In genere

  • Un GOT che svolga attività reale ed effettiva, con carattere prevalente rispetto ad ogni altra attività lavorativa astrattamente esercitabile, percependo emolumenti, dev’essere considerato “lavoratore” ai sensi della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla Dir. 1997/81/CE e della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla Dir. 1999/70/CE, con conseguente applicazione al rapporto lavorativo ad esso riferibile del disposto della clausola 4 degli accordi quadro annessi alle citate direttive (recante il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo pieno e a tempo indeterminato comparabili per il solo motivo di essere occupati a tempo parziale o determinato, salvo che un trattamento differente sia giustificato da ragioni oggettive)
  • L’indennità ex art. 32, L. n. 183 del 2010 non deve essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine. Il danno comunitario presunto nel settore pubblico non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro, ma è quello conseguente all’abuso per “l’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, come prevede la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla Dir. 1999/70/CE. L’illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione e, pertanto, il danno presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo fissato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, considerando nella liquidazione dell’unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti sotto il profilo della gravità della violazione. (Cass. 14/12/2020 n. 28422, ord., Pres. Tria Est. Cinque, in Lav. nella giur. 2021, 312)
  • Il D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11, (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva “inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata “proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”) va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia per ragioni di conformità rispetto alla normativa Eurounitaria, sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno, nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi del D.L. n. 463 del 1983, art. 7 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9, comma 4 e di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 11, comma 4), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale c.d. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro. (Cass. 9/7/2020 n. 14644, Pres. Manna Rel. Pagetta, e Cass. 10/7/2020 n. 14817, Pres. Manna Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2021, 92)
  • Nel caso di reiterazione di contratti a termine, le peculiarità del settore televisivo non giustificano da sole la deroga ai limiti previsti dalla normativa nazionale (d.lgs. n. 268 del 2001) ed europea in materia di numero massimo dei successivi rinnovi e di durata complessiva del rapporto a tempo determinato. (Trib. Milano 14/9/2017, Est. Bertoli, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di N. Frasca, “Il lavoro a termine nel settore radio-televisivo”, 51)
  • È suscettibile di essere ricompreso nella fattispecie legale di cui all’art. 1372, comma 1, c.c. il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando tale operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione che si registra nel quadro della disciplina dei contratti. (Corte app. Lecce 14/11/2016, Giud. Ferreri, in Lav. nella giur. 2017, 207)
  • In materia di contratto a termine, è necessario distinguere la disdetta con cui il datore di lavoro, al fine di evitare il rinnovo tacito del rapporto, comunica la data di scadenza del contratto, dall’atto formale di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, con il quale invece recede dal rapporto a tempo indeterminato. L’indennità onnicomprensiva ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 è applicabile anche ai giudizi pendenti (comma 7) che, al momento dell’entrata in vigore della legge, erano già stati decisi in secondo grado se la richiesta relativa alla normativa sopravvenuta è pertinente con gli altri motivi di ricorso, i quali a loro volta devono essere ammissibili in base alla loro disciplina propria. (Cass. 2/11/2016 n. 22124, Pres. Di Cerbo Est. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2017, con commento di C. Cordella, 150)
  • Non è necessaria la forma scritta dei contratti a termine di durata inferiore a dodici giorni, di carattere occasionale, dovendo considerarsi tale un rapporto di lavoro eventuale, non ordinario, e temporalmente limitato a pochi giorni. Diverso è il problema della necessaria contestualità della sottoscrizione del contratto con l’inizio della prestazione lavorativa. (Cass. 21/9/2016 n. 18512, Pres. Nobile Est. Venuti, in Lav. nella giur. 2016, con commento di C. Santoro, 1086)
  • La clausola 5, paragrafo 1, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, siglato il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla Direttiva n. 1999/70/Ce, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che, in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione mediante un contratto di lavoro soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, a meno che non esista un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori: circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. (Corte di Giustizia 14/9/2016, C-184/15 e C-197/15, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, V. De Michele, “La Corte di Giustizia sulla riqualificazione del precariato pubblico spagnolo”, 231)
  • Le disposizioni dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che figura in allegato alla Direttiva n. 1999/70, lette in combinato disposto con il principio di effettività, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a norme processuali nazionali che obbligano il lavoratore a tempo determinato a intentare una nuova azione per la determinazione della sanzione adeguata, quando un’autorità giudiziaria abbia accertato un ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, in quanto ciò comporterebbe per tale lavoratore inconvenienti processuali, in termini, segnatamente, di costo, durata e regole di rappresentanza, tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti che gli sono conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. (Corte di Giustizia 14/9/2016, C-184/15 e C-197/15, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, V. De Michele, “La Corte di Giustizia sulla riqualificazione del precariato pubblico spagnolo”, 231)
  • La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente a un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. (Corte di Giustizia 26/11/2014, C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Pres. Ilesic Est. Caoimh, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di L. Calafà, “Il dialogo multilevel tra Corti e la ‘dialettica prevalente’: le supplenze scolastiche al vaglio della Corte di Giustizia”, e di L. Menghini, “Sistema delle supplenze e parziale contrasto con l’accordo europeo: ora cosa succederà?”, 309)
  • Nel giudizio volto al riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione di un termine finale al contratto ormai scaduto, perché possa configurarsi la risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo. (Cass. 30/9/2014 n. 20605, Pres. Lamorgese Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2015, 91)
  • L’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 riguarda anche il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo previsto dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 3, comma 1, lett. a). Infatti, deve rilevarsi che tale articolo richiama l’istituto del contratto a tempo determinato in generale, non una o più regolamentazioni specifiche di tale contratto. (Cass. 8/9/2014 n. 18861, Pres. Roselli Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Elisabetta Bavasso, 173)
  • L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dev’essere interpretato nel senso che esso si applica a lavoratori occupati in qualità di marittimi con contratti di lavoro a tempo determinato su traghetti che effettuano un tragitto marittimo tra due porti situati nel medesimo Stato membro. (Corte di Giustizia 3/7/2014, cause riunite C-362/13, C-363/13 e C-407/13, Pres. Ilesic Rel. O Caoimh, con nota di E. Ales, “La nuova disciplina del contratto a termine è conforme al diritto comunitario? Una risposta (nel complesso) positiva”, 291)
  • Le disposizioni dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a una normativa nazionale la quale prevede che i contratti di lavoro a tempo determinato debbono indicare la loro durata, ma non il loro termine. (Corte di Giustizia 3/7/2014, cause riunite C-362/13, C-363/13 e C-407/13, Pres. Ilesic Rel. O Caoimh, con nota di E. Ales, “La nuova disciplina del contratto a termine è conforme al diritto comunitario? Una risposta (nel complesso) positiva”, 291)
  • La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dev’essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale la quale prevede la trasformazione di contratti di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato unicamente nel caso in cui il lavoratore interessato sia stato occupato ininterrottamente in forza di contratti del genere dallo stesso datore di lavoro per una durata superiore a un anno, tenendo presente che il rapporto di lavoro va considerato ininterrotto quando i contratti di lavoro a tempo determinato sono separati da un intervallo inferiore o pari a 60 giorni. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che i presupposti per l’applicazione nonché l’effettiva attuazione di detta normativa costituiscano una misura adeguata per prevenire e punire l’uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. (Corte di Giustizia 3/7/2014, cause riunite C-362/13, C-363/13 e C-407/13, Pres. Ilesic Rel. O Caoimh, con nota di E. Ales, “La nuova disciplina del contratto a termine è conforme al diritto comunitario? Una risposta (nel complesso) positiva”, 291)
  • Non è fondata con riferimento all’art. 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4, lett. b), della legge 4 novembre 2010, n. 183, nella parte in cui prevede l’applicazione del termine di decadenza di cui al riformato art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604 ai contratti di lavoro a tempo determinato già conclusi alla data di entrata in vigore della citata legge n. 183 del 2010 e con decorrenza dalla medesima data. (Corte Cost. 4/6/2014 n. 155, Pres. Silvestri Est. Criscuolo, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di L. Di Paola, “Impugnativa del contratto di lavoro a tempo determinato: brevi considerazioni in materia di decadenza”, 44)
  • Con riferimento al requisito del rispetto del limite massimo determinato dall’art. 2, c. 1-bis d.lgs. n. 368/2001 nella misura percentuale del 15% dell’organico aziendale, l’organico va considerato secondo il criterio previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 61 del 2000 ai sensi del quale i lavoratori a tempo parziale assunti a tempo indeterminato sono computati in proporzione all’orario di lavoro e non capitariamente. (Trib. Bari 4/6/2014, Giud. Pazienza, in Lav. nella giur. 2014, 1029)
  • L’attribuzione ai soli dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato di una gratifica particolare e di un premio di produttività non viola l’art. 5, legge n. 230 del 1962, avendo finalità di fidelizzazione ed essendo perciò incompatibili con rapporti di lavoro a termine. (Cass. 3/3/2014 n. 4911, Pres. Miani Canevari Est. Berrino, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Andrea Rondo, 553)
  • Sebbene l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, non osti a che gli Stati membri introducano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dall’accordo stesso per i lavoratori a tempo determinato, la clausola 4, punto 1, deve essere interpretata nel senso che non impone di trattare in maniera identica l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine a un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. (Corte di Giustizia UE 13/12/2013, causa C-361/12, Pres. Illesic Rel. Toader, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Vincenzo De Michele, 241, e in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Giuseppe Gentile, “Corte di giustizia e contratto a termine: la legittimità dell’indennità forfetizzata e la natura di ente pubblico delle società partecipate dallo Stato”, e di Maria Lughezzani, “Il principio di parità di trattamento nella dir. 99/70/CE e le sue ricadute sugli ordinamenti interni”, 479)
  • L’indicazione da parte del datore di lavoro delle ragioni sostitutive legate alla maternità di una dipendente assunta a tempo indeterminato, della città e dell’ufficio presso i quali il dipendente a termine abbia poi effettivamente prestato la propria attività, risponde al criterio di specificità e comporta la legittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dalla non esatta coincidenza tra l’assenza della lavoratrice sostituita e la durata del rapporto del lavoratore assunto a tempo determinato. (Cass. 27/9/2013 n. 22245, Pres. Lamorgese Rel. Bronzini, in Lav. nella giur. 2013, 1120)
  • Le ragioni oggettive che consentono l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato devono essere specificatamente individuate nel contratto in maniera che sia accertabile il nesso di causa tra le suddette ragioni e la temporaneità dell’assunzione del lavoratore. (Trib. Milano 19/8/2013, Giud. Cuomo, in Lav. nella giur. 2013, 1129)
  • Non sono fondate le due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 368/2001 sulle assunzioni a termine per esigenze di carattere sostitutivo. In primo luogo, non è fondata la violazione dell’art. 77 Cost. per assenza di delega, in quanto sono stati rispettati i due criteri fissati dalla legge delega n. 422 del 2000. Il primo criterio è quello della direttiva 1999/70/CE, di cui il decreto legislativo costituisce attuazione, su cui la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 24 giugno 2010 in causa Sorge C-98/09, esprimendosi sulla compatibilità comunitaria della normativa in oggetto, ha riaffermato il principio che anche il primo e unico contratto a termine rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE e dell’accordo quadro a essa allegato. Anche il secondo criterio della legge delega, che all’art. 2 comma 2 lett. b autorizza il Governo, “per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, [a introdurre] le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse”, è stato rispettato. In conclusione, le disposizioni censurate del d.lgs. n. 368 del 2001, intervenute in un ambito regolato dall’accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE come quello del contratto a termine (anche se primo e unico) per armonizzarne la disciplina nell’ambito delle innovazioni apportate in attuazione della normativa europea, sono certamente contenute nel “programma” della legge di delegazione. Non è neppure ravvisabile alcuna discriminazione dei lavoratori subordinati assunti a termine per esigenze sostitutive da imprese di grandi dimensioni rispetto a quelli assunti alle dipendenze di piccole imprese. (Corte Cost. 29/5/2013 n. 107, Pres. Gallo Rel. Mazzella, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Vincenzo De Michele, 813)
  • Il momento in cui valutare il rispetto del limite del 15% previsto dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 non può che essere quello della singola assunzione a termine, poiché la nullità è un vizio genetico del contratto e non può derivare da un evento sopravvenuto. (Trib. Milano 28/5/2013, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2013, 851)
  • In caso di distacco, il limite del 15% opera unicamente rispetto all’organico dell’azienda che ha effettuato l’assunzione e non anche rispetto all’organico del soggetto presso il quale il dipendente è stato distaccato, non essendovi alcuna norma che disponga l’estensione del vincolo anche a quest’ultimo e dovendosi considerare che, in caso di distacco, il lavoratore rimane a tutti gli effetti alle dipendenze del datore di lavoro “distaccante”.  (Trib. Milano 28/5/2013, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2013, 851)
  • È non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 comma 5 l. n. 183 del 2010, come autenticamente interpretato dall’art. 1 comma 13 l. n. 92 del 2012, in rapporto agli artt. 11 e 117 comma 1 Cost., in quanto, per effetto dell’interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 13 l. n. 92 del 2012, la norma è non conforme al punto 8.3 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, perché è suscettibile di arretrare il livello generale di tutela previsto per i lavoratori illegittimamente assunti a termine. (Trib. Velletri 21/12/2012, Giud. Russo, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Arianna Calandri, 477)
  • Nel caso di recesso ante tempus da un contratto a tempo determinato intimato a una lavoratrice in stato di gravidanza antecedentemente al 18 luglio 2012, esclusa l’applicabilità dell’art. 18 Stat. Lav. come modificato dalla l. n. 92 del 2012, deve ritenersi l’erroneità del ricorso al rito speciale introdotto da detta legge e, nel silenzio del legislatore in ordine alle conseguenze dell’erronea adozione del nuovo rito piuttosto che di quello lavoristico, può farsi riferimento all’art. 4 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, che conferma l’individuabilità nell’ordinamento di un principio generale di “mutamento del rito”. (Trib. Roma 31/10/2012, ord., Giud. Pucci, in Lav, nella giur. 2013, con commento di Filippo Maria Giorgi, 926)
  • Le esigenze temporanee che il legislatore ha voluto soddisfare attraverso lo strumento del ricorso al contratto a tempo determinato sono assolutamente compatibili con qualunque fase di start-up aziendale che, per definizione, comporta l’esigenza per l’imprenditore di verificare flussi di lavoro, modalità di erogazione della prestazione, necessità di forza lavoro in attesa di strutturare in via definitiva la propria organizzazione aziendale in maniera confacente a tali esigenze. (Trib. Milano 15/6/2012, Giud. Lualdi, in Lav. nella giur. 2012, 1120)
  • Non pare potersi riconoscere alcuna efficacia retroattiva all’art. 3, comma 6, d.l. n. 64/2010 ove stabilisce che “non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni dell’art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. (Trib. Milano 6/4/2012, Giud. Cipolla, in Lav. nella giur. 2012, 827)
  • Per i contratti a termine “già conclusi alla data di entrata in vigore della legge” 4 novembre 2010, n. 183 (ossia al 24 novembre 2010) e non impugnati entro il 23 gennaio 2011 si è verificata una decadenza che va quindi sancita. L’art. 32, comma 1, l. 4 novembre 2010, n. 183 indica per l’impugnazione un termine di decadenza di 330 giorni (60 giorni per l’impugnazione del licenziamento, e 270 giorni per il deposito del ricorso), dovendosi quindi giudicare che la legge intenda come socialmente congruo il termine di 330 giorni, arrotondabile all’anno, per la proposizione dell’azione giudiziaria, in assenza di elementi che possano far ritenere il contrario. (Trib. Milano 3/4/2012, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2012, 828)
  • Il datore di lavoro ha l’onere di specificare le ragioni che hanno determinato l’assunzione a termine del lavoratore e darne la prova; non bastano, pertanto, a giustificare l’apposizione del termine formulazioni generiche o di stile, essendo necessario il riferimento alla situazione concreta integrante la temporaneità dell’occasione lavorativa oppure l’oggettiva esigenza di utilizzare un’assunzione a termine nonostante il carattere permanente dell’occasione lavoro. L’indicazione di ragioni sostitutive non richiede, a pena di invalidità, l’indicazione del nome del sostituito e della causale dell’assenza, tuttavia le allegazioni del datore di lavoro devono permettere di verificare la sussistenza della ragione sostitutiva addotta. (Trib. Milano 26/3/2012, Giud. Cipolla, in Lav. nella giur. 2012)
  • In caso di trasformazione del rapporto di lavoro attraverso la stipulazione di un contratto a tempo indeterminato, non possono ammettersi modifiche alle clausole del contratto precedente che abbiano carattere sostanziale e si rivelino globalmente sfavorevoli al lavoratore, qualora l’oggetto del suo incarico e la natura delle sue funzioni restino invariati. (Corte Giustizia 8/3/2012, C-251/11, Pres. Lohmus Rel. Caoimh, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Giulia Beltrame, “Contratto a termine: trasformazione a clausole (in)variate?”, 942)
  • In materia di rapporto di lavoro a tempo determinato, l’art. 3 3 del d.lgs. n. 368 del 2001, che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce norma imperativa, la cui ratio è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità di impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro. Ne consegue che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c. (Cass. 8/3/2012 n. 5241, Pres. Miani Canevari Est. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Nicoletta De Angelis, “Omessa valutazione dei rischi e conseguente nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro”, 11)
  • Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, non è possibile ravvisare gli estremi della risoluzione per mutuo consenso qualora non sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti nel senso di porre definitivamente fine al rapporto di lavoro. Grava sulla parte che eccepisce l’estinzione del rapporto l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi una tale volontà. (Cass. 29/2/2012 n. 3056, Pres. Roselli Est. Nobile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di William Chiaromonte, “Due questioni in tema di contratto a termine: la prova della sussistenza del mutuo consenso nella risoluzione del negozio e gli effetti retroattivi del nuovo regime di tutela risarcitorio”, 796)
  • Lo ius superveniens che abbia introdotto con efficacia retroattiva una nuova disciplina del rapporto controverso si applica nel giudizio di legittimità a condizione che essa sia pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso – in ragione del controllo di legittimità il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso – e sia ammissibile secondo la disciplina sua propria (nella fattispecie è stata riconosciuta l’applicabilità dell’art. 32, co. 5, 6 e 7, l. n. 183/2010 in quanto la S.C. è stata investita al riguardo nei motivi del ricorso incidentale, sorretti da idonei e specifici quesiti di diritto e dalla chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assumeva omesa). (Cass. 31/1/2012 n. 1411, Pres. De Luca Est. Nobile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M.L. Vallauri, “Brevi note sul nuovo regime sanzionatorio del contratto a termine illegittimo: la quantificazione dell’indennità e le condizioni di applicabilità delle nuove regole alle cause pendenti nel giudizio di legittimità”, 400)
  • Per ipotizzare che il silenzio abbia natura negoziale di consenso occorre provare che il ricorrente, pur essendo consapevole della illegittimità della clausola appositiva del termine, abbia deciso di mantenere il silenzio inducedo così nella controparte l’affidamento di buona fede di una sua adesione alla cessazione definitiva del rapporto. È quindi configurabile una risoluzione per mutuo consenso ex art. 1372 c.c., pur in assenza di dichiarazioni espresse, in presenza di comportamenti significativi tenuti dalle parti. (Trib. Milano 31/1/2012, Giud. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2012, 512)
  • La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a far consisderare sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo, sicché la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. (Cass. 12/12/2011 n. 26590, Pres. Lamorgese Est. Berrino, in Lav. nella giur. 2012, 189)
  • Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione stragiudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso. (Cass. 16/11/2011 n. 23986, Pres. De Luca Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2012, 189)
  • Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), sollevate con riferimento agli art. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117, primo comma, Cost. (Corte Cost. 11/11/2011 n. 303, Pres. Quaranta, Est. Mazzella, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di L. Di Paola, “La Corte Costituzionale, il contratto a tempo determinato e la singolare specialità del diritto del lavoro”, e di L. Zappalà, “La Consulta e la ponderazione degli interessi nel contratto a termine: stabilizzazione versus indennità risarcitoria forfetizzata”, 252, e in Orient. Giur. Lav. 2012, con nota di Lorenzo Giasanti, “Il nuovo regime sanzionatorio del contratto a tempo determinato: il via libera della Corte Costituzionale e le residue perplessità interpretative”, 205)
  • L’apposizione di un termine acausale prevista dall’art. 2, comma 1 bis, d.lgs. n. 368/01 può essere effettuata esclusivamente per la stipula di contratti a termine nei settori strettamente collegati al servizio postale, come tale intendendosi le attività di recapito e quelle a esse direttamente connesse (nel caso di specie il ricorrente era stato assunto con inquadramento nel livello professionale D, Operatore Sportello Junior, per lo svolgimento di attività di sportelleria). (Trib. Latina 3/11/2011, Giud. Valente, in Lav. nella giur. 2012, 200)
  • La disciplina del contratto di arruolamento a termine e del contratto di arruolamento a viaggio prevista nel codice della navigazione non è conforme alla direttiva 99/70/CE di recepimento dell’accordo quadro Ces, Unice, Ceep del 18 marzo 1999 sul lavoro a tempo determinato e, pertanto, i suddetti istituti sono soggetti alle disposizioni dal d.lgs. n. 368/2001. (Trib. Messina 27/10/2011 n. 5021, Giud. Di Bella, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di F. D’Aiuto, “Sull’incerta applicazione della direttiva 99/70/CE ai contratti a termine dei marittimi”, 283)
  • Nel caso in cui le parti sindacali abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – per un limitato periodo di tempo – delle situazioni di fatto integranti le esigenze eccezionali che consentono di derogare ai limiti di legge previsti per l’assunzione di personale a tempo determinato, l’azienda può procedere nei limiti riconosciuti appunto dagli accordi di cui sopra mentre è esclusa la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo le date previste. (Cass. 20/5/2011 n. 11197, Pres. Lamorgese Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2011, 844)
  • L’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive e organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata e in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti tra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto. (Cass. 11/5/2011 n. 10346, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2011, 737)
  • Nel sistema normativo introdotto dal d.lgs. n. 368/2001, l’assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo e postula, al fine di non cadere nella genericità e pena la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’obbligo del datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni in concreto adottate. (Cass. 18/4/2011 n. 8836, Pres. Lamorgese Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2011, 739)
  • In un sistema improntato alla libera pattuibilità della causale di assunzione a termine, la clausola di contingentamento rinforza la sua funzione di contrappeso e la sua violazione determina la conversione del contratto a tempo a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. (Trib. Milano 3/3/2011, Giud. Visonà, in Lav. nella giur. 2011, 635)
  • Nel giudizio vertente sulla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro e sulla conversione in contratto a tempo indeterminato, è configurabile la risoluzione per mutuo consenso solo qualora sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione del contratto a termine (o dell’ultimo di essi, allorché essi si siano succeduti più contratti), nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative, si accerti una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo, con la precisazione che, a tal fine, non è sufficiente la mera discontinuità della prestazione lavorativa. (Cass. 16/3/2011 n. 6252, Pres. ed est. Lamorgese, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Cattani, “Nullità del termine apposto al contratto e risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro”, 163)
  • La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che la nozione di “stretta connessione oggettiva con un precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro”, di cui all’art. 14, n. 3, della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti di lavoro a tempo determinato (Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Arbeitsverträge), del 21 dicembre 2000, dev’essere applicato alle fattispecie in cui un contratto a tempo determinato non sia stato immediatamente preceduto da un contratto a tempo indeterminato concluso con lo stesso datore di lavoro e un intervallo di vari anni separi tali contratti, qualora, per tutto il corso di tale periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito per la stessa attività e con lo stesso datore di lavoro mediante una successione ininterrotta di contratti a tempo determinato. Spetta al giudice del rinvio interpretare le pertinenti disposizioni di diritto nazionale in modo quanto più possibile conforme a detta clausola 5, punto 1. (Corte di Giustizia CE 10/3/2011, Causa C-109/09, Pres. Cunha Rodrigues Est. Lindh, in Orient. Giur. Lav. 2011, 47)
  • Le Fondazioni lirico-sinfoniche non rientrano tra gli organismi di diritto pubblico soggetti al D.Lgs. n. 165/2001. Si tratta, al contrario, di fondazioni di diritto privato, alle quali, ai sensi dell’art. 22, D.Lgs. n. 367/1996 vanno applicate le disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi compreso il D.Lgs. n. 368/2001. Nel dubbio sulla retroattività dell’art. 3, comma 6, D.L. n. 64/2010, che esclude le fondazioni lirico-sinfoniche dall’applicabilità dell’art. 1, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 368/2001, un’interpretazione costituzionalmente orientata all’art. 117 Cost., realizzando un rinvio mobile all’art. 6 Cedu, fa escludere ogni portata retroattiva alla norma. (Trib. Milano 22/12/2010, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Vincenzo Di Michele, 698)
  • La direttiva Ce 1999/70 in materia di lavoro a tempo determinato e, in particolare, il principio di non discriminazione dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili trovano applicazione anche nei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, per i quali la semplice la semplice circostanza che un impiego sia qualificato “di ruolo” in base all’ordinamento interno non costituisce ragione oggettiva idonea a giustificare una differenza di trattamento dei lavoratori a termine. (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
  • Un aumento stipendiale triennale che sia connesso al decorso dell’anzianità rientra nella nozione di “condizione d’impiego” e quindi nell’ambito dell’applicazione della clausola 4, punto 1, accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70; conseguentemente, i lavoratori a tempo determinato possono opporsi a un trattamento che, relativamente al versamento di tale componente stipendiale, sia – al di fuori di qualsiasi ragione obiettiva – meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
  • La mera circostanza che una disposizione nazionale non contenga alcun riferimento alla direttiva 1999/70 non esclude che tale disposizione possa essere considerata una misura nazionale di trasposizione di tale direttiva (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
  • La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70, è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato membro da dipendenti pubblici avanti il giudice nazionale perché sia loro riconosciuto il diritto a un aumento stipendiale triennale già attribuito ai lavoratori a tempo indeterminato e ciò per il periodo compreso tra la scadenza del termine per la ricezione della direttiva e l’entrata in vigore della norma nazionale (non retroattiva) che recepisce la direttiva stessa, fatti salvi gli effetti delle norme nazionali in tema di prescrizione. (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
  • L’ambito di applicazione dell’accordo quadro in generale e quello del divieto di reformatio in peius in particolare non possono essere interpretati restrittivamente. La norma in esame non richiedendo, per l’apposizione del termine, diversamente che per il passato, alcuna “valida” e “oggettiva” ragione giustificativa, ha certamente ridotto “il livello generale di tutela” dei dipendenti della S.p.A. Poste Italiane, posto che la sua previsione “di una durata massima e di una quota di percentuale dell’organico complessivo”, non è in grado di compensare l’arretramento di tutela subìto dai dipendenti per il venir meno della necessità delle ragioni “oggettive”. (Trib. Bologna 30/11/2010, Giud. Sorgi, in Lav. nella giur. 2011, 322)

  • Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, 5° e 6° comma, L. 4/11/10 n. 183, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111, 117 Cost. (Cass. 28/11/2010 n. 2112, ord., Pres. Roselli Est. Zappia, in D&L 2010, con nota di Mirko Altimari, "Omnicomprensività dell'indennità: la Cassazione rimette alla Consulta le norme sul contratto a termine del Collegato lavoro", 1019)
  • L'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 in materia di contratti a termine deve essere interpretato nel senso che le misure previste da una normativa nazionale al fine di sanzionare il ricorso abusi a contratti a termine non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione.  (Corte Giustizia CE 1/10/2010 causa C-3/10, Pres. Lindh, Rel. Cahoim, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, "Lo stato dell'arte sull'abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato", 956)
  • E' nullo il termine apposto al contratto di lavoro al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal contratto collettivo nazionale applicato al rapporto. (Trib. Bari 1/12/2010, Est. Colucci, in D&L 2010, 1040)
  • La disciplina della risoluzione dei rapporti di lavoro a tempo determinato, o per i quali sia assicurata una temporanea stabilità per mezzo di una clausola di durata minima, va individuata tenendo conto non solo della norma specifica di cui all'art. 2119 c.c., ma anche delle norme generali sulla risoluzione dei contratti a prestazioni corrispettive. In particolare è rilevante, così come in genere nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, l'impossibilità della prestazione (anche se non può operare il raccordo, per altre ipotesi delineato, tra impossibilità sopravvenuta e giustificato motivo oggettivo di cui all'art. 3, L. n. 604/1966), e in relazione a essa la legittimità del recesso del datore di lavoro va stabilita in base all'esistenza o meno di un suo interesse apprezzabile alle future prestazioni lavorative, da valutarsi obiettivamente, avendo riguardo sia alle caratteristiche, anche dimensionali, dell'azienda, sia al tipo di mansioni affidate al dipendente. (Corte App. Bologna 6/7/2010, Pres. Molinaro Rel. Benassi, in Lav. nella giur. 2010, 949)
  • La clausola 8, n. 3, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegata alla direttiva del Consiglio 28/6/99, 1999/70/Ce, deve essere interpretata nel senso che essa non osta alla normativa di uno Stato membro che, nel recepire la direttiva, ha eliminato il preesistente obbligo, per il datore di lavoro, di indicare nei contratti conclusi per sostituire lavoratori assenti il nome di tali lavoratori e i motivi della loro sostituzione – limitandosi a prevede che siffatti contratti a tempo determinato debbano risultare da atto scritto e debbano specificare le ragioni del loro ricorso – purché dette nuove condizioni siano compensate dall’adozione di altre garanzie o misure di tutela oppure riguardino, unicamente, una categoria circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato; spetta al giudice del rinvio verificare se sussistano tali circostanze. (Corte Giustizia CE 24/6/2010 causa C-98/09, Pres. Bonichot, Rel. Kuris, in D&L 2010, con nota di Mara Marzolla, “Tre Corti attorno al contratto a termine sostitutivo”, 730, e in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Zappalà, "Il ricorso al lavoro a termine per ragioni sostitutive tra interpretazione costituzionalmente orientata e giudizio sulla violazione della clausola di non regresso", 1042)
  • L'adeguatezza della sanzione risarcitoria per l'utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato non può essere schematizzata e parametrata a rigidi elementi patrimoniale desumibili da quanto previsto in tema di illegittima risoluzione del rapporto di lavoro, ma deve essere di volta in volta valutata in ordine al concreto dispiegarsi del rapporto e come tale deve essere necessariamente rimessa all'opera adeguatrice e interpretativa del giudice (Trib. Milano 31/5/2010, Est. Lualdi, in D&L 2010,  con nota di Elena Tanzarella, "La somministrazione illegittima nella PA e il conseguente risarcimento del danno", 1085)
  • In caso di assunzione con contratto a tempo determinato di un disabile psichico sulla base di specifica previsione della convenzione stipulata tra l’impresa che assume e la P.A. ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 11, non è richiesta l’indicazione nel contratto di lavoro delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e che giustificano l’apposizione del termine. (Cass. 31/5/2010 n. 13285, Pres. Vidiri Est. Ianniello, in Orient. Giur. Lav. 2010, 408)
  • L'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001, in particolare, prevede che l'apposizione del termine sia "priva di effetto" qualora non risulti, "direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1". Tale onere di specificazione, che grava sul datore di lavoro e non può ritenersi soddisfatto da un mero richiamo "testuale" delle ragioni legislativamente previste, esige che le ragioni siano esplicitate in concreto, con puntuale riferimento allo stipulando contratto e alla posizione lavorativa assegnata. Nella regolamentazione contrattuale, in sostanza, le ragioni giustificatrici l'apposizione del termine debbono essere riempite di contenuto, ciò, anche al fine di consentire il successivo controllo giurisdizionale sull'effettiva sussistenza delle stesse. Si tratta di un vero e proprio requisito essenziale della clausola contenente il termine e ne consegue che, ogniqualvolta tali ragioni risultino del tutto omesse, insufficientemente specificate, o soltanto tautologicamente richiamate, l'apposizione del termine è priva di effetto per carenza di un elemento essenziale alla sua validità. (Trib. Milano 24/6/2010, Giud. Colosimo, in Lav. nella giur. 2010, 950)
  • La specificazione delle ragioni giustificatrici del termine può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti. (Cass. 13/5/2010 n. 11625, Pres. De Luca Est. Napoletano, in Lav. Nella giur. 2010, 726)
  • È illegittima l’apposizione del termine al contratto di lavoro nel caso in cui il datore di lavoro non provi, almeno in sede giudiziale, l’effettiva ricollegabilità della singola assunzione a temine alla clausola dedotta nel contratto (nel caso di specie, l’apposizione del termine era giustificata in relazione all’incremento straordinario di voli, cagionato dall’attività di start-up di alcune rotte aeree). (Trib. Milano 12/5/2010, Est. Porcelli, in D&L 2010, con nota di Isabella Digiesi, “La novazione oggettiva nel contratto di lavoro a tempo determinato”, 439)
  • È nulla la clausola contrattuale che preveda la natura essenziale del termine apposto al contratto di lavoro. (Trib. Milano 12/5/2010, Est. Porcelli, in D&L 2010, con nota di Isabella Digiesi, “La novazione oggettiva nel contratto di lavoro a tempo determinato”, 439)
  • È illegittima la clausola contrattuale che, nell’ambito della successione di contratti a termine, preveda la novazione a tempo determinato del rapporto di lavoro nel caso in cui la clausola stessa venga sottoscritta quando tra le parti non sia in essere, per effetto della scadenza del precedente contratto, alcun rapporto, nonché nel caso in cui non vengano individuate con esattezza le obbligazioni che, con l’accordo novativo, le parti intendevano estinguere. (Trib. Milano 12/5/2010, Est. Porcelli, in D&L 2010, con nota di Isabella Digiesi, “La novazione oggettiva nel contratto di lavoro a tempo determinato”, 439)
  • Con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro a termine, l’ipotesi di cui all’art. 2, comma 1 – bis del d.lgs. n. 368 del 2001 costituisce un’ipotesi tipizzata dal legislatore in maniera analoga a quanto già contemplato al comma 1 dello stesso articolo. Tale ipotesi non è applicabile alla fattispecie relativa a una successione di contratti, poiché contrasterebbe con il disposto della direttiva comunitaria. Se il citato art. 2, comma 1 bis, può avere a oggetto unicamente la stipulazione di un singolo contratto, la sua applicazione alla fattispecie della successione dei contratti determina la nullità dell’apposizione del termine apposto nel contratto successivo al primo e la conseguente conversione, a decorrere dalla data di stipulazione del secondo contratto, in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. (Trib. Milano 27/4/2010, Est. Bianchini, in Orient. Giur. Lav. 2010, 437)
  • L'apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368/2001, a fronte di ragioni di carattere tecnico, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l'onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell'ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato. Solo tale rigorosa specificazione nel contratto di assunzione di esigenze non stabili rende evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare in rapporto alla utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell'ambito della specifica ragione indicata e in stretto collegamento con la stessa. (Cass. 27/4/2010 n. 10033, Pres. Lamorgese Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2010, con nota di Sergio Galleano, 1096, e in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Enrico Raimondi, "La Cassazione conferma la natura temporanea delle causali giustificative del termine", 41)
  • La clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 99/70/CE, osta a una disposizione nazionale che escluda dall'ambito di applicazione di tale legge i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente, in quanto la nozione di "ragioni oggettive", ai sensi della suddetta clausola richiede che la disparità di trattamento risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria, non essendo sufficiente che la differenza di trattamento sia prevista da una norma interna generale e astratta.  (Corte di Giustizia 22/4/2010, causa C-486/08, Pres. Tizzano Rel. Levits, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Rita Poggio, "Il rapporto tra difesa dei diritti sociali e tutela della libertà di iniziativa economica alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia", 1030)
  • I rapporti di lavoro alle dipendenze delle Fondazioni di diritto privato che operano nel settore musicale istituite ai sensi del D.Lgs. 29/6/96 n. 367 sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, con esclusione solo dell’art. 2 L. 18/4/62 n. 230, per cui è possibile accertare la nullità del termine di durata e la conseguente conversione a tempo indeterminato di un rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 1 della citata L. 230/62, a nulla rilevando le disposizioni di legge dirette al contenimento della spesa delle Fondazioni, né potendosi sostenere che tali Fondazioni siano pubbliche amministrazioni soggette alle disposizioni di cui al D.Lgs. 30/3/01 n. 165 (nella fattispecie è stato ritenuto che la mancata specificazione nei singoli contratti di lavoro delle causali dell’assunzione determini una nullità dei termini di durata non sanabile nemmeno tramite rinvio al contratto collettivo di settore, che prevede diverse e molteplici ipotesi di apposizione del termine). (Trib. Milano 12/4/2010, est. Di Leo, in D&L 2010, con nota di Alberto Vescovini, “Disciplina dei contratti a termine per le Fondazioni lirico-sinfoniche”, 427)
  • L’art. 3, 6° comma, DL 30/4/10 n. 64, nella parte che esclude l’applicabilità alle Fondazioni lirico-sinfoniche dell’art. 1, 1° e 2° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, non ha efficacia retroattiva e, dunque, non può trovare applicazione nelle controversie già pendenti alla data di entrata in vigore del suddetto DL. (Trib. Milano 12/4/2010, est. Di Leo, in D&L 2010, con nota di Alberto Vescovini, “Disciplina dei contratti a termine per le Fondazioni lirico-sinfoniche”, 427)

  • L’art. 3, 4° e 5° comma, L. 22/7/77 n. 426, che l’art. 3, 6° comma, DL 30/4/10 n. 64 ha dichiarato applicabile alle Fondazioni lirico-sinfoniche sin dalla data della loro trasformazione in soggetti di diritto privato, preclude la conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine nel solo caso di vizio attinente al rinnovo del rapporto a termine, e non anche nel caso in cui il vizio inerisca alla causale del termine apposto al contratto. Trib. Milano 12/4/2010, est. Di Leo, in D&L 2010, con nota di Alberto Vescovini, “Disciplina dei contratti a termine per le Fondazioni lirico-sinfoniche”, 427)

  • In relazione all'art. 2, comma 1 bis, la norma appare chiara nell'individuare e tipizzare la fattispecie di legittima apposizione del termine in considerazione dei settori interessati, pur subordinandola al rispetto di requisiti temporali e quantitativi; è facile rilevare che richiedere anche l'indicazione delle ragioni del termine ai sensi dell'art. 1 finirebbe per creare una fattispecie ben più rigida rispetto a quella generale prevedendo così per il settore postale un regime più restrittivo, in chiaro contrasto con la volontà del legislatore. (Trib. Bologna 2/4/2010, Giud. Palladino, in Lav. nella giur. 2010, 736)
  • Ai sensi del d.lgs. n. 368/2001 il contratto a tempo determinato può essere stipulato specificando per iscritto “le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che giustificano l’apposizione del termine: se però nel caso concreto ricorrono due ragioni legittimanti è ben possibile che le parti, nel rispetto del criterio di specificità, le indichino entrambe ove non sussista incompatibilità o intrinseca contraddittorietà tra le medesime. In ogni caso le dette ragioni, oltre a essere specificate nel contratto, dovranno essere effettive e in rapporto di causalità con l’assunzione a termine. (Cass. 16/3/2010 n. 6328, Pres. De Luca Rel. Ianniello, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Angelo Quarto, 593)
  • Una normativa nazionale che preveda proroghe di contratti a termine non giustificate da ragioni oggettive e per esigenze provvisorie viola la clausola 5 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/Ce. La domanda di risarcimento del danno non può essere accolta, non potendo il datore di lavoro essere considerato legittimato passivo, semmai, in caso di contrasto tra normativa nazionale con quella comunitaria, doveva essere avanzata nei confronti della Presidenza del Consiglio. (Trib. Napoli 8/3/2010, Est. D’Ancona, in D&L 2010, con nota di Tiziana Laratta, “Qualche breve riflessione su un’insolita sentenza in tema di successione di contratti a termine nel pubblico impiego”, 510)

  • L'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che consente alle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste di stipulare contratti a termine "acausali", contrasta con la clausola n. 8 punto 3 (c.d. clausola di non regresso) e con la clausola n. 3 punto 1 (che ancora l'apposizione del termine alla sussistenza di "condizioni oggettive") dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla Direttiva 1999/70/Ce. (Trib. Trani 25/11/2009, ord., Est. La Notte Chirone, in D&L 2009, con nota di Ilaria Cappelli, "Il contratto a termine 'acausale' al giudizio della Corte Ce", 955)  
  • L'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 è in contrasto con il principio generale di non discriminazione affermato dal diritto comunitario. (Trib. Trani 25/11/2009, ord., Est. La Notte Chirone, in D&L 2009, con nota di Ilaria Cappelli, "Il contratto a termine 'acausale' al giudizio della Corte Ce", 955) 
  • Le ragioni giustificative di carattere produttivo previste dall'art. , D.Lgs. 6/9/01 n. 368 rappresentano i motivi che ineriscono il rapporto fra il prodotto tipico dell'impresa e l'insieme dei fattori di produzione, e devono essere indicate, a pena di nullità del termine stesso, in modo specifico al fine di consentire il controllo giudiziale della relazione tra l'effettiva esigenza aziendale e il contratto stesso (nel caso di specie il Giudice ha ritenuto che la sola indicazione nel contratto a termine dell'esistenza di una commessa temporanea non fosse sufficiente a chiarire il motivo produttivo per cui il datore di lavoro possa legittimamente derogare alla regola del contratto a tempo indeterminato, non avendo riferito nulla in rapporto a organici esistenti e a eventuali necessità sopravvenute). (Trib. Milano 20/7/2009, est. Mariani, in D&L 2009, con nota di Angelo Beretta, "L'elusivo utilizzo del ricorso al contratto a termine. Osservazioni sull'art. 11, 4° comma, D.Lgs. 368/01", 687)
  • E' costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., l'art. 4 bis del D.Lgs. 6/9/01 n. 368 - introdotto dall'art. 21, 1° comma bis, DL 25/6/08 n. 112, convertito in L. 6/8/08 n. 133 - giacché, per effetto di tale disposizione, situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni e affetti dai medesimi vizi) risultano destinatari di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall'altro erogazione della modesta indennità economica prevista dall'art. 8 L. 15/7/66 n. 604) e ciò per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data del 22/8/08 (anch'essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice). (Corte Cost. 8/7/2009 n. 214, Pres. Amirante, in D&L 2009, con nota di Alberto Guarino, "Non si chiude ancora definitivamente la partita sul contratto a termine acausale", 657)
  • E' infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, sollevata con riferimento agli artt. 3, 1° comma, 101, 102 e 104 Cost., non essendo irragionevole che il legislatore, in base a una valutazione generale e astratta delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di una quota di organico flessibile, consenta a dette imprese di stipulare contratti a termine acausali, tanto più in quanto la norma prevede limiti temporali e quantitativi all'utilizzo dei contratti a termine, rispetto ai quali ben può esercitarsi il controllo del giudice. (Corte Cost. 8/7/2009 n. 214, Pres. Amirante, in D&L 2009, con nota di Alberto Guarino, "Non si chiude ancora definitivamente la partita sul contratto a termine acausale", 657)
  • Con l'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 il legislatore ha inteso introdurre una specifica e ulteriore ipotesi in cui è consentito apporre un termine al contratto di lavoro : in presenza delle condizioni soggettive e temporali previste e nel rispetto dei limiti quantitativi indicati, quindi, è possibile procedere ad assunzioni a tempo determinato senza ulteriori requisiti di forma, in particolare senza la necessità di specificare per iscritto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che hanno giustificato le assunzioni medesime. (Trib. Milano 16/6/2009, Giud. Porcelli, in Lav. nella giur. 2009, 959) 
  • Nell'ambito del contratto a termine, l'ordinamento sicuramente consente di esercitare il diritto entro i limiti di tempo predeterminati o l'azione di nullità senza limiti di tempo; per cui il tempo non può, contestualmente e contraddittoriamente, produrre da solo e di per sé, anche un effetto diametralmente opposto, vale a dire l'estinzione del diritto o comunque la sussistenza di una presunzione in tal senso. (Corte app. Bologna 13/5/2009, Pres. Castiglione Rel. Brusati, in Lav. nella giur. 2009, 962)
  • Il D.Lgs. 368/2001 prevede espressamente che l'apposizione del termine, per avere effetto, debba risultare da atto scritto nel quale devono essere specificate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che consentono l'apposizione medesima. E' evidente che tali ragioni devono essere di immediata percezioni e univoche. Si tratta di un'esigenza anche vigente la disciplina della L. n. 230/62, ma che si pone con maggior rilievo ora, in quanto l'attuale disciplina non contiene più una specifica elencazione delle ipotesi in cui è consentito apporre un termine al contratto, e quindi diventa essenziale conoscere con certezza la causa giustificativa concreta. (Trib. Milano 8/5/2009, d.ssa Porcelli, in Lav. nella giur. 2009, 844)
  • Al lavoratore assunto con contratto a tempo determinato spetta ogni altro trattamento in atto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali, quelli inquadrati nello stesso livello, in proporzione al periodo lavorativo prestato, e non obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine. Il mancato riconoscimento dell'anzianità di servizio, ai suddetti lavoratori a tempo determinato, non rileva in quanto tale, ma in quanto riverberante i suoi effetti sul piano economico, in presenza di un sistema retributivo che individua il trattamento economico in rapporto agli aiuti di servizio prestato, attraverso il meccanismo delle posizioni stipendiali, e rappresenta un'ingiustificata e illegittima discriminazione, in presenza di identiche mansioni svolte in una situazione di abuso derivante dalla successione di rapporti a termine. (Trib. Milano 8/5/2009, dott. Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 843) 
  • Il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa di cui all'art. 2119 c.c., può essere risolto anticipatamente non già per un giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966, ma soltanto in presenza delle ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli artt. 1453 ss. c.c. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda a una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato. (Cass. 10/2/2009 n. 3276, Pres. ed Est. Ianniruberto, in Lav. nella giur. 2009, 627, e in Lav. nella giur. 2009, con commento di Marianna Pulice, 807)
  • Nel caso di rapporto a tempo determinato motivato dal solo richiamo, fatto nel contratto di assunzione, all'art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 368/2001 non si può parlare di violazione dell'art. 2, come accade qyuando le Organizzazioni Sindacali provinciali di categoria non ricevono le richieste di assunzione da parte delle aziende, in quanto in tal caso della norma ne è stata data specifica applicazione. Non si pone, pertanto, una questione di legittimità costituzionale dell'atr. 4-bis del D.Lgs. n. 368/2001. (Trib. Foggia 22/12/2008, Est. Chiddo, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Claudio de Martino, 166)
  • La nuova disciplina in materia di contratto a tempo determinato contenuta nell'art. 4 bis del d.lgs. 368/01, introdotta con legge 133/08, si sottrae a qualsiasi sospetto di incostituzionalità. Risponde, infatti, al canone di ragionevolezza e non si pone in contrasto con altri principi costituzionali l'introduzione di una norma con efficacia retroattiva, la quale operi in funzione deflattiva del contenzioso con l'obiettivo di rilanciare lo sviluppo economico e la competitività del Paese. (Trib. Roma 21/10/2008, Est. Annunziata, in Orient. della giur. del lav. 2008, con nota di Pasquale Picciariello, 619)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del comma 1-bis dell'art. 21 della L. 6 agosto 2008, n. 133, con cui, dopo l'articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è stato inserito l'art. 4-bis, per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma 1 Cost. (Trib. Rossano 17/11/2008, ord., Est. Coppola, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Claudio de Martino, 166) 
  • Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 1 bis, L. 6/8/08 n. 133 con cui, dopo l'art. 4 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, viene inserito l'art. 4 bis, per contrasto con gli artt. 3 e 117, 1° comma, Cost. (Corte app. Genova 26/9/2008, ord., Pres. Meloni Est. Ravera, in D&L 2008, 904)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 1-bis, della L. n. 133/2008, inserente dopo l'art. 4 del D.Lgs. n. 368/2001 un art. 4-bis, per contrasto con gli articoli 3, comma 1, 24, comma 2, 101, 102, comma 2, 104, comma 2 e 117, comma 1 della Costituzione. (Trib. Roma 26/9/2008, ord., Est. Conte, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Claudio de Martino, 166)
  • Gli accordi aziendali sono inidoeni a individuare nuove ipotesi di assunzione a tempo determinato. Il D.Lgs. 368/2001, infatti, stabilisce la nullità delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva eccetto quelle fissate da contratti collettivi nazionali di lavoro. (Corte app. Roma 22/9/2008, Pres. Sorace Rel. De Masi, in Lav. nella giur. 2009, 90)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 4-bis del D.Lgs. 368/01, introdotto dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, per violazione degli artt. 3, 4, 24, 35, 41, 43, 53, 101, 102, 104 e 111 della Costituzione. (Corte Cost. 18/9/2008, ord., Pres. e Rel. Castellaneta, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Claudio de Martino, 166)
  • In tema di assunzioni a termine regolate dall'art. 23, L. 28 febbraio 1987, n. 56, stante il principio di tassatività della forma, l'omessa indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta nullità del contratto per difetto di forma, né la conseguente convesrione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, in quanto la nullità per difetto di forma prevista dalla legge non è applicabile al rapporto ad substantiam. (Cass. 5/9/2008 n. 22512, Pres. Mercurio Est. Maiorano, in Lav. nella giur. 2009, 75)
  • Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 1 bis, L. 6/8/08 n. 133 con cui, dopo l'art. 4 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, viene inserito l'art. 4 bis, per contrasto con gli artt. 3 e 117, 1° comma, Cost. (Corte app. Bari 18/9/2008, ord., Pres. ed Est. Castellaneta, in D&L 2008, 904)
  • L'art. 8, comma secondo, L. 23 luglio 1991, n. 223 - che dispone che i lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi - ha introdotto una fattispecie di assunzione a termine autonoma e ulteriore rispetto alle ipotesi contemplate nella L. 18 aprile 1962, n. 230, che prescinde da ogni riferimento a cause oggettive (richieste nelle ipotesi regolate dalla L. n. 230 del 1962) in quanto implica solamente, per la sua legittimità, un requisito soggettivo (lo stato di disoccupazione), e pone, quale unico limite temporale, una durata massima non superiore ai dodici mesi, così perseguendo la duplice finalità di favorire, da un lato, nuove opportunità di impiego per il lavoratore in mobilità e di evitare, dall'altro, il consolidamento di una situazione di precarizzazione del rapporto di lavoro; ne consegue, pertanto, che le parti possono liberamente prorogare il termine iniziale del contratto, fermo restando che la durata complessiva del rapporto non deve comunque superare i dodici mesi (nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto corretta e adeguatamente motivata la sentenza che aveva concluso per la violazione della norma avuto riguardo a una rinnovazione del contratto per ulteriori dodici mesi, dopo che il precedente rapporto a termine era cessato da pochi giorni). (Cass. 20/6/2008 n. 16871, Pres. Mattone Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2008, 1276)
  • L'art. 2, comma 1 bis (comma aggiunto dall'art. 1, comma 558, L. n. 266/2005), D.Lgs. 368/2001, ha introdotoo per Poste italiane una specifica disciplina dell'impiego a termine dei lavoratori addetti al servizio postale, come tale intendendosi le attività di recapito e quelle a esse più direttamente connesse (smistamento e logistica). Si tratta di una disciplina aggiuntiva rispetto a quella generale prevista dall'art. 1 dello stesso Decreto. Alla luce dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2008, la stessa disciplina generale delle clausole che consentono l'apposizione del termine si pone, da un lato, al di fuori dell'ambito di applicazione della Direttiva 1999/70/CE sia della delega comunitaria di cui alla L. 422/2000, in violazione dell'art. 77, comma 1, Cost., dall'altro in contrasto con la citata normativa comunitaria e con la clausola di non regresso, che non consente la reformatio in peius del trattamento già riservato ai dipendenti postali. Inoltre, nel caso di specie, la clausola di apposizione del termine, contenuta nel contratto di lavoro, con il mero richiamo dell'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 non è comunque applicabile alle attività di sportellista svolte dalla ricorrente, creando l'applicazione della norma in ogni caso non solo una palese disparità di trattamento, tra lavoratori e lavoratori, ma anche tra aziende (Poste) e aziende (istituti bancari e assicurativi, che non potrebbero accedere alle opportunità della nuova causale). Questo quadro normativo e interpretativo consente al giudice di ordinario di dichiarare la nullità della clausola di apposizione del termine, ritenendo inapplicabile al caso di specie l'art. 2, comma 1 bis, D. Lgs. 368/2001, sia perchè la lavoratrice è stata assegnata al serizio di sportelleria sia perchè la clausola di non regresso e3 la L. delega n. 522/2000 impongono la disapplicazione degli artt. 2, comma 1 bis, e 11, D.Lgs. n. 368/2001, in modo da adeguare l'ordinamento interno a quello comunitario e da rendere un'interpretazione "conformata" di dette disposizioni, tale da evitarne la espunzione dall'ordinamento per violazione degli artt. 3, 76 e 77 Cost. (Trib. Trani 6/5/2008, ord., Est. La Notte Chirone, in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  • Il contratto di lavoro a tempo determinat, rispetto al quale si invochi, dopo la scadenza del rapporto, la declaratoria di nullità del termine illegittimamente apposto, può essere dichiarato risolto per mutuo consenso. La fattispecie negoziale risolutoria può essere perfezionata per fatti concludenti, in presenza di comportamenti significativi tenuti dalle parti coerenti con una situazione giuridica di inesistenza del rapporto. (Corte app. Potenza 30/4/2008, in Lav. nella giur. 2008, 1280)
  • La clausola 5, n. 1, lett. a), dell'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES, allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, che ha recepito l'accordo medesimo, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, che esige la notifica all'amministrazione di una copia dei contratti di lavoro a tempo parziale entro il termine di 30 giorni successivi alla loro stipulazione. (Corte di Giustizia 24/4/2008, cause riunite 55/07 e C-56/07, Pres. Rosa Rel. Lindh, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Claudia Faleri, "Gli obblighi di informazione nel part-time al vaglio della Corte di Giustizia tra principi di non discriminazione e istanze di regolazione", 738)
  • L'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 - in considerazione dell'eccezionalità della previsione ivi contenuta che ne rende impossibile un'iterpretazione estensiva - non è applicabile ai contratti a termine che , se pure stipulati con Poste Italiane Sp, sono relativi allo svolgimento di attività non attinenti a un servizio specifico nel settore postale (nella specie si trattava di mansioni di gestione dei Kit per l'assunzione di extracomunitari e di inserimento dati per notifica sanzioni amministrative); ne consegue che, non applicandosi detta norma eccezionale, il termine apposto a detti contratti è nullo per mancata indicazione della causale. (Trib. Milano 23/4/2008, Est. Casella, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, "Il diritto antidiscriminatorio tra solennità dei principi e modestia dei rimedi", 944)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 11 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, con riferimento agli artt. 76 e 77, comma 1, Cost., nella parte in cui il legislatore delegato (dalla L. delega comunitaria n. 422/2000) ha introdotto una nuova disciplina del contratto a termine per ragioni di carattere sostitutivo peggiorativa - in termini di tutela del lavoratore - rispetto a quella contenuta nell'art. 1, comma, 2, lettera b) della L. n. 230/1962 (interamente abrogata dall'art. 11, D.Lgs. n. 368/2001), consentendo al datore di lavoro la mancata indicazione nel contratto di assunzione del nominativo del lavoratore sostituito e la causa della sostituzione, senza incorrere nella sanzione della conversione in un rapporto a tempo indeterminato. La normativa sospettata, secondo i principi già enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2008, non rientra (assenza di delega) né nell'area di operatività della direttiva comunitaria 1999/70/CE né nel perimetro tracciato dal legislatore delegante, da un lato; per altro verso, si pone in contrasto con la clausola di non regresso che nel preambolo si impegna a rispettare e, quindi, opera in eccesso di delega e in violazione del principio del divieto di reformatio in peius. (Trib. Trani 21/4/2008, ord., Est. La Notte Chirone in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  • Essendo necessarie ai fini della soluzione di un giudizio in cui si controverte di un contratto a tempo determinato stipulato peer ragioni di carattere sostitutivo ai sensi dell'art. 1, comma, 2, D.Lgs. n. 368/2001, il Giudice nazionale, nel sospendere il giudizi, sottopone alla Corte di Giustizia delle Comunità europee le seguenti questioni di pregiudizialità ex art. 234 Trattato U.E.: a) se la clausola n. 8 dell'accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta a una disciplina interna (come quella dettata dagli artt. 11 e 1 del D.Lgs. 368/2001), che, in attuazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalla CES, dall'UNICE e dal CEP, abbia abrogato l'art. 1, comma 2, lett. b), della L. n. 230/1962 (a mente del quale "era consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto: ... quando l'assunzione" avesse avuto "luogo, per sostituire lavoratori assenti e per i quali" fosse sussistito "il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine" fosse stato "indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione"), sostituendolo con una disposizione che non prevede più tali oneri di specificazione; b) nel caso in cui la precedente questione venga risolta affermativamente, se il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare la normativa interna contrastante con il diritto comunitario. (Trib. Trani 21/4/2008, ord., Est. La Notte Chirone, in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  • Ai sensi del D.Lgs. n. 368/2001 il datore di lavoro ha in primo luogo l'obbligo di indicare nel contratto le ragioni che giustificano l'apposizione del termine (a tal fine non essendo sufficiente far semplice riferimento alle generiche declaratorie contenute nella norma di legge) e, successivamente e in caso di contestazione, di provare la loro sussistenza in concreto. (Trib. Treviso 15/4/2008, Est. De Luca, in Lav. nella giur. 2008, 846)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art., comma 1 bis (comma aggiunto dall'art. 1, comma 588, L. n. 266/2005), D.Lgs. n. 368/2001, in relazione artt. 3, comma 1, 101, 102 e 104 Cost., nella parte in cui crea una disparità di trattamento tra i lavoratori delle Poste italiane (rectius, delle "imprese concessionarie nei servizi postali") e gli altri dipendenti di imprese private, rendendo inapplicabile ai primi la disciplina sanzionatoria della conversione prevista dall'art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001 e sottraendo al giudice ordinario il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive e temporanee poste a base delle assunzioni a termine. (Trib. Roma 26/2/2008, ord., Est. Delle Donne, in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  • Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 con riferimento all'art. 3 Cost., dovendosi accertare se la diversificazione di disciplina in favore delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, sia ragionevole perchè giustificata dalla diversità della fattispecie. Tale verifica si impone dovendo il Giudice dare un'interpretazione del diritto nazionale conforme non solo al diritto comunitario prevalente su quello interno, ma anche ai valori costituzionali fondamentali dello Stato, e, fra questi, al principio di uguaglianza consacrato nell'art. 3 Cost. (Trib. Roma 26/2/2008, ord., Est. Delle Donne, in D&L 2008, 916)
  • La disdetta intimata dal datore di lavoro al lavoratore per scadenza del termine invalidamente apposto al contratto di lavoro non si configura come licenziamento, né è soggetta alla relativa disciplina, attesa la specialità della normativa in materia di lavoro a tempo determina, che ne determina la conversione in contratto a tempo indeterminato; ne consegue che, in tal caso, l'azione proposta dal lavoratore a propria difesa non si configura come impugnazione di licenziamento, né può invocarne le tutele (reale e obbligatoria) ma come azione di nullità parziale, fatta salva l'ipotesi in cui il datore di lavoro, sul presupposto della conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non intimi un vero e proprio licenziamento del lavoratore a tempo indeterminato. (Trib. Salerno 16/2/2008, Est. D'Antonio, in Lav. nella giur. 2008, 847)
  • Con riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze di lavoro temporaneo che consentono la somministrazione di lavoro a termine, se la clausola riportata nel contratto collettivo è una clausola generale, la stessa richiede di essere specificata in relazione al singolo contratto di fornitura, con deduzione della situazione che lo giustifica. (Trib. Bologna 8/2/2008, Giud. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Maria Dolores Ferrara, 69)
  • La mera ripetizione della clausola contrattuale non è sufficiente a sancire la legittimità del contratto di somministrazione a termine; la sua trascrizione nella pattuizione commerciale non fornisce alcuna informazione in ordine ai motivi concreti alla base della somministrazione del lavoro. In tal caso, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 21 D.Lgs. n. 276/2003, il contratto di somministrazione è nullo con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'utilizzatore. (Trib. Bologna 8/2/2008, Giud. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Maria Dolores Ferrara, 69)
  • La sottoscrizione "per ricevuta e accettazione" da parte del lavoratore della comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro a termine esprime il consenso per la cessazione definitiva dello stesso e comporta il rigetto della domanda di accertamento dell'illegittima apposizione del termine e di ripristino del rapporto. (Trib. Firenze 12/2/2008, Est. Muntoni, in D&L 2008, con nota di Andrea Danilo Conte, "La volontà delle parti e l'accettazione/consenso alla risoluzione di un contratto a termine", 1027)
  • Nel caso di illegittima apposizione del termine al contratto, deve escludersi che il decorso di un lasso di tempo tra l'interruzione della prestazione lavorativa e la domanda giudiziale determini la risoluzione del rapporto per mutuo consenso dell'eventuale rapporto a tempo indeterminato esistente tra le parti, in quanto da tale elemento non può desumersi la comune volontà di risolvere il rapporto. (Corte app. Caltanissetta 23/1/2008, Pres. Vullo Est. Occhipinti, in D&L 2008, 547)
  • Con riferimento a realtà imprenditoriali complesse e variamente articolate su tutto il territorio nazionale, l'onere di indicare in modo specifico le ragioni che hanno determinato la necessità di apporre un termine finale al rapporto di lavoro non può ritenersi assolto attraverso un generico richiamo a esigenze di carattere tecnico e produttivo esistenti a livello nazionale; ne segue la nullità parziale del contratto ai sensi dell'art. 1419 c.c., 2° comma, e la conversione del rapporto a tempo indetrminato. (Corte app. Caltanissetta 23/1/2008, Pres. Vullo Est. Occhipinti, in D&L 2008, 547)
  • La assunzione con contratto a termine costituisce tuttota una deroga rispetto alla regola generale del contratto a tempo indeterminato, per cui il datore di lavoro deve provare la sussistenza della causale indicato nel contratto e il nesso di causalità tra la stessa e l'assunzione a termine del prestatore di lavoro. Restando contumace, invece, il datore di lavoro non offre prova riguardo alla effettiva esistenza delle ragioni che giustificano il ricorso al contratto a tempo determinato. In seguito a tali considerazioni consegue la illegittimità del termine apposto al contratto del lavoratore. (Trib. Milano 17/1/2008, Rel. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 736)
  • Nel secondo comma dell'art. 8 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che attribuisce il beneficio degli sgravi contributivi per un ulteriore periodo di dodici mesi ai datori di lavoro che trasformino il contratto a tempo determinato dei lavoratori assunti dalle liste di mobilità in contratto a tempo indeterminato, l'espressione "nel corso del suo svolgimento" deve essere interpretata nel senso che il beneficio spetta ai datori di lavoro che trasformino volontariamente il rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato senza soluzione di continuità tra il primo e il secondo rapporto. (Cass. 5/12/2007 n. 25315, Pres. Sciarelli Est. De Matteis, in ADL 2008, 1247)
  • Non può essere accolta l'interpretazione fornita dalla parte ricorrente dell'art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 secondo cui i contratti a termine conclusi con le imprese concessionarie di servi postali dobvrebbero in ogni caso contenere anche la specificazione delle ragioni indicate nell'art. 1. (Trib. Roma 15/1/2008, Est. Mimmo, in Lav. nella giur. 2008, 737)
  • Il Massimario della Corte Suprema di Cassazione non ha proceduto alla massimizzazione in quanto la presente sentenza ribadisce principi già espressi nella sentenza di Cassazione civile n. 04588/2006, RV587330 (Rigetta App. Roma, 28 agosto 2006). (Cass. 4/12/2007, Pres. Ciciretti Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2008, 1649)
  • In conformità ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e ai principi costituzionali, l'art. 2, 1 comma bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, deve essere interpretato nel senso che non consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti a termine senza indicare e provare le ragioni temporanee di apposizione del termine. (Trib. Milano 24/11/2007, Est. Martello, in D&L 2008, 159)
  • A norma dell'art. 2, d.lgs. 368/2001, l'apposizione del termine al contratto di lavoro è legittimata, a differenza di quanto previsto dall'art. 1 del medesimo decret, da una tipizzazione per legge della causale giustificatrice, con la conseguenza che non è richiesta la specificazione della causale in sede di esercizio dell'autonomia contrattuale. (Trib. Napoli 15/11/2007, Giud. Casola, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Marco Marazza, "Le assunzioni a termine "formalmente acausali a norma dell'art. 2, d.lgs. n. 368/2001, sono compatibili con la disciplina comunitaria", 614)
  • L'art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 non si pone in contrasto con la direttiva comunitaria n. 70/1999, stante la volontà del legislatore comunitario di demandare al legislatore nazionale la possibilità di una modulazione delle tutele di dettaglio declinata sul piano nazionale (quindi politico-ordinamentale), sul piano settoriale (quindi aziendale-produttivo) e sul piano stagionale (cioè temporale-organizzativo). (Trib. Napoli 15/11/2007, Giud. Casola, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Marco Marazza, "Le assunzioni a termine "formalmente acausali a norma dell'art. 2, d.lgs. n. 368/2001, sono compatibili con la disciplina comunitaria", 614)
  • Il D.Lgs. n. 368/2001 che ha dato attuazione alla normativa comunitaria, pur avendo profondamente innovato il quadro normativo del contratto di lavoro a tempo determinato, svincolando dalla tipicità delle ragioni giustificatrici indicate dal legislatore e dalla contrattazione collettiva, e ammettendolo (con clausola generale) ogni qualvolta si presentino ragioni di carattere organizzativo, tecnico, produttivo o sostitutivo che lo giustifichino, ha pur sempre configurato tale ipotesi come eccezione rispetto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Trib. Milano 30/10/2007, Est. Tanara, in Lav. nella giur. 2008, 425)
  • E' nulla l'apposizione del termine a un contratto di lavoro allorché nella lettera di assunzione non venga fatta menzione alcuna delle ragioni giustificatrici di carattere tecnico, produttivo o sostitutivo. (Trib. Milano 30/10/2007, Est. Di Ruocco, in D&L 2008, con nota di Andrea Leone D'Agata, "Risoluzione del rapporto per scadenza del termine e licenziamento: una sentenza condivisibile ma non condivisa", 132)
  • L'istituto della presupposizione quale elemento determinante della volontà trova applicazione anche in materia di dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo detrminato successivamente dichiarato illegittimo; pertanto, l'atto di dimissioni, determinato dall'erronea rappresentazione della sussistenza di un valido rapporto a termine, non ha alcun effetto qualora venga dichiarata l'illegittimità del termine e quindi la sussistenza tra le parti di un assetto contrattuale del tutto diverso da quello rappresentato dal lavoratore al momento di presentazione delle dimissioni. (Corte app. Firenze 15/10/2007, Pres. Amato Est. Nisticò, in D&L 2008, con nota di Andrea D. Conte, "Illegittimità del termine ed effetto "moviola": orientamenti della giurisprudenza verso una tutela "integrale"", 547)
  • L'art. 2, 1° comma bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, deve essere interpretato nel senso che consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti a termine senza indicare e provare le ragioni temporanee di apposizione del termine, senza che ciò contrasti con l'ordinamento europeo e costituzionale. (Corte app. Torino 11/10/2007, Pres. ed est. Fierro, in D&L 2008, 159)
  • L'apposizione di un termine a un contratto di lavoro è legittima solo nell'ipotesi in cui vi sia un nesso di causalità concreto e accertabile che colleghi le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (che consentono l'apposizione medesima e che devono essere specificate con precisione nel contratto di assunzione) e la singola assunzione e relativa posizione lavorativa (nel caso di specie, è stata esclusa la legittimità del termine in quanto la giustificazione addotta faceva generico riferimento alla intensificazione dell'attività. (Trib. Milano 10/10/2007, Est. Porcelli, in D&L 2008, 152)
  • Le disposizioni dettate per l'impiego di artisti stranieri extracomunitari dalla legge 8 gennaio 1979 n. 8, dal relativo regolamento di attuazione approvato con d.P.R. n. 179 del 1981 e dal d.lgs. 286 del 1998 recante il testo unico sull'immigrazione non contengono norme speciali di deroga alla disciplina stabilita dalla legge n. 230 del 1962 in tema di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, alla quale è assoggettato il rapporto instaurato con i predetti lavoratori extracomunitari, anche in base al generale principio di parità di trattamento con i lavoratori italiani. (Cass. 9/10/2007 n. 20167, Pres. Ciciretti Est. Monaco, in Lav. nella giur. 2008, 310)
  • L'art. 11 L. 12/3/99 n. 68, prevedendo l'assunzione a termine di disabili in esecuzione di convenzioni stipulate con la Provincia e finalizzate a incentivare l'inserimento lavorativo dei disabili, rappresenta una disciplina speciale e prevalente rispetto alle norme di cui al D.Lgs. 6/9/01 n. 368, per cui non vi è la necessità di specificare nel contratto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo previste dall'art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368. (Trib. Milano 14/9/2007, Est. Sala, in D&L 2008, con nota di Alberto Vescovini, "La maggiore precarietà del posto di lavoro dei disabili", 139)
  • In caso di assunzione di invalidi, la forma scritta della convenzione ex art. 11 L. 12/3/99 n. 68, nonché della richiesta e del nullaosta all'assunzione, soddisfa il requisito previsto dall'art. 1, 2° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 della specificazione per iscritto delle cause giustificative dell'assunzione a termine. (Trib. Milano 14/9/2007, Est. Sala, in D&L 2008, con nota di Alberto Vescovini, "La maggiore precarietà del posto di lavoro dei disabili", 139)
  • La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta all'introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, giustificata dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale e il datore di lavoro interessato. (Corte di Giustizia CE 13/9/2007 causa C-307/05, Pres. Timmermans Rel. Schintgen, in D&L 2007, 1013)
  • Il silenzio non ha alcun valore giuridico nell'ordinamento, se non quando per legge o contratto sia previsto che debba darsi al medesimo un significato determinato, per cui, cessata di fatto la prestazione lavorativa con la scadenza del termine illegittimamente apposto, il lavoratore non ha l'onere di comunicare la volontà di continuare a essere parte del rapporto a tempo indeterminato, né tale volontà può essere esclusa solo per la durata dell'intervallo intercorso dalla scadenza del termine, nel qual caso il datore di lavoro deve provare che il lavoratore, pur nella consapevolezza dell'illegittimità della clausola di apposizione del termine, abbia deciso di mantenere il silenzio inducendo così nella controparte l'affidamento di buona fede di una sua adesione alla cessazione definitiva del rapporto. (Trib. Milano 10/8/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, "Brevi osservazioni sull'acquiescenza", 1068)
  • In assenza della forma scritta ex art. 1, 3° comma, L. 18/4/62 n. 230, il rapporto di lavoro a termine deve essere convertito a tempo indeterminato. (Trib. Milano 4/8/2007, Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, "Brevi note sull'acquiescenza", 1067)
  • Nel caso di illegittima apposizione del termine al contratto deve escludersi che il decorso di un lasso di tempo tra l'interruzione della prestazione lavorativa e la domanda giudiziale, nonché l'inizio di un nuovo lavoro, determinino la risoluzione per mutuo consenso dell'eventuale rapporto a tempo indeterminato esistente tra le parti, in quanto tali elementi non possono far presumere la comune volontà di risolvere il rapporto. (Trib. Milano 12/7/2007, Est. Peragallo, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, "Brevi note sull'acquiescenza", 1067)
  • Il contratto di lavoro inizialmente a tempo determinat, impugnato per illegittima apposizione del termine, può ritenersi risolto per mutuo consenso quando, dal comportamento delle parti, protrattosi per un rilevante periodo di tempo, si evince una dichiarazione risolutoria della parte, anche per fatti concludenti. La valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto resta affidata al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, qualora congruamente motivate sul piano logico-giuridico. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di appello che ha ritenuto provata, sulla base di elementi oggettivi, una fattispecie negoziale di risoluzione consensuale, valutando come significativi: la limitata durata del rapporto di lavoro contestato, il lungo intervallo temporale tra la cessazione del rapporto di lavoro a termine e l'azione giudiziaria, l'immediata assunzione del lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato presso un'azienda dello stesso settore merceologico della precedente. (Cass. 6/7/2008 n. 15264, Pres. Mercurio Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Concetta Lombardo, "Scadenza del contratto a termine e risoluzione del rapporto di lavoro per muto consenso", 158)
  • E' contrario alla direttiva 1999/70/Ce l'art. 2, 1° comma bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti a termine senza indicare e provare le ragioni temporanee, con la conseguenza che il giudice interno deve disapplicare detta norma in favore della disciplina generale di cui all'art. 1, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che pone a carico del datore di lavoro l'onere di specificare (e poi di provare) la causale giustificante l'apposizione del termine. (Trib. Foggia 11/4/2007 Est. Colucci, in D&L 2007, con nota di Matteo Paulli, "Il nuovo contratto a termine di Poste Italiane Spa" 728)
  • Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a causa della nullità del termine apposto a successivi contratti, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, l'intervallo fra l'estromissione dal lavoro e la proposizione dell'azione da un lato e, dall'altro, la prestazione da parte del lavoratore di attività per terzi non possono legittimamente combinarsi così da inferirne una volontà dismissiva del rapporto. L'inerzia, infatti, non ha alcun valore sintomatico, mentre la risoluzione postula una chiara volontà del lavoratore che non esperisca l'azione nella consapevolezza (fatta palese, a es., dall'offerta della prestazione) della posizione giuridica cui ha rinunciato. (Corte app. Catania 6/3/2007, Pres. Pagano Est. D'Allura, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Marina Nicolosi, "Risoluzione per mutuo consenso del contratto a termine illegittimo, attività lavorativa presso terzi e offerta della prestazione", 933)
  • La prosecuzione oltre il ventesimo giorno di un rapporto di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a sei mesi non comporta l'illegittimità del termine originariamente apposto al contratto, ma la sua trasformazione a tempo indeterminato a decorrere dallo scadere del ventesimo giorno successivo al termine previsto. (Trib. Prato 27/11/2006 Est. Rizzo, in D&L 2007, con nota di Andrea Danilo Conte, "Contratto a termine illegittimamente proseguito o contratto a termine illegittimo: quando l'art. 1 e l'art. 5 D.Lgs. 368/01 entrano in conflitto", 759)
  • In base ai principi generali, grava sul datore di lavoro l'onere di provare la concreta sussistenza delle ragioni ex art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368 addotte all'atto dell'assunzione a tempo determinato, dovendo essere specificatamente accertata in giudizio l'effettiva ricollegabilità della singola assunzione a termine alla causa espressa e dichiarata nel contratto, non essendo a tal fine sufficiente addurre generiche indicazioni circa la sussistenza di indifferenziate esigenze generali. (Trib. Milano 9/10/2006, est. Peragallo, in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, "Prova delle ragioni del contratto a termine", 123)
  • Perchè l'apposizione del termine a un contratto di lavoro sia legittima occorre che lo stesso contenga la specificazione in forma scritta delle concrete ragioni giustificatrici, le quali debbono essere espresse in termini sufficienti a consentire al giudice di poter accertarne la corrispondenza alla realtà fattuale ed escludere di talchè la loro pretestuosità e arbitrarietà, sì da scongiurare ogni abuso o intento fraudolento del datore di lavoro. (Trib. Piacenza 27/9/2006 Giud. Picciau, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Alessia Muratorio, "La specificità delle ragioni giustificative dell'apposizione del termine e il controllo del giudice, 577)
  • Il termine apposto a un contratto di lavoro autonomo, essendo strettamente correlato e funzionale a tale contratto, non limita la durata del rapporto di lavoro subordinato concretamente instauratosi tra le parti che dovrà, pertanto, considerarsi a tempo indeterminato. (Trib. Parma 30/5/2006, Est. Brusati, in D&L 2006, 771)
  • Poichè è normativamente necessario, ai sensi dell'art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, che l'atto con cui si individuano le ipotesi di contratti a termine sia stipulato dal sindacato nazionale o locale (esterno all'azienda), e poichè nella parte in cui dispone questa necessità la norma è inderogabile, l'individuazione delle ipotesi di contratti a termine effettuata dalla struttura aziendale, escludendo la garanzia richiesta dalla legge, è nulla. Ciò si verifica anche nel caso in cui l'azienda - come, nella fattispecie, relativa al concessionario del servizio di riscossione esattoriale - si estenda a tutto il territorio (coincidente con quello provinciale, nella specie) della struttura sindacale locale. In base alla stessa ragione la clausola del contratto collettivo nazionale di lavoro con cui la struttura nazionale delega, ai fini della predetta individuazione, la struttura aziendale è nulla. (Cass. 18/5/2006 n. 11655, Pres. Mattone Est. Cuoco, in ADL 2007, 119)
  • L'assunzione con contratto a tempo determinato di lavoratore iscritto alle liste di mobilità ex art. 8, 2° comma, L. 23/7/91 n. 223 rimane comunque assoggettata alla complessiva disciplina dettata dal D.Lgs. 6/9/01 n. 368 che ai sensi dell'art. 1 comporta l'obbligo di specificare per iscritto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificano l'apposizione del termine; in mancanza di ciò il termine è nullo e il rapporto va considerato a tempo indeterminato. (Trib. Milano 11/5/2006, Est. Bianchini, in D&L 2006, con nota di Franco Bernini, "Fine del diritto speciale per gli assunti a termine dalla mobilità?, 787)
  • Il passaggio da un sistema di casi tassativamente indicati e di clausole autorizzatorie da parte dei contraenti collettivi alla liberalizzazione della casistica e alla scelta unilaterale del datore di lavoro non è sufficiente a escludere il carattere di eccezionalità dell’apposizione del termine rispetto ai contratti a tempo indeterminato che continuano a costituire la forma ordinaria e normale del rapporto di lavoro. Ne consegue che non è venuto meno l’impianto che tradizionalmente regola i rapporti di lavoro e, quindi, la necessità di un ancoraggio dell’apposizione del termine alla reale esistenza di specifiche esigenze temporanee. (Corte app. Milano 9/1/2006, Rel. Castellini Rel. Sbordone, in Lav. Nella giur. 2006, 823)
  • La clausola 8, punto 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18/3/99 e attuato con la direttiva 1999/70/Ce (c.d. clausola di non regresso) non impedisce quelle riduzioni del livello generale di protezione offerta ai lavoratori nell’ordinamento giuridico nazionale che non siano in alcun modo collegate con l’applicazione dell’accordo stesso; conseguentemente la predetta direttiva non osta a una normativa che, per motivi connessi con la necessità di promuovere l’occupazione e indipendentemente dall’applicazione di detto accordo, abbassi l’età oltre la quale possono essere stipulati senza restrizioni contratti di lavoro a tempo determinato. (Corte di Giustizia Ce 22/11/2005, causa C-144/04, Pres. P. Jann, Rel. R. Schintgen, in D&L 2006, con n. Alberto Guariso, “Giovani, adulti e anziani nella corsa al posto di lavoro; la Corte Ce mette ordine nelle cause di giustificazione della discriminazione per età”, 387)
  • Il diritto comunitario e, in particolare, l’art. 6 n. 1 della Direttiva 2000/78/Ce che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nella causa a qua, la quale autorizzi senza restrizioni la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato qualora il lavoratore abbia raggiunto l’età di 52 anni. (Corte di Giustizia Ce 22/11/2005, causa C-144/04, Pres. P. Jann, Rel. R. Schintgen, in D&L 2006, con n. Alberto Guariso, “Giovani, adulti e anziani nella corsa al posto di lavoro; la Corte Ce mette ordine nelle cause di giustificazione della discriminazione per età”, 387)
  • Il dipendente a tempo determinato illegittimamente licenziato in difetto di giusta causa (non potendosi ritenere tale la situazione di transeunte difficoltà economica del datore di lavoro) ha diritto non alla reintegrazione nel posto di lavoro, ma al risarcimento del danno, che può legittimamente quantificarsi, in via equitativa, sulla base delle retribuzioni che gli sarebbero spettate fino alla scadenza del termine; né da esso può essere legittimamente dedotto, a titolo di aliunde perceptum, quanto dal lavoratore percepito a seguito di altra sua occupazione, qualora risulti la non esclusività della prestazione illegittimamente interrotta per volontà unilaterale del datore di lavoro. (Cass. 1/6/2005 n. 11692, Pres. Ciciretti Rel. Figurelli, in Dir. e prat. lav. 2006, 30)
  • È compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del principio generale di non discriminazione in ragione dell’età, disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale, anche quando il termine di trasposizione della detta direttiva non è ancora scaduto. (Corte di Giustizia Ce 22/11/2005, causa C-144/04, Pres. P. Jann, Rel. R. Schintgen, in D&L 2006, con n. Alberto Guariso, “Giovani, adulti e anziani nella corsa al posto di lavoro; la Corte Ce mette ordine nelle cause di giustificazione della discriminazione per età”, 387)
  • Deve considerarsi legittima l’apposizione del termine a un contratto allorché sia riconosciuto dalle parti sociale – nell’ambito di accordi stipulati per regolamentare una fase, transitoria, di riorganizzazione dell’azienda – un’esigenza organizzativa oggettiva, l’esistenza del nesso causale intercorrente tra la stessa e l’assunzione a termine e la coerenza tra l’assunzione e la situazione aziendale nell’attualità della quale non è possibile al datore di lavoro stabilire quale sia il suo fabbisogno di personale in pianta stabile per lo svolgimento dell’attività di impresa. (Corte app. Milano 25/10/2005, Pres. Castellini Rel. Sbordone, in Lav. Nella giur. 2006, 71)
  • In base all'art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 le ragioni oggettive che consento l'apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato devono essere specificatamente individuate nel contratto e avere i connotati della strutturale temporaneità, in modo tale che sia accertabile il nesso di causa fra le suddette ragioni e la temporaneità dell'assunzione del lavoratore. (Corte app. Firenze 30/5/2005, Pres. Bartolomei, in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Pasqualino Albi, "Le ragioni oggettive che consento l'apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato", 111)
  • Le ipotesi eventualmente previste dalla contrattazione collettiva per la stipula di contratti a termine non possono in ogni caso ritenersi esentate dal rispetto della disciplina generale in materia: conversione in un rapporto a tempo indeterminato e onere della prova a carico del datore di lavoro sono principi di base cui è necessario attenersi. (Cass. 14/4/2005 n. 7745, Pres. Sciarelli Rel. Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1945
  • Ai sensi del D.Lgs. 6/9/01 n. 368, il datore di lavoro ha in primo luogo l’obbligo di indicare nel contratto le ragioni che giustificano l’apposizione del termine (a tal fine non essendo sufficiente far semplice riferimento alle generiche declaratorie contenute nella norma di legge) e, successivamente e in caso di contestazione, di provare la loro sussistenza in concreto (nel caso di specie, è stata ritenuta generica la motivazione che faceva riferimento a una “maggiore richiesta di servizi” e a necessità collegate al “periodo feriale”, senza peraltro indicare quali servizi sarebbero stati acquisiti, in relazione ai quali non sarebbe stato sufficiente il personale già in forza. Deve ritenersi sussistente – in applicazione dell’art. 4 Cost. e in considerazione del carattere alimentare della retribuzione – il periculum in mora in caso di estromissione del dipendente alla scadenza del termine illegalmente apposto. (Trib. Milano 25/11/2004, ord., Est. Atanasio, in D&L 2005, con nota di Stefano Chiusolo, “Primi orientamenti giurisprudenziali sulla riforma del contratto a termine”, 152)
  • L’indicazione nel contratto di una duplice causale legittimante l’assunzione a tempo determinato non può di per sé comportare la nullità del contratto, specie allorchè risulti confermato dalle prove assunte che sussisteva effettivamente uno dei presupposti indicati nel contratto – nella specie la sostituzione di lavoratori in ferie. In tale ipotesi, tuttavia, deve ritenersi la nullità dell’assunzione a termine allorchè risulti che di fatto il lavoratore è stato incaricato anche di mansioni diverse da quelle di semplice sostituzione del personale in ferie. (Corte d’appello Milano 9/11/2004, Pres. e Rel. Castellini, in Lav. nella giur. 2005
  • L’apposizione del termine a contratti stipulati ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. e), L. n. 230/1962 è illegittima qualora il lavoratore sia utilizzato in programmi diversi da quelli previsti nei singoli contratti. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751
  • Considerato che la nuova disciplina del D. Lgs. 6/9/2001 n. 368 non è venuto meno il principio generale per cui il contratto a termine rimane possibilità ammessa in via di eccezione rispetto alla regola del rapporto a tempo indeterminato, occorre che in concreto siano dal datore di lavoro esplicitate (e provate in giudizio) le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo astrattamente indicate dalla disposizione dell'art. 1 D. Lgs. 6/9/01 n. 368. (Trib. Firenze 5/2/2004, Est. Muntoni, in D&L 2004, 325, con nota di Andre a Danilo Conte, "Nuova disciplina dei contratti a termine, primi orientamenti giurisprudenziali")
  • L'art. 1 D. Lgs. 6/9/01 n. 368 deve essere interpretato, anche alla luce della normativa comunitaria di cui la norma italiana è attuazione, nel senso che il datore di lavoro ha l'onere a monte, di specificare, e a valle, di dimostrare le ragioni a fronte delle quali è consentita la stipulazione di contratti a termine (nella fattispecie è stata dichiarata la nullità del termine, con conseguente accertamento della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto-tra l'altro-è stato ritenuto che, anche ammettendo come fatto notorio il maggior flusso postale nel periodo natalizio, nulla era stato dedotto in ordine agli effetti di tale aumento sul centro in cui era stato addetto il lavoratore, anche in relazione al numero complessivo di contratti a termine stipulati per far fronte a quella esigenza). (Trib. Milano 13/11/2003, Est. Mascarello, in D&L 2003, 937)
  • Anche nel contesto normativo delineato dal D. Lgs. 6/9/01 n. 368, la legittima apposizione del termine ad un rapporto di lavoro presuppone che il datore di lavoro indichi specificatamente le ragioni che la giustifichino e, in sede giudiziaria, provi l'effettiva ricorrenza in fatto delle esigenze che legittimano la deroga al principio generale per cui l'ordinario rapporto di lavoro è a tempo indeterminato, nonché il nesso eziologico tra tali esigenze e la stipulazione del singolo contratto a termine (nella fattispecie è stata dichiarata l'illegittimità dell'apposizione del termine, con conseguente accertamento della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto la motivazione addotta nella lettera di assunzione, oltre ad essere stereotipata e ripetitiva, faceva riferimento ad una pluralità di ragioni alternative. (Trib. Milano 31/10/2003, Est. Martello, in D&L 2003, 936)
  • L'ampiezza dell'ambito delle ragioni che giustificano l'apposizione del termine ad un contratto di lavoro ex art. 1 D. Lgs. 6/9/01 n. 368 è ridimensionata dalla previsione contenuta nel 2° comma di quella norma, che impone una specifica indicazione delle ragioni stesse (nel caso di specie, è stata dichiarata la nullità del termine, con conseguente accertamento della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto le due ragioni indicate nella lettera di assunzione, da valutarsi necessariamente in maniera congiunta e non alternativa, erano l'una generica, l'altra non provata). (trib. Milano 15/10/2003, Est. Sala, in D&L 2003, 937)
  • La clausola che permette lecitamente l’apposizione del termine al rapporto di lavoro prevista dall’art. 1, D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, pur caratterizzandosi per generalità ed apertura, deve essere interpretata con rigore formale, non essendo sufficiente la presenza nel contratto di un generico richiamo alle esigenze di “carattere tecnico, produttivo o sostitutivo”. Le ragioni che stanno alla base della apposizione del termine devono essere infatti indicate contestualmente nel contratto stipulato e devono rispondere a requisiti di oggettività, in modo da essere riscontrabili al momento della assunzione e verificabili anche in seguito. (Trib. Ravenna 7/10/2003, Est. Mazzini, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Paola Nodari, 1285)
  • È illegittima l'apposizione del termine giustificato, a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. 6/9/01 n. 368, dalla necessità di sperimentare l'internalizzazione di un servizio prima appaltato all'esterno, in quanto le ragioni organizzative di cui all'art. 1 del D. Lgs. Citato devono attenere esclusivamente ad elementi oggettivi, senza poter riguardare risorse umane o il mero apporto di prestazioni personali. (trib. Milano 18/7/2003, ord., Est. Chiavassa, in D&L 2003, 937, con nota di Angelo Beretta, "La riforma del contratto a termine: primi interventi giurisprudenziali")
  • L'apposizione del termine di durata al contratto per prestazione d'opera intellettuale costituisce deroga implicita alla facoltà di recesso ad nutum ex art. 2237, 1° comma, c.c.; ne consegue che al collaboratore, in caso di recesso anticipato del committente, devono essere corrisposti i compensi che sarebbero maturati sino alla scadenza predeterminata del rapporto. (Trib. Milano 23/4/2003, Est. Mascarello, in D&L 2003, 764)
  • Per i contratti a termine stipulati vigente la L. 18/4/62 n. 230 il datore di lavoro non è obbligato ad indicare, in sede di assunzione, la causale che legittima l'apposizione del termine; ciò nondimeno, qualora l'abbia indicata, è ad essa vincolato e non può poi in giudizio addurre a giustificazione del termine una diversa causale (nella specie l'assunzione era avvenuta per "esigenza straordinaria connessa all'esecuzione di un'opera definita nel tempo" ed il datore aveva portato in giudizio, a giustificazione della stessa, l'esistenza di un picco produttivo). (Trib. Milano 26/2/2003, Est. Frattin, in D&L 2003, 309)
  • E' priva di effetto l'apposizione del termine-anteriore al d.leg. 6 settembre 2001 n. 368 e per questo ad esso non soggetto-al contratto di lavoro contenuta in lettera d'assunzione consegnata al lavoratore priva di sottoscrizione dello stesso. (Cass. 11/12/2002, n. 17674 Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Foro it. 2003, parte prima, 443)
  • Nei settori del commercio e del turismo, per i quali l'art. 1 L. 3/2/78 n. 18 prevede la possibilità di assunzione a termine per intensificazione dell'attività lavorativa, la preventiva autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro non conferisce al datore di lavoro una incondizionata facoltà di proroga nell'ambito del periodo preventivamente autorizzato, dovendo comunque sussistere i requisiti di cui all'art. 2 L. 18/6/62 n. 230. (Cass. 12/7/2002 n. 10189, Pres. Ianniruberto Est. Filadoro, in D&L 2003, 75)
  • Anche dopo l'entrata in vigore del D. Lgs. 6/9/01 n. 368, l'apposizione del termine al rapporto di lavoro subordinato costituisce deroga al principio generale secondo cui detto rapporto, per sua natura, è a tempo indeterminato. (Cass. 17/5/2002 n. 7468, Pres. Mileo Est. Cuoco, in D&L 2002, 609, con nota di Stefano Chiusolo, "La riforma del contratto di lavoro a termine")
  • Le circostanze idonee, ai sensi dell'art. 2 L. 18/6//62 n. 230, a legittimare la proroga del termine ad un contratto di lavoro a tempo determinato debbono essere ontologicamente differenti rispetto a quelle che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine stesso. (Cass. 12/7/2002 n. 10189, Pres. Ianniruberto Est. Filadoro, in D&L 2003, 75)
  • In ipotesi di successive assunzioni a termine, la verifica del rispetto del limite temporale previsto dall'art. 2, 2° comma, L. 18/4/62 n. 230, ai fini della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, va effettuata con riferimento alla data di stipulazione del contratto successivo, e non alla data di inizio della prestazione lavorativa dallo stesso prevista. (Trib. Firenze 18/6/2002, Est. Nuvoli, in D&L 2003, 80, con nota di Roberto Muller, "Successione di contratti a termine e conversione del rapporto")
  • Nell'ipotesi in cui il contratto a tempo determinato debba considerarsi nullo con coseguente conversione ex legge del contratto in contratto a tempo indeterminato, la dichiarazione del datore di lavoro di cessazione del rapporto per scadenza del termine non può essere altrimenti intesa che come volontà di risolvere il rapporto e, quindi, come licenziamento con conseguente applicazione di tutta la relativa disciplina, ivi compresa la disposizione dell'art. 6, L. n. 604/1966. (Trib. Milano 11/4/2002, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2003, 189)
  • Sono manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza e per difetto di motivazione sulla stessa, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, 21° comma, d.l. 1/10/96, n. 510, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, 1° comma, l. 28/11/96, n. 608, nella parte in cui prevede, per i lavoratori con contratto a tempo determinato assunti dall'Ente poste italiane non oltre il 30/6/97, un trattamento discriminatorio rispetto a quello dei lavoratori dipendenti da altri datori di lavoro, ledendo spazi riservati all'autonomia collettiva, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost.; sono infondate le questioni di legittimità costituzionale della stessa norma, nella parte in cui esclude che le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato, effettuate dall'Ente poste italiane non oltre il 30/6/97, possano dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35, 39, 41, 77, 101, 102 e 104 Cost. (Corte cost. 13/10/00, n. 419, pres. Mirabelli, est. Marini, in Foro it. 2001, I, 1087; in Lavoro giur. 2001, pag. 33, con nota di Casadio, Legittimità a tempo ed eccezionale dei contratti a termine nelle Poste Italiane s.p.a.; in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 33)
  • Nel settore del turismo e dei pubblici servizi è legittima l'assunzione a termine di manodopera per servizi speciali di durata giornaliera solo ove tali evenienze si presentino con caratteristiche quantitative e qualitative particolari e tali da generare esigenze non suscettibili di essere soddisfatte con l'organico stabile (Trib. Roma 24/3/00, est. Di Sario, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 320, con nota di Bartalotta, Il contratto a termine "a giornata")
  • E' inammissibile ai sensi dell'art. 75, 2° comma, Cost. il referendum abrogativo dell'art. 1 L. 18/4/62 n. 230, che vincola a condizioni oggettive e determinate la facoltà di apporre un termine al contratto di lavoro, poiché l'abrogazione di tale norma esporrebbe lo Stato italiano a responsabilità per violazione degli impegni assunti in sede comunitaria e derivanti dalla direttiva 1999/70/CE del 28/6/99 che impone a ogni stato membro di regolamentare e limitare il ricorso al contratto di lavoro a termine secondo i criteri ivi espressi e già contenuti nella norma da abrogare (Corte Cost. 7 febbraio 2000 n. 41, pres. Vassalli, rel. Bile, in D&L 2000, 310, n. Paganuzzi, Referendum e contratti a tempo determinato)
  • Si trasforma in contratto a tempo indeterminato ai sensi dell'art. 2, 2° comma, L. 18/4/62 n. 230, con conseguente illegittimità del recesso intimato per asserita scadenza del termine, un contratto a termine stipulato fittiziamente come contratto a part-time verticale, qualora il part-time sia nullo per mancata indicazione della distribuzione temporale della prestazione e il contratto stesso preveda di conseguenza due distinti rapporti a termine, il secondo dei quali insorga prima del termine di quindici giorni dalla fine del precedente (Trib. Milano 29 gennaio 2000, pres. Mannacio, est. Gargiulo, in D&L 2000, 366)
  • Le cosiddette punte stagionali (dovute al maggior flusso di clientela in determinati periodi dell'anno) nonché le esigenze determinate da ferie dei dipendenti non possono essere considerate evento straordinario od occasionale che determina esigenze inconsuete ed imprevedibili tali da sfuggire alla normale programmazione imprenditoriale (Corte Appello Genova 7/11/00, pres. Russo, est. Meloni, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag 150, con nota di Viceconte, L'uso delle varie tipologie di contratto a tempo determinato)
  • Lo svolgimento successivo nel tempo (nel caso alternativamente in anni successivi) di contestuali esigenze straordinarie prima da parte di personale in organico e quindi di personale assunto con contratto a termine deve trovare adeguata giustificazione da parte del datore di lavoro e ove non sia chiaramente desumibile se i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato siano stati adibiti alle mansioni connesse alle esigenze straordinarie il termine apposto deve considerarsi nullo e i contratti devono essere considerati a tempo indeterminato (Corte Appello Genova 7/11/00, pres. Russo, est. Meloni, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag 150, con nota di Viceconte, L'uso delle varie tipologie di contratto a tempo determinato)
  • Ai sensi dell’art. 1, 3° comma, L. 18/4/62 n. 230, nel caso in cui il contratto di lavoro subordinato contenente l’apposizione del termine venga stipulato successivamente all’effettivo inizio del rapporto, consegue la nullità del termine, nonché, nell’ipotesi di risoluzione del rapporto per scadenza del medesimo termine tardivamente apposto, il diritto del lavoratore alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate (Pret. Milano 24 febbraio 1999, est. Frattin, in D&L 1999, 339)
  • In caso di più contratti a termine, la nullità del termine apposto al primo contratto comporta la conversione a tempo indeterminato del rapporto, ma la retribuzione per i periodi non lavorati e per il periodo successivo alla definitiva cessazione del rapporto spetta solo qualora il lavoratore abbia offerto la propria prestazione di lavoro (Pret. Parma 27/11/98, est. Vezzosi, in D&L 1999, 329)
  • Va esclusa l’applicabilità del regime di decadenza stabilito dall’art. 6, L. 15/7/66 n. 604, all’ipotesi di impugnazione del termine apposto al contratto di lavoro effettuata per sostenere la conversione di quest’ultimo in contratto a tempo indeterminato (Pret. Milano 3/2/98, est. Porcelli, in D&L 1998, 675)
  • In caso di conversione di più contratti di lavoro a termine in un unico contratto a tempo indeterminato fin dall’origine, gli eventuali intervalli lavorativi tra l’uno e l’altro contratto sono valutabili come sospensioni concordate del rapporto, inutilizzabili pertanto sul piano dell’anzianità di servizio (Pret. Roma 20/7/96, est. Cannella, in D&L 1997, 306)
  • Ai sensi dell'art. 1 c. 3 L. 230/62, nel caso in cui il contratto di lavoro subordinato contenente l'apposizione del termine venga stipulato per iscritto successivamente all'inizio della prestazione lavorativa, deve ritenersi che il rapporto di lavoro sia sorto sin dall'origine a tempo indeterminato; l'atto scritto intervenuto successivamente, nel quale sia previsto un termine finale del rapporto, non può infatti avere l'effetto di rendere a tempo determinato un rapporto già sorto a tempo indeterminato (Pret. Chiavari 23/10/95, est. Barenghi, in D&L 1996, 139)
  • Il requisito della forma scritta ad substantiam, imposta per la determinazione della durata del rapporto a termine, non si estende all'enunciazione delle particolari situazioni di fatto che lo giustificano (Cass. 8/7/95 n. 7507, pres. Donnaruma, est. Miani, in D&L 1996, 119, nota MUGGIA, Il contratto a termine ovvero il rigore apparente)