In genere

  • I permessi ex art. 33, comma 6, L. n. 104 del 1992 sono riconosciuti al lavoratore portatore di handicap in ragione della necessità di una più agevole integrazione familiare e sociale, senza che la fruizione degli stessi debba essere necessariamente funzionale alle esigenze di cura. (Cass. 25/9/2020 n. 20243, ord., Pres. Raimondi Rel. Boghetich, in Lav. nella giur. 2020, 1211)
  • Il diritto del lavoratore che assiste una persona disabile a scegliere la sede lavorativa non va riferito esclusivamente all’atto di assunzione ma, sul presupposto dell’assistenza continua della persona disabile, sussiste anche in corso di rapporto e va contemperato con le esigenze organizzative del datore di lavoro, che ha l’onere di provare le circostanze ostative al suo esercizio. (Cass. 11/10/2017, n. 23857, ord., Pres. Amoroso Est. Curcio, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di F. Di Noia, “Ancora sulla ‘perimetrazione’ delle agevolazioni ex art. 33, co. 5, l. n. 104/1992 per i lavoratori che assistono un familiare disabile”, 82)
  • L’art. 6, c. 2-bis, della legge della Regione Abruzzo 15.12.1978, n. 78 (Interventi per l’attuazione del diritto allo studio), aggiunto dall’art. 88, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 26.4.2004, n. 15, recante “Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2204-2006 della Regione Abruzzo (legge finanziaria regionale 2004)” limitatamente all’inciso “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”, è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 38, cc. 3 e 4, Cost., in ragione del carattere fondamentale del diritto all’istruzione del disabile, di cui il trasporto scolastico è parte essenziale, incomprimibile malgrado sopravvenute esigenze di diversa composizione dell’equilibrio di bilancio. (Corte Cost. 16/12/2016, n. 275, con nota di A. Andreoni, “Diritti sociali ed equilibri di bilancio”, 207)
  • Non costituisce discriminazione per handicap la mancata assunzione di un soggetto privo dei requisiti fisici di acutezza visiva richiesti dal datore di lavoro, in mancanza dell’allegazione e prova, da parte dell’attore, di fatti idonei a fondare la presunzione che tali requisiti siano eccessivi, anacronistici o sproporzionati. (Trib. Milano 27/6/2016, ord., Est. Saioni, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Cavallini, “I requisiti fisici di assunzione nella lente del diritto antidiscriminatorio”, 312)
  • La legge 12 marzo 1999, n. 68, recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, si è proposta l’obiettivo della “promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato” (art. 1, comma 1), tra i quali le convenzioni di cui all’art. 11, commi 1, 2 e 3, ossia accordi tra datore di lavoro e uffici pubblici competenti, atti a disciplinare un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali prefissati dalla norma, attraverso la previsione di tempi e modalità delle assunzioni che il datore si impegna a effettuare, in particolare, nei riguardi dei soggetti affetti da particolari inabilità, ma non solo. Tra le possibili modalità, l’art. 11 prevede facoltà di scelta nominativa del lavoratore appartenente alle fasce deboli aventi diritto, che, però, nel caso di disabili psichici costituisce l’unica forma assentita, alla stregua dell’art. 9, comma 4, della medesima legge. (Cass. 22/7/2013 n. 17785, Pres. Vidiri Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Paola Cosmai, 58)
  • Il diritto all'assistenza socio-sanitaria del disabile è un diritto assoluto e inviolabile che, pur non potendo godere di un regime di riconoscimento automatico, non può subire limitazioni o impedimenti dovuti ai procedimenti amministrativi relativi al suo formale riconoscimento, una volta che sia accertata, in concreto, l'esistenza e la gravità dell'handicap, infatti, in virtù di un'interpretazione costituzionalmente orientata (ai sensi degli artt. 2 e 32 Cost.) della normativa di settore e sulla base dell'esame delle fonti costituzionali europee (la Carta di Nizza) deve ritenersi che nell'Unione europea è garantito un alto livello di protezione della salute umana e che la solidarietà sociale è un principio interpretativo immanente, a livello europeo, della normativa interna. Ne segue che le somme anticipate dal privato per agevolare l'inserimento del portatore di handicap in struttura assistenziale, devono essere rimborsate a chi le ha versate a causa della mancata conclusione del procedimento amministrativo relativo al formale riconoscimento delle condizioni di disabilità. (Cass. 6/8/2010 n. 18378, Pres. Morelli Est. Uccella, in D&L 2010, con nota di Giuseppe Bronzini, "Il reddito minimo garantito secondo il Parlamento europeo: dalle politiche sull'occupazione alle politiche di cittadinanza", 1163) 
  • Ai fini della fruizione dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della L. n. 104 del 1992, così come modificata dalla L. n. 53 del 2000, occorre che l’assistenza al parente o affine entro il 3° grado portatore di handicap, ancorché non convivente, sia in atto, continuativa ed esclusiva. (Cass. 22/4/2010 n. 9557, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. Nella giur. 2010, 729)  
  • L'art. 33, comma 6, l. 104 del 1992, in ragione della sua stessa ratio diretta a consentire la effettività del diritto al lavoro della persona svantaggiata per la situazione di handicap grave in cui si trova, laddove afferma il diritto di scelta della sede di lavoro del disabile in situazione di gravità, va interpreta nel senso che tale diritto può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che in sede di assunzione, anche successivamente e, in quest'ultimo caso, sia quando la situazione di handicap grave intervenga in corso di rapporto, sia quando essa preesista , ma l'interessato, per ragioni apprezzabili (a es. il matrimonio con persona di diversa residenza, la sopravvenienza nella sede di lavoro più vicina alla residenza di una posizione di lavoro compatibile, età), intenda mutare la propria residenza. Come fatto palese dall'espressione "ove possibile", la norma implica la ricerca di una ragionevole composizione tra l'interesse del lavoratore disabile e quello, di analogo rilievo, del datore di lavoro che con esso eventualmente contrasti, rappresentato da esigenze economiche e organizzative di impresa che il concreto esercizio del diritto di scelta sia in grado di ledere in maniera consistente. (Cass. 18/2/2009 n. 3896, Pres. De Luca Rel. Ianniello, in Lav. nelle P.A. 2009, 147, e in Orient. giur. lav. 2009, 145) 
  • L'art. 33, comma 5, L. n. 104/92 attribuisce al genitore o familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assiste con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, il diritto di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio nella fase di costituzione del rapporto di lavoro, nonché quello di non essere trasferito, in costanza di rapporto, ad altra sede senza il proprio consenso. E' pertanto esclusa la sussistenza di un diritto al trasferimento quando la necessità di assistenza sorga in pendenza del rapporto di lavoro. (Trib. Milano 20/11/2008, D.ssa Bianchini, in Lav. nella giur. 2009, 309)   
  • In materia di assunzione di disabili in capo alla P.A., il necessario rispetto dell'obbligo di ricoprire il posto riservato permette di attingere alla graduatoria inferiore, non confliggendo con tale obbligo né il principio delle diverse graduatorie di merito separate, né il principio meritocratico, posto a base di dette graduatorie, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere violato. (Cass. 9/9/2008 n. 23112, Pres. Ianniruberto Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 880)
  • Alla stregua della l. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 5, il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato, perchè detto diritto può essere fatto valere allorquando - alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti di rilevanza costituzionale - il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro o - soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico - l'interesse della collettività, ferma restando l'incombenza sul datore di lavoro dell'onere della prova sulla consistenza delle proprie esigenze. (Cass. 27/3/2008 n. 7945, Pres. Corona Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2008, 396)
  • L'interesse della collettività giuridicamente ostativo alla operatività della scelta della sede da parte del lavoratore familiare di un portatore di handicap, di cui all'art. 33 l. n. 104/1992, non sussiste qualora il vincitore di un concorso pubblico abbia fatto presente al datore di lavoro la propria situazione familiare e nella sede di servizio richiesta sussistano posti vacanti in organico destinati ai vincitori di concorso, a meno che l'Amministrazione non provi l'esistenza di uno specifico interesse organizzativo di segno contrario. (Cass. 27/3/2008 n. 7945, Pres. Corona Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2008, 396)
  • Anche con riferimento al familiare convivente con un portatore di handicap, al quale sia stata illegittimamente negata la sede di lavoro vicina a casa ai sensi dell'art. 33 della l. n. 104/1992, il danno c.d. esistenziale al lavoratore o al suo congiunto disabile non deriva in modo automatico da qualsiasi parziale e temporanea modificazione delle pregresse abitudini, e il danno biologico del lavoratore e del familiare assistito postula la prova specifica di alterazioni psico-fisiche pregiudizievoli.(Cass. 27/3/2008 n. 7945, Pres. Corona Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2008, 396)
  • In base alla l. n. 68 del 1999, il requisito di disoccupazione per l'assunzione del personale ATA nella quota di riserva per disabili va posseduto al momento della scadenza del termine per la produzione della domanda di partecipazione al concorso e non necessariamente al momento dell'assunzione. In sede di aggiornamento delle graduatorie permanenti del personale amministrativo della scuola, permane il requisito di disoccupazione inizialmente posseduto - che deve concorrere con la situazione di disabilità ai fini dell'assunzione privilegiata su posti all'uopo riservati - in presenza del conferimento di incarichi o supplenze a tempo determinato, che si traducono in titoli utili alla graduazione e al definitivo collocamento in ruolo. Ai fini della perdita del requisito di disoccupazione rileva l'accettazione di un'offerta di lavoro a tempo determinato o temporaneo eccedente la durata di otto mesi. Deve aversi riguardo unicamente all'elemento temporale della durata del rapporto di lavoro - che se oltre il limite di legge fa venir meno l'attribuzione dei benefici che si collegano allo stato di occupato - prescindendo dalla tipologia di prestazione e dal soggetto con cui il rapporto lavorativo viene a costituirsi. (Cons. Stato 17/1/2008 n. 95, Pres. Trotta, in Lav. nelle P.A. 2008, 405)
  • Il rapporto di lavoro con il disabil, salvo che per alcuni aspetti determinati, non è un rapporto speciale. Nel diritto del lavoro comune, una volta che le mansioni attribuite al lavoratore disabile siano compatibili con la sua disabilità , non sussiste un diritto di questi a vedere immodificato l'orario di lavoro, una volta che lo stesso abbia la durata consentita dal contratto collettivo, rientrando la specifica articolazione dell'orario di lavoro nell'ambito dello ius variandi del datore di lavoro. (Nel caso di specie si discuteva della legittimità della decisione del dirigente scolastico che, per ragioni oggettive di tipo organizzativo, aveva unilateralmente modificato l'orario di lavoro di un dipendente con certificazione handicap. Sullo ius variandi in tema di orario di lavoro, l'ordinanza è conforme a Cass. Sentenza del 16.04.2003, n. 4507). (Trib. Modena 18/01/2008, ord., in Lav. nelle P.A. 2008, 409)
  • Il dipendente pubblico che, vinta una selezione concorsuale per qualifica dirigenziale, venga assegnato a un determinato ufficio in forza di un incarico e successivamente venga dichiarato invalido, non vanta alcun diritto di scelta prioritaria della sede di lavoro ex art. 21 l. n. 104/1992. (Cass. 22/6/2007 n. 14624, Pres. De Luca Est. Curcuruto, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Ogriseg, "Dirigenti pubblici portatori di handicap: questioni in tema di trattamento economico e di scelta prioritaria della sede di lavoro", 91)
  • È costituzionalmente illegittimo l'art. 42, 5° comma, D.Lgs. 26/03/01 n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 L. 8/3/00 n. 53), nella parte in cui non prevede il diritto a fruire del congedo ivi indicato, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati nella norma, anche per il coniuge convivente con "soggetto con handicap in situazione di gravità". (Cost. 8/5/2007 n. 158, ord., Pres. Bille Rel. Saulle, in D&L 2007, 367, e in Dir. e prat. lav. 2007, 1482)
  • L'art. 33, comma 5, della L. n. 104/1992 deve essere interpretato nel senso che il diritto del familiare lavoratore dell'handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non è assoluto o illimitato, ma presuppone, oltre agli altri requisiti previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l'interesse comune, nel senso che il diritto all'effettiva tutela dell'handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio valga a ledere in misura consistente le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi, soprattutto per quanto riguarda i rapporti di lavoro pubblico, in un danno per la collettività. (Trib. Grosseto 4/5/2007, Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 99)
  • L'impedimento al lavoro dovuto a infermità temporanea costituisce una vicenda del rapporto di lavoro che non rientra fra i motivi di discriminazione vietata a norma della direttiva comunitaria n. 2000/78 e in particolare non rientra nella nozione di handicap protetto, consistendo questo in una infermità permanente o di lunga durata, non ostativa della partecipazione del lavoratore all'attività aziendale. (Corte di Giustizia, Grande Sez., 11/7/2006, causa n. 13/05, Pres. Skouris Rel. Colneric, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Gaia Giappichelli, "La Corte di Giustizia si pronuncia sulla nozione di handicap: un freno alla vis expansiva del diritto antidiscriminatorio?", 750)
  • È costituzionalmente illegittimo l’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità a fruire del congedo ivi indicato, nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili, in considerazione dell’identità concettuale tra tale situazione impeditiva e la scomparsa dei genitori. (Corte Cost. 8/6/2005 n. 233, Pres. e Red. Contri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1941 e in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Pasqualino Albi, "I fratelli di persona con handicap grave hanno diritto ai permessi per assisterla in caso di totale inabilità dei genitori", 22)
  • Le modifiche apportate dalla L. n. 53/2000 hanno esteso ulteriormente la possibilità di ottenere i benefici dell’art. 33, L. n. 104/1992 non imponendo più che il lavoratore conviva con la persona bisognosa di assistenza. Il presupposto del diritto al beneficio non è l’esistenza di un obbligo legale di assistenza, essendo esso attribuito anche a favore di persone legate da vincoli di affinità oppure di parentela pure non conviventi fino al terzo grado, tra i quali non vi è alcun rapporto giuridico che imponga di prestare assistenza; non rileva che vi siano altri familiari che astrattamente possano prestare assistenza, quanto che di fatto la prestino. (Trib. Roma 9/7/2004, Est. Luna, in Lav. nella giur. 2005, 91)
  • L’art. 19, L. 8 marzo 2000 n. 53 ha soppresso dal disposto dell’art. 33, L. 5 febbraio 1992, n. 104, solo il requisito della convivenza ma ha lasciato ferma la restante parte, ivi compresa la previsione del requisito dell’assistenza continuativa, con ciò eliminando il diverso trattamento di due situazioni uguali dal punto di vista dell’assistenza prestata al portatore di handicap e diversificate solo per un dato di scarso rilievo, quale, appunto, la convivenza. La norma, quindi, stante il requisito dell’assistenza continuativa, non prevede il diritto del lavoratore – familiare del portatore di handicap – al cambiamento del luogo di lavoro in conseguenza della mutazione della situazione assistenziale, essendo, invece, esclusivamente orientata alla tutela del disabile attuata attraverso il riconoscimento a un familiare del “diritto alla sede di lavoro” che si limita, per i rapporti già costituiti (altro è per i rapporti di prima instaurazione: “diritto di scegliere”) a mantenere ferma una situazione evitandone la modifica a causa dell’attività lavorativa del familiare medesimo. (Corte d’appello Milano 18/5/2004, Pres. Mannacio Rel. De Angelis, in Lav. nella giur. 2005, 187)
  • I permessi mensili retribuiti, che ai sensi del comma 3 dell’art. 33, L. n. 104/1992 competono ai lavoratori che assistono familiari portatori di handicap, spettano anche nell’ipotesi in cui il lavoratore risulti residente a centinaia di chilometri di distanza dal luogo in cui trovasi il familiare. La continuità dell’assistenza, infatti – dopo la modificazione della L. n 104/1992, operata dall’art. 19, L. n. 53/2000, che ha espunto la convivenza dei presupposti indispensabili per fruire del beneficio stabilito dalla legge – non deve essere intesa in senso materiale e infermieristico, quanto piuttosto in senso morale, come presenza periodica e costante. (Trib. Milano 4/5/2004, Est. Sala, in Lav. nella giur. 2004, 1305)
  • L'art. 33, comma 5, L. n. 104/92 non è applicabile al caso in cui il lavoratore chieda il trasferimento del posto di lavoro nel luogo in cui è domiciliato il familiare bisognoso di cure, quando il rapporti di assistenza non è ancora posto in essere, poiché la norma in esame richiede la continuità del rapporto, e quindi che questo sia già in essere al momento della costituzione del rapporto di lavoro. (Trib. Roma 17/3/2003, Est. Perra, in Lav. nella giur. 2003, 1178)
  • Il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, che l'art. 33, quinto comma, l. 5 febbraio 1992, n. 104 attribuisce al familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente entro il terzo grado handicappato, non costituisce un diritto assoluto e privo di condizioni. Si desume dall'inciso "ove possibile", di cui al quinto comma dell'art. 33, che il diritto all'effettiva tutela dell'handicappato potrebbe non essere fatto valere, alla stregua del generale principio del bilanciamento di interessi, allorquando l'esercizio del diritto stesso venisse a ledere le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi-segnatamente per quanto attiene ai rapporti di pubbligo impiego-potrebbe determinarsi un danno per la collettività (nella specie la S.C ., in merito alla domanda di trasferimento da parte di un dirigente dell'Ente Poste, ha dichiarato la legittimità del diniego motivato dalle condizioni di organico degli uffici di provenienza dell'istante e di destinazione, le quali hanno determinato, all'esito di una procedura di valutazione comparativa, la scelta di trasferire un'altra richiedente). L'onere del datore di lavoro di indicare le ragioni poste alla base del mancato trasferimento del lavoratore sorge soltanto a seguito di una esplicita richiesta da parte di quest'ultimo, non essendo all'uopo sufficiente una mera contestazione (in forma scritta) dell'operato del datore di lavoro. (Cass. 29/8/2002, n. 12692, Pres. Ciciretti, Est. Stile, in Riv. it. dir. lav. 2003, 339, con nota di Iacopo Senatori, Limiti al diritto di scelta della sede di lavoro per l'assistenza al parente handicappato: il caso dell'obiettiva impossibilità per contrasto con esigenze aziendali).
  • E' manifestamente inammissibile, in riferimento agli artt.3, 31 e 37 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 2, l. n. 1204 del 30/12/71 per l'esclusione dell'aspettativa da assistenza a minori portatori di handicap dal periodo di 60 giorni dalla sospensione o dall' assenza entro cui resta il diritto all'indennità di maternità, in quanto la questione era già stata risolta in senso positivo con sentenza n. 106/80 Corte Cost. per un caso analogo (assenza facoltativa non retribuita per una precedente maternità) e in quanto nel frattempo la norma impugnata è stata abrogata dall'art. 86, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 151 del 26/3/01, che all'art. 24 ha riprodotto il testo della norma precedente ma con significative modifiche. (Corte Cost. ordinanza 6/5/02, n. 204, pres. Ruperto, est. Amirante, in Lavoro giur. 2002, pag. 632)
  • I periodi di assenza della persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità che fruisce dei tre giorni di permesso di cui al comma 3 dell'art. 33, L. n. 104/92, sono computati nell'anzianità di servizio ai fini della maturazione del diritto alle ferie ed alle ex festività e del calcolo della tredicesima e quattordicesima mensilità. Infatti, il quarto comma dello stesso art. 33, nel rinviare all'ultimo comma dell'art. 7, L. n. 1204/71-che prevede l'incidenza dei permessi ivi disciplinati sulla sola anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia-non può che riferirsi-ipotizzando il cumulo con i permessi di cui all'art. 7, L. n. 1204-ai soli permessi fruiti dai genitori dei minori con handicap in situazione di gravità. (Trib. Milano 8/4/2002, Est. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2003, 293)
  • Il dipendente che assiste un familiare disabile ha diritto a rimanere nella sede più vicina al proprio domicilio ed a non essere trasferito senza il suo consenso, intendendosi per trasferimento qualsiasi modifica unilaterale della sede in cui il lavoratore svolge la propria attività e che pregiudichi la continuità dell'assistenza. Tale diritto sussiste indipendentemente dalla conoscenza che il datore di lavoro ha della situazione familiare del dipendente e dal numero di persone, appartenenti al nucleo familiare, che assistono il disabile. (Trib. Verona 20/11/2001, Pres. Chimez Est. Sollazzo, in D&L 2002, 152)
  • In materia di assistenza alle persone handicappate, la norma di cui all'art. 33, quinto comma, l. 5/2/92, n. 104, sul diritto del genitore o familiare lavoratore "che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato" di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, non è applicabile nel caso in cui la convivenza sia stata interrotta per effetto dell'assegnazione, al momento dell'assunzione, della sede lavorativa e il familiare tenda successivamente a ripristinarla attraverso il trasferimento in una sede vicina al domicilio dell'handicappato. (Corte Appello Milano 5/6/01, pres. Mannaccio, est. Ruiz, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 340)
  • Il lavoratore, familiare (nella specie, fratello) di portatrice di handicap, il quale si sia allontanato dalla sede di origine per prestare servizio altrove, non ha diritto al trasferimento in quest'ultima, ove nel frattempo abbia iscritto la propria residenza, per effettuare assistenza alla sorella. (Cass. 20/1/01, n. 829, pres. Santojanni, est. Vidiri, in Foro it. 2001, pag. 855; in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 478, con nota di Merlini, Sul diritto del lavoratore a ottenere l'avvicinamento al parente portatore di handicap ex art. 19, l. 8/3/00, n. 53)
  • Il diritto alla scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio previsto dall' art. 33, comma 5, l. 5/2/92, n. 104, in favore del lavoratore che assista un familiare handicappato sussiste anche quando non si è in presenza di handicap grave e anche quando non vi sia la convivenza in atto. Tuttavia, il requisito della convivenza, non più richiesto a seguito dell'emanazione della l. 8/3/00, n. 53, deve intendersi comunque sussistente, nonostante la lontananza, quando tra il lavoratore richiedente e il familiare assistito permangono stretti legami di assistenza materiale e morale (Trib. Modica, 12/7/00, est. Rizza, in Dir. lav. 2001, pag. 48)
  • Il pubblico dipendente che ha appena preso servizio nella sede di prima assegnazione e che assiste il familiare portatore di handicap, il cui status di handicappato è stato riconosciuto solo in tempi successivi all'inizio del lavoro, data la presumibile convivenza ancora in atto e tenuto conto dell'evidente situazione sostanziale di assistenza da non interrompere, ha diritto al trasferimento anche aderendo alla lettura restrittiva che permette l'applicazione dell'art. 33 L. 5/2/92 n. 104, trattandosi non di ripristinare bensì di mantenere l'assistenza in atto (Trib. Milano 15 giugno 2000, est. Muntoni, in D&L 2000, n. Montagna)
  • Ove, nella formazione di graduatoria concernente trasferimenti a domanda di dipendenti pubblici privatizzati, si sia tenuto conto, quale criterio preferenziale, dell'assistenza a familiare handicappato - richiamando la L. 5/2/92 n. 104, anche in assenza di convivenza e di continuità dell'assistenza - il criterio deve essere applicato senza ingiustificate differenziazioni, nel rispetto dell'obbligo di correttezza e buona fede; deve pertanto accertarsi in favore del dipendente illegittimamente retrocesso il diritto alla migliore posizione in graduatoria conseguente alla corretta applicazione del criterio preferenziale (Trib. Milano 5 giugno 2000, est. Curcio, in D&L 2000, 990)
  • Ai fini della fruizione dei tre giorni di permesso mensile concessi al lavoratore per assistere il portatore di handicap, che sia convivente nonché parente o affine entro il terzo grado, l'art. 33, 3° comma, L. 5/2/92 n. 104 non menziona il requisito dell'esclusività dell'assistenza, ovvero la necessità che il lavoratore sia l'unica persona in grado di fornire assistenza alla persona disabile (Trib. Parma 17 maggio 2000 (ord.), est. Brusati, in D&L 2000, 979, n. Dall'Ara)
  • La tardività dell'impugnazione del trasferimento da parte del lavoratore padre di minore portatore di handicap non integra il "consenso" al trasferimento di cui all'art. 33, 5° comma, L. 5/2/92 n. 104, qualora il lavoratore, all'epoca del trasferimento, non fosse consapevole di poter eventualmente fruire della speciale protezione approntata dalla legge, e abbia pertanto reso al datore di lavoro solo una generica disponibilità a recarsi - suo malgrado - presso la nuova sede lavorativa (Trib. Milano 29 novembre 1999 (ord.), est. Cincotti, in D&L 2000, 411)
  • L'accertamento dell'handicap del figlio ai sensi dell'art. 4 L. 5/2/92 n. 104 - ai fini dell'operatività del divieto di trasferimento di cui all'art. 33, 5° comma, stessa legge - non è necessario nelle ipotesi in cui la verifica dell'invalidità sia già stata compiuta secondo la normativa previgente l'entrata in vigore della L. 2/2/92 n. 104 (Trib. Milano 29 novembre 1999 (ord.), est. Cincotti, in D&L 2000, 411)
  • Ai fini della sospensione con provvedimento d'urgenza del trasferimento del lavoratore padre di minore portatore di handicap sussiste il periculum in mora in caso di intervenuta modifica dei turni lavorativi della moglie del lavoratore, tale da compromettere la necessaria continuità dell'assistenza al figlio (Trib. Milano 29 novembre 1999 (ord.), est. Cincotti, in D&L 2000, 411)
  • E’ illegittima la revoca del trasferimento di lavoratore che assiste un familiare in condizioni di handicap grave, come previsto dalla L. 5/2/92 n. 104, qualora lo stesso abbia fissato il proprio domicilio e quello della famiglia nella nuova sede di lavoro e le esigenze organizzative aziendali poste a fondamento del provvedimento di revoca e di rientro nella sede originaria non siano state provate, siano formulate in modo generico e risulti, per contro, la tendenziale flessibilità dell’organizzazione aziendale (nella fattispecie, è stato ritenuto sussistere il periculum in mora legittimante la sospensione, con provvedimento d’urgenza, del trasferimento del lavoratore in ipotesi di cessazione traumatica della convivenza e dell’assistenza concernenti il familiare da lui assistito, portatore di patologie gravi) (Trib. Roma 28/5/99 (ord.), pres. ed est. Pecora, in D&L 1999, 857)
  • Il lavoratore che assista con continuità un parente handicappato con lui convivente non può essere trasferito ad altra sede, ai sensi dell’art. 33, 5° comma, L. 5/2/92 n. 104, se non previo consenso, essendo irrilevante, ai fini dell’operatività della norma, la presenza di altro soggetto in grado di fornire assistenza all’handicappato (nella fattispecie, è stato anche ritenuto che, nel caso di illegittimo trasferimento di lavoratore che assiste un parente portatore di handicap con lui convivente, sussiste il periculum in mora che legittima la sospensione del trasferimento, con provvedimento d’urgenza ex art.700 c.p.c., dovendosi evitare la traumatica e dannosa rottura di una convivenza che il legislatore ha inteso tutelare) (Pret. Roma 31/5/97, est. Vincenti, in D&L 1998, 415)
  • Il diritto alla scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, previsto dall'art. 33 c. 5 L. 104/92 in favore del lavoratore che assista con continuità un parente (o affine) entro il terzo grado handicappato e convivente, sussiste non solo al momento della costituzione del rapporto ma anche durante lo svolgimento dello stesso; tale interpretazione della norma comporta il diritto di ottenere il trasferimento in una sede più vicina al domicilio anche dopo averne ricevuta una più lontana e impone, in simile ipotesi, di intendere il requisito della convivenza con l'assistito come appartenenza allo stesso nucleo familiare (e non come convivenza in atto al momento della domanda di trasferimento); per la sussistenza dell'ulteriore requisito relativo all'oggettiva possibilità del mutamento della sede di lavoro, pure previsto dalla norma, è sufficiente che risulti la disponibilità di posti di lavoro presso la sede indicata dall'interessato (Pret. Milano 10/7/95, est. Sala, in D&L 1995, 977)
  • Le tutele previste dall’art. 33, 6° comma, L. 5/2/92 n. 1s04 in favore del lavoratore handicappato si applicano anche in ipotesi di trasferimento collettivo, qualora in relazione a esso sussista, anche solo in astratto, un’alternativa; in tal caso il trasferimento del lavoratore handicappato è illegittimo – e va pertanto annullato – ove risulti che il suo consenso è stato negato (Pret. Milano 17/11/97, est. Ianniello, in D&L 1998, 414)