Malattie legate all'amianto

  • In caso di decesso per mesotelioma del dipendente esposto ad inalazione di polvere d’amianto la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11, d.P.R. n. 1124 del 1965 deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato è condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso. Ciò vale sia nel caso di azione, proposta dagli aventi causa del lavoratore deceduto, per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno c.d. differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail. In caso di danno da morte del congiunto - lavoratore il risarcimento del danno morale terminale compete solo in caso di sopravvivenza dell’infortunato per un significativo lasso di tempo. (Cass. 19/6/2020 n. 12041, Pres. Di Cerbo Est. Amendola, in Lav. nella giur. 2021, con nota di M. A. Garzia, Danno differenziale e azione di regresso dell’I.N.A.I.L.: le regole comuni per l’accertamento delle responsabilità, 509)
  • Nel delitto di omicido colposo consistente in un tumore associabile a esposizione lavorativa ad amianto, il datore di lavoro versa in colpa anche nel caso in cui non si sia prefigurato il rischio di insorgenza di tumori, essendo sufficiente la consapevolezza e, quindi, la prevedebilità delle generale nocività delle polveri originate dall'attività lavorativa in assenza degli accorgimenti previsti dall'art. 21, D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303. (Cass. pen. 30/9/2008 n. 37089, in Dir. e prat. lav. 2381)  
  • In caso di omicidio colposo consistito in un mesotelioma occorso a un lavoratore esposto ad amianto in diverse successive aziende, occorre valutare la sussistenza del nesso causale tra condotta dei responsabili di tali aziende e malattia alla stregua non solo di leggi universali che sono molto rare, ma anche di leggi statistiche, rilevazioni epidemiologiche, generalizzazioni empiriche del senso comune e, pertanto, siffatto nesso causale è da ritenere sussistente anche quando non si possa stabilire il momento preciso dell'insorgenza della malattia tumorale, essendo sufficiente che la condotta abbia prodotto un aggravamento della malattia o ne abbia ridotto il periodo di latenza. (Cass. pen. sez. IV 3/6/2008 n. 22165, Pres. ed Est. Campanato, in Dir. e prat. lav. 2008, 1520)
  • Nel delitto di omicidio colposo consistito in un mesotelioma associabile a esposizione lavorativa ad amianto, il datore di lavoro versa in colpa, qualor, in violazione delle norme vigenti all'epoca, non abbia adottato ogni misura destinata ad abbattere l'esposizione lavorativa alle polveri di amianto, potendosi rappresentare un evento di danno alla salute del lavoratore deceduto. (Cass. pen. sez. IV 3/6/2008 n. 22165, Pres. ed Est. Campanato, in Dir. e prat. lav. 2008, 1520)
  • In caso di omicidio colposo consistito in un mesotelioma occorso a lavoratore esposto ad amianto, nel valutare la sussistenza del nesso causale tra condotta dei responsabili aziendali succedutesi per tutto il tempo di esposizione del lavoratore e malattia, non può non tenere conto della esistenza di un riconoscimento condiviso, se non generalizzato, della comunità scientifica, fatto già proprio da sentenze di merito e di legittimità, sul rapporto esponenziale tra dose di cancerogeno assorbita (determinata dalla concentrazione e dalla durata dell'esposizione) e risposta tumorale, con la conseguente maggiore incidenza dei tumori e minore durata della latenza della malattia nelle ipotesi di aumento della dose di cancerogeno. (Cass. pen. sez. IV 1° febbraio 2008, Pres. Morgigni Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2008, 832)
  • In caso di omicidio colposo consistito in un mesotelioma occorso a lavoratore esposto ad amianto, nel valutare la sussistenza del nesso causale tra condotta dei responsabili aziendali e malattia, non si può non verificare se l'omessa adozione delle cautele preventive a essi ascrivibile abbia avuto rilevanza causale sulla riduzione dei tempi di latenza della malattia o sulla accelerazione dei tempi di insorgenza della stessa, senza che sia necessario accertare il meccanismo preciso di maturazione della patologia (riduzione della latenza o accelerazione dell'insorgenza). (Cass. pen. sez. IV 1° febbraio 2008, Pres. Morgigni Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2008, 832)
  • Nel delitto di omicidio colposo consistente in un mesotelioma associabile a esposizione lavorativa ad amianto, il datore di lavoro versa in colpa, qualora, in violazione delle regole cautelari aperte di cui agli artt. 19 e 21 D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 e all'art. 2087 c.c., agisca rappresentandosi la possibilità concreta che si produca una malattia gravemente lesiva della salute dei lavoratori addetti come l'asbestosi, e l'evento lesivo effettivamente verificatosi pur se ignoto al legislatore dell'epoca non risulti completamente svincolato dallo scopo perseguito nella redazione delle regole cautelari. (Cass. pen. sez. IV 1° febbraio 2008, Pres. Morgigni Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2008, 832)
  • La nocività dell'inalazione per via polmonare delle fibre di amianto costituiva fatto notorio già anteriormente agli anni '70, sicchè la mancata adozione da parte del datore di lavoro di misure idonee a impedire o ridurre lo sviluppo, la diffusione e l'inalazione delle polveri, in specie, di quelle nocive comporta la sua responsabilità per i danni derivati al lavoratore dall'esposizione alle fibre (nel caso di specie, mesotelioma della pleura, tumero monocausale collegato proprio con l'esposizione alle fibre). (App. Milano 18/9/2006, Pres. e Rel. Dott. Castellini, in Lav. nella giur. 2007, 529)
  • Per il riconoscimento del beneficio di cui all'art. 13, ottavo comma, l. n. 257/92, non è necessario accertare se i lavoratori siano stati esposti a determinate concentrazioni di fibre di amianto. Il concetto di rischio rispetto all'esposizione, oltre a essere di comune acquisizione sociale, è soprattutto normativamente determinato (dal t.u. n. 1124/65, dal d.lgs. n. 277/91, dalla direttiva comunitaria n. 477/83) in termini di mancanza di limiti di soglia; il beneficio va, pertanto, riconosciuto a tutti i lavoratori esposti per più di dieci anni al rischio di contrarre malattie da amianto. (Trib. Ravenna 23/5/2006 n. 220, Giud. Riverso, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Martina Mincieri, "Superamento dei valori-soglia e attribuzione dei benefici previdenziali: le tutele per i lavoratori esposti all'amianto", 91)
  • In caso di omicidio colposo plurimo consistito in tumori polmonari occorsi a lavoratori esposti ad amianto, sussiste il nesso causale tra condotta del datore di lavoro e malattia, qualora in applicazione di una riconosciuta legge scientifica si riconosca che il carcinoma polmonare, malattia dose dipendente, è influenzata dal protrarsi dell’esposizione all’inalazione di polveri di amianto. In caso di omicidio plurimo consistito in tumori polmonari occorsi a lavoratori esposti ad amianto e fumatori, sussiste il nesso causale tra condotta del datore di lavoro e malattia, risultando impossibile affermare quale dei due fattori abbia avuto efficienza causale esclusiva o prevalente e dovendosi invece ammettere un’azione concausale dei due fattori dal momento che nel nostro ordinamento vale il principio dell’equivalenza causale. In caso di omicidio colposo plurimo consistito in mesoteliomi occorsi a lavoratori esposti ad amianto, sussiste il nesso causale tra condotta del datore di lavoro e malattia, qualora in base alla situazione del caso concreto e alla stregua di un sapere scientifico costituito non solo da leggi universali ma anche da leggi statistiche, generalizzazioni del senso comune, rilevazioni epidemiologiche, sia dimostrato che la protrazione dell’esposizione ad amianto determini un effetto negativo allo sviluppo della malattia e, in particolare, un accorciamento dei tempi di latenza. (Cass. sez. IV pen. 1/3/2005 n. 7630, Pres. Marzano Est. Bianchi, in Dir. e prat. lav. 2005, 1513)
  • In materia di responsabilità civile, esiste un nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta e la patologia (carcinoma), quando il dipendente sia stato esposto all’amianto e non possa essere esclusa l’esistenza di un rischio di tumore polmonare anche a livelli di esposizione estremamente bassi. È ravvisabile la responsabilità del datore di lavoro che non provi di avere soltanto adottato tutte le misure di prevenzione, generali e specifiche, previste dalla vigente disciplina legislativa. (Cass. 14/1/2005 n. 644, Pres. Mattone Rel. Celerino, in Giur. It. 2005, con nota di Nadia Coggiola, “Il risarcimento dei danni da esposizione ad amianto: dall’utilizzo del concetto dell’aumento del rischio all’inversione dell’onere della prova sul nesso di causalità”, 1390)
  • In materia di responsabilità civile, sussiste un nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta e la patologia (asbestosi) sofferta dal dipendente quando sia provato che una alta percentuale di ex-dipendenti dello stesso datore di lavoro, notevolmente sproporzionata rispetto alla restante popolazione, sia affetta o deceduta in seguito alla contrazione di patologie correlate all’inalazione di forti quantità di amianto, e il soggetto dipendente sia stato costantemente esposto alle polveri di amianto nel corso della sua carriera lavorativa. È ravvisabile la responsabilità per colpa del datore di lavoro che non provi di avere adottato tutte le misure di prevenzione, generali e specifiche, previste dalla vigente disciplina legislativa. (Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 15/4/2004 n. 501, Giud. Grasso, in Giur. It. 2005, 1168)
  • In ipotesi di asbestosi polmonare e pachipleurite bilaterale asbestosica causate al lavoratore da esposizione all'amianto-data la diffusa conoscenza dei pericoli per la salute derivante dall'utilizzazione di tale sostanza, ricavabile dalla letteratura scientifica internazionale e nazionale disponibile all'epoca dei fatti in causa-deve ritenersi la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. per non aver adottato le necessarie misure di protezione. (Trib. Milano 21/7/2003, Est. Atanasio, in D&L 2003, 971, con nota di Sara Huge, "Trasferimento di ramo d'azienda e responsabilità del cessionario anche per il risarcimento del danno alla persona")
  • In ipotesi di mesotelioma, causato al lavoratore da esposizione ad amianto, in assenza di adeguate misure di protezione, va ritenuta la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. indipendentemente dall'effettiva conoscenza, da parte del datore di lavoro, della pericolosità dell'aminato all'epoca dei fatti, posto che: da un lato l'art. 2087 c.c. impone all'imprenditore non solo il rispetto della normativa antinfortunistica vigente, ma anche l'adozione di tutte le misure di prevenzione necessarie, in base alla particolarità del lavoro, all'esperienza e alla tecnica; da un altro lato, la potenziale pericolosità dell'amianto costituiva in Italia dato scientifico già acquisito, almeno sin dagli anni quaranta; e, da un altro lato ancora, la colpa datoriale ex art. 2087 c.c. non presuppone la specifica prevedibilità della malattia poi concretamente verificatasi a conseguenza di un particolare lavoro, ma la generica prevedibilità di conseguenze dannose, comunque riconducibili alla particolarità del lavoro (Pret. Torino 10/11/95, est. Fierro, in D&L 1996, 727, nota TAGLIAGAMBE, Danno biologico e danno morale per esposizione all'amianto)