3.

 

2.2.3. Il requisito della “temporaneità” del distacco

L’esigenza della temporaneità del distacco è espressamente prevista dal primo comma dell’art. 30, D. Lgs. 276/2003, nel quale si afferma che vi è distacco quando un datore di lavoro “pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto (…)”.

La giurisprudenza si era orientata nel ritenere che, nel distacco, la destinazione del lavoratore presso un’azienda terza debba avere una durata predeterminata, più o meno lunga, coincidente con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente svolga la prestazione lavorativa a favore del terzo[11].

Anche la già menzionata Circ. Min. Lav. 15/1/2004, n. 3 ha precisato che il concetto di temporaneità coincide con quello di non definitività indipendentemente dalla entità della durata del periodo di distacco, fermo restando che tale durata sia funzionale alla persistenza dell'interesse del distaccante.

Si può dire pertanto che la durata del distacco non deve essere necessariamente predeterminata nel senso di richiedere un preciso termine finale, mentre la sua temporaneità è una necessaria implicazione della non definitività dell’interesse del distaccante. Si tratta di un passaggio molto importante: se vi è un interesse del distaccante al distacco, ed un tale interesse deve sussistere, esso deve essere necessariamente temporaneo. Nel caso in cui l’interesse del distaccante sia definitivo si ricade in un istituto di diversa natura: la cessione del contratto, che deve comunque essere accettata dal lavoratore, nel caso in cui distaccante e distaccatario siano soggetti diversi, oppure il trasferimento del lavoratore, nel caso in cui distaccante e distaccatario coincidano nello stesso datore di lavoro, ipotesi quest’ultima che, come si è visto, pare possibile nell’ambito della nuova normativa. Nel caso infine in cui l’interesse del distaccante manchi del tutto si avrebbe, un caso di somministrazione irregolare di manodopera.

La natura temporanea del distacco, ovviamente nulla implica circa la sua concreta durata che può non essere affatto breve, laddove l’interesse del distaccante si snodi su un lungo periodo di tempo.

 

2.2.4. La forma

La nuova normativa non prevede il requisito della forma scritta del distacco. Tuttavia è evidente che, soprattutto nell’interesse del datore di lavoro distaccatario per il quale potrebbe dover giustificare ad esempio a un organo ispettivo la presenza presso di sé di un lavoratore non iscritto nel proprio libro matricola, potrebbe apparire assai utile redigere una comunicazione di distacco al lavoratore nonché formalizzare tra distaccante e distaccatario, anche quando non appartenenti al medesimo gruppo, i termini dei loro rapporti in relazione al distacco.

Va inoltre ricordato che, ai sensi dell’art. 1, D. Lgs. 152/97, il datore di lavoro è tenuto a comunicare per iscritto al lavoratore entro trenta giorni dall’assunzione il luogo di lavoro, obbligo questo che appare rilevante nel caso di assunzione con immediato distacco.

 

2.2.5. La questione del “consenso” del lavoratore distaccato e quella del distacco di “impatto geografico”

La normativa introdotta con la Riforma Biagi non richiede in generale la sussistenza del consenso del lavoratore distaccato ed in ciò si uniforma all’orientamento giurisprudenziale formatosi in precedenza. Ciò in quanto il distacco è concepito come una modalità di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro. L’esercizio di tale potere deve considerarsi legittimo ogniqualvolta non leda altri diritti tutelati dalla normativa giuslavoristica e più in generale dall’ordinamento giuridico. Sarebbe ad esempio illegittimo un distacco che, intervenendo sulle mansioni del lavoratore, operasse un demansionamento del medesimo e ciò indipendentemente dalla sussistenza degli elementi costitutivi del distacco.

Come si è visto l’art. 30, D. Lgs. 276/2003 precisa che il distacco che comporti un mutamento di mansioni debba avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Potrebbe sorgere il dubbio che la norma si riferisca ad un mutamento di mansioni tale da integrare una diminuzione delle stesse in deroga all’art. 2103 c.c., aggiungendosi a quelle specifiche ipotesi in cui l’ordinamento consente di modificare in pejus le mansioni del lavoratore. Ciò può avvenire in ipotesi di crisi aziendale[12], di lavoratrice madre[13], di impossibilità sopravvenuta[14], di lavoratore disabile che ha subito un aggravamento delle proprie condizioni di salute[15].

A me tuttavia sembra che, mentre nei casi sopra menzionati, la scelta del legislatore, ovvero della giurisprudenza, di consentire una deroga al divieto di modifica in pejus delle mansioni, è fondata su ragioni che attengono all’interesse del lavoratore, quale l’interesse alla conservazione del posto di lavoro, alla salute etc., nel caso che ci riguarda, consentire una derogabilità dell’art. 2103 c.c. risponderebbe esclusivamente ad esigenze del datore di lavoro. Ma poiché l’interesse datoriale, nel caso del distacco, da un punto di vista del funzionamento dell’istituto, consiste meramente nell’esercizio di un potere di conformazione della prestazione e quindi di un potere direttivo, non si vedrebbe davvero perché tale interesse debba, nel distacco, essere tutelato, a danno del lavoratore, in misura così anomala.

Vi è anche da dire che il diritto all’equivalenza delle mansioni è indisponibile, come previsto dall’ultimo comma dell’art. 2103 c.c. che sanziona con la nullità atti dispositivi che ledano il principio di equivalenza, anche se, tecnicamente, una norma avente forza di legge potrebbe prevedere deroghe. Nel nostro caso, tuttavia, oltre alle osservazioni sopra articolate, si porrebbe in ogni caso un problema di eccesso rispetto alla delega legislativa contenuta nella L. 30/2003.

Alla luce di quanto appena osservato pare plausibile che la norma si riferisca più che altro ad un mutamento sostanziale di mansioni che, pur nell’ambito del principio di equivalenza, modifichi in modo concreto e rilevante le condizioni di lavoro del dipendente. Si tratta di una norma che riecheggia, per qualche verso, il comma 4 del nuovo art. 2112 c.c., nella parte in cui consente al lavoratore di rassegnare le dimissioni con gli effetti di cui all’art. 2119 c.c., qualora le sue condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda. E’ evidente che in tale caso la “sostanziale modifica” non significa demansionamento, poiché in tale caso la giusta causa di dimissioni sussisterebbe indipendentemente dall’art. 2112 c.c..

Secondo autorevole dottrina, la necessità del consenso del lavoratore distaccato nel caso di mutamento sostanziale di mansioni mira più che altro a procedimentalizzare il potere datoriale di gestione del rapporto di lavoro, introducendo un limite, appunto il carattere consensuale, diretto a riequilibrare la posizione delle parti, in una vicenda destinata ad incidere sulla posizione del lavoratore[16].

Vi è da dire che la Circ. Min. Lav. 15/1/2004, n. 3 non ha contribuito a fare chiarezza sul punto la dove afferma che “Quanto alla ipotesi disciplinata dall'art. 30, comma 3, prima parte, del d.lgs. 276/2003, il consenso del lavoratore vale a ratificare l'equivalenza delle mansioni laddove il mutamento di esse, pur non comportando un demansionamento, implichi una riduzione e/o specializzazione della attività effettivamente svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore stesso”. Non si vede infatti quale esigenza di ratifica possa sussistere in un ipotesi di legittimo esercizio dello ius variandi. L’intervento ministeriale pare accomunarsi, nello spirito, a quelle norme del D. Lgs. 276/03 che sembrano volere più che altro riaffermare il principio della massima limitazione dei poteri di accertamento del giudice del lavoro.

In merito all’ipotesi in cui il distaccatario attribuisca al lavoratore distaccato mansioni superiori, il distaccante sarà tenuto a corrispondergli la relativa retribuzione ed eventualmente, laddove ne ricorrano i requisiti, a riconoscergli l’inquadramento superiore[17]. A tal fine parte della giurisprudenza tende a richiedere che le mansioni superiori rese a favore del terzo risultino "omogenee", rispetto a quelle precedentemente rese al datore di lavoro e, più in generale, presentino i requisiti richiesti dalla contrattazione collettiva ai fini dell'inquadramento del prestatore nella qualifica superiore pretesa[18].

La riforma prevede inoltre che, quando il distacco comporta un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Tale norma mira probabilmente a restringere il potere direttivo del datore di lavoro nei casi in cui lo spostamento possa incidere in termini sensibili sul lavoratore in ragione della sua portata topografica. Tuttavia tale obiettivo è perseguito in modo maldestro ove si osservi che la necessaria presenza dell’interesse del distaccante anche nel distacco a brevi distanze implica ineludibilmente sempre la sussistenza di ragioni tecniche organizzative e produttive.

Il termine “trasferimento” inoltre è stato probabilmente utilizzato in modo improprio o comunque idoneo a creare equivoci ma è verosimile che il legislatore intendesse utilizzarlo quale sinonimo di “spostamento”. Altrimenti si avrebbe confusione tra i due istituti che appaiono essere distinti, quanto meno, come se è visto, per quanto attiene alla durata dello spostamento.

 

2.2.6. Il rapporto di lavoro del lavoratore distaccato

L’art. 30, D. Lgs. 276/03 prevede, al secondo comma, che, in caso di distacco il datore di lavoro, rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.

Già in passato, tuttavia, era consolidata la prassi di un rimborso di tali oneri al distaccante da parte del distaccatario[19]. Precisa a tale proposito la Circ. Min. Lav. 15 Gennaio 2004, n. 3 che, poiché il lavoratore distaccato esegue la prestazione non solo nell'interesse del distaccante ma anche nell'interesse del distaccatario, la possibilità di ammettere il rimborso renderebbe più lineare e trasparente anche l'imputazione reale dei costi sostenuti da ogni singola società. In questo senso l'importo del rimborso non potrebbe superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante poiché in tale ipotesi si avrebbe un grave indizio di somministrazione irregolare di manodopera. Vi è da chiedersi se  con il termine “corrisposto” si faccia riferimento al costo complessivo del lavoratore, ivi compresi dunque gli oneri sociali. Si tratta a mio giudizio di una possibilità da non escludersi visto che il rimborso di tali costi non genera un profitto in capo al distaccante e dunque l’indizio di una somministrazione irregolare di manodopera[20].

La Circ. Min. Lav. 15 Gennaio 2004, n. 3 ha precisato altresì che, a fronte della titolarità in capo al distaccante del trattamento economico rimane a suo carico anche il trattamento contributivo, che deve essere adempiuto in relazione all'inquadramento del datore di lavoro distaccante.

Per quanto riguarda, invece, l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, il relativo premio rimane a carico del datore di lavoro distaccante. La modalità di calcolo dei premi relativi è ora chiarito dalla Circ. INAIL 2/8/2005, n. 39[21]. Il datore di lavoro distaccante, salvo un diverso accordo fra le parti relativamente al trattamento economico e normativo, rimane poi responsabile ex art. 10 D.P.R. 1124/65 in caso di rivalsa dell'Istituto in occasione di un infortunio sul lavoro, integrante un'ipotesi di reato, occorso al distaccato presso il distaccatario quale soggetto incaricato della direzione e sorveglianza del lavoro ex comma 3 del medesimo art. 10.

Il potere direttivo rimane concretamente in capo al datore di lavoro effettivo e dunque al distaccante mentre l’esercizio di tale potere è in parte necessariamente trasferito, ovvero delegato al distaccatario.

Le sanzioni disciplinari e gli altri atti di formale gestione del rapporto dovranno essere posti in essere dal distaccante previa eventuale, ma di fatto necessaria, consultazione con il distaccatario.

Il distaccatario diventa invece responsabile dell’obbligo di sicurezza previsto dall’art. 2087 c.c. e dalle altre norme in materia. A me pare comunque che sia ipotizzabile una responsabilità solidale tra distaccante e distaccatario per quanto attiene a tale tipologia di obbligo, mentre direi che è assolutamente da escludersi, a meno di vertere in ipotesi di appalto, una solidarietà in materia di obblighi retributivi. Anzi, su tale ultimo punto, è orientamento consolidato che mentre il distaccante è titolare dell’obbligo retributivo e contributivo il distaccatario è unico responsabile per eventuali trattamenti retributivi e normativi che dovesse applicare al lavoratore distaccato nell’ambito di “pattuizioni nuove” con lo stesso assunte, rispetto alle quali il distaccante rimarrebbe del tutto estraneo[22].

 

2.2.7 .Le patologie del distacco

Vi è infine da domandarsi quali siano le conseguenze giuridiche di un distacco illegittimo, ovvero posto in essere in assenza dei requisiti costituivi previsti dalla nuova normativa, primo fra tutti il concreto e sostanziale temporaneo interesse del distaccante.

Il nuovo comma 4bis dell’art. 30, D. Lgs. 276/2003, aggiunto dal D. Lgs. 251/2004 prevede, in questi casi, che il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.

In tale ipotesi si applica il disposto dell’art. 27, comma 2, D. Lgs. 276/2003 che, applicato alla fattispecie de qua, prevede che tutti i pagamenti effettuati dal distaccante irregolare, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Inoltre tutti gli atti compiuti dal distaccante irregolare per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale il distacco ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.

La norma ha senz’altro una notevole utilità poiché gli enti previdenziali, accertata l’imputazione del rapporto di lavoro direttamente in capo all’utilizzatore, tendevano a restituire i contributi versati dal datore di lavoro formale, e a richiederli con le relative sanzioni al datore di lavoro effettivo.

 

 

 

3. Il distacco internazionale

 

3.1. I profili di giurisdizione e della legge applicabile

L’invio di un lavoratore presso un altro soggetto, situato in uno stato diverso, per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa, appare frequente soprattutto nell’ambito dei gruppi multinazionali.

Il distacco internazionale, se morfologicamente non dissimile da quello ordinario, presenta alcuni profili specifici che qui si accennano brevemente.

Anzitutto i tratti di “internazionalità” del rapporto, che si hanno nell’ipotesi in cui le parti hanno nazionalità diversa, ovvero quando il contratto è stato concluso all’estero, ovvero ancora quando il luogo di svolgimento dell’attività di lavoro è situato in uno stato estero, implicano la necessità di una verifica da parte del giudice adito della giurisdizione e della legge applicabile, materie, che sono disciplinate in Italia dalla L. 218/95 in materia di diritto internazionale privato e processuale, e dalle convenzioni internazionali vigenti.

Sostanzialmente, in materia di giurisdizione, in forza dell’art. 3, comma 2, L. 218/1995 che recepisce nell’ordinamento giuridico italiano la Convenzione di Bruxelles del 27/9/1968, nel caso di contratto di lavoro, vi è, tra l’altro, giurisdizione del giudice del luogo dove il lavoratore svolge abitualmente la propria attività.

In quanto alla legge applicabile, l’art. 57, L. 218/1995, rinviando alla Convenzione di Roma del 19/6/1980 sulle obbligazioni contrattuali, in materia di contratto di lavoro, fa salve, a prescindere dalla legge scelta tra le parti, le norme imperative della legge che avrebbe disciplinato il contratto in assenza di scelta, ovvero quella del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro.

Tale sistema conteneva un difetto di tutela per i lavoratori inviati temporaneamente a svolgere attività in Italia, ipotesi propria del distacco. Infatti, l’assenza di abitualità dello svolgimento della prestazione in Italia rendeva inapplicabili anche solo le norme imperative del diritto italiano. Con il D.Lgs. 72/2000, attuativo della Direttiva 71/96, oggetto anche di interpretazione da parte della Circ. Min. Lav. 6/8/2001, n. 78, si è stabilito che, salvo alcune deroghe, al lavoratore straniero distaccato in Italia, anche temporaneamente, si applicano le disposizioni di legge e quelle dei contratti collettivi di settore, stipulati con le organizzazioni sindacali più rappresentative, applicabili per i lavoratori italiani che effettuano analoghe prestazioni lavorative. I lavoratori stranieri distaccati a prestare servizio in Italia, inoltre, possono tutelare i loro diritti innanzi al tribunale civile competente, in funzione di giudice del lavoro, peraltro senza dover preventivamente esperire il tentativo di conciliazione previsto dall’art. 410 c.p.c..

 

3.2. La sicurezza sociale

La normativa internazionale in materia di sicurezza sociale ha normalmente natura pattizia e mira ad attuare il coordinamento delle legislazioni interne degli Stati contraenti, non compromettendo pertanto la libertà degli stessi di determinare la propria legislazione di sicurezza sociale. In Europa la normativa internazionalein materia di sicurezza sociale è contenuta nel Regolamento CEE n° 1408 del 14/6/1971.

Tali normative si basano essenzialmente sui principi di parità di trattamento sul territorio tra i lavoratori dei paesi contraenti, di mantenimento dei diritti acquisiti ed in via di acquisizione (esportabilità delle prestazioni, totalizzazione dei periodi assicurativi etc.) e di unicità della legislazione applicabile.

Quest’ultimo principio tende ad evitare che un lavoratore che si sposti da uno Stato all’altro possa, proprio a causa delle peculiarità delle l