Il Governo Berlusconi e il problema del lavoro sommerso (di Alessandro Bellavista)

Come annunciato a più riprese, una delle prime azioni del nuovo Governo Berlusconi è stata rivolta ad affrontare l'endemico problema del lavoro sommerso. Infatti, il disegno di legge d'iniziativa governativa - che ha per intestazione Primi interventi per il rilancio dell'economia" - esordisce appunto con un Titolo I denominato norme per incentivare l'emersione dall'economia sommersa". Anzitutto, va considerato che il disegno di legge in commento interviene in un settore già caratterizzato dalla presenza di vari provvedimenti legislativi aventi oggetto analogo o che comunque, pur perseguendo altri scopi, incidono sulla stessa area. Il più importante e noto di questi è costituito dalla disciplina dei cosiddetti contratti collettivi di riallineamento regolati dall'art. 5 della legge n. 608/1996 e da altre leggi che hanno nel corso del tempo modificato l'impianto originario dell'istituto nonché hanno prorogato di volta in volta la data di scadenza per accedere a tale peculiare regime. Perciò, appare interessante procedere ad un'analisi della struttura del nuovo disegno di legge operando un raffronto tra le sue previsioni e quelle che costituiscono l'attuale disciplina dei contratti di riallineamento.

In primo luogo va detto che il progetto per l'emersione del Governo Berlusconi (presentato al Senato e classificato come S-373) ha un campo di applicazione rivolto a tutto il territorio nazionale, mentre i contratti di riallineamento (legittimati ad accedere al particolare regime agevolativo legale) possono essere stipulati solo nelle zone di cui all'art. 92 (ora 87), paragrafo 3, lettera a) del Trattato istitutivo della Comunità europea, e cioè nel Mezzogiorno.

Vero è che il problema del lavoro sommerso riguarda tutto il Paese, ma è altrettanto vero che nel Mezzogiorno esso presenta livelli estremamente gravi: a tal punto che qui le forme sommerse costituiscono assai spesso una costante dell'attività di impresa e della gestione dei rapporti di lavoro. Pertanto, non è affatto detto che misure di applicazione generale e indifferenziate riescano a fronteggiare con successo un fenomeno che non manifesta le stesse caratteristiche in tutte le zone del Paese. In effetti, misure del genere - come insegna l'esperienza - andrebbero tarate accuratamente in relazione alle specifiche esigenze dei territori in cui si troveranno ad operare.

Il Governo ha probabilmente varato una misura di applicazione generale sulla base dell'idea che così tale regime non dovrebbe essere soggetto alla disciplina degli Aiuti di Stato del Trattato della Comunità e quindi dovrebbe sfuggire al profondo e vincolante controllo della Commissione Europea che appunto valuta la compatibilità con le rigorose regole del diritto comunitario della concorrenza dell'introduzione nei singoli Stati membri di tutte le forme di aiuti di Stato. Tuttavia, non è detto che la Commissione europea non decida di effettuare le sue valutazioni, stante che la linea di confine tra aiuti di Stato e misure generali di politica economica resta estremamente incerta e che proprio sulla qualificazione come aiuto di Stato delle varie forme di sostegno alle imprese escogitate dai singoli Stati la Commissione gode di fatto di un enorme potere discrezionale.

Comunque, tornando al progetto del Governo Berlusconi va detto che, con la previsione di un sistema di agevolazione per il rientro dal sommerso di eguale intensità e portata in tutto il territorio nazionale, in questo modo si trascura di disegnare uno specifico intervento che abbia il coraggio di affrontare gli specifici problemi derivanti dalla enorme diffusione del lavoro sommerso nel Sud. Tale considerazione è comprovata dal fatto che l'art. 1 del disegno di legge S-373, dopo avere delineato le modalità di accesso al nuovo sistema di emersione, al comma 5 mantiene espressamente in vigore l'attuale regime dei contratti di riallineamento. Infatti, la disposizione dice che restano fermi, in alternativa per gli interessati, i regimi connessi ai piani di riallineamento retributivo e di emersione del lavoro irregolare, di cui all'articolo 5 del decreto legge 1 ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre 1996, n. 608, di cui agli articoli 75 e 78 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, di cui all'articolo 63 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e di cui all'articolo 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388".

Di conseguenza, nel solo Mezzogiorno, sarebbe possibile emergere dal sommerso attraverso due vie alternative: quella del nuovo regime (di applicazione in tutto il territorio nazionale) e quella dei tradizionali contratti di riallineamento. Benché, in apparenza, tali modalità alternative sembrano costituire un indubbio vantaggio, perché allargherebbero le opzioni di azione a favore degli interessati, ad un attento esame gli aspetti negativi sembrano prevalere su quelli positivi.

In effetti, una delle principali ragioni della diffusione del sommerso nel Mezzogiorno del Paese è costituita dalla difficoltà dei datori di lavoro di sopportare i costi derivanti dall'applicazione dei contratti collettivi nazionali e dagli oneri contributivi che sono calcolati sulla base delle retribuzioni previste dai suddetti contratti. Proprio per questo motivo, alla fine degli anni ottanta, nascono i primi contratti di riallineamento che contengono un programma di adeguamento graduale delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori a quelle fissate dai contratti collettivi nazionali.

Il disegno di legge S-373 trascura questo aspetto fondamentale. Dalla lettura dell'art. 1 del testo si desume che l'impresa, che presenta l'apposita dichiarazione di emersione, potrà godere di uno speciale regime agevolato in materia contributiva e fiscale, ma nulla si dice riguardo all'aspetto retributivo. Ciò significa che l'imponibile previdenziale su cui applicare le speciali aliquote di contribuzione sostitutiva andrà calcolato tenendo conto, come minimo, dei trattamenti economici dei contratti collettivi nazionali di riferimento. Tutto questo è accaduto probabilmente perché si parte dall'idea di affrontare solo un tipo di lavoro sommerso, che è quello in particolare diffuso nel Centro-Nord del Paese, e caratterizzato dall'evasione fiscale e contributiva, ma dal sostanziale rispetto degli standard economici dei contratti collettivi nazionali.

Pertanto, se l'imprenditore del Mezzogiorno, che intende emergere, corrisponde ai lavoratori retribuzioni lontane da quelle dei contratti collettivi nazionali non avrà alcuna convenienza ad avvalersi del regime di cui al disegno di legge S-373.

Restando sul piano previdenziale, va segnalato che, a seguito dell'ultima modifica (art. 116, della legge n. 388/2000), l'adesione ai contratti di riallineamento dovrebbe permettere di usufruire per i lavoratori completamente sommersi - che vengono per la prima volta dichiarati agli Istituti previdenziali - uno sgravio quinquennale decrescente di anno in anno, che parte dal 100 per cento dei contributi previdenziali e arriva al 20 per cento nell'ultimo anno (passando per l'80, il 60 e il 40 per cento). E tale sgravio va determinato sulle retribuzioni corrisposte: che sono quelle dei contratti di riallineamento per definizione già inferiori a quelle dei contratti nazionali. Mentre, il nuovo regime del progetto S-373, anche se basato su una contribuzione sostitutiva, non sembra così conveniente: sia perché ha durata solo triennale sia perché l'imponibile previdenziale (su cui andranno calcolate le aliquote di contribuzione sostitutiva) sembra che vada calcolato sulle tariffe dei contratti collettivi nazionali.


A favore dei contratti di riallineamento è il confronto se lo si esamina dalla prospettiva dell'interesse del lavoratore alla ricostruzione della posizione previdenziale. Infatti, nell'area dei contratti di riallineamento, è possibile la regolarizzazione degli obblighi contributivi pregressi attraverso il pagamento, da parte del datore, di quote di contribuzione calcolate sulla retribuzione stabilita dai contratti di riallineamento che può raggiungere la soglia inferiore del 25 per cento del minimale contributivo legale.

Mentre, nel disegno di legge S-373, il lavoratore - dell'impresa che presenta la dichiarazione di emersione - deve già pagare £ 200.000 per estinguere, per ciascun anno, i propri debiti previdenziali e fiscali. Ma per ricostruire la propria posizione previdenziale lo stesso lavoratore dovrà inoltre necessariamente versare la contribuzione volontaria di cui al d.lgs. n. 184/1997. E' questa una soluzione assai onerosa per lavoratore: e di ciò si rende conto lo stesso estensore del progetto S-373, perché prevede la possibilità che la suddetta contribuzione volontaria possa essere integrata fino ad un massimo di un terzo con trasferimenti a carico del Fondo di cui all'articolo 5 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, nei limiti delle risorse disponibili presso il predetto Fondo". Anche se ovviamente tale previsione è solo programmatica.

Infatti, l'art. 5 della legge n. 388/2000 già stabiliva che le maggiori entrate che risulteranno dall'aumento delle basi imponibili dei tributi erariali e dei contributi sociali per effetto dell'applicazione delle disposizioni per favorire l'emersione, di cui all'art. 116 della presente legge, sono destinate ad un fondo istituito presso lo stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica finalizzato, con apposito provvedimenti, alla riduzione dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta sul reddito delle persone fisiche gravanti sul reddito d'impresa. La riduzione è effettuata con priorità temporale nelle aree e nei territori di cui al comma 10 dell'articolo 7". E ora il comma 7 dell'art. 1 del progetto S-373 sancisce che le maggiori entrate derivanti dal recupero di base imponibile connessa ai piani di emersione, con esclusione di quelle contributive, affluiscono al Fondo di cui all'articolo 5 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze si provvede a determinare la quota del predetto Fondo destinata al riequilibrio dei conti pubblici e, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, la quota destinata alla riduzione della pressione contributiva, al netto delle risorse eventualmente disponibili per essere destinate all'integrazione del contributo previdenziale dei lavoratori che si impegnano nei programmi di emersione ai sensi del comma 2, lett. b) del presente articolo, e agli oneri concernenti la eventuale ricostruzione della loro posizione previdenziale relativamente agli anni pregressi , ai sensi del comma 4 del presente articolo. Con lo stesso decreto sono inoltre determinati i livelli contributivi e del trattamento previdenziale relativi agli stessi lavoratori per i periodi oggetto della dichiarazione di emersione".

Con specifico riferimento alla questione dell'assistenza dei lavoratori per la ricostruzione della loro posizione previdenziale, si tratta, come si vede, di un meccanismo in fieri che andrebbe in concreto disegnato in modo tale da rendere il più possibile conveniente e agevole l'adesione degli stessi lavoratori al programma di emersione.

Sul piano propriamente fiscale il progetto S-373 contiene sia un regime agevolato per i tre anni successivi alla dichiarazione di emersione sia una speciale sanatoria, a costi ridotti, per il passato. Nel sistema dei contratti di riallineamento non v'è un vantaggio del genere, ma solo la possibilità di versare le ritenute o le maggiori ritenute, non effettuate per i periodi interessati" pregressi, attraverso il pagamento di somme calcolate su compensi convenzionali, come stabiliti dai medesimi contratti di riallineamento.

Questa sommaria analisi permette di convalidare l'impressione poc'anzi manifestata: che il progetto S-373 disegna un quadro di convenienze mirate soprattutto alle situazioni del Centro-Nord del Paese. Laddove cioè esistono forme di attività sommerse principalmente dirette all'occultamento di base imponibile e comunque svolte da imprese in grado di reggere i costi dell'attività emersa, tra cui rilevano l'applicazione dei contratti collettivi e gli oneri contributivi. Ma vi è di più. Per come è costruito il progetto S-373 più che a mirare all'emersione del lavoro sommerso, appare come un disegno volto ad incentivare l'emersione di una maggiore base imponibile attraverso la concessione di un'immediata riduzione del carico fiscale e la promessa della stabilizzazione di un sistema fiscale meno oneroso di quello attuale. Si tratta di una radicale inversione di rotta rispetto all'esperienza dei contratti di riallineamento: che appunto partivano dall'idea che il sostegno all'emersione dei lavoratori irregolari e sommersi avrebbe spinto all'aumento delle basi imponibili ai fini fiscali. Non è detto che quella del progetto S-373 non sia oggi la soluzione preferibile, anche se forse si poteva provare a cercare di escogitare un meccanismo in grado di recepire gli aspetti più innovativi e positivi della, pur tormentata, vicenda dei contratti di riallineamento.

Tuttavia, è necessario svolgere anche altre considerazioni sul progetto S-373 che permettano di avere un quadro completo delle questioni qui esaminate.

In primo luogo, ciò che è senza dubbio un punto non condivisibile del progetto S-373 è proprio il modo in cui è costruita la procedura di accesso al particolare regime agevolato da esso costruito. Infatti, l'art. 1, comma 1, al primo periodo, afferma che gli imprenditori che hanno fatto ricorso al lavoro irregolare, non adempiendo in tutto o in parte gli obblighi di legge vigenti in materia fiscale e previdenziale, possono farlo riemergere, tramite apposita dichiarazione di emersione, da presentare entro il 30 novembre 2001". Qui è netta la differenza con i contratti di riallineamento. La procedura di emersione non vede in alcun modo la partecipazione delle organizzazioni sindacali: la scelta di emergere si concreta attraverso la sola presentazione di una mera dichiarazione. Ebbene, forse sarebbe stato più opportuno instaurare un collegamento tra attivazione della procedura di emersione e apparati sindacali e istituzionali (come le Commissioni di cui all'art. 78 della legge n. 448/1998). Ciò soprattutto per assicurare che la scelta dell'emersione venga assistita attraverso la fornitura di tutti gli aiuti necessari al suo consolidamento e ad evitare che lo scontro con il mercato e l'impatto con le istituzioni pubbliche avvenga in modo traumatico e in un clima di mancanza di reciproca fiducia tra impresa e soggetti pubblici e sindacali.

Il secondo periodo del comma 1, dell'art. 1 del progetto S-373 aggiunge che il CIPE, sentite le organizzazioni sindacali e di categoria, approva i programmi di emersione di cui al seguente articolo, 2, comma 4". Quest'ultima disposizione afferma che al fine di una compiuta ed efficiente attuazione dei piani di emersione, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e le organizzazioni sindacali e di categoria, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, il CIPE adotta programmi di coordinamento e incentivazione delle attività delle autonomie locali finalizzati al risanamento ambientale, al recupero dei siti inquinati ed alla riqualificazione urbana, anche al fine della regolarizzazione degli insediamenti produttivi esistenti". Tra queste due disposizione non v'è coordinamento: la prima dice che il CIPE approva i programmi di emersione di cui alla seconda disposizione; ma questa dà per scontata l'esistenza dei piani di emersione e affida al CIPE il compito di adottare altri programmi che possono supportare l'emersione, ma non ne costituiscono l'elemento fondamentale. Insomma, v'è da chiedersi chi dovrebbe predisporre i piani di emersione che poi spetta al CIPE approvare? Ovviamente, sarebbe paradossale arrivare a ritenere che ogni dichiarazione di emersione", di cui al comma 1 dell'art. 1 del progetto governativo, vada approvata dal CIPE: questa soluzione creerebbe un vincolo procedurale estremamente complesso e centralizzato contrario alla logica dei processi di emersione che, per essere efficaci, vanno materialmente governati in sede locale, pur nel quadro di un complesso di regole di tipo generale.

Altro aspetto singolare, è costituito dal fatto che le due disposizioni non operano alcuna selezione dei soggetti sindacali che vanno consultati. Questo è un punto di estrema importanza. L'esperienza dei contratti di riallineamento ha chiaramente messo in luce la necessità che i soggetti sindacali che in qualsiasi modo partecipano ai processi di emersione siano effettivamente rappresentativi: e ciò per evitare che l'emersione venga rivolta verso fini contrastanti con l'interesse pubblico e dei singoli lavoratori coinvolti nonché per impedire che il percorso dell'emersione legittimi aggiramenti degli obblighi legali e contrattuali. D'altra parte, solo soggetti sindacali effettivamente rappresentativi sono in grado di coniugare esigenze generali e particolari, allo scopo di favorire lo sviluppo delle imprese e la garanzia dei diritti fondamentali dei lavoratori.

Altro punto critico del progetto S-373 è quello della mancata previsione della possibilità di accedere ad una sanatoria per l'inadempimento degli obblighi in materia di sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, come invece è previsto per chi aderisce ad un contratto di riallineamento. Si tratta di una questione importante, perché è noto che il lavoro sommerso è quasi sempre caratterizzato dall'inosservanza di tali prescrizioni.

E' forse superfluo osservare che, per affrontare in modo penetrante la questione del lavoro sommerso, è necessario un articolato mix di misure incentivanti e repressive che sappiano adattarsi anche alle specifiche condizioni dei territori in cui si trovano ad operare.

Detto ciò, e quindi ribadita la valenza di un insieme di provvedimenti in grado di misurarsi con le variegare manifestazioni del lavoro sommerso, va rilevato che gli aspetti critici del progetto S-373 qui segnalati non devono fare dimenticare che l'esperienza applicativa del più importante provvedimento del genere finora emanato, cioè quella dei contratti di riallineamento, è stata costellata da (poche) luci e (molte) ombre. Infatti, è a tutti noto che i contratti di riallineamento non hanno avuto il successo sperato. Infatti, essi sono rimasti pressoché confinati nelle aree dove erano stati originariamente escogitati e la loro vicenda applicativa ha incontrato notevoli difficoltà.

In primo luogo, il legislatore non ha mai brillato per chiarezza: la normativa sui contratti di riallineamento si è sempre contraddistinta per un eccessiva complicazione, mai definitivamente eliminata, che ha esposto le imprese al timore di commettere errori applicativi e di incorre nelle gravi conseguenze e sanzioni previste.

Sotto questo profilo va fortemente criticato l'atteggiamento dei vari legislatori (e dei Governi) che pur dichiarando di volere combattere il lavoro sommerso, di fatto non hanno mai realizzato una delle precondizioni per il contrasto di tale fenomeno: la chiarezza delle norme o quantomeno la creazione di sistemi tali da diffondere quel minimo di fiducia indispensabile a qualsiasi processo di emersione e di sviluppo. E come si è detto, la disciplina dei contratti di riallineamento rappresenta il tipico esempio di un'azione di contrasto del lavoro sommerso solo apparente, ma contraddetta dalla dura realtà dei fatti.

Un eclatante esempio di tale situazione è rappresentato dal recente problema dell'applicazione dell'art. 116 della legge n. 388/2000. Infatti, benché i primi commentatori non hanno avuto dubbi che con tale disposizione fosse stata prevista la riapertura dei termini per la stipula di nuovi contratti collettivi di riallineamento e per l'adesione agli stessi, nella primavera di quest'anno s'è diffuso il panico, perché sembrava che l'INPS fosse sul punto di emanare una circolare secondo cui l'art. 116 riapriva i termini solo per l'adesione a contratti di riallineamento già in fase di applicazione. E quindi, secondo questa posizione, sarebbe stata impossibile la stipula di nuovi contratti collettivi di riallineamento che potessero permettere la migliore implementazione del nuovo sgravio contributivo introdotto dal citato art. 116 della legge n. 388/2000. Tale lettura non è solo eccessivamente restrittiva e contraria allo spirito della disposizione, ma di fatto la renderebbe del tutto inapplicabile: proprio perché l'enunciato prevede l'accesso dell'impresa ad uno sgravio contributivo di durata quinquennale, ma che decresce di anno in anno: il che presuppone l'adesione della medesima impresa ad un contratto di riallineamento appena stipulato e non ad uno già in fase terminale, come lo sono tutti quelli precedenti alla novella dell'art. 116 della legge n. 388/2000. Inoltre, tale soluzione, di fatto renderebbe impossibile all'impresa, che aderisca ad un contratto di riallineamento già in fase di applicazione, di usufruire del beneficio dell'applicazione graduale delle tariffe dei contratti nazionali, stante la circostanza che quasi tutti i contratti di riallineamento stanno terminando il programma di gradualità e raggiungendo i livelli salariali nazionali.

Tutto ciò ha così determinato un forte senso di disorientamento tra gli operatori, ha acceso conflitti tra le contrapposte organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori e il risultato pratico è stato quello di bloccare, salvo sporadici casi (ne risulta almeno uno), la stipula di nuovi contratti di riallineamento.

Peraltro, il legislatore ha mancato l'obiettivo di coordinare i vari strumenti che in modo diretto o indiretto stimolano l'emersione. Basti pensare al fatto che i datori del Mezzogiorno che assumono nuovi dipendenti godono di fortissimi sgravi contributivi (art. 8 della legge n. 407/1990; art. 3 della legge n. 448/1998) e, di recente, di un rilevante credito d'imposta (art. 7, della legge n. 388/2000). Questi due notevoli incentivi (che sono di applicazione automatica ed estremamente favorevoli) di fatto costituiscono una formidabile spinta per i datori di lavoro che utilizzano lavoro sommerso a non fare ricorso ai contratti di riallineamento, bensì a simulare nuove assunzione proprio per godere dei suddetti benefici. Tale situazione ha indotto esponenti del mondo politico e sindacale nonché gli operatori del settore a reclamare da tempo una novella legislativa che permettesse alle imprese, al termine del programma di riallineamento, di accedere ai benefici per le nuove assunzioni. In verità una disposizione del genere era stata prevista dall'art. 23 della legge n. 196/1997, ma è stata subito abrogata, perché in contrasto con l'art. 87 del Trattato della Comunità europea e con gli orientamenti comunitari in materia di aiuti all'occupazione e in materia di aiuti a finalità regionale, che rappresentano l'interpretazione della Commissione europea di tale disposizione comunitaria, per quanto concerne le questioni qui in esame. L'opposizione della Commissione europea riposa sull'affermazione secondo cui i lavoratori che emergono non sono nuovi assunti e quindi essi non rientrano nella tipologia degli aiuti alla creazione di nuovi posti di lavoro, che sono appunto quelli che concedono i benefici più intensi, ma soltanto nella categoria degli aiuti al mantenimento dell'occupazione (assimilati agli aiuti al funzionamento), che invece, a causa della loro capacità distorsiva della concorrenza, devono necessariamente avere una portata limitata.

Questo qui segnalato resta un problema aperto, che è nuovamente balzato alle cronache nella scorsa primavera in cui hanno cominciato a circolare varie voci circa una difformità di vedute tra l'INPS e lo stesso Ministro del lavoro. Tuttavia, va detto che la posizione della Commissione europea non appare del tutto condivisibile. Se attraverso l'emersione il lavoratore ottiene un posto di lavoro regolare, che prima non esisteva, allora non v'è tanta differenza con la creazione ex novo di un posto di lavoro: e quindi non si vede il motivo per cui escludere dal godimento degli aiuti alla creazione di nuovi posti di lavoro anche i lavoratori che giungano al termine di un processo di emersione. In effetti, se si analizzano le varie pronunce della Commissione europea si nota come essa adegui la sua interpretazione dell'art. 87 del Trattato e dei suoi stessi orientamenti alla specificità del caso concreto: cioè, v'è una forte discrezionalità nella scelta di come classificare un tipo di aiuto e quindi se autorizzarlo o meno, e in che misura consentirne l'applicazione. Sicché, pare evidente che la questione più che giuridica sia politica: ovvero quella del peso del Governo italiano nel riuscire a convincere la Commissione che i processi di emersione vanno favoriti mediante l'utilizzo degli incentivi disponibili nella loro potenzialità massima.

Altro problema collegato a quelli qui accennati, è se l'impresa in riallineamento, che effettua nuove assunzioni, possa accedere ai relativi benefici per i nuovi assunti. Qui la posizione dell'INPS è espressamente in senso negativo: l'Istituto richiede come condizione, per il godimento dei suddetti benefici (in particolare lo sgravio triennale di cui all'art. 3 della legge n. 448/1998), l'applicazione del contratto nazionale di lavoro (cfr. circolare 27 giugno 2000, n. 122, punto 7). Tuttavia, anche questa opinione non appare condivisibile. Infatti, alla stregua del penultimo periodo del comma 1 dell'art. 5 della legge n. 608/1996 ai contratti di riallineamento è riconosciuta validità pari a quella attribuita ai contratti collettivi nazionali di lavoro di riferimento quale requisito per l'applicazione a favore delle imprese di tutte le normative nazionali e comunitarie". E quindi se il contratto di riallineamento ha validità pari al contratto nazionale, è inevitabile ritenere che laddove la legge imponga l'applicazione di quest'ultimo, l'impresa aderente ad un contratto di riallineamento possa invece applicare proprio questo. D'altra parte, l'applicazione ai nuovi assunti del contratto di riallineamento è logicamente collegata al fatto che l'impresa non ha terminato il processo di regolarizzazione delle retribuzioni corrisposte ed è partita da tariffe inferiori a quelle dei contratti nazionali. Se non fosse così, si creerebbe la singolare situazione per cui, nella stessa azienda, potrebbero trovare applicazione trattamenti contrattuali differenziati.

Comunque, in via conclusiva, vanno sottolineati alcuni aspetti.

Il primo è che il progetto S-373 appare animato da ottime intenzioni, anche se necessita di essere adeguatamente reso più funzionale sul piano operativo. In particolare, si ribadisce l'importanza di disegnare specifiche modalità di azione per le aree del Mezzogiorno. La strada di permettere la convivenza (anche se temporanea) tra il meccanismo del progetto S-373 e i contratti di riallineamento non sembra opportuna: perché ciò può solo determinare confusione e incertezza tra i soggetti interessati.

D'altra parte, appare troppo breve il termine del 30 novembre 2001, entro cui si può presentare la dichiarazione di emersione e accedere al particolare regime agevolato del progetto S-373. Se si intende offrire a tutti un favorevole e unica possibilità di emergere, per poi intensificare l'azione di controllo e repressione (cfr. l'art. 1, comma 6 del progetto), allora appare necessario una preliminare e diffusa opera di pubblicizzazione dei vantaggi delle soluzioni offerte e dei pericoli per chi decide di restare sommerso.

In via d'urgenza, il neonato Governo Berlusconi avrebbe già potuto intervenire, con apposito decreto-legge, sulla disciplina dei contratti di riallineamento per risolvere alcuni dei dubbi qui accennati, per semplificare veramente la normativa in vigore e per stimolare le Parti Sociali alla stipula di nuovi accordi nonché le imprese all'adesione agli stessi. Purtroppo, la data del 3 ottobre 2001 (giorno in cui scade la possibilità di avvalersi del nuovo regime dell'art. 116 della legge n. 388/2000) è ormai alle porte.

Di conseguenza, una volta approvato il progetto S-373, la soluzione praticabile, nell'immediato futuro, potrebbe essere quella di concedere per le aree del Mezzogiorno un agevolazione aggiuntiva rispettando la regola del de minimis (che non necessità di autorizzazione della Commissione europea). Ma poi si dovrà avere il coraggio di proporre e di concordare con Bruxelles politiche mirate a risolvere i problemi occupazionali (e quindi anche riguardanti la diffusione del lavoro sommerso) del Mezzogiorno d'Italia.

 

[1]   Il presente scritto costituisce la relazione svolta al Convegno sul tema Le politiche di emersione dal lavoro sommerso: i contratti di riallineamento retributivo e la riforma del sistema sanzionatorio”, svoltosi a Palermo il 13 luglio 2001, e organizzato dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Palermo e dall’Ordine Consulenti del Lavoro di Palermo.