Mansioni e qualifica

  • In presenza di prestazioni riconducibili a funzioni dirigenziali, la subordinazione si manifesta attraverso direttive di massima dettata in via programmatica o impresse nella struttura aziendale e assume particolare rilevanza l’inserimento continuativo e organico di tali prestazioni nell’organizzazione dell’impresa, con conseguente illiceità per frode alla legge di un contratto di consulenza tra società che mascheri un rapporto di lavoro dirigenziale tra quella beneficiaria delle prestazioni e un socio della seconda. (Cass. 23/4/2014 n. 9196, Pres. Coletti De Cesare Est. D’Antonio, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di R. Diamanti, “Rapporti di lavoro dirigenziale e subordinazione”, 62)
  • Ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia e il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerente con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell’ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata. (Cass. 15/5/2012 n. 7517, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Orient. Giur. Lav. 2012, 263)
  • Una volta esclusa (come nel caso di specie) la possibilità di un repechage, che andrebbe valutata con riferimento a mansioni equivalenti, l’eventuale disponibilità del dirigente a svolgere mansioni inferiori, in virtù di un patto di demansionamento, dovrebbe risultare da una manifestazione di volontà antecedente al licenziamento. (Trib. Napoli 17/1/2012 n. 975, Giud. Scognamiglio, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Joanna Mugneco, “Giustificatezza e obbligo di repechage: aspetti controversi del licenziamento del dirigente d’azienda”, 822)
  • La figura professionale del dirigente implica lo svolgimento di compiti coordinati e non già subordinati a quelli di altri dirigenti, di qualsiasi livello, i quali siano caratterizzati da significativa autonomia e poteri decisionali, che li differenzino qualitativamente da quelli affidati agli impiegati direttivi. (Cass. 22/2/2011 n. 4272, Pres. Roselli Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2011, 520)
  • La garanzia accordata dall’art. 16 del Ccnl per Dirigenti Aziende Industriali, ai sensi del quale il dirigente ha diritto a un’indennità pari a quella sostitutiva del preavviso ove egli receda dal rapporto entro 60 giorni dal mutamento della propria attività sostanzialmente incidente sulla sua posizione, non presuppone un mutamento in peius delle mansioni in violazione dell’art. 2103 c.c., essendo volta a tutelare meramente il disaccordo del dirigente al mutamento della mansione che, pur legittimo ex art. 2103 c.c., incida sulla posizione a esso assegnata (nella fattispecie, è stato ritenuto sussistente tale mutamento di posizione con riferimento al caso di un dirigente il quale, dopo aver svolto le mansioni di direttore amministrativo finanziario e di controllo, era stato adibito alle mansioni di direttore progetti speciali). (Trib. Monza 3/5/2010, Est. Pipponzi, in D&L 2010, con nota di Renato Scorcelli, “Sulla tutela del Ccnl di settore per il caso di mutamento della posizione del dirigente”, 859)
  • Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, la qualifica di dirigente spetta al prestatore d'opera che, operando sul piano gerarchico più elevato e quale "alter ego" dell'imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale o a quella di un settore autonomo dell'azienda, esplicando la sua attività con ampi poteri discrezionali, pur nel quadro delle direttive dell'imprenditore. (Corte app. Napoli 8/1/2009, Pres. Bavoso Rel. Landi, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Filippo Collia, Abramo Abrami e Stefania Corvaglia, 925)
  • In mancanza di una previsione del contratto collettivo che disciplini il rapporto, è pacifico che la figura professionale del dirigente debba essere determinata (in relazione alla previsione dell'art. 2095 c.c.) alla stregua della relativa definizione giurisprudenziale, tenuto conto che tale qualifica è caratterizzata dall'autonomia e discrezionalità delle decisioni e della mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica, nonché dall'ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla condizione dell'intera azienda o di un suo ramo autonomo e non circoscritte a un settore, ramo o ufficio della stessa. (Corte app. Napoli 8/1/2009, Pres. Bavoso Rel. Landi, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Filippo Collia, Abramo Abrami e Stefania Corvaglia, 925)
  • La graduale e oggettiva soppressione delle mansioni del dirigente, della sua posizione nonché dell'ufficio commerciale dallo stesso diretto, sebbene intervenuta nell'ambito di una riorganizzazione aziendale, fino al licenziamento del dirigente, costituisce demansionamento. Lo stato di cose sopra descritto può provocare una malattia da stress e un danno alla professionalità. Una volta provato il demansionamento e l'effettiva sussistenza dei danni non patrimoniali, questi ultimi vanno liquidati in via equitativa ex art. 1226 c.c. (Trib. Milano 5/12/2008, dott. Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 417) 
  • Il dirigente che, per definizione, era l'alter ego dell imprenditore e che tradotto in termini attuali - dove la più moderna e complessa organizzazione aziendale rende anacronistica quella figura - è il dipendente che non solo e non tanto partecipa attivamente alle realizzazione degli obiettivi dell'impresa, quanto piuttosto concorre a definirli, operando significative scelte di politica aziendale. (Trib. Milano 16/10/2008, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2009, 308) 
  • Il tratto caratterizzante della figura del dirigente è rappresentato dall'esercizio di un potere ampiamente discrezionale che incide sull'andamento dell'intera azienda o che attiene a un autonomo settore produttivo della stessa, non essendo per converso necessaria la preposizione dell'intera azienda. (Cass. 11/7/2007 n. 15489, Pres. de Luca Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2008, 84 e in Dir. e prat. lav. 2008, 1152)
  • La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell'imprenditore, è preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale, ovvero a una branca o a un settore autonomo di essa, ed è investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell'osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo e un orientamento al governo complessivo all'azienda. (Cass. 22/12/2006 n. 27464, Pres. Senese Est. D'Agostino, in D&L 2007, con nota di Alvise Moro, Pseudo dirigenti e tutela reale", 207)
  • L'attribuzione della qualifica dirigenziale può spettare, in base a una nozione ricavata dalla contrattazione collettiva di riferimento, anche a colui il quale si trovi in una situazione di sottoposizione gerarchica rispetto ad altro dirigente; tuttavia deve essere fatta salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale, quantunque circoscritta dal potere direttivo di massima del dirigente di livello superiore. Ne consegue pure che la subordinazione di un dirigente a un altro non può escludere l'attribuzione della qualifica dirigenziale, la collocazione verticistica del prestatore di lavoro, nell'ambito dell'organizzazione aziendale di riferimento e in assenza del conferimento di autonomi poteri decisionali in grado di influire in modo determinante sugli obiettivi dell'impresa, non necessariamente la implica. (Corte App. Potenza 9/11/2006, Pres. Ferrone Rel. Di Nicola, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Annamaria Monte, 498)
  • Il contratto collettivo dei dirigenti individua criteri di inquadramento nella categoria dirigenziale che sono, per un verso, di carattere formale e, per altro verso, riferiti ad attività che implicano e comportano poteri decisionali direttamente inerenti le scelte di politica aziendale che, peraltro, a seconda delle dimensioni e della struttura gerarchica dell'imprenditore, possono esplicarsi a diversi livelli, appunto, della gerarchia aziendale. Nella seconda ipotesi, in cui manca una attribuzione formale della categoria, il dipendente ha l'onere di fornire una prova rigorosa dell'attività effettivamente svolta nonchè dei fatti che consentono di individuare l'elemento qualificante della categoria dirigenziale: il potere decisionale di cui sopra. (Trib. Milano 18/2/2006, D.ssa Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2006, 1026)
  • Al fine di stabilire l’esatto inquadramento del dipendente, se l’appartenenza alla categoria dei dirigenti è espressamente regolata dalla contrattazione collettiva, occorre far riferimento, non alla nozione legale di tale categoria, ma alle relative disposizioni della contrattazione ed il giudice ha l’obbligo di attenersi ai requisiti dalle medesime previsti, poiché esse – riflettendo la volontà delle parti stipulanti e la loro specifica esperienza di settore – assumono valore vincolante e decisivo, tenendo altresì conto che in organizzazioni aziendali complesse è ammissibile – anche in riferimento alla prassi aziendale ed alla concreta organizzazione degli uffici – la previsione di una pluralità di dirigenti (a diversi livelli, con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia che però facciano salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore; e l’accertamento compiuto alla stregua dei contratti collettivi da parte del giudice di merito è censurabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione e della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale. (Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza del merito che aveva rigettato la domanda di un dipendente Rai, inquadrato come funzionario e incaricato di seguire il contenzioso insieme ad altri avvocati, volta al riconoscimento della qualifica dirigenziale di quarto livello, ai sensi dell’art. 1 del Ccnl dei dirigenti di aziende industriali). (Cass. 26/4/2005 n. 8650, Pres. Sciarelli Rel. Figurelli, in Dir. e prat. lav. 2005, 2336)
  • Ai fini della valutazione in ordine al riconoscimento della qualifica di dirigente, il tratto caratteristico della figura del dirigente d’azienda rispetto a funzioni simili come quella di impiegato con funzioni direttive, va individuato nella autonomia e nella discrezionalità delle scelte decisionali, in modo che l’attività del dirigente influisca sugli obiettivi complessivi dell’imprenditore. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse fatto corretta applicazione di tali principi, avendo escluso la qualifica dirigenziale in mancanza di prova circa i poteri decisionali, l’autonomia e la discrezionalità dell’operato, non attribuendo rilevanza decisiva alla circostanza che il ricorrente si avvalesse o meno della collaborazione di un sottoposto ed organizzasse turni di ferie sue e dell’impiegato che con lui collaborava). (Cass. 30/8/2004 n. 17344, Pres. Ciciretti Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, 281)
  • La figura professionale del dirigente, che in mancanza di una previsione della disciplina collettiva del rapporto di lavoro va determinata alla stregua della nozione legale di tale categoria, è caratterizzata dall'autonomia e dalla discrezionalità delle decisioni e dalla mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica, nonché dall'ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell'intera azienda o di un suo ramo autonomo e cioè tali da non poter essere circoscritte ad un settore di essa; nell'ipotesi di struttura imprenditoriale di modeste dimensioni, in particolare, l'indagine del Giudice di merito volta ad accertare la fondatezza della pretesa del lavoratore al riconoscimento della qualifica dirigenziale deve essere ispirata a particolare rigore, essendo difficilmente ipotizzabile la necessità di supplenza imprenditoriale se non si è in presenza di ampie articolazioni produttive e di numerosi dipendenti. (Cass. 16/6/2003 n. 9654, Pres. Mileo Rel. Capitanio, in Dir. e prat. lav. 2003, 3110)
  • La circostanza che compiti identici a quelli svolti dal lavoratore aspirante alla qualifica di dirigente siano stati in precedenza assegnati a lavoratori con la detta qualifica non è decisiva ai fini del riconoscimento del diritto al superiore inquadramento (Cass. Sez. lav., 17/2/94, n. 1530). Ciò perché nell'ambito delle imprese private non vige il principio di parità di trattamento (Cass. S.U., 29/5/93, n. 6030; Cass. S.U., 17/5/96, n. 4570) e perché la qualifica del predecessore può essere stata impropriamente attribuita dal datore di lavoro. (Cass. 12/2/02, n. 1985, pres. Prestipino, est. Roselli, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 564, con nota di Canali De Rossi, Rivendicazione di qualifica dirigenziale e caratteristiche della funzione. Non vigenza del principio di parità di trattamento)
  • E' irrilevante a giustificare l'accantonamento di un dirigente (nel caso per la durata di 16 mesi) la giustificazione aziendale secondo cui, a seguito della fusione tra due istituti di credito, si sarebbe verificata una duplicazione di funzioni ed un conseguente esubero di personale, giacché è preciso ed ineludibile dovere del datore di lavoro, cui corrisponde un altrettanto specifico diritto del prestatore - entrambi discendenti dall'enunciato normativo contenuto nell'art. 2103 c.c. - di fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel rispetto dell'inquadramento riconosciuto e della professionalità acquisita. Del pari irrilevante la circostanza che nei confronti del predetto dirigente l'azienda avesse l'intenzione, e fossero stati avviati contatti, di addivenire ad una risoluzione consensuale anticipata del rapporto di lavoro rispetto all'età per il pensionamento di vecchiaia, in quanto ciò non giustifica, in alcun modo, la pratica datoriale di spoliazione delle mansioni, irrispettosa della precitata previsione codicistica. Ne consegue, in ragione del riscontro di una forzata inattività per 16 mesi e di una sindrome depressiva indotta dall'illegittimo contegno aziendale - accertata come causalmente conseguente ad opera del Servizio neurologico dell'Asl, qualificato ed indipendente dalle parti, escludente pertanto il ricorso a Ctu sanitaria - la liquidazione al ricorrente, in via equitativa ex art. 1226 c.c., dell'importo netto di 100 milioni (comprensivo di interessi e rivalutazione monetaria) tenuto conto della retribuzione mensile percepita ed a ristoro cumulativo del danno professionale e biologico subito (Trib. Torino 10/8/01, pres. e est. Ciocchetti, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 165, con nota di Meucci, Accantonare il dirigente per un anno e mezzo può costare alla Banca 100 milioni netti)
  • In ipotesi di dequalificazione a mansioni impiegatizie il dirigente ha diritto, ai sensi dell'art. 2103 c.c., di essere reimmesso in mansioni dirigenziali, nell'ambito di quelle ultimamente svolte (Pret. Milano 16/9/94, est. De Angelis, inD&L 1995, 143)
  • Non può qualificarsi come dirigente il dipendente che, pur avendo il potere di firma, gestisca un settore di dimensioni modeste, tali che le sue mansioni consistano nel garantire la corretta esecuzione del lavoro minuto e non di determinare le direttive di ordine generale proprie della funzione dirigenziale (nella fattispecie, è stato altresì escluso che il dipendente potesse essere qualificato come dirigente per il fatto che per sei mesi avesse coperto l'interregno tra vecchio e nuovo dirigente, poiché le sue mansioni non erano equivalenti a quelle in seguito svolte dal nuovo dirigente) (Cass. 28/7/94 n. 7039, pres. Alvaro, est. Sciarelli, in D&L 1995, 367, nota MUGGIA)