In genere

  • Anche la lavoratrice domestica che dia le dimissioni nel periodo tutelato di maternità ha diritto alla NASPI. La ricorrente, assunta come collaboratrice familiare, si è dimessa durante il periodo di maternità per prestare le cure occorrenti alla figlia e ha presentato domanda di NASPI, avendo maturato i relativi requisiti contributivi ed occupazionali. La prestazione è stata negata dall’INPS in sede amministrativa, ritenendo che la lavoratrice domestica non rientrerebbe nell’ambito applicativo degli artt. 54 e 55 del T.U. maternità del 2001. Il Tribunale accoglie il ricorso della lavoratrice, valorizzando il combinato disposto dell’art. 1, secondo comma, del T.U. maternità, che fa salve le condizioni di maggior favore stabilite da altre disposizioni, e dell’art. 25 del C.C.N.L. di riferimento, che al comma 3 sancisce il medesimo divieto di licenziamento di cui agli artt. 54 e 55 del Testo Unico: l’interpretazione a sostegno del diritto della lavoratrice domestica madre viene adottata anche in considerazione del generale divieto di discriminazioni posto dall’art. 3 dello stesso d.lgs. 151/2001. (Trib. Lodi 30/6/2023, Giud. Manfredi, in Wikilabour, Newsletter n. 12/23)
  • La sussistenza di un legame meramente affettivo tra le parti, estraneo all’ambito familiare (ossia, ai vincoli di coniugio, parentela o affinità), non rende operante alcuna presunzione di gratuità della prestazione di lavoro (nella specie, domestico). (Cass. 16/6/2015 n. 12433, Pres. Vidiri Est. Venuti, in Riv. It. dir. lav. 2016, con nota di Roberto Voza, “Lavoro domestico e presunzione di gratuità: non basta l’affetto”, 150)
  • Per l’individuazione del datore di lavoro, al criterio dell’appareza del diritto il giudice deve preferire il criterio dell’effettività del rapporto, in quanto la subordinazione è la soggezione del lavoratore all’altrui effettivo potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare. (Nella specie, una lavoratrice aveva reso prestazioni domestiche in favore di un’anziana, ma, nel corso del rapporto, aveva sempre osservato le direttive della di lei figlia, da questa percependo la retribuzione; la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito, correggendone tuttavia la motivazione, nel senso che la legittimazione passiva della figlia era fondata sull’effettività del potere direttivo da lei esercitato e non – come ritenuto dal giudice territoriale – sull’apparenza giuridica determinata dalla sua condotta). (Cass. 5/3/2012 n. 3418, Pres. De Luca Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2012, 504)
  • Lo scambio di lavoro domestico, reso da una straniera estranea alla famiglia, contro vitto, alloggio e retribuzione pecuniaria, sia pur modesta dà luogo a un rapporto di lavoro subordinato, ove non risultino tutti gli elementi del rapporto cosiddetto alla pari, richiesto dalla l. n. 304/1973. (Cass. 21/12/2010 n. 25859, Pres. Roselli Est. De Renzis, in Lav. nella giur. 2011, 316)
  • La presunzione di onerosità di qualsiasi attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato, basata sui criteri della normalità, dell'apparenza e della buona fede, ispirati alla tutela del ragionevole e legittimo affidamento della parte interessata, può essere superata esclusivamente con una prova rigorosa del contenuto di una diversa relazione tra le parti. Nel caso di specie, non è in contestazione l'espletamento di prestazioni oggettivamente configurabili come tipiche del lavoro domestico, potendo essere esclusa la sussistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato, solo dall'accertamento in concreto di una situazione tale da raffigurare un diverso rapporto tra le parti, privo del carattere di onerosità. In particolare, la circostanza dello svolgimento di attività extralavorative, non è incompatibile con il vincolo della subordinazione. (Cass. 7/8/2008 n. 21365, in Orient. giur. lav. 2008, 79) 
  • Al personale addetto ai lavori domestici, in ispecie se con funzioni direttive in quanto preposto alla sovrintendenza del lavoro degli altri addetti alla casa, non spetta il compenso per lavoro straordinario, escluso espressamente dall'art. 1 del r.d.l. n. 692 del 1923, disposizione da ritenersi, in mancanza di espressa o implicita abrogazione (che si realizza in caso di nuova completa disciplina della materia), pienamente vigente, restando sconosciuto, nel nostro ordinamento, il principio di desuetudine delle norme scritte. La durata dell'impegno, peraltro, è idonea a integrare un ulteriore parametro per la determinazione della retribuzione adeguata ai sensi dell'art. 36 Cost., dovendosi, a tal fine, tenere pure conto della possibile esistenza di periodi di attesa e della conseguente effettiva continuità dell'attività lavorativa del personale e del correlato nimpegno di direzione. (Nella specie, relativa all'attività di maggiordomo o capo cameriere presso un palazzo principesco, la S.C., nel riformare la sentenza, ha rilevato che nel nostro sistema, di diritto scritto, non può essere invocata la desuetudine per ritenere inapplicabile una pur risalente disposizione, ferma la possibile rilevanza del maggior impegno ai fini dell'art. 36 Cost.). (Cass. 9/6/2008 n. 15150, in Orient. giur. lav. 2008, 79)
  • In tema di lavoro domestico, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l'accertamento degli elementi, che rivelano l'effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni a uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'esistenza di subordinazione in considerazione della natura del tutto sporadica e occasionale dell'attività, espletata dal lavoratore in assenza di ordini specifici e di un costante controllo datoriale). (Cass. 27/7/2007 n. 16681, Pres. Sciarelli Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2008, 191, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8, e in Orient. giur. lav. 2008, II, 69) 
  • L'attività lavorativa e di assistenza svolta all'interno di un contesto familiare in favore del convivente more uxorio trova di regola la sua causa nei vincoli di fatto di solidarietà ed effettività esistenti, alternativi rispetto ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, qual è il rapporto di lavoro subordinato; ciò non esclude che talvolta le prestazioni svolte possano trovare titolo in un rapporto di lavoro subordinato, del quale il convivente superstite deve fornire prova rigorosa, e la cui configurabilità costituisce valutazione in fatto, come tale demandata al giudice di merito e non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda della ricorrente volta a ottenere dagli eredi il trattamento economico a titolo di lavoro domestico non corrispostole dal defunto convivente, sulla base delle risultanze probatorie escludenti il vincolo di subordinazione e attestanti, tra l'altro, che tra i due esisteva una relazione sentimentale, sfociata dopo anni di frequentazione a distanza in una prolungata convivenza, e che l'attrice veniva presentata abitualmente come compagna del convivente e trascorreva abitualmente le vacanze in località di villeggiatura come il defunto convivente). (Cass. 15/3/2006 n. 5632, in Orient. giur. lav. 2008, II, 70, e in Giust. civ. Mass. 2006, 3)
  • Il puro e semplice svolgimento di lavoro casalingo nell'adempimento dell'obbligo, nascente dal matrimonio, di contribuire al mantenimento della famiglia, non configura partecipazione di un coniuge all'impresa familiare gestita dall'altro coniuge. (Cass. 16/12/2005 n. 27839, in Orient. giur. lav. 2008, II, 70) e in RIDL 2006, 4, 864)
  • Alla stregua dell'art. 1, L. 2 aprile 1958 n. 339, l'elemento caratterizzante il rapporto di lavoro domestico è la prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare, e ciò trova conferma nell'art. 1, d.P.R. 31 dicembre 1971 n. 1403, recante la disciplina dell'obbligo delle assicurazioni sociali nei confronti dei lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, che, ai fini dell'individuazione dei lavoratori nei confronti dei quali è applicabile il suddetto decreto, fa rifeimento allo svolgimento di mkansioni finalizzate al funzionamento della vita familiare. (Nella specie la Corte cass. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il nesso funzionale diretto con i servizi domestici e familiari nell'attività avente a oggetto l'assistenza di minore portatore di handicap psicofisici svolta in ambito scolastico e in collaborazione con l'insegnante di sostegno, sottolineando altresì che tale attività veniva svolta fuori dall'abitazione della datrice di lavoro e concludendo per l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato non domestico, sottratto al regime di cui all'art. 4, d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403). (Cass. 1/4/2005 n. 6824, in Orient. giur. lav. 2008, II, 70, e in Giust. civ. Mass. 2005, 4)
  • E' riconducibile a un rapporto di lavoro subordinato di tipo domestico e non a un rapporto di mera cortesia, la continuità di una prestazione lavorativa negli anni, con una costante presenza in casa e l'osservanza di un orario regolare. (Nella specie, il lavoro esplicato è consistito nella pulizia e cura della casa al mattino, nella compagnia e accompagnamento di una persona anziana nel pomeriggio). (Corte app. Ancona 22/12/2003, in Orient. giur. lav. 2008, II, 71, e in Dir e lav. Marche, 2004, 82)
  • L'individuazione dell'esistenza di un rapporto di lavoro domestico si basa su parametri individuati dall'interpretazione giurisprudenziale. La sussistenza di un rapporto di lavoro domestico comporta, nel caso di recesso, l'applicazione della disciplina del licenziamento ad nutum, con l'unica limitazione rappresentata dall'obbligo di preavviso. Non sussiste pertanto obbligo a carico del datore di lavoro di risarcire il danno alla lavoratrice licenziata. (Corte d'appello Torino 11/6/2003, Pres. Peyron Est. Grillo Paquarelli, in Lav. nella giur. 2004, 86)
  • Rientra nello schema di contratto a favore di terzo il contratto di lavoro domestico stipulato dalla figlia del beneficiario avente per oggetto la cura della persona e della casa del padre, persona cieca ed anziana; sussiste pertanto la legittimazione passiva in capo alla stipulante in relazione all'adempimento degli obblighi contrattuali. (Trib. La Spezia 1/8/2002, Est. Panico, in D&L 2002, 939, e in Orient. giur. lav. 2008, II, 71)
  • E' inammissibile la q.l.c. dell'art. 4 d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403, censurato, in riferimento agli artt. 3, 37 e 38 Cost., nella parte in cui subordina il diritto all'indennità di maternità delle addette ai servizi domestici alla condizione che, per la lavoratrice interessata, risultino versati o dovuti dal datore di lavoro cinquantadue contributi settimanali nel biennio oppure ventisei nell'anno precedente il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, in quanto il condizionamento di tale diritto al requisito contributivo, è elemento non isolabile della complessa disciplina che regola la prestazione in oggetto, con riguardo sia alla specificità del rapporto di lavoro domestico, sia alle caratteristiche del rapporto previdenziale che da questo deriva, con la conseguenza che un intervento di questa Corte, altererebbe la coerenza del sistema rendendolo inapplicabile nel suo complesso, se fosse limitato alla disposizione censurata, mentre costituirebbe una indebita intromissione nei poteri del legislatore se si esplicasse con una sentenza additiva. (Corte Cost. 12/7/2002 n. 334, in Orient. giur. lav. 2008, 80, e in Giur. Cost. 2002, 2562)
  • Il coniuge che svolge attività di lavoro familiare in favore del titolare di impresa ha diritto alla tutela prevista dall'art. 230 bis c.c. (al pari degli altri soggetti indicati dal comma 3 di tale articolo), anche se l'impresa sia esercitata non in forma individuale ma in società di fatto con terzi, in tale ipotesi applicandosi la disciplina di cui al citato articolo 230 bis c.c. nei limiti della quota societaria. (Cass. 19/10/2000 n. 13861, in Orient. giur. lav. 2008, II, 71) 
  • Il mero svolgimento di mansioni domestiche da parte del coniuge di un imprenditore, costituendo adempimento degli obblighi e dei doveri che, ex art. 143 c.c., derivano dal matrimonio, non è sufficiente a dare luogo a una impresa familiare, a meno che lo svolgimento di mansioni domestiche non risulti strettamente correlato e finalizzato alla gestione aziendale, in quanto funzionale e strumentale all'attuazione della finalità di produzione o scambio di beni o servizi. (Cass. 19/2/1997 n. 1525, in Orient. giur. lav. 2008, II, 71, e in Dir. Famiglia, 2000, 21)
  • Quando si sostiene un rapporto di lavoro subordinato tra coniugi, la prova del vincolo della subordinazione deve essere rigorosa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata - che aveva rigettato la domanda proposta dalla ricorrente contro l'Inps, al fine di poter fruire del trattamento di cassa integrazione straordinaria in relazione a un rapporto di lavoro con ditta calzaturiera del marito - motivata con il rilievo che la prova testimoniale, peraltro per taluni aspetti poco attendibile, se aveva confermato la collaborazione dell'interessata nell'azienda del coniuge, non era idonea a dimostrare la subordinazione, in difetto di puntuali riferimenti alle concrete modalità della prestazione lavorativa). Cass. 9/8/1996 n. 7378, in Orient. giur. lav. 2008, II, 72, e in Giust. civ. Mass. 1996, 1150)
  • La prestazione di opera personale resa in favore di familiari conviventi in ambito estraneo a quello domestico può dar luogo a un rapporto di subordinazione lavorativa, che deve essere provato da chi lo invoca, mediante la dimostrazione dell'assoggettamento al potere direttivo del familiare quale datore di lavoro, senza che al fine di tale prova rilevi di per sé l'erogazione di vitto e alloggio da parte del parente, potendo tale erogazione costituire sia espressione di un patto di reciproca assistenza che trattamento corrispettivo di un lavoro subordinato. (Cass. 6/8/1996 n. 7185, in Orient. giur. lav. 2008, II, 72)
  • E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 7, comma 2 e 3, e 35, L. 20 maggio 1970 n. 300 (norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nonché dell'art. 4, L. 11 maggio 1990 n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali), nella parte in cui si esclusono l'applicabilità al rapporto di lavoro domestico delle procedure per l'irrogazione di sanzioni disciplinari. (Corte Cost. 26/5/1995 n. 193, in Orient. giur. lav. 2008, II, 72, e in Riv. it. dir. lav. 1995, II, 731)
  • Si presumono gratuite le prestazioni di collaboratrice domestica rese tra persone facenti parte di una comunità familiare, legate da vincoli di parentela, affinità o coniugio, sicché l'esistenza di un rapporto di lavoro in senso stretto, dotato delle caratteristiche della subordinazione e dell'onerosità deve essere dimostrata da chi intenda far valere diritti derivanti dal rapporto stesso. (Cass. 12/5/1995 n. 5197, in Orient. giur. lav. 2008, II, 72, e in Informazione previd. 1995, 1221)
  • Per negare che le prestazioni lavorative svolte nell'ambito di un gruppo parentale diano luogo a un rapporto di lavoro subordinato o di parasubordinazione, occorre accertare l'esistenza di una partecipazione costante dei vari membri alla vita e agli interessi del gruppo, ossia uno stato di mutua solidarietà e assistenza, dovendo in difetto di ciò, specie quando le prestazioni lavorative siano svolte al di fuori della comunità familiare, escludersi l'ipotesi del lavoro gratuito, la cui presunzione, peraltro, non opera quando i soggetti non sono conviventi sotto il medesimo tetto ma in unità abitative autonome e distinte. (Cass. 14/12/1994 n. 10664, in Orient. giur. lav. 2008, II, 73, e in Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 12) 
  • Il lavoro domestico può qualificarsi come subordinato a condizione che il prestatore dimostri di essere pienamente assoggettato al potere direttivo del datore di lavoro (nella specie, il prestatore ha escluso la natura subordinata della prestazione, nonostante la lavoratrice avesse percepito la tredicesima mensilità e il t.f.r., non avendo esso offerto tale prova). (Pretura Roma 6/10/1994, in Orient. giur. lav. 2008, II, 73, e in Riv. it. dir. lav. 1995, II, 514)
  • La questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, L. 30 dicembre 1971, n. 1204 sollevata, con riferimento agli artt. 3, 4, 29, 31, 35 e 37, Cost., sotto il profilo che esso non prevede, con le modalità convenienti alla specialità del rapporto di lavoro delle lavoratrici domestiche, che a queste sia assicurato un trattamento di previdenza e assistenza in caso di gravidanza o puerperio, analogo a quello previsto per le altre lavoratrici, è inammissibile trattandosi di materia riservata alla discrezionalità del legislatore. (Corte Cost. 15/3/1994 n. 86, in Orient. giur. lav. 2008, 80, e in Riv. it. dir. lav. 1994, II, 439)
  • Nel caso di prestazioni lavorative tra parenti e affini, il difetto della convivenza - la quale comporta solo una presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative, superabile dalla prova, da parte del prestatore, della sussistenza della subordinazione - non esime la parte che deduce la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dall'onere di provare, in caso di contestazione, tutti gli elementi costitutivi di tale rapporto, cioè l'obbligatorietà e continuità della prestazione lavorativa e, con l'inserimento del prestatore d'opera nella struttura organizzativa dell'impresa, il vincolo di subordinazione dello stesso al potere disciplinare, direttivo e organizzativo del beneficiario della prestazione. (Cass. 17/7/1991 n. 7920, in Orient. giur. lav. 2008, II, 73, e in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 5) 
  • La prova che le prestazioni lavorative fra conviventi more uxorio, le quali possono essere rese anche per cortesia o a titolo gratuito, sono invece riconducibili a un contratto di lavoro subordinato deve essere fornita dal soggetto che invoca la sussistenza del relativo rapporto e l'accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. (Cass. 29/5/1991 n. 6083, in Orient. giur. lav. 2008, 73)
  • Per negare che le prestazioni lavorative svolte nell'ambito di un gruppo parentale diano luogo a un rapporto di lavoro subordinato o di parasubordinazione, occorre accertare l'esistenza di una partecipazione costante dei vari membri alla vita e agli interessi del gruppo, ossia uno stato di mutua solidarietà e assistenza, dovendo in difetto di ciò, specie quando le prestazioni lavorative siano svolte nell'ambito di un'attività professionale esercitata al di fuori della comunità familiare, escludersi l'ipotesi del lavoro gratuito, la cui presunzione peraltro non opera quando i soggetti non sono conviventi sotto il medesimo tetto ma in unità abitative autonome e distinte. (Cass. 10/7/1990 n. 7185, in Orient. giur. lav. 2008, 74)
  • In caso di prestazioni lavorative di specie domestica, ove debba escludersi la presunzione di gratuità, operante quando le medesime intercorrono fra stretti congiunti e abbiano come ambito consueto di svolgimento una comunità familiare caratterizzata dalla convivenza dei suoi componenti, non opera ipso iure una presunzione di contrario contenuto, indicativa cioè dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, per il cui riconoscimento è pur sempre necessaria la dimostrazione, da parte di colui che faccia valere diritti derivanti dal rapporto stesso, dei requisiti indefettibili dell'onerosità e della subordinazione. (Cass. 30/3/1990 n. 2597, in Orient. giur. lav. 2008, 74)
  • Il principio dell'adeguatezza della retribuzione in relazione alla quantità e qualità della prestazione lavorativa (art. 36 Cost.) è applicabile anche nel caso di rapporto di lavoro (nella specie, domestico) a orario ridotto. (Cass. 10/2/1989 n. 834, in Orient. giur. lav. 2008, 80)
  • Il carattere parafamiliare di una comunità religiosa conventuale comporta che l'attività di cuoca e di addetta alle pulizie, svolta alle dipendenze della comunità stessa, configura un rapporto di lavoro domestico (con correlativa inapplicabilità dei parametri retributivi della disciplina collettiva del settore turistico o alberghiero), ancorché tale comunità, fuori del perseguimento di qualsiasi fine di lucro, ospiti saltuariamente altre persone, in aggiunta ai religiosi e ai "seminaristi" (anch'essi inseriti nella stessa comunità, per limitati periodi dell'anno, per ragioni di vocazione e di studio), avendo detta ipotesi rilievo preminente, ai fini dell'inquadramento del rapporto di lavoro, la prestazione principale, espletata nell'esclusivo interesse della comunità religiosa, e non i compiti accessori svolti in favore degli ospiti estranei. (Cass. 6/9/1988 n. 5049, in Orient. giur. lav. 74, e in Riv. it. dir. lav. 1989, II, 44)
  • Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 1 e 14, L. 2 aprile 1958, n. 339 (sulla tutela del lavoro domestico), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. in quanto assicura un trattamento retributivo minimo orario inderogabile solo ai lavoratori domestici che prestino almeno quattro ore di lavoro giornaliero, praticando, ai lavoratori che effettuano meno di quattro ore lavorative giornaliere, un trattamento deteriore in base a una distinzione che sarebbe irragionevole e contraria alla normativa costituzionale di raffronto. Secondo il giudice a quo nei casi di orario lavorativo inferiore alle quattro ore giornaliere non spetterebbe la tutela legale minima, in forza dell'art. 1 Legge n. 339 del 1958, in violazione del principio sancito dall'art. 36, comma 1, Cost. poiché se la quantità del lavoro per i lavoratori retribuiti a ore, è espressa (come nel caso di specie) dal numero delle ore effettuate, non pare ragionevole discriminare il trattamento retributivo, distinguendo tra chi abbia effettuato almeno quattro ore al giorno e chi abbia effettuato, forse più gravosamente, meno di quattro ore al giorno. (Corte Cost. 23/12/1987 n. 585, in Orient. giur. lav. 2008, 80)
  • Nel rapporto di lavoro domestico, il servizio può essere esteso anche al di fuori dell'ambito strettamente domestico, purché si svolga per soddisfare un bisogno del datore di lavoro e non costituisca strumento dell'attività professionale di costui, specie quando dalla utilizzazione del servizio stesso esulino finalità di lucro del datore di lavoro. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che aveva omesso di valutare se, in applicazione di tale principio, non andasse inquadrata come lavoro domestico un'attività di pulizia, e altre minori e collaterali, relative a oggetti facenti parte di una raccolta-museo sita nella privata dimora del datore di lavoro. (Cass. 8/7/1987 n. 5969, in Orient. giur. lav. 2008, 75)
  • Le prestazioni d'opera rese nell'ambito familiare, pur essendo oggettivamente qualificabile come prestazioni di lavoro domestico, si presumono gratuite, con esclusione, quindi, della configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, salvo che chi invochi la sussistenza di quest'ultimo non provi il carattere dell'onerosità, che consiste nell'obbligo giuridico del beneficiario delle prestazioni di corrispondere una retribuzione quale sinallagma del lavoro svolto dalla controparte, mentre rimane irrilevante la fornitura del vitto e dell'alloggio e di ulteriori utilità (vestiario, divertimento, piccole spese) che è da considerare come naturale e intrinseco aspetto della solidarietà affettiva e della mutua assistenza tra persone legate da vincolo di consanguineità. (Cass. 21/8/1986 n. 5128, in Orient. giur. lav. 2008, 75)
  • Il rapporto di lavoro subordinato domestico, che abbia a oggetto una prestazione continuativa di durata inferiore a quattro ore giornaliere, non è soggetto alla normativa dettata dalla L. 2 aprile 1958, n. 339, ma rimane disciplinato da tutte quelle disposizioni preesistenti (art. 2240 ss. c.c.; L. 27 dicembre 1953, n. 940) che non richiedono - quale requisito essenziale - una particolare durata della prestazione lavorativa, e per esso comunque trova in ogni caso applicazione il generale principio della retribuzione sufficiente di cui all'art. 36 Cost. (Cass. 23/10/1985 n. 5211, in Orient. giur. lav. 2008, 75)
  • La continuità delle prestazioni - che, insieme con la subordinazione e l'assenza di rischio economico per il prestatore di lavoro, costituisce uno degli elementi caratteristici del rapporto di lavoro subordinato - deve essere intesa in senso relativo. Pertanto, perché essa sussista, è sufficiente la persistenza nel tempo dell'obbligo, per il lavoratore, di compiere determinate attività e di mantenere a disposizione del datore di lavoro la propria energia lavorativa, le cui modalità di esplicazione possono manifestarsi variamente in relazione alle esigenze dell'impresa e alla natura delle mansioni, mentre la durata delle mansioni è, di regola, irrilevante, tranne che l'impegno sia tanto ridotto e saltuario da essere realmente incompatibile con la natura del lavoro subordinato. (Nel caso di specie, relativo a lavori domestici, la Suprema Corte ha ritenuto errata la decisione del Tribunale, che aveva escluso la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato per il solo fatto che le prestazioni - che non era stato neppure dimostrato si svolgessero in giorni fissi - venivano effettuate due volte la settimana e per due o tre ore al giorno). (Cass. 20/9/1979 n. 4855, in Orient. giur. lav. 2008, 77, e in Foro it. 1982, II, 248)