Violazione del divieto ex art. 2105 c.c.

  • Il licenziamento intimato al lavoratore per violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. – avendo questi prodotto in giudizio fotocopie di documenti aziendali – è illegittimo, stante la prevalenza del diritto alla difesa rispetto alle esigenze di segretezza aziendali, così come sancito anche dalla normativa che tutela il diritto alla riservatezza. (Cass. 7/12/2004 n. 22923, Pres. Mileo Est. De Renzis, in D&L 2005, con nota di Andrea Bordone, “Sul licenziamento per produzione in giudizio di documentazione aziendale”, 223)
  • Lo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze di una impresa concorrente con il datore di lavoro può configurare la violazione del divieto di cui all'art. 2105 c.c., sotto il profilo del divieto della "trattazione di affari per conto terzi in concorrenza con l'imprenditore", solo ove tale concorrenza consista in atti rientranti in prestazioni di carattere intellettuale di notevole autonomia e discrezionalità, dato che proprio coloro che fanno parte del personale impiegatizio più altamente qualificato sono in grado - al di fuori dell'ipotesi di divulgazione di notizie riservate o di metodi di lavoro peculiari - di porre in essere quella concorrenza piu' intensa che il legislatore ha inteso reprimere (nel caso di specie di una lavoratrice con contratto di formazione a part-time, addetta all'immissione di dati in computer, che per realizzare una retribuzione sufficiente ex art. 36 Cost., aveva svolto la stessa attività esecutiva presso azienda concorrente del datore di lavoro, la Suprema Corte ha ritenuto insussistente la violazione dell'obbligo di fedeltà invocato dalla prima azienda oltre che sul principio di diritto sopra enunciato anche sulla base della ragionevole considerazione per cui una "lavoratrice con mansioni esecutive non può certo ritenersi vincolata ad espletare le corrispondenti attitudini in imprese aventi attività completamente distinte da quelle della datrice di lavoro e quindi non in concorrenza con la stessa, in quanto risulterebbe ingiustificatamente ristretta la possibilità di impiego di lavoratrice avente già, in ragione del modesto livello professionale, occasioni di lavoro limitate") (Cass. 26/10/01, n. 13329, pres. Spanò, est. Vigolo, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 138, con nota di Canali De Rossi, Part-time caratterizzato da mansioni esecutive ed obbligo di fedeltà: elementi per ravvisare gli estremi della illegittima concorrenza)
  • L'utilizzo da parte del lavoratore, per la produzione in giudizio, di documentazione aziendale a fini, non già di screditare l'azienda, ma solo per supportare le proprie pretese, costituisce violazione dei doveri di lealtà e correttezza verso l'azienda imposti al lavoratore dall'art.2105 c.c., ma non divulgazione di notizie riservate aziendali a terzi - anche in ragione della ristretta cerchia (giudice e difensori, tenuti al segreto d'ufficio) dei destinatari della cognizione della documentazione prodotta - abuso ed infrazione sanzionabile disciplinarmente ma non con la massima sanzione espulsiva, per asserita e presunta vulnerazione del vincolo fiduciario. Infatti i principi asseriti dalla Cassazione (nelle decisioni n. 10591/91, n. 2560/93 e n. 4328/96), seppur condivisibili, vanno contemperati con il più ampio criterio della valutazione della gravità dell'inadempimento del lavoratore, atteso che il giudice del merito, adito per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento per giusta causa,deve necessariamente procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione, rispetto alla gravità della mancanza del lavoratore; e tale valutazione - che si risolve in un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione adeguata e logica - va condotta non già in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, non solo inquadrando l'addebito nelle specifiche modalità del rapporto, ma anche tenendo conto della natura del fatto contestato, da esaminare non solo nel suo contenuto obiettivo ma anche in quello soggettivo ed intenzionale, nonché di tutti gli altri - elementi idonei a consentire l'adeguamento della disposizione normativa dell'art. 2119 c.c. - richiamato dall'art. 1, l. 15/7/66, n. 604 - alla fattispecie concreta (giurisprudenza consolidata della Corte, per la quale cfr. tra le tante, la sentenza 2/2/00, n. 1144) (Cass. 25/10/01, n. 13188, pres. Saggio, est. Mammone, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 151)
  • Rientra nei combinati obblighi di diligenza, ai sensi dell'art. 2104 c.c., e di fedeltà, ai sensi dell'art. 2105 c.c., di un dipendente dotato di particolari responsabilità nella scala gerarchica (nella specie, vicedirettore della filiale di una banca), allertare il datore di lavoro, in persona degli ulteriori superiori gerarchici o degli organi ispettivi, delle gravi irregolarità commesse dal suo immediato superiore gerarchico. L'inosservanza di tale obbligo può costituire di per sé, secondo la gravità del caso, soggetta alla valutazione del giudice di merito, anche giustificato motivo soggettivo o giusta causa di licenziamento. (Cass.8/6/2001, n. 7819, Pres. Trezza, Rel. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2003, 351)
  • L'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c. e quelli, ad esso collegati, di correttezza e buona fede, cui è tenuto il dipendente nell'esecuzione del contratto di lavoro devono essere riferiti esclusivamente ad attività lecite dell'imprenditore, non potendosi certo richiedere al lavoratore l'osservanza di detti obblighi, nell'ambito del dovere di collaborazione con l'imprenditore, anche quando quest'ultimo intenda perseguire interessi illeciti (nella specie, la sentenza impugnata, confermata sul punto dalla S.C., aveva escluso che costituisse inadempimento dei suddetti obblighi l'aver un lavoratore fotocopiato la distinta di una spedizione di merce venduta a terzi dalla società datrice di lavoro senza la relativa documentazione fiscale e l'aver poi trasmesso la suddetta fotocopia alla Guardia di finanza, la quale aveva avviato un accertamento fiscale nei confronti dell'azienda) (Cass. 16/1/01, n. 519, pres. Trezza, est. Lamorgese, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 453, con nota di Di Paola, Una interessante pronuncia della Cassazione in tema di obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro; in Lavoro giur. 2001, pag. 648, con nota di Banzola, Obbligo di fedeltà e attività illecita del datore di lavoro; in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 367)
  • Non costituisce violazione dell’obbligo di fedeltà o non concorrenza aver trattato affari per conto di un’impresa concorrente di una società del gruppo, non avendo il c.d. "gruppo" nessuna rilevanza giuridica, in materia di controversie relative ai rapporti di lavoro, e non potendosi dunque far rivivere questo soggetto "economico" al solo fine di pretendere, anche se indirettamente, obblighi nei suoi confronti (nella fattispecie il lavoratore – addetto alla vendita di autovetture – era stato licenziato per aver utilizzato, in un’operazione di finanziamento di una vendita rateale, un’impresa concorrente della società finanziaria del gruppo, ricevendo dalla stessa impresa una somma di danaro a titolo di provvigione) (Pret. Milano 17/2/97, est. Curcio, in D&L 1997, 831)