Malattia professionale

  • Il provvedimento dell’I.N.A.I.L. di riconoscimento della malattia professionale non può assumere, ai fini di una eventuale responsabilità del datore di lavoro, né valenza indiziaria, stante la sua inopponibilità alla società, né valore di fatto notorio, non potendosi giuridicamente individuare come tale. (Cass. 17/3/2021 n. 7515, Pres. Arienzo Rel. Cinque, in Lav. nella giur. 2021, 661)
  • In riferimento a una malattia professionale in connessione causale con l’attività lavorativa di un marinaio motorista a bordo di navi mercantili con costante esposizione a fattori di rischio in relazione a traumi acustici, il diritto alla rendita da malattia professionale può essere fatto valere fin dal momento in cui l’origine professionale della malattia possa ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalle effettive valutazioni soggettive dello stesso. (cass. 29/10/2014 n. 23020, Pres. Macioce Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, 92)
  • In tema di malattia professionale derivante da lavorazione non tabellata la prova della derivazione della malattia da causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità. (Cass. 12/6/2014 n. 13342, Pres. Lamorgese Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, 928)
  • L’accertamento dell’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia comporta l’applicazione della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell’I.N.A.I.L. dell’onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa e in particolare della dipendenza dell’infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure dal fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa, deve risultare rigorosamente e inequivocabilmente accertato che vi è stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. (Cass. 9/1/2013 n. 358, Pres. Miani Canevari Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2013)
  • L’insorgenza di patologia tumorale (neurinoma del Ganglio di Gasser) nel lavoratore a causa dell’utilizzo continuativo del telefono cellulare e cordless protratti per svariati anni e per diverse ore al giorno costituisce malattia professionale, con diritto del lavoratore a percepire la relativa rendita. (Cass. 12/10/2012 n. 17438, Pres. La Terza Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2012, 1219)
  • Nel caso di malattia professionale non tabellata, come per la malattia a eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità. La natura professionale della malattia può essere desunta, con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia. (Cass. 10/2/2011 n. 3227, Pres. Miani Canevari Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2011, 413)
  • Ai fini del riconoscimento della rendita per malattia professionale, la presunzione del nesso causale opera nell'ipotesi in cui la Tabella all. 4 del DPR 30/6/65 n. 1124 indichi la lavorazione costituita da mansione tipica. Nell'ipotesi in cui la Tabella si limiti a indicare il fattore patogeno (ovvero la sostanza nociva) la prova offerta dal lavoratore, consistente nella dimostrazione dell'indicazione delle mansioni, deve essere integrata dall'ufficio tramite Ctu, non essendo possibile fare ricorso all'interpretazione estensiva della Tabella concernente esclusivamente le lavorazioni e non le malattie. (Cass. 15/5/2007 n. 11087, Pres. senese Est. De Matteis, in D&L 2007, con nota di9 Aldo Garlatti, "Sistema tabellare delle malattie professionali, presunzioni legali e onere della prova per il riconoscimento dell'indennizzo", 931)
  • In tema di tutela delle malattie professionali, in caso di agente patogeno tabellato suscettibile di causare una specifica malattia su un individuo organo bersaglio, e non altre della stessa famiglia, la presunzione legale di origine professionale riguarda solo le patologie delle quali la scienza medica abbia accertato in generale il nesso causale con l'agente patogeno tabellato. Tale nesso può risiedere anche in un giudizio di ragionevole probabilità, desunta dagli studi scientifici e anche da dati epidemiologici. (Cass. 5/9/2006 n. 19047, Pres. Sciarelli Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2007, 90 e in Dir. e prat. lav. 2007, 1047)
  • Il verificarsi dell'evento lesivo non è di per sè sufficiente a far scattare a carico dell'imprenditore l'onere della prova dell'avere adottato ogni sorta di misura idonea a evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la dimostrazione, da parte dell'attore, che vi sia stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza necessarie a evitare il danno, e non può essere estesa a ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di far scadere la responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva. (Cass. 17/5/2006 n. 11523, Pres. Mileo Est. de Matteis, in Dir. e prat. lav. 2007, con nota di Francesca Malzani, "Tutela delle condizioni di lavoro e riparto dell'onere probatorio")
  • Il termine di complessivi quindici anni per la revisione della rendita per malattia professionale, previsto dall'art. 137 del D.P.R. n. 1124 del 1965 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), non preclude la revisione ad opera dell'Inail per miglioramenti delle condizioni dell'assicurato oltre il quindicennio dalla costituzione della rendita, sempre che il ritenuto miglioramento si sia verificato entro detto quindicennio, limite temporale entro il quale si realizza il completamento della fattispecie sostanziale del definitivo consolidamento dei postumi. (Cass. 23/1/2004 n. 1238, Pres. Delli Priscoli Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2004, 1316)
  • Atteso che l'inserimento in tabella di una malattia professionale ha natura di norma processuale, come tale applicabile al momento del giudizio, la presunzione del rapporto di causalità tra la lavorazione e la corrispondente malattia professionale tabellata, desumibile dal rinvio alla tabella operato dall'art. 3, D.P.R. n. 1124/1965, non è esclusa dal fatto che, all'epoca dell'esposizione a rischio, la malattia non fosse tabellata. (Cass. 24/5/2003 n. 8254, Pres. Ciciretti Rel. Lupi, in Lav. nella giur. 2004, 80)
  • In ipotesi di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, ovvero, esclusa la rilevanza della mera possibilità di eziopatenogenesi professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, che può essere ritenuto sussistente sulla base degli accertamenti operati dal giudice di merito. In particolare, a proposito della ipoacusia derivante da cause di lavoro, trattandosi di malattia che, pur se diagnosticata con certezza, non consente con altrettanta certezza l'individuazione di una causa determinata, può ritenersi fornita la prova della causa di lavoro ogni qualvolta vi sia, da un lato, l'avvenuta esposizione professionale al rumore con tempi, modi, ed intensità tali da poter svolgere un apporto causale, e dall'altro l'insorgenza della ipoacusia in capo all'assicurato. (Cass. 24/3/2003, n. 4292, Pres. Sciarelli, Rel. Filadoro, in Dir. e prat. lav. 2003, 1866)
  • Nell'ipotesi di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole probabilità, nel senso che, pur dovendosi escludere la rilevanza della mera o devota possibilità di fattori eziopatogeni di natura professionale, tuttavia tale evenienza può essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di presumibilità. All'uopo non è indispensabile l'espletamento di una consulenza tecnica ambientale allorquando la natura professionale della patologia, essendone difficoltosa o impossibile una puntuale ricostruzione, possa essere desunta, con un elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro, che possano costituire causa della patologia. (Cass. 21/2/2003, n. 2716, Pres. Sciarelli, Rel. Cellerino, in Lav. nella giur. 2003, 571)
  • Il presupposto della domanda amministrativa da parte dell'assicurato, volta al riconoscimento della rendita da malattia professionale, è la consapevolezza dell'esistenza del diritto. Dal momento in cui vi è la certezza dello stato morboso inizia a decorrere il termine prescrizionale della domanda amministrativa, di cui all'art. 112, D.P.R. n. 1124/65. A nulla rileva che al momento della proposizione della domanda, l'inabilità non aveva i requisiti minimi per dar luogo al diritto alla rendita per il solo fatto che nel primo certificato medico di malattia professionale la diagnosi era stata espressa in termini di probabilità, non essendo tale circostanza assolutamente idonea a fornire la prova della conoscenza, il cui onere incombe sul ricorrente, che non sussistevano i requisiti minimi di inabilità necessaria per vincere la prescrizione medesima. (Trib. Grosseto 28/1/2003, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2003, 588)
  • In materia di revisione della rendita per inabilità conseguente a malattia professionale, il termine di complessivi quindici anni, previsto dall'art. 137, D.P.R. n. 1124/1965 (secondo il quale l'ultima revisione può aversi soltanto per modificazioni avvenute entro il limite di quindici anni dalla data di costituzione della rendita) delimita l'ambito temporale di rilevanza dei mutamenti dello stato dell'assicurato successivi alla costituzione della rendita, con la conseguenza che alla revisione può procedersi (per fatti verificatisi entro il quindicennio) oltre il limite dei quindici anni, purché entro l'ulteriore termine (previsto dall'art. 137, ultimo comma, D.P.R. n. 1124, per il solo assicurato e da ritenersi però applicabile anche all'Inps) di un anno dal decorso del quindicennio. In tema di rettifica della rendita , viceversa, l'Inail, ai sensi della disciplina introdotta, con efficacia retroattiva, dall'art. 9, D.Lgs. n. 38/2000, può far valere l'erroneità della iniziale valutazione solo ove l'errore sia accertato con criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all'atto del provvedimento originario ed entro dieci anni dalla data di comunicazione dell'originario provvedimento errato, salvo il caso di dolo o colpa grave dell'interessato. Ne consegue che, ove l'Istituto sostenga l'erronea valutazione della situazione precedentemente accertata e di questa dia una nuova valutazione, la rettifica, nell'ambito delle condizioni previste dall'art. 9 citato, è soggetta al limite dei dieci anni dalla comunicazione dell'originario provvedimento , termine decorso il quale la valutazione iniziale diventa irrettificabile ed il riconoscimento del diritto irreversibile; ove viceversa l'Istituto sostenga che sia intervenuto un materiale miglioramento della situazione precedentemente accertata, la procedura di revisione può essere disposta solo per fatti intervenuti entro quindici anni dalla costituzione della rendita e con atto che intervenga entro un anno dalla scadenza di questo termine. (Cass. 20/1/2003, n. 776, Pres. Ciciretti, Rel. Cuoco, in Lav. nella giur. 2003, 570)
  • A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206/1988 (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 135, secondo comma, D.P.R. n. 1124/1965, nella parte in cui pone una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui è presentata all'istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico), il dies a quo per la decorrenza del termine triennale di prescrizione dell'azione per conseguire dall'Inail la rendita per inabilità permanente va ricercato con riferimento al momento in cui l'interessato abbia avuto consapevolezza dell'esistenza della malattia indennizzabile, potendo a tal fine assumere rilievo l'esistenza di eventi oggettivi esterni alla persona dell'assicurato, che costituisce fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., quali la domanda amministrativa, certificati medici che attestino l'esistenza l'esistenza della malattia al momento della certificazione o altri fatti noti dai quali sia possibile trarre presunzioni gravi, precise e concordanti (nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che, ai fini della decorrenza della prescrizione, aveva ritenuto la sussistenza della consapevolezza della malattia, da parte dell'assicurato, sulla base di una consulenza tecnica espletata in giudizio, la quale aveva desunto tale consapevolezza unicamente dalla gravità della stessa accertata in sede peritale). (Cass. 6/11/2002, n. 15598, Pres. Trezza, Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2003, 279)
  • E' illegittimo per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 2751 bis, n. 1, c.c., nella parte in cui non munisce del privilegio generale sui mobili il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti a malattia professionale, della quale sia responsabile il datore di lavoro (Corte Cost. 22/5/02, n. 220, pres. Ruperto, est. Marini, in Lavoro giur. 2002, pag. 630)