Orario di lavoro

  • Le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro che prevedono, nel caso di lavoro a tempo parziale, un orario minimo di lavoro, sono inderogabili ai sensi dell'art. 2077 c.c., con la conseguenza che eventuali clausole derogative presenti nel contratto di lavoro individuale, che prevedano un orario inferiore, sono legittime solamente ove il datore di lavoro provi che la deroga sia nei fatti migliorativa per il lavoratore, e ove ciò non avvenga questi avrà diritto a percepire le differenze retributive fino a concorrenza dell'orario pieno che non ha potuto lavorare (fattispecie relative al Ccnl per le aziende del settore servizi di pulizia). (Corte app. Milano 19/2/2009, pres. ed est. Ruiz, in D&L 2009, 778)
  • Nel contratto di lavoro a tempo parziale devono essere indicate, oltre le mansioni, anche la distribuzione dell'orario di lavoro, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Il ricorso al termine distribuzione e il riferimento congiunto a tutti i parametri temporali denotano con chiarezza che il legislatore non ha considerato sufficiente che il contratto specifichi il numero di ore di lavoro al giorno in cui la prestazione lavorativa deve svolgersi, ma ha inteso stabilire che, se le parti si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve essere determinata la distribuzione e cioè la collocazione nell'arco della giornata; se le parti hanno convenuto che il lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana inferiore a quella normale, la distribuzione di tali giorni nell'arco della settimana deve essere preventivamente stabilita; se le parti hanno pattuito che la prestazione lavorativa debba occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere preventivamente deterimanto dal contratto quali sono le settimane e i mesi in cui l'impegno lavorativo dovrà essere adempiuto. In definitiva il legislatore ha escluso l'ammissibilità di qualunque forma di contratto a chiamata o a comando. (Trib. Milano 12/9/2008, dott. Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 201) 
  • Qualora il giudice accerti nel contratto di lavoro individuale a tempo parziale l'omissione della collocazione temporale della prestazione lavorativa dedotta in obbligazione, lo stesso deve procedere sia all'integrazione della lacuna contrattuale (avendo riguardo in via prioritaria alla necessità, in capo al prestatore di lavoro, di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa e solo da ultimo alle esigenze del datore di lavoro) sia alla quantificazione del risarcimento del danno automaticamente conseguente all'omissione e spettante al lavoratore (nella fattispecie, in assenza di previsioni contrattuali collettive utili alla determinazione della collocazione temporale della prestazione, il giudice ha fatto riferimento ai criteri equitativi indicati dal legislatore e ha liquidato il danno nella misura del 15% della retribuzione). (Corte app. Milano 7/1/2008, Est. Castellini, in D&L 2008, con nota di Roberta Maddalena Paris, "Contratto a tempo parziale: necessità della predeterminazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa e regime sanzionatorio", 605)
  • Nella nuova disciplina del part-time  non c'è alcuna norma che vieti il lavoro su turni avvicendati, siché, ove questo sia concordato preventivamente o a livello individuale o a livello collettivo e siano specificate le fasce orarie entro le quali può essere collocata la prestazione di lavoro del dipendente, il requisito legale di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 61/2000 può dirsi soddisfatto. (Trib. Milano 11/6/2007, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2008, 319) 
  • La variazione della collocazione temporale e l'aumento dell'orario di lavoro giornaliero disposti unilateralmente dal datore di lavoro - in mancanza, dunque del consenso del prestatore - intercorsa in un rapporto di lavoro part-time di tipo orizzontale è illegittima; neppure è possibile tale variazione al di là delle condizioni e delle modalità (preavviso e maggiorazione retributiva) prescritte a riguardo dal contratto collettivo applicato. (App. Bologna 17/5/2007, Pres. Castiglione Rel. Variale, in ADL 2008, con commento di Paola Primaverile, 1505)
  • Deve escludersi, perchè in contrasto con l'art. 36 Cost. sulla condizione del lavoratore e con le disposizioni di legge di cui al d.lgs. n. 61 del 2000, la possibilità per il datore di lavoro di modificare unilateralmente la dispiosizione giornaliera dell'orario di lavoro, soprattutto quando la modifica non sia fondata preventivamente su esplicite e imprescindibili necessità organizzative. L'invocata clausola contrattuale, che prevede in astratto la variabilità di detta articolazione, è certamente contraria alla legge e, quindi, nulla, sia perchè, tenuto conto anche dell'ampiezza delle fasce orarie, rimette alla sola volontà del datore di lavoro la facoltà di adeguare l'orario del dipendente a una turnazione non preventivamente precisata, laddove invece le clausole flessibili di cui al settimo comma dell'art. 3 debbono essere concordate, richiedendo sempre il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, non essendo sufficiente un generico riferimento alla possibilità di utilizzare tale tipo di clausola; sia perchè, tale oggettiva indeterminazione delle modalità con cui le variazioni dell'orario di lavoro vengono comunicate, violando il diritto anche a quel minimo preavviso e a specifiche conmpensazioni previste dalla legge, comporta un aggravamento della penosità e un aumento dell'onerosità della prestazione lavorativa del tutto insopportabili. (Trib. Lecce 27/4/2006, ord., Pres. ed est. Fiorella, in ADL 2007, con nota di Alessia Muratorio, "I patti di flessibilità, ovvero il delicato equilibrio tra esigenze organizzative e tutela del lavoratore", 269)
  • La stipulazione di un contratto di lavoro a tempo parziale senza l’indicazione della distribuzione dell’orario di lavoro in violazione dell’art. 5, 2° comma, DL 30/10/84 n. 726 conv. In L. 863/84 comporta la nullità parziale del contratto limitatamente alla clausola relativa all’orario di lavoro, con conseguente determinazione giudiziale della distribuzione dell’orario di lavoro ai sensi di quanto previsto dall’art. 8, 2° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61; dalla violazione da parte del datore di lavoro del divieto di determinare unilateralmente l’orario di lavoro consegue inoltre il diritto del lavoratore a ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla riduzione del suo tempo libero (nella fattispecie, avendo la lavoratrice prospettato di aver sempre lavorato in fasce orarie collocate dalle 7 del mattino alle 23.00 di sera con turni articolati su tutti i giorni della settimana, il giudice ha ritenuto equo quantificare il risarcimento del danno connesso all’eccessiva variabilità dell’orario in misura tra il 15% e il 5% della retribuzione corrisposta per le ore effettivamente lavorate in ragione del progressivo aumentare dell’orario di lavoro settimanale). (Trib. Milano 2/1/2006, Est. Tanara, in D&L 2006, con n. Alessandro Corrado, “Mancata indicazione della distribuzione dell’orario di lavoro part-time e potere di determinazione giudiziale: una conferma dal Tribunale di Milano”, 501)
  • Non è fondata, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 2, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726 (abrogato dall'art. 11 d.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61, ma ancora applicabile ratione temporis), nella parte in cui prescriveva che il contratto di lavoro a tempo parziale dovesse stipularsi per iscritto, onde il mancato rispetto di tale requisito di forma, previsto ad substantiam, comportava la nullità del contratto ed escludeva la sua conversione in contratto di lavoro a tempo pieno, atteso che tale norma deve, invece, essere interpretata nel senso che, in forza dell'art. 1419, comma 1, c.c., la nullità della clausola sul tempo parziale, per difetto di forma scritta, non implica l'invalidità dell'intero contratto (a meno che non risulti che i contraenti non loCost. 15/7/2005 n. 283, avrebbero concluso senza quella parte che è colpita da nullità), ma comporta che il raporto di lavoro deve considerarsi a tempo pieno. (Cost. 15/7/2005 n. 283, Pres. Capotosti Red. Bile, in Giust. civ. 2006, 1695)
  • La stipulazione di un contratto di lavoro a tempo parziale senza l'indicazione della distribuzione dell'orario di lavoro in violazione dell'art. 5, 2° comma, DL 30/10/84 n. 726 comporta la nullità parziale del contratto limitatamente alla clausola relativa all'orario di lavoro, con conseguente determinazione giudiziale della distribuzione dell'orario di lavoro ai sensi di quanto previsto dall'art. 8, 2° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61; dalla violazione da parte del datore di lavoro del divieto di determinare unilateralmente l'orario di lavoro consegue inoltre il diritto del lavoratore ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla riduzione del suo tempo libero (nella fattispecie, non avendo il lavoratore prospettato l'impossibilità di svolgere altra attività lavorativa o di adempiere ad incombenti familiari o propri della vita di relazione o comunque una significativa lesione di tali interessi, si è ritenuto equo quantificare il risarcimento in misura pari al 20% della differenza tra la retribuzione percepita e quella relativa ad un rapporto di lavoro a tempo pieno). (Trib. Milano 28/1/2004, Est. Porcelli, in D&L 2004, 365, con nota di Alessandro Corrado, "La disciplina delle c.d. clausole elastiche nel contratto di lavoro a tempo parziale tra il D. Lgs. 61/2000ed il D. Lgs. 276/03")
  • In mancanza di indicazioni concernenti le responsabilità familiari della lavoratrice e l'eventuale necessità di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa non può farsi luogo alla determinazione equitativa della collocazione temporale dell'orario in relazione al singolo giorno della settimana ex art. 8, 2° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61.(Trib. Milano 31/1/2003, Est. Cincotti, in D&L 2003, 339)
  • La facoltà concessa alla contrattazione collettiva di stabilire le modalità temporali della prestazione nel rapporto di lavoro a tempo parziale non può consentire una regolamentazione contrattuale che autorizzi il datore di lavoro a modificare ripetutamente la distribuzione dell'orario di lavoro, poiché in tale modo verrebbero vanificati la ratio ed i principi cui è ispirata la disciplina legale. (Trib. Milano 16/7/2002, Est. Mascarello, in D&L 2003, 118, con nota di "Illegittima turnazione nel part-time: accordi collettivi e danni")
  • L'istituto del lavoro a part-time fonda la sua compatibilità con l'art. 36 Cost., sulla condizione che il lavoratore non possa vedersi modificare senza il suo consenso la cadenza giornaliera e settimanale della prestazione: pertanto, deve considerarsi nulla quella clausola apposta al contratto individuale che consenta al datore di adeguare l'orario del dipendente ad una turnazione preventivamente non precisata, violando così il diritto del lavoratore di conoscere ab initio l'esatta collocazione giornaliera e settimanale della prestazione. (Trib. Firenze 23/11/2001, Est. Bronzini, in D&L 2002, 391, con nota di Irene Romoli, "Collocazione temporale della prestazione e possibilità di modifica nel contratto a tempo parziale")
  • I requisiti richiesti dall'art. 3, 7° ed 8° comma D. Lgs. 25/2/2000 n. 61 ai fini della legittimità della clausola elastica di collocazione temporale della prestazione apposta al contratto individuale di lavoro a tempo parziale, devono considerarsi inderogabili, anche qualora la contrattazione collettiva abbia il carattere dell'elasticità di quelle clausole che dispongono articolazioni non precisate dell'orario di lavoro del dipendente a part-time. (Trib. Firenze 23/11/2001, Est. Bronzini, in D&L 2002, 391, con nota di Irene Romoli, "Collocazione temporale della prestazione e possibilità di modifica nel contratto a tempo parziale")
  • La violazione del divieto di determinazione unilaterale dell'orario di lavoro non comporta la conversione del contratto di lavoro a tempo parziale in contratto a tempo pieno, ma il diritto del lavoratore al risarcimento del danno che gli deriva dalla riduzione del suo tempo libero, in quanto le esigenze di organizzazione e programmazione del proprio tempo, caratteristiche della particolare natura del contratto part-time, possono dirsi garantite solo dall'esistenza di un orario lavorativo la cui collocazione temporale, nella giornata e nella settimana, sia stabilmente predefinita. Tale risarcimento deve compensare la maggiore onerosità e penosità che di fatto viene ad assumere l'attività lavorativa a seguito della messa a disposizione per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato, anche se la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro non è equiparabile a lavoro effettivo (nella fattispecie, considerato che la variazione dell'orario era stata attuata dal datore di lavoro con preavviso di quindici giorni, si è ritenuto equo quantificare il risarcimento dei danni in un importo pari al 30% della retribuzione erogata in forza dell'orario contrattuale). (Trib. Milano 13/10/2001, Est. Porcelli, in D&L 2002, 139)
  • L'art. 5 D.L. n. 726/84, convertito nella l. n. 863/84, deve essere interpretato nel senso che il requisito della pattuizione per iscritto dell'orario di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale è soddisfatto allorché, anche mediante rinvio alle tipologie contrattuali previste in sede collettiva, risultino precisate la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e la distribuzione di tale riduzione per ciascun giorni (cosiddetto part-time orizzontale) ovvero con riferimento alle giornate di lavoro comprese in una settimana, in un mese o in un anno (cosiddetto part-time verticale). Ne consegue che è perfettamente valido un contratto di lavoro a tempo parziale che non specifichi l'orario di inizio e di cessazione della prestazione lavorativa nei giorni in cui deve essere resa (Cass. 26/5/00, n. 6903, pres. De Musis, in Lavoro giur. 2001, pag. 462, con nota di Putaturo Donati, Corsi e ricorsi giurisprudenziali sulla collocazione temporale della prestazione di lavoro part-time)
  • In materia di contratto di lavoro part-time, l'art. 5, comma terzo, D.L. n. 726/84, convertito nella l. n. 863/84, conferisce alla contrattazione collettiva, anche aziendale, il potere di determinare, fra l'altro, le modalità temporali di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale. Tale disposizione deve essere interpretata in armonia con il principio generale secondo il quale la contrattazione collettiva non può disporre se non in senso migliorativo dei diritti attribuiti al dipendente dal contratto individuale di lavoro, salvo che il dipendente stesso consenta alla modificazione dei patti (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che la contrattazione aziendale potesse influire sul diritto dei lavoratori a tempo parziale ricorrenti ad osservare, sulla base dei contratti individuali da essi precedentemente stipulati, turni esclusivamente collocati in ore pomeridiane qualora i lavoratori stessi non avessero accettato una diversa collocazione dell'orario di lavoro) (Cass. 26/5/00, n. 6903, pres. De Musis, in Lavoro giur. 2001, pag. 462, con nota di Putaturo Donati, Corsi e ricorsi giurisprudenziali sulla collocazione temporale della prestazione di lavoro part-time)
  • La mancata predeterminazione contrattuale della collocazione delle ore di lavoro nella giornata nel contratto di lavoro part-time non determina la nullità del contratto, ma obbliga il datore di lavoro a integrare la retribuzione del lavoratore in relazione alla maggiore disponibilità richiesta allo stesso lavoratore (Trib. Milano 6 novembre 1999, est. Ianniello, in D&L 2000, 151)
  • Nel rapporto di lavoro a tempo parziale, laddove si sia provveduto a determinare ab initio la dislocazione temporaledella prestazione lavorativa, la distribuzione dell'orario di lavoro, in qualità di elemento essenziale del contratto, non può essere modificata unilateralmente dall'amministrazione (Trib. Larino 9/9/99, pres. Sanarico, Est. Cordisco, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 101, con nota di Alaimo, Diritto di variazione dell'orario e "clausole elastiche" nel part-time: al banco di prova nel settore pubblico le soluzioni applicate nel pivato)
  • Il contratto di lavoro a tempo parziale, nel quale la collocazione temporale della prestazione lavorativa nell'ambito della giornata (ovvero della settimana o del mese o dell'anno) dipenda, non da criteri oggettivi, bensì dal mero arbitrio del datore di lavoro, è nullo e si converte in contratto a tempo pieno (Pret. Parma 14/8/95, est. Ferraù, in D&L 1996, 434)
  • Nel contratto di lavoro a tempo parziale l'orario giornaliero, già stabilito nel contratto individuale, non può essere legittimamente modificato in via unilaterale dal datore di lavoro; né tale modifica può essere legittimamente attuata mediante accordi stipulato da organizzazione sindacale non autorizzatavi con esplicito mandato (Pret. Milano 29/4/95, est. Frattin, in D&L 1995, 957)
  • La mancata predeterminazione contrattuale della collocazione delle ore di lavoro nella giornata nel contratto di lavoro part – time e la connessa pretesa datoriale di decidere tale collocazione settimana per settimana, in corso di rapporto, non determina la nullità del part – time, ma concreta un inadempimento del datore di lavoro a un'obbligazione essenziale, con conseguente obbligo di questi di risarcire al lavoratore il danno derivatone in termini di riduzione di disponibilità di tempo libero (Trib. Firenze 22/3/94, pres. ed est. Stanzani, in D&L 1995, 121)
  • Poiché nel rapporto di lavoro subordinato entrambe le parti sono vincolate al rispetto del concordato programma della prestazione lavorativa, al datore non è consentita una modifica unilaterale dell'orario di lavoro prescelto, in virtù del suo potere organizzativo dell'attività aziendale; pertanto per la trasformazione del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno è necessario il mutuo consenso delle parti e, al riguardo, non è sufficiente la semplice disponibilità del dipendente ad accettare il tempo pieno, ove essa sia stata manifestata solo come alternativa alla risoluzione del rapporto (Pret. Milano 18/10/94, est. Porcelli, in D&L 1995, 379)