Nullità del termine: conseguenze

  • L’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. (Cass. 23/4/2019 n. 11180, Pres. Manna Est. Curcio, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di F. Corso, “Termine illegittimo, riammissione in servizio, trasferimento e ‘disobbedienza’ del lavoratore”, 569)
  • In caso di utilizzo illegittimo di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, oltre alla conversione dello stesso in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso l’utilizzatore, spetta al lavoratore il risarcimento del danno in misura pari a quanto previsto dall’art. 32, co. 5, l. n. 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro). (Cass. 22/5/2017, n. 12811, Pres. Di Cerbo Est. Balestrieri, in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di T. Ercolani, “Illegittimità del contratto di lavoro temporaneo e risarcimento del danno”, 671)
  • Nel caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto a termine che sia stato illegittimamente stipulato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (ossia prima del 25 giugno 2015), si applicano i criteri economici di risarcimento del danno previsti dall’art. 32, commi 5 e 6, L. 4 novembre 2010, n. 183. (Cass. 9/9/2016 n. 17866, Pres. Amoroso Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2017, 94)
  • In materia di contratto di lavoro a tempo determinato, la nullità della clausola appositiva del termine può essere rilevata d’ufficio dal giudice, il quale ha l’obbligo di segnalare la questione alle parti affinché il lavoratore possa proporre apposita domanda e la parte convenuta esercitare tutte le proprie difese. In difetto, la sentenza – contenente la pronuncia in via incidentale della nullità – emessa all’esito del giudizio è nulla e le parti vanno rimesse in termini, nel grado di appello, per formulare deduzioni ed eccezioni, ivi compresa quella di decadenza ex art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183. (Corte app. Firenze 18/2/2015 n. 816, Pres. Silvestrini Est. Liscio, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota Luigi Di Paola, “Rilevabilità officiosa delle nullità negoziali e diritto del lavoro: un tema da approfondire”, 1109)
  • Nel caso di trasformazione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione del termine, l’indennità risarcitoria, dovuta ai sensi dell’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, 183, ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprendendo tutti i danni – retributivi e contributivi – causati dalla perdita del lavoro a causa dell’illegittima apposizione del termine, con riferimento agli “intervalli non lavorati” fra l’uno e l’altro rapporto a termine; al contrario, i “periodi lavorati”, non solo nel primo, ma anche nei successivi contratti del periodo intermedio, una volta inseriti nell’unico rapporto a tempo indeterminato, fanno parte dell’anzianità lavorativa e contributiva e devono essere considerati ai fini della quantificazione degli aumenti periodici di anzianità. (Cass. 12/1/2015 n. 262, Pres. Curzio Est. Marotta, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Roberto Voza, “Successione di contratti a termine illegittimi e determinazione dell’anzianità lavorativa”, 436)
  • L’instaurazione di rapporti di lavoro da parte delle università con collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza, con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo determinato, anziché a tempo indeterminato, pur in assenza di esigenze temporanee, a norma dell’art. 4 del D.L. n. 120 del 1995, convertito con modificazioni in L. n. 236 del 1995, non implica la conversione del primo nel secondo, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 230 del 1962 e poi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368 del 2001. Ciò, infatti, è escluso dalla peculiare disciplina del citato art. 4 che prevede i vincoli di compatibilità con le risorse disponibili nei bilanci e di selezione pubblica con modalità disciplinate dalle università secondo i rispettivi ordinamenti; ovvero criteri di efficiente impiego delle finanze pubbliche e di garanzia di imparziale valutazione meritocratica, rispondenti al principio di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, che rendono palese la non omogeneità dei rapporti di lavoro in esame con la disciplina del rapporto privato. (Cass. 15/10/2014 n. 21831, Pres. Vidiri Est. Patti, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Ilaria Bresciani, 257)
  • L’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 richiama in senso ampio l’istituto del contratto di lavoro a tempo determinato, con formulazione unitaria, indistinta e generale adoperandosi la locuzione “casi” di “conversione del contratto a tempo determinato” non associata all’indicazione di normativa specifica di riferimento, né al riferimento a ulteriori elementi selettivi. Ciò che, quindi, rileva al fine della verifica della applicazione della norma considerata, è la ricorrenza del duplice presupposto della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della sussistenza di un momento di “conversione” del contratto medesimo. (Cass. 6/10/2014 n. 21001, Pres. Lamorgese Rel. Lorito, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Elisabetta Bavasso, 174)
  • Il termine decadenziale per l’impugnazione dell’illegittimità del termine apposto al contratto è applicabile anche all’ipotesi di violazione dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 368/2001, cioè di superamento del termine complessivo di 36 mesi di prestazione e non solo per la violazione delle norme di cui agli articoli 1, 2 e 4 del detto D.Lgs. (Trib. Milano 4/4/2014, Giud. Taraborrelli, in Lav. nella giur. 2014, 826)
  • L’indennità ex art. 32, comma 5, della Legge 183/2010, come rilevato dalla Corte Costituzionale 11 novembre 2011, n. 303, e come definitivamente chiarito dal Legislatore all’art. 1, comma 13, Legge 92/2012, è satisfattiva di ogni conseguenza negativa patita a cagione della nullità del termine sino alla pronunzia del provvedimento con il quale viene ordinata la costituzione del rapporto. (Trib. Milano 18/3/2014, Giud. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2014, 719)
  • Va escluso il dubbio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 13, legge n. 92/2012, atteso che tale disposizione si è limitata a recepire l’interpretazione della Corte Costituzionale, attribuendogli valore di norma di interpretazione autentica per ovviare ai persistenti dubbi interpretativi giustificati dalla circostanza che, essendo la sentenza n. 303/2011 della Corte Costituzionale una pronuncia di rigetto, non vincola oltre i giudizi in cui è stata sollevata la questione. (Corte app. Roma 6/2/2014, Pres. Gallo, in Lav. nella giur. 2014, 930)
  • Se da una parte, in caso di riammissione in servizio in adempimento di un provvedimento giudiziale il datore di lavoro è tenuto a riassumere il lavoratore nello stesso posto di lavoro e nelle stesse mansioni precedentemente svolte, dall’altra, se non sussistono più le condizioni oggettive per la riammissione nello stesso posto e quindi nella stessa sede di lavoro e nelle stesse mansioni, è legittimo che il datore di lavoro, per causa a lui non imputabile e soprattutto non per sua volontà e scelta, riammetta in servizio il lavoratore anche in una sede diversa da quella originaria e in mansioni equivalenti alle precedenti. (Trib. Milano 19/8/2013, Giud. Cuomo, in Lav. nella giur. 2013, 1130)
  • Il lavoratore reintegrato dal giudice non può essere trasferito in una sede diversa da quella in cui lavorava al momento della fine del rapporto, a meno che il datore di lavoro non dimostri l’esistenza di esigenze di carattere tecnico, produttivo e organizzativo, che rendono necessario il mutamento del luogo di lavoro. L’obbligo di eseguire la sentenza del giudice non può dirsi rispettato quando il lavoratore viene destinato a mansioni diverse da quelle svolte in precedenza o presso una sede lavorativa diversa da quella originaria. Questo perché, a seguito della sentenza che accerta la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, il rapporto deve intendersi come mai cessato e quindi deve esserci continuità lavorativa piena. (Cass. 16/5/2013 n. 11927, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 846)
  • In tema di risarcimento del danno conseguente alla conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’art. 32, 5° e 6° comma, L. 4/11/10 n. 183 (cd. Collegato Lavoro) costituisce una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, trattandosi di una indennità forfetizzata e omnicomprensiva di ogni danno sofferto dal lavoratore nel periodo compreso tra la scadenza del termine nullo e la sentenza di conversione. (Cass. 7/9/2012 n. 14996, Pres. Roselli Est. Nobile, in D&L 2012, con nota di Giuseppe Bulgarini D’Elci, “Sul carattere forfetizzato e omnicomprensivo dell’indennità risarcitoria ex art. 32, commi 5 e 6, del Collegato lavoro in presenza di contratto a termine nullo”, 689)
  • Attesa la natura omnicomprensiva dell’indennità forfetizzata di cui all’art. 32, 5° e 6° comma, L. 4/11/10 n. 183, deve ritenersi che la stessa, comprendendo tutti i danni causati dalla nullità del termine nel periodo che va dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione, sia di natura retributiva che contributiva, non può che comprendere anche gli scatti di anzianità e il risarcimento del danno conseguente alla mancata assegnazione delle azioni, trattandosi di danni direttamente ricollegabili alla nullità del termine. (Cass. 7/9/2012 n. 14996, Pres. Roselli Est. Nobile, in D&L 2012, con nota di Giuseppe Bulgarini D’Elci, “Sul carattere forfetizzato e omnicomprensivo dell’indennità risarcitoria ex art. 32, commi 5 e 6, del Collegato lavoro in presenza di contratto a termine nullo”, 689)
  • L’indennità di cui all’art. 32, 5° comma, L. 4/11/10 n. 18, copre il periodo fino alla domanda giudiziale, cioè fino al deposito del ricorso introduttivo, e da quella data spettano al lavoratore le retribuzioni maturate per effetto della conversione del rapporto. (Corte app. Torino 24/7/2012, Pres. Maffiodo Est. Pietrini, in D&L 2012, con nota di Matteo Paulli, “Illegittimità del termine tra indennità e risarcimento”, 700)
  • L’introduzione del comma 1-bis dell’art. 32 L. 4/11/10 n. 183 a opera dell’art. 2, 54° comma, DL 29/12/10 n. 255, convertito con L. 26/12/11 n. 10, determina la posticipazione al 31/12/11 di tutta la disciplina dei termini di decadenza introdotta con l’art. 32 L. 4/11/10 n. 183. (Trib. Milano 6/7/2012, Est. Atanasio, in D&L 2012, con nota di Matteo Paulli, “Proroga del contratto a termine e onere di specificazione”, 705)
  • L’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve avvenire nel luogo e nelle mansioni originarie, visto che il rapporto contrattuale si intende come mai cessato e quindi la continuità dello stesso implica che la prestazione deve persistere nella medesima sede. (Cass. 16/5/2013 n. 11927, Pres. Miani Canevari Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 735)
  • All’illegittimità del termine per difetto di specificazione dei motivi consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Cass. 21/9/2011 n. 24479, Pres. Miani Canevari Est. La Terza, in D&L 2012, con nota di Alessia Piscone, “Termine illegittimo e regime sanzionatorio”, 694)
  • L’intento manifestato dal legislatore è chiaro e il comma 5 (dell’art. 32 ndr) non sembra offrire difficoltà interpretative particolari. Lo scopo e l’effetto della disposizione sono di agevole individuazione: in tutti i casi in cui il giudice dichiari la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, per il periodo compreso fra l’interruzione del rapporto stesso (alla scadenza del termine dichiaro illegittimo) e la sentenza dichiarativa della nullità del termine, è dovuta al lavoratore, a titolo di risarcimento, soltanto un’indennità omnicomprensiva, dunque, esaustiva di qualsiasi pretesa risarcitoria o retributiva, da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto in godimento all’epoca di risoluzione del contratto. La predeterminazione del risarcimento da parte del legislatore in una somma omnicomprensiva rende irrilevante che il lavoratore abbia messo in mora il datore di lavoro, offrendogli le proprie prestazioni, poiché il danno è presunto e il risarcimento prestabilito, sia pure in misura graduabile fra un minimo e un massimo, secondo i criteri dettati dall’art. 8 della l. n. 604/1966. (Corte app. Perugia 3/5/2011, Pres. e Rel. Pratillo Hellmann, in Lav. nella giur. 2011, 849)
  • In applicazione della disposizione del Collegato lavoro, l’unica conseguenza in caso di nullità del termine per la totale mancanza delle ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive previste dall’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, è la condanna della società al pagamento delle mensilità: tale misura è congrua attesa la risoluzione definitiva del rapporto intervenuta ex lege. Con la nuova disciplina non deve essere restituito il TFR in quanto il rapporto non è ricostituito e non rivive. (Trib. Milano 9/2/2011 n. 618, Giud. Taraborrelli, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Elisabetta Cassaneti e Sergio Spatato, 929)
  • L'indennità prevista dall'art. 32, commi 5 e 6, l. 4 novembre 2010 n. 183, esclude qualsiasi altro credito, indennitario o risarcitorio, del lavoratore e si applica, alla stregua del comma 7, anche ai giudizi pendenti in Cassazione. Non sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32, commi 5 e 6, della legge citata, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111 e 117, Cost. (Cass. 28/1/2011, ord., n. 2112, Pres. Roselli Est. Zappia, in Orient. giur. lav. 2011, 39)
  • Il comma 5, dell’art. 32, l. n. 183/2010 non ha fatto venire meno il diritto del lavoratore di chiedere e ottenere la pronuncia della conversione del rapporto. La novità, rispetto alla situazione precedente, sta nell’introduzione di un particolare regime risarcitorio che prevede il pagamento di un’indennità onnicomprensiva che si sostituisce e non si aggiunge alle conseguenze risarcitorie di diritto comune e quindi esaurisce in sé tutte le conseguenze – risarcitorie – dell’accertata legittimità del termine. (Trib. Roma 11/1/2011, Giud. Sordi, in Lav. nella giur. 2011, 418)
  • In tema di rapporto di lavoro a termine, l’applicazione retroattiva dell’art. 32, comma 5, l. 4 novembre 2010 n. 183 – il quale ha stabilito che, in caso di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una “indennità omnicomprensiva” compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 l. 15 luglio 1966 n. 604 – prevista dal successivo comma 7 del medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria a seguito dell’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine, e non anche della ulteriore statuizione relativa alla condanna al risarcimento del danno, essendo quest’ultima una statuizione avente individualità, specificità e autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura del rapporto. (Cass. 3/1/2011 n. 65, Pres. Roselli Est. Zappia, in Orient. Giur. Lav. 2011, 107)
  • Dall’accertata nullità del termine apposto a un contratto stipulato con una Pubblica Amministrazione non può derivare la conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma, a norma dell’art. 36 del D.Lgs. 30/3/01 n. 165, il lavoratore acquisisce il diritto al risarcimento del danno subito, il quale deve essere quantificato sulla base del disposto dell’art. 18, commi 4 (danno provocato dall’intimazione del licenziamento invalido) e 5 (indennità sostitutiva della reintegra) SL, in materia di licenziamento invalido, previsioni attraverso le quali il legislatore ha inteso monetizzare il valore del posto di lavoro assistito dalla c.d. stabilità reale, quale è quella alle dipendenze della Amministrazione Pubblica. (Trib. Foggia 5/11/09, est. Del Prete, in D&L 2010, con nota di Anna Rota, “Illegittimità dei contratti a termine nella PA e ‘originalità’ giurisprudenziali sulla questione della tutela risarcitoria”, 453)
  • Nel caso in cui il contratto difetti di uno dei requisiti essenziali per la valida apposizione del termine - quale è la specificazione delle ragioni di cui al comma 2 dell'art. 1 - e non sia quindi integrata la fattispecie delineata dal Decreto Legislativo in parola, il rapporto istaurato non sia sine titulo e regolato, quindi, dall'art. 2126 c.c., ma sia da reputarsi a tempo indeterminato fin dal suo inizio e disciplinato dalle relative disposizioni di legge. (Trib. Milano 24/2/2009, Dott. Di Leo, in Lav. nella giur. 2009, 526)
  • Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo. (Cass. 24/6/2008 n. 17150, Pres. Mattone Est. Napoletano, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di F. Bonfrate, "L'inerzia del lavoratore e la sua rilevanza ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro", 3)
  • La mancanza di ragioni giustificatrici dell'apposizione del termine al contratto di lavoro non comporta la nullità dell'intero contratto ex art. 1419, 1° comma, c.c., ma la mera sostituzione della clausola nulla ex art. 1419, 2° comma, con conseguente trasformazione del rapporto a tempo indeterminato; ciò anche in mancanza di una norma che espressamente stabilisca le conseguenze di tale omissione, giacché la sanzione da applicarsi ben può essere ricavata dai principi generali e, comunque, interpretando la norma nel quadro delineato dalla direttiva 1999/70/Ce, della quale il D.Lgs. 6/9/01 n. 368 è attuazione. (Cass. 21/5/2008 n. 12985, Pres. Mattone Est. Nobile, in D&L 2008, con nota di Matteo Paulli, "Primo intervento della Corte di Cassazione sulle conseguenze della nullità del termine dopo il D.Lgs. 368/01", 889)
  • La mancata specificazione, nel contratto di lavoro, delle ragioni legittimanti l'assunzione a termine è sanzionata con l'efficacia della clausola del termine. Ne consegue che il contratto, privo di una valida clausola del termine, è a tempo indeterminato sin dalla sua stipulazione. In tal caso, il risarcimento del danno spettante al lavoratore va liquidato secondo la disciplina comune in materia di responsabilità contrattuale e, quindi, nella misura delle retribuzioni perdute a causa dell'illegittimo rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa opposto dal datore di lavoro. (Corte app. Torino 14/1/2008, Pres. e Rel. Girolami, in Lav. nella giur. 2008, 1068)
  • In caso di contratto a termine convertito in contratto a tempo indeterminato, la dichiarazione del datore di lavoro di cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine non può essere altrimenti intesa che come volontà di risolvere il rapporto e, quindi, come licenziamento con conseguente applicazione di tutta la relativa disciplina. (Trib. Milano 30/10/2007, Est. Di Ruocco, in D&L 2008, con nota di Andrea Leone D'Agata, "Risoluzione del rapporto per scadenza del termine e licenziamento: una sentenza condivisibile ma non condivisa", 130, e in Lav. nella giur. 2008, 531)
  • Dichiarata la nullità del termine con conseguente dichiarazione della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall'inizio della prestazione, la disciplina del comporto di malattia non è quella dettata con riguardo al contratto a termine e parametrata sulla sua durata, bensì quella relativa ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato prevista in generale; ne discende la nullità del recesso operato dal datore di lavoro per superamento del periodo di comporto breve previsto per il dipendente a tempo determinato. (Corte app. Firenze 15/10/2007, Pres. Amato Est. Nisticò, in D&L 2008, con nota di Andrea D. Conte, "Illegittimità del termine ed effetto "moviola": orientamenti della giurisprudenza verso una tutela "integrale"", 547, e in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Lorea, "Nullità del termine, trasferimento del lavoratore all'atto della reintegrazione e suo rifiuto di riprendere servizio per illegittimità del mutamento del luogo di lavoro", 605)
  • In caso di apposizione del termine non consentita, il contratto deve intendersi a tempo indeterminato fin dall'origine. Non può essere accolta la tesi secondo cui sarebbe inutilizzabile la sostituzione dell'effetto legale tutte le volte in cui il datore di lavoro dimostri che non avrebbe concluso il contratto senza il termine, ovvero, in una preferibile lettura oggettiva dell'art. 1419 c.c., tutte le volte in cui il mantenimento del termine del contratto abbia importanza determinante tenuto conto dell'interesse del datore di lavoro stesso, posto che la caducazione dell'intero contratto per il venir meno di un suo elemento accidentale danneggerebbe il lavoratore, soggetto tutelato. (Corte app. Milano 17/9/2007, Pres. Salmeri Rel. Trogni, in Lav. nella giur. 2008, 197)
  • L'accertata illegittimità di un contratto a termine comporta la nullità del termine di tutti i contratti successivamente stipulati. (Trib. Milano 4/8/2007, Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, "Brevi note sull'acquiescenza", 1067)
  • Il risarcimento del danno previsto dall'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 costituisce un'ipotesi di responsabilità contrattuale e va quantificato facendosi riferimento al tempo medio necessario per ricercare una nuova occupazione stabile, tenuto conto della zona geografica, dell'età, del sesso e del titolo di studio dei lavoratori. (Trib. Rossano 4/6/2007, Giud. Coppola, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, "Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva", 906)
  • In caso di nullità del termine apposto al contratto di lavoro non sussiste per il lavoratore cessato dal servizio l'onere di impugnazione nel termine (di sessanta giorni) previsto a pena di decadenza dall'art. 6 legge 15 luglio 1966 n. 604 (che presuppone un licenziamento), atteso che il rapporto cessa per l'apparente operatività del termine stesso in ragione dell'esecuzione che le parti danno alla clausola nulla; pertanto, applicandosi la disciplina della nullità in qualsiasi tempo il lavoratore può far valere l'illegittimità del termine e chiedere conseguentemente l'accertamento della perdurante sussistenza del rapporto e la condanna del datore di lavoro a riattivarlo riammettendolo al lavoro, salvo che il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all'estromissione dall'azienda e il suo prolungato disinteresse alla prosecuzione del rapporto esprimano, come comportamento tacito concludente, la volontà di risoluzione consensuale del rapporto stesso e sempre che il rapporto (apparentemente) a termine non si sia risolto per effetto di uno specifico atto di recesso del datore di lavoro (licenziamento), che si sia sovrapposto alla mera operatività del termine con la conseguente applicazione, in tale ultimo caso, sia del termine di decadenza di cui all'art. 6 cit., sia della disciplina della giusta causa e del giustificato motivo del licenziamento. (Rigetta, App. Catanzaro, 23 aprile 2004). (Cass. 21/5/2007 n. 11741, Pres. Ciciretti Est. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2008, 649)
  • Dall'accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro alle dipendenze di un'amministrazione pubblica non può conseguire la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; tuttavia, il lavoratore acquisisce il diritto al risarcimento del danno subito, che va parametrato alla sanzione prevista dal quarto e quinto comma dell'art. 18 St. Lav. (Trib. Genova 5/4/2007, Giud. Basilico, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, "Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva", 906)
  • Nel caso di invalidità della clausola di durata va dichiarata la sussistenza inter partes di un rapporto a tempo indeterminato. Al dipendente spetta la riammissione in servizio e il risarcimento del danno (non comprendente i contributi previdenziali), pari alle retribuzioni non percepite dalla messa in mora del datore di lavoro, la quale può identificarsi nella notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, detratte le somme percepite per le attività lavorative svolte presso terzi. (Corte app. Catania 6/3/2007, Pres. Pagano Est. D'Allura, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Marina Nicolosi, "Risoluzione per mutuo consenso del contratto a termine illegittimo, attività lavorativa presso terzi e offerta della prestazione", 933)
  • In ipotesi di assunzione a termine di personale di volo, lo scorrimento su diverse rotte, rispetto a quelle per cui il dipendente era stato assunto con contratto a tempo determinato, ai sensi dell'art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, determina (in assenza di una prova specifica, il cui onere grava sul datore di lavoro, circa le modalità dello scorrimento e i motivi per i quali il lavoratore non è stato adibito alle rotte dedotte in contratto) l'interruzione del rapporto causale tra l'esigenza descritta nel contratto e l'assunzione a termine, con la conseguente nullità del termine di durata apposto al contratto. (Trib. Milano 26/1/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con n. di Alberto Vescovini, "Questioni sempre attuali in tema di contratto a termine: scorrimento, applicabilità dell'art. 1419, 1° comma, c.c., risoluzione tacita", 715)
  • Pur in assenza di un'espressa previsione nel D.Lgs. 6/9/01 n. 368, si deve ritenere che la nullità del termine di durata apposto a un contratto di lavoro non comporti la nullità dell'intero contratto ai sensi dell'art. 1419, 2° comma, c.c., con applicazione della disciplina del contratto a tempo indeterminato, quando un'interpretazione adeguatrice della normativa nazionale rispetto la Direttiva 1999/70 Ce. (Trib. Milano 26/1/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con n. di Alberto Vescovini, "Questioni sempre attuali in tema di contratto a termine: scorrimento, applicabilità dell'art. 1419, 1° comma, c.c., risoluzione tacita", 715)
  • Il danno risarcibile di cui all'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 è pienamente compatibile con il diritto comunitario, rientrando nella categoria dei danni da illecito aquiliano, fonte di pregiudizio risarcibile nei limiti del danno emergente e del lucro cessante. (Trib. Foggia 6/11/2006, Giud. Quitadamo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, "Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva", 906)
  • L'azione di accertamento dell'illegittima apposizione di un termine si configura quale azione di nullità parziale e non quale azione di impugnazione del licenziamento, con conseguente diritto del lavoratore (in caso di recesso da parte del datore di lavoro) al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno dalla data di offerta della prestazione lavorativa. (Trib. Milano 12/10/2006, Est. peragallo, in D&L 2007, 132)
  • Ai sensi dell'art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, l'apposizione di un termine a un contratto di lavoro è consentita solo in presenza di ragioni oggettive, specificatamente individuate per iscritto nel contratto, tali da rendere accertabile il nesso di causalità tra queste e la temporaneità dell'assunzione del lavoratore; in caso contrario, il rapporto si trasforma a tempo indeterminato e il lavoratore ha diritto alla riammissione in servizio, nonché al pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data di offerta della prestazione lavorativa sino alla riammissione in servizio o al verificarsi di legittima causa di estinzione del rapporto. (Trib. Treviso 26/9/2006, Est. Parise, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, "Illegittimità dell'apposizione del termine a un contratto di lavoro e trasformazione in rapporto a tempo indeterminato", 153)
  • Il contratto di lavoro, al quale sia stato illegittimamente apposto il termine, sopravvive nella forma di un contratto a tempo indeterminato solo se le parti non provano il carattere essenziale della clausola di durata, essendo altrimenti affetto da nullità ai sensi dell'art. 1419, comma 1, c.c. (nel caso di specie, la natura essenziale della clausola risultava dal contratto individuale stipulato dalle parti). (Trib. Palermo 6/5/2006, Giud. Cavallaro, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Maria Luisa Vallauri, "Quale sanzione per il contratto a termine illegittimo", 395)
  • Il recesso della società per lo spirare del termine non può considerarsi licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, con conseguente applicazione dell’art. 18 SL, ma è invece esperibile l’azione di nullità parziale del contratto, con conseguente ordine al datore di lavoro di ripristinare il rapporto e corrispondere le retribuzioni maturate dalla messa in mora del datore di lavoro. (Corte app. Milano 20/1/2006, Pres. Castellini Est. Sbordone, in D&L 2006, con n. Eleonora Pini, “Avviamento obbligatorio e contratto a termine”, 444)
  • L’esigenza di specificazione della causale ex art. 1, 2° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 riguarda anche i contratti di lavoro a termine stipulati, nel regime transitorio nei casi previsti dai Ccnl ex art. 23 L. 23/2/87 n. 56 (nella fattispecie, è stata dichiarata l’illegittimità del termine, giacché la lettera di assunzione faceva generico riferimento alla norma contrattuale che prevedeva, ai sensi della L. 23/2/87 n. 56, una pluralità di ipotesi legittimanti l’apposizione del termine, senza specificare quale di queste ipotesi ricorresse nel caso concreto). Ogni ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dal fatto che ciò dipenda da motivi formali o dall’accertata insussistenza in concreto della motivazione addotta, comporta la conversione a tempo indeterminato del rapporto, e ciò – nel primo caso – in conseguenza dell’espressa previsione dell’art. 1, 2° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, nel secondo caso ex art. 1419, 2° comma, c.c., con conseguente diritto del lavoratore (in caso di recesso da parte del datore di lavoro) al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno dalla data di offerta della prestazione lavorativa. (Trib. Monza 18/1/2005, Est. Cella, in D&L 2005, con nota di Stefano Chiusolo, “Primi orientamenti giurisprudenziali sulla riforma del contratto a termine”, 152)
  • L’illegittima apposizione del termine comporta sempre, ex art. 1419 c.c., la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, con conseguente diritto del lavoratore al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno alla data di offerta della prestazione lavorativa. (Trib. Milano 10/11/2004, Est. Ianniello, in D&L 2005, con nota di Stefano Chiusolo, “Primi orientamenti giurisprudenziali sulla riforma del contratto a termine”, 152)
  • Al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751)
  • Nell’ipotesi di scadenza di un termine illegittimamente apposto non è applicabile la norma di cui all’art. 18 St. Lav. ma è del tutto ammissibile la richiesta di adempimento dell’obbligo del datore di lavoro di far lavorare il lavoratore e di condanna alla corresponsione delle retribuzioni a titolo di risarcimento del danno. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751)
  • In virtù dell'art. 1183, primo comma, parte seconda, c.c., tra la conversione giudiziale del contratto a termine e l'effettivo ripristino del rapporto di lavoro si apre un periodo transitorio- la cui durata è equitativamente determinabile con riferimento al termine di 30 giorni previsto nel comunque inapplicabile art. 18, 5° comma, SL-, nel quale le parti devono collaborare alla comune definizione del giorno di ripresa del servizio, con la conseguenza che la ritardata presentazione al lavoro in seguito alla convocazione non può di per sé costituire assenza ingiustificata. (Corte d'appello Milano 13/1/2004, Pres. Mannacio Est. Castellini, in D&L 2004, con nota di Matteo Paulli "Nullità del contratto a tempo determinato e fissazione del termine per la ripresa del servizio", 167)
  • Nel caso di apposizione del termine al di fuori dei casi consentiti dal D.Lgs. 6/9/01 n. 368, il contratto deve essere considerato a tempo indeterminato ed al recesso del datore di lavoro consegue non l'applicabilità dell'art. 18 SL, ma la riattivazione del rapporto ed il pagamento delle retribuzioni dalla data di costituzione in mora. (Corte d'appello Milano 9/12/2003, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2004, 79)
  • Sono nulle, per contrasto sia con l'art. 23 della L. 28/2/87 n. 56 sia con i principi generali in materia di rapporto di lavoro a termine, le previsioni contrattuali che, invece di individuare concrete situazioni di fatto chiaramente determinate ed ulteriori rispetto a quelle già indicate dal legislatore, introducano previsioni talmente ampie da risolversi in una possibilità sostanzialmente illimitata di stipulare contratti a termine (nel caso di specie è stata reputata nulla la clausola, pattizia, contenuta nell'Accordo integrativo vigente per i giornalisti dipendenti della Rai, che consente l'apposizione del termine anche nelle ipotesi di assunzione di personale riferite a programmi, produzioni, trasmissioni e rubriche, aventi carattere continuativo e/o ciclico). (Trib. Milano 8/7/2003 Est. Porcelli, in D&L 2003, 934, con nota di Eleonora Bacciola, "La delega dell'art. 23 L. 56/87: orientamenti dottrinari e giurisprudenziali")
  •  L'impugnazione del recesso intimato nell'ambito di un rapporto di lavoro a termine per mancato superamento della prova non soggiace-tenuto conto della specialità della disciplina di cui alla l. n. 230/1962 rispetto a quella della l. n. 604/1966 (relativa all'estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato) e della qualificabilità dell'azione diretta all'accertamento dell'illegittimità del patto non come impugnazione, ma come azione (imprescrittibile) di nullità parziale della pattuizione-al termine di decadenza previsto dall'art. 6 della legge da ultimo citata, dovendosi avere riguardo esclusivamente alla qualificazione del recesso come atto unilaterale del datore di lavoro, idoneo di per sé ad estinguere il rapporto di lavoro. (Cass. 9/7/2002, n. 9962, Pres. Dell'Anno, Est. Cellerino, in Riv. it. dir. lav. 2003, 369, con nota di Claudia Faleri, Rapporto di lavoro a termine, patto di prova, regime del recesso: una questione di interconnessione tra discipline).
  • In caso di illegittima apposizione del termine, con conseguente trasformazione del contratto a tempo indeterminato, il recesso disposto dal datore di lavoro per presunta scadenza del termine equivale a licenziamento, con conseguente applicabilità dell'art. 18 SL. (Trib. Milano 21/6/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 891)
  • Al licenziamento della lavoratrice che si trovi in accertato stato di gravidanza alla data della sua comunicazione non si applica la disciplina di cui all'art. 18 SL, bensì quella prevista per la nullità di diritto comune; il recesso va pertanto considerato sin dall'inizio privo di effetti risolutori del rapporto con la conseguenza che la lavoratrice ha diritto al risarcimento del danno. A questo fine, la speciale tutela stabilita per la lavoratrice madre, tuttavia, non esonera la stessa dall'offrire la prestazione di lavoro, con la conseguenza che, in caso contrario, alla stessa compete esclusivamente il trattamento economico che le sarebbe comunque spettato, a prescindere dall'offerta della prestazione di lavoro, per il periodo d'interdizione obbligatoria (nella fattispecie, la causa era stata promossa dopo due anni dall'impugnazione del licenziamento, nel corso dei quali la lavoratrice non aveva avuto alcun contatto con il datore di lavoro). (Trib. Milano 16/4/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 617, con nota di Sara Rolandi, "Illegittimità del contratto a termine e licenziamento della lavoratrice madre")
  • La comunicazione della cessazione del rapporto per scadenza del termine illegittimamente apposto equivale ad un licenziamento, con conseguente applicabilità dell'art. 18 SL. (Trib. Milano 27/9/2001, Est. Porcelli, in D&L 2002, 99. In senso conforme, Trib. Milano 16/4/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 617, con nota di Sara Rolandi, "Illegittimità del contratto a termine e licenziamento della lavoratrice madre")
  • La disdetta intimata dal datore di lavoro al lavoratore per scadenza del termine invalidamente apposto al contratto di lavoro (nella specie, per mancanza della forma scritta) non è parificabile al licenziamento, atto negoziale unilaterale implicante la volontà di porre fine a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ne consegue che l'azione diretta all'accertamento della illegittimità di tale disdetta e alla pronuncia risarcitoria non va proposta come impugnativa di licenziamento con richiesta di applicazione di quanto previsto dall'art. 18, L. 300/70, bensì come azione di nullità dell'accordo relativo all'apposizione del termine, con nullità dell' intimata disdetta ed eventuale richiesta dei danni secondo gli ordinari criteri civilistici. Qualora la parte abbia erroneamente richiesto la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro, il giudice di merito non può emettere pronuncia di nullità della disdetta e di risarcimento dei danni senza ledere il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, giacché non si limiterebbe a dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti dedotti, trattandosi di azioni diverse non solo per petitum e causa petendi, ma altresì per quanto concerne la disciplina della decadenza, della prescrizione e dei criteri di determinazione del danno (Cass. 8/5/00, n. 5821, pres. Lanni, est. Cataldi, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 73, con nota di Ferraro, Estinzione di contratto a termine orale e licenziamento)
  • L'estromissione di un lavoratore da parte del datore di lavoro alla scadenza del termine illegittimamente apposto non può essere qualificata come licenziamento, ma come inadempimento contrattuale, con le conseguenze di cui all'art. 1223 c.c. (Trib. Milano 31 luglio 1999, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 2000, 149)
  • In caso di illegittimità dell’apposizione del termine con conseguente trasformazione in contratto a tempo indeterminato, il recesso operato dal datore di lavoro per presunta scadenza del termine equivale a licenziamento, con conseguente applicabilità dell’art. 18 SL (Pret. Milano 30/4/99, est. Salmeri, in D&L 1999, 550, n. Franceschinis, Sulla stagionalità nel rapporti di lavoro a tempo determinato. In senso conforme, v. Trib. Milano 29 gennaio 2000, pres. Mannacio, est. Gargiulo, in D&L 2000, 366)
  • L’atto con cui il datore di lavoro comunica la cessazione del rapporto alla scadenza del termine illegittimamente apposto ha valenza meramente conoscitiva e non è qualificabile come licenziamento, con conseguente inapplicabilità degli artt. 18 SL e 6 L. 15/7/66 n. 604 e con conseguente diritto al lavoratore a percepire le retribuzioni a far tempo dalla data di estromissione dal servizio, a prescindere da una formale messa in mora del datore di lavoro (Trib. Milano 17/4/99, pres. Gargiulo, est. de Angelis, in D&L 1999, 554. In senso conforme, v. Trib. Milano 30/4/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 557; Trib. Milano 10/7/99, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1999, 852)
  • In caso di comunicazione della cessazione del rapporto per scadenza del termine illegittimamente apposto, non è applicabile l’art. 18 SL, ma in ogni caso spettano al lavoratore tutti gli importi che egli avrebbe percepito dalla data di estromissione sino a quella di riammissione in servizio, e ciò in quanto la sospensione della prestazione per fatto imputabile al datore di lavoro implica la permanenza del diritto alla retribuzione (Trib. Milano 20/1/99, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1999, 327)
  • 42.                 In caso di nullità della clausola appositiva di un termine finale al rapporto di lavoro, la comunicazione da parte del datore di lavoro della scadenza del termine non è qualificabile come licenziamento, per cui l’azione giudiziaria di contestazione di tale comunicazione si configura come diretta unicamente all’accertamento della permanenza del rapporto di lavoro (Trib. Milano 26/4/97, pres. Gargiulo, est. de Angelis, in D&L 1997, 781)
  • 43.                 In caso di nullità della clausola appositiva di un termine finale al contratto di lavoro, quest'ultimo va ricondotto al tipo normale a tempo indeterminato e l'azione diretta a contestare la cessazione del rapporto alla scadenza del termine si configura come azione di nullità parziale e non quale azione di impugnazione del licenziamento. Ne consegue la declaratoria della sussistenza attuale del rapporto, col diritto del lavoratore a riprendere il lavoro e a ottenere le retribuzioni arretrate fino all'effettiva ricostruzione del rapporto (Pret. Milano 2/7/96, est. Peragallo, in D&L 1997, 98. In senso conforme, v. Pret. Milano 10/6/96, est. Vitali, in D&L 1997, 98; Pret. Roma 20/7/96, est. Cannella, in D&L 1997, 306; Pret. Parma 27/11/98, est. Vezzosi, in D&L 1999, 329)