In genere

  • Non costituisce indice di subordinazione, che possa far dedurre simulato un contratto di lavoro a progetto, il fatto che il collaboratore a progetto lavorasse abitualmente in ufficio o che dovesse comunque avvertire in caso di assenza, che sono dati equivoci e spiegabili in ragione delle esigenze di coordinamento con la struttura aziendale e della necessità dello stesso ricorrente di utilizzare gli strumenti e l'apparato logistico messo a disposizione del datore di lavoro; né costituisce valida spia del potere gerarchico il fatto che alcune direttive fossero rivolte indifferentemente al collaboratore a progetto ed a un dipendente, in mancanza di contenuti di per sé idonei a rivelare un preciso meccanismo di eterodirezione; non appare di per sé significativa di subordinazione neppure la previsione di un "budget" di vendita e di relativi "bonus", che sono elementi non estranei al progetto e quindi al risultato richiesto al collaboratore; perché fosse accertato un lavoro subordinato sarebbe stato necessario allegare e provare un'effettiva ingerenza del committente sugli aspetti organizzativi e di gestione del progetto, come nella specie sulle decisioni quanto ai clienti da contattare, alle modalità per allacciare i rapporti commerciali, alle strategie di marketing poste in essere (Trib. Modena ord. 21/2/2006, est. Ponterio, in Guida al Lav. 2006, 14, 13, n. De Fusco, Legittimo il lavoro a progetto nelle reti commerciali)
  • La prestazione dedotta in un contratto a progetto priva di qualsivoglia riferimento ad un risultato, ancorché parziale, finisce per tradursi in mera messa a disposizione delle energie lavorative con onere di diligenza, caratteristiche che ne determinano la natura subordinata (Trib. Torino 10/5/2006, est. Malanetto, in Guida al Lav. 2006, 24, 12, n. Bausardo, Il contratto a progetto nella decisione del Tribunale di Torino, e in D&L 2006, 797)
  • La stipulazione di un contratto a progetto privo del requisito dell’indicazione specifica del progetto comporta l’applicabilità dell’art. 69, comma 1, D.Lgs. 276/2003, sicché, in difetto della prova, da parte del datore di lavoro, dell’autonomia del lavoro, incompatibile in linea di principio con il meccanismo della turnazione, il rapporto deve ritenersi subordinato ed a tempo indeterminato (Nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto di natura subordinata ed a tempo indeterminato il contratto di collaborazione a progetto privo dei requisiti di specificità del progetto, essendo tale presunzione legale superabile mediante l’assoluzione della prova dell’autonomia del rapporto da parte del datore di lavoro. Il Tribunale ha inoltre ribadito carattere vincolante dell’orario di lavoro, ovvero l’idoneità dello stesso a valere come indice di subordinazione del rapporto) (Trib. Torino 16/5/2006, est. Malanetto, in Guida al Lav. 2006, 29, 13, n. Bausardo, Contratto a progetto: forma, specificità e trasformazione)
  • La sanzione prevista dall’art. 69, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 per l’ipotesi di omessa individuazione dello specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, di cui all’art. 61, comma 1, del D. Lgs. Cit., consistente nella declaratoria della natura subordinata e a tempo indeterminato del rapporto, va applicata anche nel caso in cui, pur essendo presente la suddetta indicazione, venga accertato che l’attività in concreto svolta dal lavoratore sia divergente con l’individuato progetto, programma di lavoro o fase di esso (Nel caso di specie il giudice ha accertato la natura subordinata di un rapporto di lavoro il cui progetto era stato indicato nel contratto ma che, di fatto, non era corrispondente all’attività in concreto svolta dal lavoratore) (Trib. Milano 23/3/2006, est. Porcelli, in Guida al Lav. 2006, 24, 15, n. Mordà, Il contratto a progetto (…) nella decisione del Tribunale di Milano, e in D&L 2006, 796)
  • L’art. 62, D.Lgs. 276/2003 richiede l’indicazione di un programma nel contratto di lavoro a progetto puntuale e specifica, senza che possa risolversi in una clausola di stile evanescente ed ermetica nei suoi contenuti, né in formule standardizzate. La prestazione del collaboratore a progetto è di natura autonoma e concreta un’obbligazione di risultato; la mancanza di uno specifico progetto o programma nel suo contenuto caratterizzante riconduce il rapporto, ex art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. (Trib. Piacenza 15/2/2006, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Alessia Muratorio, 885)
  • Vi è compatibilità tra lavoro a progetto e attività di assistenza continuativa, per cui è legittima l’individuazione di un orario di lavoro anche nell’ambito di una collaborazione a progetto, quando la costante presenza del lavoratore sul luogo di lavoro e per un preciso lasso di tempo giornaliero sia elemento essenziale e indefettibile per l’utile realizzazione del programma o del progetto (Nel caso di specie il Consiglio di Stato, affrontando una questione in tema di lavoro a progetto ha ritenuto che non sarebbe l’orario di lavoro, eventualmente pattuito, a qualificare il rapporto, bensì assumerebbe rilevanza giuridica l’obiettivo finale perseguito, indipendentemente dal tempo impegnato) (Consiglio di Stato 29/11/2005, n. 1743, pres. Santoro, est. Carlotti, in Guida al Lav. 2006, 18, 13, n. Falasca, L’orario di lavoro non è incompatibile con il contratto a progetto)
  • Rispettate le forme di cui agli artt. 61 e ss del D.lgs. n. 276 del 2003, che non richiedono l’intestazione di “lavoro a progetto”, il contratto di lavoro a progetto non può essere considerato alla stregua di un contratto di lavoro subordinato in mancanza di specifica prova dell’esistenza degli elementi caratteristici della subordinazione. (Trib. Milano 10/11/2005, Est. Porcelli, in Orient. Giur. Lav. 2005, 789)

  • Qualora non venga fornita prova dell'esistenza della subordinazione e il contratto stipulato tra le parti possegga i requisiti formali del contratto a progetto, non può farsi luogo alla trasformazione in rapporto di lavoro subordinato ex art. 69 c. 2 D. Lgs. 276/03 (nella specie il progetto consisteva nella "verifica della conoscenza, diffusione e posizionamento del mercato dei farmaci con conseguente necessità di realizzare uno studio che comporti la rilevazione, l'analisi e l'elaborazione dei dati relativi alle specialità farmaceutiche sul territorio nazionale") (Trib. Milano 10/11/05, est. Porcelli, in D&L 2006, 176, con nota di Polizzi)
  • Nel contratto di lavoro a progetto la forma è prevista esclusivamente a fini probatori; qualora essa manchi, il contratto di lavoro a progetto rimane comunque valido sul piano sostanziale, non verificandosi alcuna nullità nè conversione in altro tipo di contratto. Ne consegue che possa astrattamente considerarsi legittimo lavorare a progetto anche prima della redazione del contratto per iscritto o senza mai redigere alcun documento scritto. (Trib. Ravenna 25/10/2005, Giud. Riverso, in Giust. Civ. 2006, 1605)
  • Affinchè un contratto di lavoro a progetto debba intendersi, ex art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, come rapporto di lavoro subordinato (e a tempo indeterminato) deve ricorrere la mancanza del progetto e dei requisiti sostanziali dello stesso, non assumendo in tal senso rilevanza che il rapporto di lavoro abbia avuto inizio prima della stipulazione per iscritto del relativo contratto. (Trib. Ravenna 25/10/2005, Giud. Riverso, in Giust. Civ. 2006, 1605)
  • In caso di mancata individuazione di uno specifico progetto, la presunzione iuris tantum della natura subordinata del rapporto di lavoro di cui all'art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 può essere superata dalla dimostrazione, a carico del datore di lavoro, della natura autonoma del rapporto medesimo. (Trib. Ravenna 25/10/2005, Giud. Riverso, in Giust. Civ. 2006, 1605)
  • Nel caso di specie, il miglioramento dell'organizzazione di un ufficio o di un reparto aziendale (attraverso l'analisi e la migliore preparazione delle varie fasi di lavoro e l'elevazione professionale dei lavoratori addetti alle stesse, allo scopo di far raggiungere loro un'autonoma capacità di gestione delle varie fasi, come spiegato dai testimoni) può perfettamente costituire l'oggetto di un progetto in senso stretto o di un programma di lavoro, dal momento che esso può integrare una precisa attività, delimitata funzionalmente e temporalmente, cui inerisce un chiaro risultato finale (nel caso specifico: una più efficace implementazione dell'organizzazione dell'ufficio commerciale). (Trib. Ravenna 25/10/2005, Giud. Riverso, in Giust. Civ. 2006, 1605)
  • Nel caso in cui il lavoratore a progetto svolga mansioni estranee al progetto medesimo, il rapporto deve essere considerato di tipo subordinato, tanto più allorchè risulti che la prestazione è stata resa in regime sostanziale di subordinazione; tale riqualificazione del progetto travolge anche il termine di durata originariamente previsto dal contratto a progetto (Trib. Milano 26/9/05, est. Frattin, in D&L 2006, 132)
  • Al di là degli specifici elementi da indicarsi in contratto, di cui alle lett. da a) e e) dell’art. 62, D.Lgs. n. 276/2003, la legge non pone un requisito di forma ad probationem del contratto a progetto. È evidente come sia la parte che vuole sostenere, prima ancora che la bontà, l’esistenza del progetto ad avere l’onere di produrre il contratto. Ciononostante, non essendo la forma scritta prevista ad substantiam, e poiché nel caso di specie tutti i ricorrenti lamentano l’illegittimità del progetto, pur dandone per pacifica l’esistenza, si ritiene provata, perché non contestata, l’effettiva stipulazione dei contratti a progetto. Essendo altresì pacifico che i contratti stipulati avevano contenuto standardizzato anche in mancanza dei contratti individuali, è possibile valutarne la legittimità per i singoli ricorrenti) (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • Appare certamente contraddittoria la pretesa di qualificare la stessa identica prestazione, fornita con le stesse modalità e senza soluzione di continuità per diversi mesi (il D.Lgs. 276/2003, art. 61, comma 2, pone un limite di trenta giorni nel corso dell’anno solare per le collaborazioni occasionali), dapprima quale collaborazione occasionale e, quindi, quale realizzazione di contratto a progetto, i cui obiettivi sarebbero stati in tal modo perseguiti ancor prima che venissero individuati. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • È illegittimo l’impiego dello schema del contratto a progetto nelle ipotesi in cui il progetto stesso, pur incluso nel testo contrattuale, risulti però del tutto generico e coincidente con l’oggetto sociale della committente, e siano rinvenibili nella situazione concreta gli indici tipici della subordinazione. Ne consegue l’applicazione dell’art. 69 del D.Lgs. n. 276 del 2003, che pone una presunzione semplice di subordinazione, salva la prova contraria. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Orient. Giur. Lav. 2005, 235)
  • Senza volere né potere entrare nel merito di scelte aziendali relative al tipo di attività da affidare in forma di contratto a progetto (art. 69, comma 3, D.Lgs. 276/2003), ed anche accogliendo la più ampia tesi interpretativa, che ritiene che questo tipo contrattuale non sia di per sé riservato ad attività di carattere altamente specialistico o di particolare contenuto professionale, e possa riguardare prestazioni eventualmente identiche a parte dell’attività aziendale, non si può ignorare che il progetto, ex lege, deve avere una sua specificità. Anche a non intendere la specificità quale individualizzazione del progetto sul singolo collaboratore non si può accettare l’estremo opposto, verificatosi nel caso di specie, di una standardizzazione di centinaia di contratti a progetto in tutto e per tutto identici tra loro, ed identici altresì all’oggetto sociale; tale standardizzazione conferma che ai collaboratori non è stato affidato uno specifico incarico o progetto o una specifica fase di lavoro ma, in totale, l’unica attività che non può che essere identica per tutti, l’attività aziendale in se stessa. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • Caratteristica prevista dalla legge per il lavoro a progetto è che l’attività sia indipendente dal tempo di esecuzione. Ammettendo che la prestazione possa essere di mezzi, si ritiene indiscutibile che, per le stesse indicazioni normative di cui all’art. 61, D.Lgs. n. 276/2003, di indipendenza dal tempo impiegato e di finalizzazione ad un risultato, l’attività non possa comunque consistere in una mera messa a disposizione di energie lavorative, nel caso di specie valutate e controllate con scadenze temporali quotidiane. Pur dovendosi e potendosi qualunque collaboratore coordinare con il destinatario della collaborazione, tale coordinamento non potrà mai essere inteso come organizzazione su turni con costante monitoraggio dell’attività più volte al giorno. La stessa organizzazione del lavoro a turni appare incompatibile con il concetto di autonomia della prestazione, perché il sistema a turni è efficiente se ed in quanto vincolante, altrimenti risulta vanificato a priori. L’attività di un collaboratore autonomo, come tale pur sempre individuato dall’art. 61, D.Lgs. n. 276/2003, non potrà essere verificata che alla scadenza fissata nel progetto, con possibilità di non rinnovarlo, se a quel momento la prestazione non sarà considerata soddisfacente; non deve aver invece alcun rilievo, ai sensi della D.Lgs. n. 276/2003, quanto tempo quotidianamente si è impiegato, purchè l’obiettivo sia stato raggiunto nei termini generali di cui al progetto. Né i vincoli orari possono essere surrettiziamente reintrodotti con giustificazioni di natura statistica, dovendosi altrimenti concludere che vi sono attività per la loro natura strutturalmente incompatibili con una prestazione autonoma a progetto. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • Vi è contrasto in dottrina circa la natura della prestazione a progetto quale obbligazione di risultato o di mezzi. La prima interpretazione si fonda sull’art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, che prevede che il collaboratore si gestisca autonomamente  in funzione del risultato. Tale soluzione è tuttavia contraddetta dall’art. 63, D.Lgs. n. 276/2003, che prevede che il compenso corrisposto al collaboratore sia proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e dall’art. 67, comma 2, che prevede che le parti possano recedere anche prima della scadenza del termine o della realizzazione del progetto per giusta causa o per le altre causali indicate in contratto, possibilità che sembra contraddire la necessità di raggiungere un risultato. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • Il raffronto tra i requisiti minimali di carattere generale del progetto individuati dall’art. 61, D.Lgs. 276/2003 e i contratti stipulati dai ricorrenti porta a concludere che si verta in un’ipotesi di cui all’art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 di mancanza di uno specifico progetto, con la conseguenza che i rapporti instaurati debbono, in accoglimento del ricorso, considerarsi di lavoro subordinato a tempo indeterminato sino dalla loro instaurazione. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • Si ritiene di aderire a quella parte della dottrina che considera la presunzione di cui all’art. 69, comma 1 D.Lgs. n. 276/2003 di carattere relativo. Contrasterebbe con quanto statuito dal giudice delle leggi con le pronunce nn. 115/1994 e 121/1993 la previsione di una presunzione assoluta. Ha infatti stabilito la Corte Costituzionale come sia contraria agli artt. 3, 36 38 Cost. una previsione normativa o contrattuale che, a discapito dell’effettiva natura subordinata del rapporto, ne imponga la qualificazione in termini di autonomia. Su tali presupposti la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che poneva una presunzione assoluta di autonomia di un rapporto, in quanto poteva sottrarlo alle inderogabili garanzie del lavoro subordinato, quale concretamente realizzatosi in termini di subordinazione (Corte Cost. n. 121/1993); a maggior ragione la Corte ha escluso che le parti possano direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, sottrarre un rapporto alla disciplina inderogabile prevista a tutela del lavoratore subordinato (Corte Cost. 115/1994). Nel caso di specie ricorrerebbe l’ipotesi inversa di presunzione assoluta di subordinazione. Se è pur vero che tale presunzione assoluta non andrebbe a scontrarsi con le inderogabili garanzie di cui agli artt. 36 e 38 Cost., resterebbe a parere di questo giudice, un grave vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., potendo arrivare ad imporre le specifiche e forti tutele del lavoro subordinato ad attività che in nessun modo abbiano concretamente presentato le caratteristiche che tali garanzie giustificano. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • Ritenuto di interpretare la previsione dell’art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 quale presunzione relativa, ne consegue l’inversione dell’onere della prova; parte convenuta avrebbe potuto e dovuto offrire di provare l’autonomia dell’attività svolta, a prescindere dalla bontà del progetto. La prova della fattiva autonomia della prestazione non deve, infatti, essere confusa con la prova dell’esistenza e della legittimità del progetto che, stante la già ricordata prescrizione di forma ad probationem, incontra il limite della prova documentale. Una cosa è infatti sostenere che si sia posto in essere un valido contratto a progetto, altra cosa è sostenere che, pur nell’inidoneità del progetto, come nel caso di specie, l’attività si sia di fatto svolta in modo autonomo. In mancanza di qualsivoglia idonea prova di autonomia dei ricorrenti essi non possono che considerarsi lavoratori subordinati, già in applicazione della presunzione di cui all’art. 69, D.Lgs. n. 276/2003. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  • Qualificati i rapporti di collaborazione a progetto quali subordinati ai sensi dell’art. 69, D.Lgs. n. 276/2003, i recessi integrano dei licenziamenti irrogati ad nutum, come tali illegittimi. L’accertamento della fattiva subordinazione dei ricorrenti, alla luce del pacifico dato emergente in atti che la prestazione di tutti i collaboratori a progetto si svolgeva con identiche modalità, non può esimere il giudice da una valutazione incidentale delle identiche posizioni degli altri collaboratori, con conseguente accertamento della sussistenza di fatto in capo alla convenuta del requisito dimensionale di cui all’art. 18, L. n. 300/1970. I dipendenti da considerarsi ai fini dell’applicabilità della tutela reale non sono esclusivamente quelli figuranti a libro matricola, bensì tutti quelli di cui si deduca e risulti provata, anche incidenter tantum, la subordinazione, divenendo altrimenti facilmente eludibile il meccanismo della tutela reale, mediante la non formalizzazione o la diversa qualificazione dei rapporti di fatto subordinati. L’art. 18, L. n. 300/1970 prescrive che il datore di lavoro abbia alle dipendenze e non a libro matricola almeno sessanta lavoratori; la Suprema Corte individua il requisito dimensionale quale condizione di fatto, da accertarsi caso per caso. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)