In genere

  • L'amministratore unico può agire in giudizio nei confronti della società quando non gli viene corrisposto il corrispettivo per la propria attività e l'onere di provare l'inesistenza della delibera assembleare sulla quale si fonda il diritto al compenso spetta alla società e non all'amministratore, poiché l'inesistenza della delibera non è fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio ma è fatto impeditivo dello stesso, da eccepirsi e quindi da provarsi dal soggetto (la società) che ne sostiene l'inesistenza. (Cass. 9/11/2010 n. 22738, Pres. Miani Canevari Est. Di Cerbo, in D&L 2010, 1140)
  • La sussistenza dei requisiti di abitualità e prevalenza della partecipazione all’attività aziendale sono individuabili, la prima nella perdurante cadenza della presenza del lavoratore mentre la seconda va verificata in base all’incidenza dell’apporto del lavoratore sulla normale attività, ma tenendo conto dell’eventuale diverso e concorrente impegno lavorativo del soggetto. Per i soggetti pensionati, pacificamente escluso un diverso impegno lavorativo assicurato, deve necessariamente concludersi per la prevalenza di quello lavorativo autonomo, a prescindere dalla sua stessa entità. (Trib. Forlì 19/5/2010, Giud. Angelini Chesi, in Lav. Nella giur. 2011, con commento di Domenico Mesiti, 309)

  • E' costituzionalmente illegittimo, per l'intrinseca contraddittorietà con la ratio stessa della norma, l'intero art. 86, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 recante attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. [L'illegittimità costituzionale è dichiarata sia nella parte in cui la disposizione non prevede che le collaborazioni coordinate e continuative mantengano la loro efficacia anche oltre la scadenza di legge e fino alla scadenza contrattuale originariamente prevista (profilo oggetto della censura del remittente) sia nella parte in cui essa consente agli accordi sindacali stipulati in sede aziendale di stabilire termini diversi per la cessazione degli effetti delle collaborazioni coordinate e continuative, nel testo in vigore sia prima che dopo la modifica apportata dall'art. 20 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di occupazione e mercato del lavoro)]. (Corte Cost. 1/12/2008 n. 399, Pres. Flick Red. Mazzella, in Dir. e prat. lav. 2009, 173) 
  • Le prestazioni rese da un avvocato su incarico di un patronato possono consistere sia nella consulenza resa agli iscritti e nel compimento di attività amministrativa per il conseguimento e la liquidazione di prestazioni previdenziali, sia in attività conciliativa e transattiva ovvero propriamente giudiziale a tutela degli iscritti: mentre nel primo tipo di prestazioni è configurabile un rapporto di parasubordinazione tra il legale e il patronato, con riferimento all'attività conciliativa o transattiva e a quella propriamente giudiziale (per le quali la legge richiede un esplicito mandato del lavoratore o, rispettivamente, una procura ad litem) si presume che l'incarico sia stato dato dal cliente, salvo che sia provato specificatamente dall'avvocato il conferimento dell'incarico da parte del patronato. (Rigetta, App. Roma, 3 settembre 2003). (Cass. 17/1/2008 n. 848, Pres. De Luca Est. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2008, 1880)
  • Il contratto di lavoro autonomo occasionale, stipulato per un periodo superiore a 30 giorni è illegittimo e il rapporto di lavoro deve essere automaticamente convertito in rapporto di lavoro subordinato (stante la mancanza di qualsiasi progetto) e a tempo indeterminato (stante l'assenza di qualsiasi giustificazione in merito all'apposizione del termine). (Trib. Milano 21/12/2007, ord., Est. Tanara, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, "La prestazione occasionale. Requisiti e patologie", 543)
  • Non sonofondate le questioni di legittimitàcostituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. "Bersani") nel testo originario e in quello risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge n. 248 del 2006, promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Sicilia per l'asserita lesione delle competenze regionali. La norma prevede molteplici liberalizzazioni nel settore delle libere professioni, in particolare con riguardo alla pubblicizzazione dell'offerta, alla possibilità di rendere in forma associata prestazioni differenziate, alla previa pattuizione di compensi, all'abolizione delle tariffe minime. Si verte infatti in materie rientranti in ambiti di competenza esclusivamente statale (tutela della concorrenza e ordinamento civile) ove l'intervento del legislatore deriva da precise sollecitazioni ricevute in diverse sedi comunitarie. (Corte Cost. 12/12/2007 n. 443, Pres. Bile Red. Silvestri, in Dir. e prat. lav. 2008, 369)
  • In applicazione dell'art. 29, primo comma, della L. n. 160 del 1975, come sostituito dall'art. 1, comma 203 della L. n. 662 del 1996, colui che nell'ambito di una società a responsabilità limitata svolga attività di socio amministratore e di socio lavoratore ha l'obbligo di chiedere l'iscrizione esclusivamente nella gestione in cui svolge l'attività con carattere di abitualità e prevalenza; nell'incompatibile coesistenza delle due corrispondenti iscrizioni, nella gestione artigiani e nella gestione commercianti, è onere dell'Inps individuare l'iscrizione all'assicurazione corrispondente all'attività prevalente. (Cass. 5/10/2007 n. 20886, Pres. Mattone Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2008, 315)
  • Il contratto d'opera professionale avente a oggetto lo studio di una causa civile e la redazione di relativi atti giudiziari, stipulato da praticante procuratore legale non abilitato al patrocinio, è insanabilmente nullo per contrasto con norma imperativa; il praticante, che abbia reso la prestazione promessa, non ha diritto al pagamento del corrispettivo, né può esperire in via sussidiaria l'azione di arricchimento senza causa. (Cass. 19/2/2007 n. 3740, Pres. Pantorieri, Est. De Julio, in Giust. civ. 2008, 2029)
  • L'obbligazione del consulente aziendale, la cui attività consista nel fornire consigli relativi alla gestione dell'impresa, deve considerarsi, quanto agli obiettivi economici dell'imprenditore, come obbligazione di mezzi e non di risultato, nel senso che il mancato conseguimento di quegli obiettivi non può essere imputato al consulente come inadempimento, con il derivanete effetto che tale risultato non può costituire una giusta causa di recesso da parte del committente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con motivazione logica e adeguata, aveva ritenuto che i suddetti obiettivi di impresa, testualmente elencati nel contratto, non determinavano specifiche prestazioni del consulente ma fornivano mere direttive a cui il consulente si era attenuto nel breve periodo di durata della sua attività, durante il quale aveva discrezionalmente e diligentemente selezionato ed eseguito le attività più urgenti, in tal modo adempiendo ai suoi obblighi, donde la corretta valutazione di ingiustificatezza del recesso operato dalle committenti. (Cass. 15/12/2006 n. 26895, Pres. Mattone Rel. Roselli, in Lav. nella giur. 2007, 620)
  • Le disposizioni dell’art. 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione della azione di garanzia per vizi dell’opera, sono inapplicabili alla prestazione d’opera intellettuale, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori, ovvero l’uno e l’altro compito, dovendosi escludere che il criterio risolutivo ai fini dell’applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione – priva di incidenza sul regime di responsabilità del professionista – fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato; e ciò tenuto conto anche della frequente commistione, rispetto alle prestazioni professionali in questione, delle diverse obbligazioni in capo al medesimo o a distinti soggetti in vista dello stesso scopo finale, a fronte della quale una diversità di disciplina normativa risulterebbe ingiustificata. (Cass. 28/7/2005 n. 15781, Pres. Carbone Rel. Elefante, in Dir. e prat. lav. 2006, 404)
  • Al contratto d’opera, in caso di acquisto di azienda, non si applica il principio di cui all’art. 2558 c.c., essendo tale contratto rientrante tra quelli conclusi intuitus personae. (Trib. Roma 17/3/2004, Est. Casari, in Lav. nella giur. 2004, 709)
  • Il contratto d'opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione, richiede la forma scritta ad substantiam (come ogni altro contratto stipulato con la stessa, anche qualora agisca iure privatorum) a pena di nullità. E' irrilevante l'esistenza di una delibera con cui l'organo collegiale dell'ente pubblico (nella specie, il consiglio comunale) abbia conferito un incarico ad un professionista (nella specie, incarico di progettazione esecutiva dei lavori relativi alla rete elettrica comunale) ove ad essa non segua la formale stipulazione del negozio tra il professionista e il rappresentante esterno dell'ente; tale delibera, infatti, non costituisce una proposta contrattuale, ma un mero atto interno e preparatorio del contratto; la valida formazione del rapporto non è comunque surrogabile per facta concludentia quali l'esecuzione dell'incarico e la ricezione e utilizzazione dell'opera da parte dell'ente che possono al più, ricorrendone i presupposti, fondare pretese ex art. 2041 c.c. (Cass. 18/7/2002, n. 10440, Pres. Pontorieri, Est. Settimi, in Foro it. 2003 parte prima, 822)
  • Ove l'atto costitutivo non disponga diversamente, ai sensi degli artt. 2364, 1° comma, n. 3, e 2389, 1° comma, c.c., spetta all'assemblea stabilire il compenso del membro del consiglio d'amministrazione, mentre - presunto per tali cariche il carattere oneroso della prestazione in conformità alla previsione dell'art. 1709 c.c. in tema di mandato - va riconosciuto al Cda il potere di deliberare la corresponsione dell'ulteriore compenso per coloro, fra i propri membri, che siano investiti di particolari deleghe ovvero del Presidente del consiglio; la rinuncia da parte del consigliere investito di specifiche deleghe alla relativa remunerazione non comporta la rinuncia ai compensi spettanti in qualità di consigliere. In mancanza di specifica deliberazione da parte dell'organo competente, il compenso è stabilito dal giudice che determina l'entità ai sensi degli artt. 1709 e 2225 c.c.; il compenso spettante al Presidente del Cda può essere parametrato - ove si sia dimostrata l'assiduità operativa in tutti i settori aziendali - alla retribuzione del dirigente d'azienda. (Trib. Firenze 18/3/2002, Est. Bazzoffi, in D&L 2002, 667)
  • Nel contratto d'opera professionale allorchè le parti abbiano regolato l'esercizio del potere di recesso nel collegamento con la fissata scadenza del termine di durata, deve ritenersi che l'apposizione del termine valga ad introdurre una deroga convenzionale al regime di libera recedibilità a favore della stabilità del rapporto e che pertanto, per il relativo periodo, al beneficiario della prestazione professionale non sia consentito recedere ai sensi dell'art. 2237 c.c.. Nel contratto d'opera professionale il recesso intimato prima della scadenza del termine costituisce inadempimento contrattuale risarcibile alla stregua dei criteri fissati all'art. 1223 c.c. con liquidazione dei danni per la perdita subita ed il mancato guadagno. (Corte d'Appello Milano 23/10/2001, Est. Accardo, in D&L 2002, 193, con nota di Lisa Giometti, "Apposizione del termine e regime di stabilità convenzionale nel rapporto d'opera professionale: risarcimento del danno da recesso anticipato")
  • Nel caso di risoluzione anticipata di contratto di lavoro autonomo a durata minima garantita, deve ravvisarsi il pregiudizio grave e irreparabile di cui all'art. 700 c.p.c. sotto il profilo della compromissione della possibilità di condurre un'esistenza conforme ai parametri tutelati dall'art. 36 Cost. (Trib. Milano 19 novembre 1999 (ord.), est. Martello, in D&L 2000, 475)
  • La risoluzione anticipata da un rapporto di lavoro autonomo a termine, non supportata da idonea e specifica motivazione, comporta il diritto del lavoratore a essere tenuto indenne dalle conseguenze negative dell'anticipata risoluzione, quale, in primo luogo, il mancato guadagno fino alla scadenza predeterminata (Trib. Milano 19 novembre 1999 (ord.), est. Martello, in D&L 2000, 475)
  • In caso di anticipata risoluzione di un contratto di lavoro autonomo non assistita da giusta causa, il committente è tenuto a risarcire al collaboratore il danno, da quantificarsi nei compensi che lo stesso avrebbe percepito sino alla scadenza del contratto (Pret. Milano 25/3/99, est. Canosa, in D&L 1999, 691)