*** Concertazione e dialogo sociale: differenze non trascurabili (di Mario Meucci)

 

 

 

 

1) E' noto che il nuovo governo di centro/destra - raccogliendo le indicazioni del "libro bianco"  - si è ripromesso di sostituire al precedente sistema di relazioni sindacali sulle tematiche di ordine nazionale (non già di settore o categoria) strutturato dalla collaudata tecnica della "concertazione", sfociante in accordi triangolari (governo- parti sociali sindacali - rappresentanze imprenditoriali) quello del "dialogo sociale", mutuato dal  prototipo delineato a livello comunitario, senza da un lato porsi il problema della compatibilità pratica di una simile sostituzione con una prassi consolidata di concertazione interna né di attendere di vedere se le risultanze del modello comunitario fossero soddisfacenti o meno. E c'è da dire che l'ipotizzato intendimento di sostituzione ha incontrato favori da parte di taluno (che, a nostro modesto avviso, non sta con i piedi per terra) che ha ritenuto  e crede che questa nuova tecnica comporti «un enorme sviluppo della capacità normativa dei sindacati, che laddove siano in grado di costruire soluzioni condivise con le rispettive controparti, possono beneficiare dell'impegno politico del governo (in qualche modo neutrale nella trattativa) alla traduzione legislativa dell'intesa raggiunta».

E' bene che si faccia chiarezza sul punto perché si rischiano di ingenerare aspettative non rispondenti alla realtà.

Il modello del "dialogo sociale" viene inserito  dal Trattato istitutivo CE  (stipulato in Roma il 25.3.1957 quale modificato dal Trattato di Amsterdam del 2.10.1997) al tit. XI (artt. da 136 a 140),  nell'art. 136 come  obiettivo  da traguardare accanto a quelli «della promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una protezione sociale adeguata, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello di occupazione elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione». « A tal fine, la Comunità e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia della Comunità». Sempre allo stesso fine, l'art. 136 precisa che « il Consiglio CE può adottare mediante direttive le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative esistenti in ciascuno stato membro». «Le disposizioni adottate a norma del presente articolo non ostano a che uno Stato membro mantenga e stabilisca misure compatibili con il presente trattato, che prevedano una maggiore protezione».

All'art. 138  e 139 viene delineato il metodo del "dialogo sociale" nel "settore della politica sociale", spiegando come  la Commissione CE  - prima di presentare proposte -  «ha il compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario e prende ogni misura utile per facilitarne il dialogo provvedendo ad un sostegno equilibrato delle parti». «Se dopo tale consultazione, ritiene opportuna un'azione comunitaria, la Commissione consulta le parti sociali sul contenuto della proposta prevista&le quali trasmettono alla Commissione un parere, o se opportuno, una raccomandazione»; «..le parti sociali possono anche informare la Commissione della loro volontà di avviare un processo di dialogo che può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi». «La durata della procedura non supera i nove mesi, salvo proroga  decisa in comune dalle parti sociali  interessate  e dalla Commissione»; «gli accordi conclusi a livello comunitario sono attuati in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione», con deliberazione a maggioranza qualificata.

Certamente il Consiglio  non ha una funzione notarile di trasposizione in normativa degli accordi intercorsi tra le parti sociali né se lo ripropone il nostro governo di centro/destra  nelle relazioni sindacali  (come qualche pseudo-ingenuo ipotizza) -  ma, sebbene  non lo si dica espressamente nel Trattato, qualora gli accordi tra le parti sociali non siano approvati,  il Consiglio procede mandando avanti la propria proposta. Quindi  l'Esecutivo CE non si auto-marginalizza in un nessun ruolo neutro (o quasi).

2) Nella prassi della concertazione quale attuatasi nel ns. Paese, il governo svolgeva un'attività di mediazione e svolgeva un ruolo di attore sapiente - unitamente alle parti sociali - nella realizzazione di intese tripartite. Le parti sociali avevano un ruolo negoziale e non si limitavano a indirizzare nei confronti della proposta governativa "pareri" o "raccomandazioni", che potevano essere tenuti o meno in considerazione nè, decorsi determinati tempi, prendeva corpo la decisione iniziale del governo. Giacchè quest'ultimo è il modello del "dialogo sociale" che sembra mutuato dalle normative contrattuali del settore creditizio, laddove si dice che  prima di adottare determinate decisioni a livello aziendale, la direzione della banca provvederà ad informare gli organismi sindacali, ne riceverà le osservazioni, e decorsi 15,  25 o più giorni porrà in esecuzione le proprie determinazioni.

Il dialogo sociale porta con se il mero obbligo della notifica delle determinazioni governative (o aziendali) ma lascia al governo (e contrattualmente all'azienda) - dopo un certo tempo necessario al vaglio da parte sindacale degli effetti o ricadute delle proposte - la discrezionalità di trasformare in atti legislativi (o decisioni aziendali) le determinazioni iniziali.

Sconcerta che qualcuno preferisca alla "concertazione-negoziazione" questo ruolo marginalizzato per le OO.SS. dalla tecnica sostitutiva del c.d. "dialogo sociale". Ed il libro bianco scopertamente rifiuta la "concertazione" sulla base delle valutazioni che di seguito riferiamo: «..nei fatti la concertazione ha svolto compiti di governo ben al di là degli obiettivi di sviluppare un corretto rapporto tra le parti. Il processo avviato nel 1992 dal 1° Governo Amato è stato progressivamente snaturato e portato a ribaltare la logica culturale che l'aveva innestato. Quando da parte dei diversi governi che si sono succeduti, vi è stato un uso eccessivo della concertazione, intesa come sede consultiva e di legittimazione politica in merito ad iniziative che, in linea di principio, erano spesso di esclusiva competenza del Governo si è determinato un uso distorto e viziato della concertazione stessa. Rispetto ad alcune esperienze generalmente ritenute positive, in particolare il caso olandese, è peraltro da rilevare come il potere di iniziativa di fissazione dell'agenda e delle principali linee di azione da parte dei governi sia stato in Italia, piuttosto limitato, in buona parte a causa dell