Questioni varie

  • Sussiste il delitto di estorsione nel caso in cui il datore di lavoro, pur avendola prevista nel contratto di assunzione, non corrisponde alcuna retribuzione per il lavoro svolto, prospettando il licenziamento del dipendente nel caso di presentazione della relativa richiesta (peraltro non formulata dai lavoratori proprio in virtù di siffatta minaccia). (Cass. 12/1/2021 n. 779, Pres. Diotallevi Rel. Pacilli, in Lav. nella giur. 2021, 419)
  • Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente in riferimento agli artt. 3, 36 e 117 Cost. e relative alla norma di cui all’art 13 L.R. Sicilia n. 13 dell’11 giugno 2014, nella parte in cui viene stabilito il tetto retributivo massimo di 100.000 euro annui lordi nei soli confronti dei dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, degli enti sottoposti a controllo e a vigilanza della Regione, delle società a totale o maggioritaria partecipazione della Regione, nonché degli enti che a qualunque titolo ricevono trasferimenti o contributi a carico del bilancio della Regione; e ciò in ragione della temporaneità della misura, operativa solo per il triennio 2017-2019, nonché del necessario rispetto del limite alle retribuzioni a carico delle finanze pubbliche dettato a livello nazionale e dei principi di coordinamento, razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica (massima non ufficiale). (Corte Cost. 4/12/2020 n. 264, Pres. Morelli Red. Sciarra, in Lav. nella giur. 2021, con nota di S. Santoro, La Consulta “salva” il legislatore siciliano: riflessi di metodo della sentenza della Corte anche extramoenia, 387)
  • La sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della ricorrente, fino al 3 giugno 2020, può trovare fondamento ex art. 202 C.C.N.L. Terziario, nel provvedimento di chiusura del Parco ***, (nel quale si svolge l’attività del chiosco datore di lavoro (N.d.R.), in quanto l’impossibilità della prestazione lavorativa è derivata da fatto non imputabile ad alcuna delle parti, ed è stata conseguente a causa di forza maggiore. Tale prospettazione giuridica non può invece essere estesa anche al periodo successivo al 3 giugno 2020, data in cui il Parco *** ha ripreso la propria attività, e la decisione di non riaprire il chiosco, è stata una decisione unilaterale della società convenuta, che ha trovato fondamento in valutazioni di tipo logistico ed economico, non riconducibili alla causa di forza maggiore, posto che, sotto il profilo logistico, il chiosco poteva essere riaperto con l’osservanza delle cautele previste dalla normativa emergenziale, così come hanno riaperto altri esercizi pubblici, negozi e Pubblici Uffici, con distanziamento, sanificazione e mascherine, mentre sotto il profilo più strettamente economicistico, l’eventuale prognosi di scarsa redditività del chiosco, non integra la causa di forza maggiore, sia in quanto mera previsione, sia perché alla mancanza di redditività poteva essere rimediato con l’utilizzo della Cassa Integrazione. (Trib. Bologna 25/9/2020, in Lav. nella giur. 2021, 210)
  • La carta di libera circolazione nei treni del Gruppo FF.SS. non ha natura retributiva.
    La carta di libera circolazione del personale ferroviario in servizio e in pensione è disciplinata dalla contrattazione collettiva del Gruppo FF.SS., dopo che, a seguito della privatizzazione delle ferrovie statali, erano state abolite le concessioni di viaggio gratuite o scontate. In una causa di pagamento di differenze retributive conseguenti alla riqualificazione del rapporto di lavoro come subordinato, il dipendente ferroviario pretendeva anche il pagamento del controvalore delle Carte, non fruite nel corso del rapporto. La Corte ha respinto la domanda, escludendo la natura retributiva di esse, in quanto svincolate dalla natura e dalle modalità della controprestazione lavorativa. (Cass. 1/9/2020 n. 18167, Pres. Berrino Rel. Garri, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020)
  • Il datore di lavoro non può unilateralmente ridurre o sospendere l’attività lavorativa e, specularmente, rifiutare di corrispondere la retribuzione, perché se lo fa incorre in un inadempimento contrattuale, previsto in generale dalla disciplina delle obbligazioni corrispettive, secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente (nella specie il datore di lavoro) soltanto se l’altra parte (il lavoratore) omette di effettuare la prestazione da lui dovuta, ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova a carico del medesimo della impossibilità sopravvenuta, a norma degli artt. 1218, 1256, 1463 e 1464 c.c., fondata sull’inutilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili allo stesso datore di lavoro: la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è, allora, giustificata - ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva - soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. (Trib. Avezzano, 8/7/2020, Giud. Fiduccia, in Lav. nella giur. 2020, 1214)
  • Sul valore probatorio delle buste paga.
    La Corte conferma la propria consolidata giurisprudenza, secondo la quale le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro fanno piena prova del credito in esse indicato. Il principio è stato ribadito in un giudizio in cui un lavoratore aveva chiesto l’insinuazione, nel passivo del fallimento del proprio datore, di alcuni crediti retributivi risultanti da buste paga ritualmente rilasciate. La Corte precisa che, poiché i dati delle buste paga devono trovare puntuale riscontro nel libro unico del lavoro, il valore probatorio delle buste può essere contestato in ragione della irregolarità di quest’ultimo e della non corrispondenza di esso rispetto alle buste paga. (Cass. 7/7/2020 n. 14012, Pres. Curzio Rel. Leone, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2020)
  • Condizioni per la restituzione delle retribuzioni trattenute durante la sospensione cautelare facoltativa dal servizio del dipendente sottoposto a processo penale, quando questo si concluda con la prescrizione del reato.
    Secondo i giudici dell’appello la restitutio in integrum di quanto trattenuto nel periodo di sospensione cautelare facoltativa sarebbe dovuta unicamente in caso di assoluzione con formula piena del dipendente sospeso. In caso di formula diversa, sarebbe onere del dipendente dimostrare al datore di lavoro la propria innocenza. La Cassazione ribadisce viceversa che per i pubblici dipendenti contrattualizzati vige la diversa regola per cui, nelle ipotesi considerate, il dipendente ha diritto alla restituzione se l’Amministrazione non gli infligga per i fatti alcuna sanzione disciplinare o ne infligga una che per qualità o entità non giustifichi interamente la trattenuta. (Cass. 18/5/2020 n. 9095, Pres. Torrice Rel. Marotta, in Wikilabour, Newsletter n. 10/2020)
  • Il trattamento retributivo determinato dalla contrattazione collettiva, pur essendo questa dotata di ogni crisma di rappresentatività (e pertanto rispettosa dell’art. 7 comma 4 d.l. n. 248/2007, ove applicabile), può in concreto risultare lesivo del principio di proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro eseguito e/o del principio di sufficienza volto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. (Trib. Torino 9/8/2019, n. 1128, Est. Paliaga, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di S. Bellomo, “Determinazione giudiziale della retribuzione e individuazione del contratto collettivo-parametro tra art. 36 Cost. e norma speciale applicabile ai lavoratori di cooperative”, 3)
  • Anche ai collaboratori ed esperti linguistici delle Università che abbiano ottenuto la trasformazione, in via giudiziale, del contratto di lavoro come lettori di madrelingua in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si applica il trattamento economico stabilito dal d.l. n. 2/2004, come interpretato autenticamente dalla l. n. 240/2010; da ciò consegue l’esclusione della possibilità di “agganciare”, per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, la retribuzione alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito, stante la specificità della figura del collaboratore in rapporto alle funzioni proprie della docenza universitaria. (Trib. Bari 2/4/2019, Giud. Vernia, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di A. Tampieri, “Sulla specificità, giuridica ed economica, dei collaboratori ed esperti linguistici in rapporto alla docenza universitaria”, 669)
  • Va riconosciuto il diritto dei collaboratori ed esperti linguistici alla differenza stipendiale, in forma di assegno  ad personam, tra l’ultima retribuzione percepita quale lettori di madrelingua e la retribuzione complessiva prevista dalla contrattazione collettiva  di comparto  e  decentrata, come  previsto  dalla norma  di  interpretazione autentica contenuta nell’art. 26, co. 3, l. n. 240/2010. (Trib. Bari 2/4/2019, Giud. Vernia, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di A. Tampieri, “Sulla specificità, giuridica ed economica, dei collaboratori ed esperti linguistici in rapporto alla docenza universitaria”, 669)
  • La clausola 4 della Direttiva 99/70/Ce relativa all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che, ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi. (Corte di Giustizia 20/9/2018 C-466/17, Rel. Fernlund, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di E. Raimondi, “La valutazione dell’anzianità di servizio degli insegnanti precari: molto rumore per nulla?”, 92)
  • In presenza di una disposizione contrattuale che obbliga il datore di lavoro a fissare gli obiettivi a cui parametrare il bonus aziendale incentivante, anche nell’ipotesi in cui lo stesso non adempia a suddetto obbligo, non spetta al lavoratore l’erogazione dell’importo elargito a titolo di bonus negli anni precedenti laddove, per espressa statuizione contrattuale, lo stesso sia stato ricollegato dalle parti a due condizioni: il generale andamento economico della società e le performance individuali del lavoratore. Il diritto al bonus viene meno anche solo per il mancato raggiungimento degli obiettivi societari, in quanto nessun emolumento collegato necessariamente anche all’andamento della società può essere riconosciuto al ricorrente indipendentemente dalla performance individuale. (Trib. Roma 17/1/2017, n. 361, Est. Damiani, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di S. Sonnati, “Il comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto e il diritto al bonus in capo al lavoratore”, 602)
  • Qualora il lavoratore agisca in giudizio per conseguire le retribuzioni allo stesso spettanti, ha l’onere di provare l’esistenza del rapporto di lavoro quale fatto costitutivo del diritto azionato, mentre incombe al datore di lavoro che eccepisce  l’avvenuta corresponsione delle somme richieste l’onere di fornire la prova di siffatta corresponsione: e tale principio vale sia per la retribuzione mensile, sia per la tredicesima mensilità, sia per la corresponsione del trattamento di fine rapporto e sia per il pagamento delle ferie non retribuite. (Trib. Bari 17/10/2016, Giud. Procoli, in Lav. nella giur. 2017, 98)
  • Non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione ricevuta dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l’accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle buste paga. (Trib. Milano 31/5/2016, Giud. Saioni, in Lav. nella giur. 2016, 1026)
  • Qualora il lavoratore agisca in giudizio per conseguire le retribuzioni allo stesso spettanti, ha l’onere di provare l’esistenza del rapporto di lavoro quale fatto costitutivo del diritto azionato, mentre incombe sul datore di lavoro che eccepisce l’avvenuta corresponsione delle somme richieste l’onere di fornire la prova di siffatta corresponsione; e tale principio vale sia per la retribuzione mensile, sia per la tredicesima mensilità (che costituisce una sorta di retribuzione differita), sia per corresponsione del trattamento di fine rapporto (che integra parimenti una componente del trattamento economico costituendo in buona sostanza una sorta di accantonamento da parte del datore di lavoro), sia per il pagamento delle ferie non retribuite (atteso che l’obbligo di corrispondere la retribuzione incombe anche nel periodo in cui il lavoratore usufruisce delle ferie, che costituiscono un diritto irrinunciabile costituzionalmente garantito ai sensi dell’art. 36, comma 3, Cost.). (Trib. Bari 3/10/2014, Giud. Procoli, in Lav. nella giur. 2015, 316)
  • La natura retributiva (dell’auto aziendale n.d.r.) può essere esclusa nel caso in cui al lavoratore sia imposto un costo non simbolico come corrispettivo per l’uso dell’auto. (Trib. Bologna 5/6/2014, Giud. Benassi, in Lav. nella giur. 2014, 1032)
  • Il superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza l mantenimento del superminimo, escludendone l’assorbimento. (Cass. 29/8/2012 n. 14689, Pres. Miani Canevari Est. Filabozzi, in D&L 2012, 810)
  • Le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, costituiscono parte integrante dell’ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e, come tali, concorrono ai sensi della nozione omnicomprensiva di retribuzione, recepita dagli artt. 2120 e 2121 c.c., e in assenza di deroghe introdotte successivamente all’entrata in vigore della L. 28/5/82 n. 297 alla composizione della base di computo dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto. (Cass. 21/5/2012 n. 7987, Pres. Roselli Est. Balestrieri, in D&L 2012, 813)
  • Le somme spettanti a titolo di risarcimento danni per la violazione degli obblighi facenti carico al datore di lavoro hanno natura retributiva e sono quindi da computare nella retribuzione imponibile ai fini contributivi solo quando derivino da un inadempimento, il quale, pur non riguardando direttamente l’obbligazione contributiva, tuttavia immediatamente incida su di essa in quanto determini la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente; viceversa, le attribuzioni patrimoniali che il lavoratore riceve a titolo di risarcimento del danno per la violazione degli altri obblighi del datore, sebbene siano anch’esse “dipendenti dal rapporto di lavoro”, non hanno natura retributiva, così come tale natura non aveva l’obbligazione primaria rimasta inadempiuta, e quindi non sono computabili nella retribuzione imponibile ai fini contributivi, ex art. 12 l. 30 aprile 1969 n. 153 ed ex art. 6 D.Lgs. 2 settembre 1997 n. 314. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha incluso nel computo della retribuzione imponibile ai fini contributivi le somme spettanti al lavoratore a titolo di risarcimento danno da mancata corresponsione di maggiorazione per lavoro notturno). (Cass. 21/5/2012 n. 7987, Pres. Roselli Est. Balestrieri, in Orient. Giur. Lav. 2012, 432)
  • In caso di indebito pagamento da parte del datore di lavoro, l’obbligo di restituzione del dipendente riguarda le sole somme da quest’ultimo “percepite”, ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale dello stesso, non potendo il datore di lavoro pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. (Cass. 2/2/2012 n. 1464, Pres. Miani Canevari, Est. Arienzo, in D&L 2012, con nota di Mirella Morandi, “Somme percepite in eccesso dal lavoratore: necessaria la restituzione ‘al netto’”, 519)
  • È costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di legittimo affidamento nella sicurezza dei rapporti giuridici e del generale canone di ragionevolezza l’art. 44, co. 2 della l.r. 13 giugno 2008, n. 15 Calabria, il quale dispone che l’art. 7, co. 6, della l.r. 2 marzo 2005, n. 8 deve essere inteso nel senso che la retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione dell’indennità supplementare prevista dalla medesima legge, è quella individuata per il personale in posizione non dirigenziale alla cessazione volontaria del servizio, all’art. 52, lett. c) del ccnl 1999, e successive modifiche, con esclusione nella determinazione della citata indennità del rateo di tredicesima mensilità. (Corte Cost. 21/10/2011 n. 271, Pres. Quaranta Rel. Criscuolo, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. D’Onghia, “L’esclusione della tredicesima dall’incentivo all’esodo: la parola alla Consulta”, 296)
  • I miglioramenti salariali erogati ai dipendenti in conseguenza dell’entrata in vigore del nuovo contratto collettivo costituiscono per i lavoratori iscritti all’organizzazione sindacale non firmataria un trattamento di miglior favore, giuridicamente intangibile in forza dell’obbligo di non discriminazione sancito dall’art. 16 dello Statuto dei Lavoratori. (Trib. Torino 26/4/2011, Giud. Ciocchetti, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Maria Dolores Ferrara, 719)
  • Il principio della irriducibilità della retribuzione si estende anche alle indennità compensative di particolari e gravosi modi di svolgimento del lavoro prestato, nel senso che quella voce retributiva può essere soppressa ove vengano meno quei metodi di svolgimento della prestazione, ma deve essere conservata in caso contrario. (Trib. Napoli 18/2/2011, Giud. Galante, in Lav. nella giur. 2011, 528)
  • Il fatto che il lavoratore subordinato abbia commesso un illecito a discapito del datore di lavoro, legittima quest’ultimo a proporre una azione di risarcimento e a ottenere poi la compensazione con i controcrediti del lavoratore, ma non gli attribuisce il diritto a ottenere dal giudice una riduzione delle retribuzioni dovute al prestatore, in sede di adeguamento, ex art. 36, comma 1, Cost. (Cass. 17/1/2011 n. 896, Pres. Roselli Est. Monaci, in Lav. nella giur. 2011, 317)
  • La violazione della norma sull'età minima per l'ammissione al lavoro non fa venir meno il diritto alla retribuzione per l'attività lavorativa effettivamente prestata dal soggetto tutelato, in applicazione del generale principio di cui all'art. 2126, 2° comma, c.c. (Cass. 30/8/2010 n. 18856, Pres. Sciarelli Est. Bandini, in D&L 2010, con nota di Alessandro Premoli, "Lavoro dei minori: diritto alla retribuzione... anzi, alla parità retributiva", 1125)
  • L'art. 37, comma 3°, Cost., che sancisce il diritto del lavoratore minorenne alla parità di retribuzione a parità di lavoro, rispetto agli altri lavoratori, e che opera con riferimento all'intero trattamento retributivo, implica che la maggiore inesperienza dei più giovani e l'opportunità di favorire l'occupazione possano giustificare una più bassa retribuzione, rispetto ai lavoratori maggiorenni, solo se a loro vengano affidate diverse e meno impegnative mansioni. (Cass. 30/8/2010 n. 18856, Pres. Sciarelli Est. Bandini, in D&L 2010, con nota di Alessandro Premoli, "Lavoro dei minori: diritto alla retribuzione... anzi, alla parità retributiva", 1125)
  • Anche in epoca precedente al D.Lgs. 19/9/94 n. 626 e al vigente D.Lgs. 9/4/08 n. 81, deve ritenersi che, in forza già dell’art. 379, DPR 27/4/55 n. 547, siano a carico del datore di lavoro le spese relative al lavaggio degli ordinari indumenti di lavoro forniti dallo stesso al dipendente – che ha l’obbligo di indossarli – allorquando detti indumenti costituiscano una barriera protettiva rispetto al rischio per il lavoratore di entrare in contatto con sostanze pericolose, con conseguente insorgenza e diffusione di infezioni, in quanto i dispositivi di protezione individuali devono essere idonei non solo al momento della consegna ma anche per l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa (Cass. 23/6/2010 n. 15202, Pres. Roselli Est. Amoroso, in D&L 2010, 853)
  • Nel caso in cui il datore di lavoro si trovi nell’impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l’adesione a uno sciopero da parte della stragrande maggioranza del personale dipendente e la conseguente inutilizzabilità del personale residuo non scioperante), il diritto alla retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già sospeso per malattia, atteso che la speciale disciplina dettata per ragioni di carattere sociale dall’art. 2110 c.c. investe in via esclusiva il rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore e su di essa non possono pertanto incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione del rapporto, rendano impossibile la prestazione da parte degli altri dipendenti, senza che, peraltro, possa in tal modo configurarsi una violazione del principio di parità di trattamento, posto che detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenuto meritevoli di un trattamento privilegiato. (Cass. 31/5/2010 n. 13256, Pres. Vidiri Est. Stile, in D&L 2010, con nota di Lia Meroni, “Chiusura dell’azienda per causa di forza maggiore e retribuzione delle assenze per malattia: un’ipotesi di disparità di trattamento a tutela del dipendente”, 835)
  • Il compenso dovuto all’amministratore di una società di capitali, quale organo legato da rapporto interno alla società, è determinato dall’assemblea dei soci, sussistendo la facoltà dell’amministratore di insorgere avverso una liquidazione effettuata dall’assemblea della società in maniera inadeguata e di chiedere al giudice la quantificazione delle proprie spettanze, salva l’ipotesi in cui, trattandosi di diritti disponibili, la delibera assembleare sia stata dall’amministratore accettata e posta in esecuzione senza riserve. (Cass. 24/5/2010 n. 12592, Pres. Roselli, Est. Balletti, in D&L 2010, 854)
  • Costituisce "credito di lavoro", nella sua più ampia accezione, con conseguente applicabilità dell'art. 429 c.p.c. in tema di rivalutazione monetaria e interesse, non solo quello retributivo, ma ogni credito che sia in diretta relazione causale con il rapporto di lavoro e, quindi, anche il credito per il risarcimento dei danni cagionati al lavoratore dall'inadempimento della società datrice di lavoro, fra i quali deve essere ricompreso anche quello derivante dalla violazione degli obblighi di cui all'art. 2103 c.c. (Cass. 14/4/2010 n. 8893, Pres. Vidiri Est. Bandini, in Orient. giur. lav. 2010, 359)
  • Il patto di conglobamento nella retribuzione ordinaria dei compensi ulteriormente dovuti al prestatore di lavoro per legge o per contratto può essere ammesso solo se dal patto stesso risultino gli specifici titoli cui è riferibile il compenso complessivo, poiché solo in tal caso si rende superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza di un patto di conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria, con conseguente impossibilità di considerare automaticamente il c.d. superminimo quale compenso per le ore di lavoro straordinario). (Cass. 7/4/2010 n. 8255, Pres. Sciarelli Est. Meliadò, in D&L 2010, con nota di Alessandra Premoli, “Il ‘patto di conglobamento’: requisiti di validità e onere della prova”, 540)
  • È legittima la previsione di un bonus connesso al raggiungimento di obiettivi “qualitativi”, quali lo spirito di gruppo, la collaborazione con i colleghi e la capacità organizzativa. (Nella specie, il Tribunale ha ritenuto legittima la decisione aziendale di non erogare il bonus sulla scorta del solo giudizio di un responsabile aziendale, pur in assenza di precise indicazioni circa i criteri per valutare il raggiungimento degli obiettivi). (Trib. Milano 26/1/2010, Est. Porcelli, in D&L 2010, con nota di Alessandro Premoli, “Erogazione del bonus e margini di discrezionalità del datore di lavoro”, 827)
  • La mera diversità di criterio di calcolo della retribuzione utilizzato dall'agenzia di somministrazione (retribuzione a ora) rispetto a quello previsto dal contratto collettivo applicabile ai dipendenti dell'impresa utilizzatrice (mensilizzazione indipendente dall'effettivo numero di ore lavorate) non costituisce un trattamento deteriore per il lavoratore. (Trib. Pesaro 7/7/2009, est. Peganmelli, in D&L 2009, con nota di Lia Meroni, "Discriminazione retributiva del lavoratore somministrato", 1026)
  • Si pone in contrasto con la norma imperativa di cui all'art. 3, comma 5°, DL 30/10/84 n. 726, convertito con modificazioni nella L. 19/12/84 n. 863, secondo cui il periodo di formazione e lavoro è computato nell'anzianità di servizio in caso di trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, la disposizione del contratto collettivo (nella specie Accordo interconfederale 31/1/95) che, nel regolamentare gli aumenti retributivi periodici, esclude l'utile computo del periodo di formazione e lavoro, riferendosi la norma imperativa non soltanto agli effetti ricollegati direttamente dalla legge al decorso del tempo, ma anche a quelle derivanti dalla contrattazione collettiva, atteso che la distinzione tra istituti di origine legale e trattamenti di fonte convenzionale non trova fondamento nel tassativo tenore del testo normativo, peraltro conforme al divieto di fonte comunitaria di discriminazione per fatti di età nonché di discriminazione fra lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori assunti a tempo indeterminato. (Trib. Bolzano 26/3/2010, Est. Puccetti, in D&L 2010, 562)
  • La clausola contrattuale che prevede l’erogazione di un bonus basato su obiettivi da concordarsi di anno in anno, non consentendo di stabilire l’an del diritto all’erogazione del bonus medesimo, comporta, qualora gli obiettivi non siano stati fissati per tempo dalle parti, l’impossibilità del lavoratore di invocare i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e di chiedere la determinazione giudiziaria del bonus ex art. 2099 c.c., così come di far ricorso all’art. 432 c.p.c., che ha per oggetto il valore economico e non la determinazione in ordine all’esistenza della prestazione, rimanendo solamente possibile una domanda risarcitoria per inadempimento contrattuale. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva negato l’erogazione del bonus al dirigente nonché il risarcimento del danno per mancata determinazione degli obiettivi, atteso che la domanda risarcitoria non era stata formulata in primo grado ed era pertanto inammissibile nel giudizio di appello). (Cass. 16/6/2009 n. 13953, Pres. Roselli Est. Nobile, in D&L 2009, con nota di Alessandro Premoli, “Bonus connessi al raggiungimento di obiettivi e poteri integrativi del giudice”, 1009)
  • In presenza di un uso aziendale relativo a benefici per i "dipendenti meritevoli, il giudizio di meritevolezza non può essere mai assolutamente discrezionale e insindacabile, in quanto esistono dei parametri oggettivi, desumibili dal principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.), oltre che da norme interne e dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che l'apprezzamento di meritevolezza del datore di lavoro è sempre suscettibile di censura e di controllo in sede giudiziale. (Nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto insindacabile il diniego di Alitalia alla concessione di biglietti aerei agevolati a un proprio dipendente, in presenza di un uso aziendale già accertato giudizialmente). (Cass. 14/5/2009 n. 11213, Pres. Battimiello Est. Nobile, in D&L 2009, 739)
  • Nel caso di attribuzione al lavoratore di un'auto aziendale a uso promiscuo, la valorizzazione economica dell'uso privato ai fini dell'incidenza sugli istituti va effettuata considerando l'effettivo vantaggio economico ricevuto dal lavoratore, in termini di risparmio di spesa, mentre non sono utilizzabili i criteri legali previsti a fini fiscali e contributivi. (Trib. Roma 17/12/2008, est. Mimmo, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, "Profili retributivi relativi all'uso aziendale", 746)
  • Il benefit consistente nella concessione dell'auto aziendale a uso promiscuo può essere revocato unilateralmente da parte del datore di lavoro in presenza di una clausola contrattuale in tal senso, che ben può essere inquadrata come legittima clausola risolutiva meramente potestativa. (Trib. Roma 17/12/2008, est. Mimmo, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, "Profili retributivi relativi all'uso aziendale", 746)
  • Nel caso di utilizzo da parte del lavoratore dell'auto provata per esigenze lavorative, il relativo rimborso da parte del datore di lavoro può essere forfettizzato anche senza ancorarsi ai valori chilometrici previsti dalle tabelle Aci. (Trib. Milano 2/4/2009, Est. Vitali, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, "Profili retributivi relativi all'uso aziendale", 746)
  • La giusta retribuzione ex art. 36 Cost. deve essere adeguata anche in proporzione all'anzianità di servizio acquisita, in considerazione del miglioramento qualitativo nel tempo della prestazione. (Cass. 7/7/2008 n. 18584, Pres. De Luca Est. Bandini, in Orient. della giur. del lav. 2008, 549)
  • L'art. 49 c.c.n.l. per il settore bancario del 19 dicembre 1994, nel rinviare alla contrattazione integrativa aziendale "l'attribuzione" di un premio correlato ai risultati di programmi concordati tra le parti aventi come obiettivo incrementi di produttività del lavoro, di qualità e altri elementi di competitività nonché ai risultati legati all'andamento economico dell'impresa, non costituisce in capo al lavoratore un diritto soggettivo perfetto suscettibile di mera quantificazione. Pertanto la successiva clausola del contratto collettivo aziendale che lo escluda, pur retroattivamente, è valida ed efficace, anche nei confronti del lavoratore iscritto a un'organizzazione dissenziente. (Cass. 25/6/2008 n. 17310, Pres. Mercurio Est. De Renzis, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Antonella Occhino, "Premi di risultato e fonte costitutiva del diritto", 49)
  • Ove il rapporto di lavoro sia regolato da un contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell'attività svolta dall'imprenditore, il giudice, per valutare la sufficienza della retribuzione del lavoratore ai sensi dell'art. 36 Cost., può utilizzare la disciplina collettiva del diverso settore come parametro di raffronto e quale criterio orientativo, limitatamente alla retribuzione base, senza riguardo per gli altri istituti contrattuali ed esclusa ogni autonoma applicazione. (Cass. 4/6/2008 n. 14791, Pres. Mattone Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2009, 1167)
  • Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro, individuale o collettivo, risulti inferiore alla soglia minima prevista dall’art. 36 Cost., la clausola contrattuale è nulla e, in applicazione del principio di conservazione, espresso nell’art. 1419, 2° comma, c.c., il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri dell’art. 36 Cost., con valutazione discrezionale che, specialmente nell’ipotesi in cui la retribuzione ritenuta inadeguata sia contenuta in un contratto collettivo, deve essere effettuata con la massima prudenza e adeguatamente motivata, giacchè difficilmente il giudice è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all’assetto degli interessi concordato dalle parti sociali. (Cass. 1/2/2006 n. 2245, Pres. Senese Est. D’Agostino, in D&L 2006, con n. Silvia Bianchi, “La discrezionalità del giudice nella determinazione dell’equa retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost.”, 557)
  • Il fatto che alcuni sindacati riescano ad ottenere condizioni retributive più favorevoli non postula automaticamente che il ccnl con trattenuta inferiore firmato da sigle sindacali diverse da quelle tradizionali violi l’art. 36 Cost.; accordare privilegio al ccnl stipulato da sindacati (probabilmente con maggior seguito di iscritti), in mancanza di specifiche allegazioni di violazione dei parametri dell’art. 36 Cost., finirebbe per violare il principio costituzionale della libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. (Corte app. Genova 1/6/2005 n. 387, Pres. Russo Rel. Ravera, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Alessia Muratorio, 1061)
  • La particolare garanzia apprestata dall’art. 36 Cost., a tutela del lavoratore subordinato, non si riferisce ai singoli elementi retributivi, bensì al trattamento economico globale, comprensivo della retribuzione per lavoro straordinario, come riconosciuto da C. Cost. n. 470 del 2002. Pertanto i criteri della proporzionalità e della sufficienza posti dalla citata norma costituzionale a tutela del lavoratore non trovano applicazione in caso di erogazione di un compenso per lavoro straordinario inferiore a quello erogato per l’orario normale. (Cass. 24/3/2004, n. 5934, Pres. Ianniruberto Est. Vidimi, in Giust. Civ. 2005, 458)
  • E' legittima la statuizione del giudice di merito che determini la retribuzione ex art. 36 Cost. in misura inferiore ai minimi contrattuali nazionali, col solo richiamo a condizioni ambientali e territoriali, perché il precetto costituzionale è rivolto ad impedire ogni forma di sfruttamento del dipendente, anche quando trovi radice nella situazione socio-economica del mercato del lavoro. Tuttavia non è contraria a quel precetto costituzionale la determinazione differenziata della retribuzione in relazione alle diverde capacità economiche dei datori di lavoro: la medesima attività, valutabile in una certa misura dalla grande impresa, può esserla in misura minore dal datore di lavoro dotato di mezzi modesti e perciò assoggettato a sacrifici patrimoniali non oltre certi limiti, oltrepassati i quali sarebbe a rischio la sua stessa sopravvivenza economica. (Cass. 15/11/2001, n. 14211, Pres. Ianniruberto, Est. Roselli, in Argomenti dir. lav. 2003, 379)
  • Ai fini della determinazione della giusta retribuzione a norma dell'art. 36 Cost. nei confronti di lavoratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sindacale firmataria di c.c.n.l., residente in zona depressa, con potere di acquisto della moneta accertato come superiore alla media nazionale, il giudice del merito può discostarsi dai minimi salariali stabiliti dal contratto collettivo, non direttamente applicabile al rapporto, ma assunto come valore parametrico, ad una triplice condizione: che utilizzi dati statistici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul potere di acquisto della moneta e non la propria scienza privata; che consideri l'effetto già di per sé riduttivo della retribuzione contrattuale insito nel principio del minimo costituzionale; che l'eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della contingenza stabilita dalla legge 26 febbraio 1986, n. 38. (Cass. 26/7/2001, n. 10260, Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2003, 381)
  • L’art. 36 Cost. deve trovare applicazione anche nei confronti dei lavoratori extracomunitari. Pertanto gli stranieri assunti con qualifica di infermiere e contratto di diritto privato nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell’art. 9 L. 28/2/90 n. 39 hanno diritto – nonostante la diversa disposizione di cui al DM 5/3/91 n.174 – al pagamento dell’indennità integrativa speciale, atteso che la decurtazione della stessa determina una riduzione della retribuzione di entità tale da ledere i principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione (Pret. Monza 4/9/96, est. Gardoni, in D&L 1997, 606, nota Romeo)
  • Il controllo giudiziale ex art. 36 Cost. sulla proporzionalità e sufficienza della retribuzione, anche se stabilita dai contratti collettivi, non può spingersi fino a porre a raffronto i compiti di alcune figure professionali con quelli di altre, al fine di graduarne le retribuzioni, trattandosi di attività riservata all'autonomia individuale e collettiva (Pret. Pisa 31/1/95, est. Schiavone, in D&L 1995, 921, con nota di IANNIELLO)
  • In virtù del principio espresso dal secondo comma dell’art. 2099 c.c., non solo in mancanza di contratti collettivi che determinano la retribuzione e i relativi compensi aggiuntivi del lavoratore, ma anche in mancanza di accordo tra le parti sulla interpretazione o sull’attualità di una clausola collettiva per la determinazione della retribuzione o del compenso in relazione a un determinato inquadramento del lavoratore a causa della sua indeterminatezza o della sua genericità, non è escluso il potere del giudice di merito di determinare autoritativamente la misura di tale compenso con apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in relazione ad una delibera della Commissione amministratrice dell’Azienda centrale del latte di Roma concernente il riconoscimento ai quadri di una indennità nella misura del venticinque per cento e in presenza di un successivo Ccnl, peraltro con decorrenza da data anteriore a quella della delibera, che graduava la medesima indennità dal quindici al quaranta per cento, aveva ritenuto sussistente la volontà dell’Azienda di dare immediata attuazione alla corresponsione dell’indennità sin dalla data di decorrenza del contratto collettivo, ed aveva determinato l’indennità stessa nella misura del trenta per cento, avuto riguardo ai compiti aggiuntivi attribuiti al lavoratore). (Cass. 22/6/2004 n. 11624, Pres. Ciciretti Rel. Capitanio, in Dir. e prat. lav. 2004, 2973)
  • Proposta domanda di pagamento di differenze retributive, la contestazione del convenuto dell'esistenza del diritto azionato rende irrilevante la non contestazione dei conteggi relativi al quantum, qualora la contestazione sull'an abbia investito tutti i fatti costitutivi della domanda. (Cass. 23/1/2002, n. 761, Pres. Marvulli, Est. Evangelista, in Argomenti dir. lav. 2003, 603)
  • Va accolto il richiesto provvedimento cautelare di condanna della società datrice al pagamento di arretrati retributivi, sussistendo, oltre al fumus boni iuris, anche l’ulteriore requisito del periculum in mora, attesa la natura alimentare del credito retributivo, la cui mancata corresponsione compromette, per tutto il tempo del giudizio, il diritto del lavoratore a un’esistenza libera e dignitosa (Trib. Roma 17/10/97, pres. Zecca, est. Bonaventura, in D&L 1998, 442)
  • La previsione in sede di contratto individuale di un bonus da corrispondersi al raggiungimento di obiettivi che saranno fissati a cura del datore di lavoro fa sorgere in capo al lavoratore un diritto soggettivo perfetto per la cui realizzazione occorre il concorrente adempimento di due obbligazioni, quella del datore di lavoro consistente nella fissazione e comunicazione degli obiettivi e quello del lavoratore relativa al raggiungimento degli obiettivi stess; l'inadempimento della prima obbligazione dà titolo a un risarcimento del danno che può essere liquidato in via equitativa considerando la media dei bonus percepiti negli anni precedenti. (Trib. Milano 20/5/2008, Est. Martello, in D&L 2008, 1015)
  • La direttiva 96/71/CE (relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi) interpretata alla luce dell'art. 49 del Trattato, osta a un provvedimento legislativo di uno Stato membro che imponga agli enti pubblici di attribuire gli appalti di lavori edili esclusivamente alle imprese che, all'atto della presentazione delle offerte, si impegnino a corrispondere ai propri dipendent - impiegati per l'esecuzione dei lavori oggetti di appalto - una retribuzione non inferiore a quella minima prevista dal contratto collettivo vigente nel luogo di esecuzione dei lavori. (Corte di Giustizia CE 3/4/2008 n. C-346/06, Pres. Makarczyk Rel. Timmermans, in D&L 2008, 878)
  • La direttiva europea 75/363/CEE del 16 giugno 1975 (sul coordinamento delle disposizioni legislative regolamentari e amministrative per le attività di medico), come modificata dalla direttiva 82/76, nell'imporre di retribuire i medici per i periodi di formazione relativi alle specializzazioni contiene un obbligo incondizionato e sufficientemente preciso, ma al tempo stesso non contengono alcuna definizione comunitaria della remunerazione con la conseguenza che tali direttive non erano applicabili nell'ordinamento prima del loro recepimento avvenuto con la l. n. 428 del 1990 e con il d.lgs. n. 257 del 1991. Tuttavia, poichè lo Stato non ha realizzato i corsi di specializzazione conformemente alla direttiva comunitaria entro il 1° gennaio 1983, i medici specializzandi non ne hanno potuto usufruire, ed è loro derivato un danno consistente nella perdita di una possibilità della qualeessi avrebbero presumibilmente approfittato; in sostanza è loro derivato un danno da perdita di chances. (Cass. 11/3/2008 n. 6427, Pres. De Luca Rel. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 400)
  • L'aggiudicazione dell'appalto di un'opera pubblica da parte di un consorzio e l'assegnazione dell'esecuzione dei lavori a una singola impresa consorziata costituiscono un fenomeno di sub-derivazione del contratto di appalto, qualificabile nella sostanza come subappalto, a nulla rilevando in proposito la disposizione di cui all'art. 141, 4° comm, prima parte, DPR 21/12/99 n. 554 che riguarda esclusivamente le modalità di conferimento dell'appalto originario. Ne consegue che il consorzio, quale soggetto sub-committente dei lavori e in quanto persona giuridica distinta dai singoli soci consorziati, assume la responsabilità solidale per le retribuzioni dovute ai lavoratori dall'impresa artigiana assegnataria dell'opera, in applicazione dell'art. 1676 c.c., che deve ritenersi riferito anche all'ipotesi di subappalto. (Cass. 7/3/2008 n. 6208, Pres. Ciciretti Est. Bandini, in D&L 2008, 623)
  • L'art. 66 comma 6 del CCNL Comparto Scuola del 1995 disciplina l'inquadramento del personale docente e ATA nelle posizioni stipendiali decorrenti dal 1.1.1996 in base all'anzianità maturata al 31.12.1995: tale norma esclude l'esistenza di un principio general, favorevole al singolo lavoratore, di prevalenza dell'anzianità effettiva rispetto all'anzianità convenzionale atteso che, quante volte la legge ha previsto un riconoscimento di servizio preruolo o di servizio di ruolo in qualifica inferiore, lo ha sempre fatto mediante l'inserimento del lavoratore nel "reticolo retributivo" corrispondente alla qualifica superiore e non già mediante il riconoscimento, puro e semplice, dell'anzianità maturata in qualifica inferiore ai fini della progressione stipendiale nella nuova qualifica, salvaguardando la misura della retribuzione acquisita mediante l'assegno "ad personam" assorbibile. Ne consegue che, mentre per il personale docente è stato espressamente previsto il riconoscimento graduale e parziale del servizio pre-ruolo, per il personale ATA la ridefinizione dei profili professionali è stata demandata alla sede contrattuale ove soltanto può trovare rimedio la eventuale ingiustificata disparità. (Cass. 5/12/2007 n. 25306, Pres. Sciarelli Rel. Di Nubila, in Lav. nelle P.A. 2008, 412)
  • L'emolumento variabile da corrispondersi a fronte della fissazione e del raggiungimento di obiettivi ha natura retributiva e non indennitaria, e pertanto è sottoposto al principio di irriducibilità, in quanto è connesso al patrimonio professionale dal lavoratore utilizzato per raggiungere i risultati e non a una specifica modalità di svolgimento della prestazione. (Corte app. Milano 21/11/2007, Est. Troni, in D&L 2008, con nota di Filippo Capurro, "Natura retributiva del bonus e finzione di avveramento della condizione", 248)
  • Atteso che ai sensi dell'art. 1359 c.c. la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento della stessa, e che ai sensi dell'art. 1358 c.c. sussiste il dovere di lealtà e correttezza delle parti nell'intero arco di pendenza della condizione, nell'ipotesi in cui il raggiungimento degli obiettivi, condizione per il riconoscimento della retribuzione variabile, sia divenuto impossibile a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro, sussiste il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione variabile. (Corte app. Milano 21/11/2007, Est. Troni, in D&L 2008, con nota di Filippo Capurro, "Natura retributiva del bonus e finzione di avveramento della condizione", 248)
  • Nel caso in cui il rapporto nasca come formalmente autonomo e venga poi dichiarato subordinato a seguito dell'accertamento giudiziale, per valutare la congruità e la proporzionalit, in tutte le sue componenti, della retribuzione in relazione alla prestazione lavorativa, va tenuto conto di tutto quanto il lavoratore subordinato, formalmente autonomo, ha convenuto e percepito, atteso che l'iniziale formale configurazione autonoma del rapporto stabilita dalle parti può ragionevolmente far ritenere che i compensi, come in tutti i rapporti autonomi, siano stati concepiti con carattere di omnicomprensività, non sussistendo in tal caso nessuna presunzione sul carattere retributivo base del compenso pattuito e salvezza di altre voci (tredicesima, Tfr, etc.) proprie del lavoro subordinato. (Cass. 19/11/2007 n. 23911, Pres. ed est. Celentano, in D&L 2008, con nota di Marcella Mensi, 610)
  • Un accordo tra datore di lavoro e dipendente, nel senso dell'accettazione da parte di quest'ultimo di percepire una paga inferiore ai minimi retributivi o non parametrata alle effettive ore lavorate, non esclude di per sé la sussistenza dei presupposti dell'estorsione mediante minaccia, in quanto, anche uno strumento teoricamente legittimo può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è apprestato e può integrare, al di là della mera apparenza, una minaccia ingiusta, perchè ingiusto è il fine a cui tende, e idonea a condizionare il soggetto passivo, interessato ad assicurarsi comunque una possibilità di lavoro, altrimenti esclusa per le generali condizioni ambientali o per le specifiche caratteristiche di un particolare settore di impiego della manodopera. (Cass. pen. sez. II 5/10/2007 n. 36642, Pres. Rizzo Rel. Ambrosio, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Anna Piovesana, 137, e in D&L 2008, con nota di Aldo Garlatti, "Violenza e minaccia nel diritto penale e nel rapporto di lavoro", 365)
  • Con riferimento al trattamento retributivo variabile correlato al raggiungimento di obiettivi, atteso che ai sensi dell'art. 1359 c.c. la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento della stessa, nell'ipotesi in cui il raggiungimento degli obiettivi sia divenuto impossibile a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro (consistente nella mancata consegna in tempo utile del piano bonus) sussiste il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione variabile". (trib. Milano 16/5/2007, Est. Bianchini, in D&L 2007, con nota di Filippo Capurro, "Retribuzione variabile, obiettivi aziendali e finzione di avveramento della condizione", 860)
  • In caso di emolumento compensativo di particolari e gravose modalità di svolgimento della prestazione, trova comunque applicazione il principio di irriducibilità della retribuzione, con la conseguenza che detto emolumento può venir meno solo a fronte della cessazione di quelle particolari modalità di lavoro, non essendo invece rilevante il venir meno degli effetti contratto collettivo aziendale che lo prevedeva. (Cass. 1/3/2007 n. 4821, Pres. Sciarelli Est. Di Cerbo, in D&L 2007, con nota di Marcella Mensi, "Il principio dell'irriducibilità della retribuzione", 471)
  • La nozione di "retribuzione globale di fatto" quale parametro di computo sia del risarcimento del danno conseguente alla declaratoria di illegittimità del licenziamento nell'ambito della c.d. tutela reale sia per la determinazione dell'indennità sostitutiva della reintegrazione ex art. 18, 5° comma, SL, deve essere riferita non solo alla retribuzione base, ma anche a ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento (fattispecie relativa a premio di produttività e di indennità di funzione). (Cass. 9/2/2007 n. 2898, Pres. Mattone Est. Di Nubila, in D&L 2007, con nota di Ferdinando Perone, "Indennità sostitutiva della reintegrazione: la retribuzione di riferimento e il momento di cessazione del rapporto", 203)
  • Il principio della irriducibilità della retribuzione opera anche allorchè il lavoratore, in forza di sovrainquadramento, percepisca una retribuzione superiore a quella prevista dal Ccnl rispetto alle mansioni in concreto svolte e rimaste invariate anche a seguito dell'assegnazione del corretto inquadramento. (Cass. 23/1/2007 n. 1421, Pres. Mattone Est. De Renzis, in D&L 2007, 471)
  • Allorquando nell'ambito del pubblico impiego la contrattazione collettiva nazionale demandi alla contrattazione territoriale il compito di determinare gli effetti economici derivanti dalla partecipazione del collaboratore, nel caso autonomo, al raggiungimento di risultati e obiettivi e a livello decentrato non vi si provveda, la remunerazione aggiuntiva connessa al conseguimento dei predetti obiettivi è comunque dovuta, non potendo l'amministrazione che si è avvalsa della prestazione lavorativa, sottrarsi a detta corresponsione traendo vantaggio dalla propria inerzia. (Trib. Milano 9/10/2006, Est. Frattin, in D&L 2007, con commento di Roberta Maddalena Paris, "Inadempimento datoriale nell'individuazione del criterio di quantificazione di voce variabile della retribuzione e relative conseguenze", 178)
  • L'istituto della compensazione presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, che non sussiste allorchè i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, come laddove si contrappongano un credito del lavoratore per t.f.r. e un credito risarcitorio del danno di lavoro derivante da delitto commesso dall'ex dipendente. Tale interpretazione non confligge con gli artt. 3 e 36 Cost., date le peculiarità del credito del datore di lavoro, che derivando da delitto, ben possono giustificare il particolare trattamento di esso. (Corte Cost. 4/7/2006 n. 259, Pres. Marini Rel. Vaccarella, in ADL 2007, 433, con nota di Andrea Rondo, "Costituzionalmente legittima la c.d. compensazione impropria")
  • La retribuzione di fatto corrisposta, per il periodo per cui questa ha ecceduto il trattamento minimo contrattuale, deve ritenersi erogata come trattamento di miglior favore volto a compensare la particolare natura e qualità dela prestazione di cuoco svolta e, come tale, la stessa resta imputabile a sola retribuzione ordinaria. Consegue la legittimità del calcolo delle differenze retributive elaborate su tale base. (App. Roma 20/3/2006, Pres. Pacioni Est. Blasutto, in Lav. nella giur. 2007, 206)
  • La determinazione della qualità della prestazione lavorativa e del relativo valore è operata dalla contrattazione collettiva non in relazione a qualità oggettive e costanti della prestazione stessa, ma in relazione al suo valore di mercato e per tal motivo è assistita da una presunzione di adeguatezza e proporzionalità; conseguentemente il giudice può discostarsi in melius dai parametri contrattuali solamente a seguito della concreta prova da parte del lavoratore dell'inadeguatezza del trattamento retributivo rispetto al parametro di sufficienza ex art. 36 Cost., rimanendo comunque del tutto irrilevanti eventuali differenze di trattamento fra lavoratori che svolgono identiche mansioni (fattispecie relativa all'art. 7 Ccnl personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione dell'11/4/95 che, per i quindici mesi successivi alla conversione del Cfl in contratto ordinario, attribuisce ai dipendenti una retribuzione inferiore a quella dei dipendenti assunti con contratto ordinario, a condizione che l'azienda abbia convertito a tempo indeterminato almeno l'80% dei Cfl complessivamente scaduti nel corso del precedente anno solare). (Cass. 16/5/2006 n. 11437, Pres. Mattone Est. Lamorgese, in D&L 2006, con nota di Angelo Beretta, "Guadagnare meno, lavorare tutti: un caso di retribuziona variabile in funzione del numero di assunzioni", 839)
  • Il pagamento da parte del datore di lavoro, iscritto alla Cassa edile, delle somme aventi natra retributiva (riposi annui, ferie, festività e gratifica natalizia) direttamente ai lavoratori, non costituisce automatica revoca del datore di lavoro della delega alla Cassa edile di pagare quanto dovuto ai lavoratori, in quanto ai sensi dell'art. 1270 c.c., la delega non è revocabile allorquando il delegato (Cassa edile) abbia già assunto l'obbligazione di pagare nei confronti del delegatario (lavoratore), circostanza questa che avviene per il solo fatto di iscrizione del delegante (Impresa edile). (Trib. Firenze 22/12/2006, Est. Muntoni, in D&L 2007, con nota di Angelo Beretta, 171)
  • Il pagamento da parte del datore di lavoro, iscritto alla Cassa edile, delle somme aventi natra retributiva (riposi annui, ferie, festività e gratifica natalizia) direttamente ai lavoratori, non costituisce automatica revoca del datore di lavoro della delega alla Cassa edile di pagare quanto dovuto ai lavoratori; ciò in primo luogo perchè ai sensi dell'art. 1270 c.c., la delega non è revocabile allorquando il delegato (Cassa edile) abbia già assunto l'obbligazione di pagare nei confronti del delegatario (lavoratore), circostanza questa che avviene per il solo fatto dell'iscrizione del delegante (Impresa edile); in secondo luogo perchè l'automatica revoca non può considerarsi ammissibile, in quanto produrrebbe effetti non solo sui ratei già corrisposti dal datore di lavoro, ma anche su quelli futuri ancora da pagare, lasciando di fatto il lavoratore privo delle tutele di garanzia di effettività di pagamento, riconosciute dalla contrattazione collettiva istitutiva delle Casse Edili. (Trib. Perugia 2/2/2006, Est. Gambaracci, in D&L 2007, con nota di Angelo Beretta, 170)
  • Nel vigente ordinamento, in materia di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc. dd. Istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), non esiste un principio inderogabile di onnicomprensività e, pertanto, nella quantificazione della retribuzione spettante durante le ferie il compenso per lavoro straordinario di turno può essere computato esclusivamente qualora ciò sia previsto da specifiche norme mediante il riferimento alla “retribuzione globale di fatto”, ovvero dalla disciplina collettiva, da interpretare nel rispetto dei canoni di cui agli artt. 1362 ss., cc. (Cass. 6/10/2005 n. 19422, Pres. Mattone Est. Lupi, in Orient. Giur. Lav. 2005, 854)
  • Con riguardo ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato retribuiti con il sistema del cottimo misto, il diritto soggettivo alla equiparazione retributiva tra corrispettivo delle prestazioni eccedenti una determinata franchigia e corrispettivo per il lavoro straordinario è subordinato allo svolgimento delle prestazioni oltre l’orario normale di lavoro, di cui deve essere data la prova, stante l’ontologica differenza tra lavoro a cottimo e straordinario, che è alla base della normativa codicistica (art. 2099 e 2108 c.c.); differenza ribadita nella normativa speciale sulle competenze accessorie del personale in argomento (art. 33 l. n. 34 del 1970, art. 3 d.P.R. n. 1188 del 1977 e, in precedenza, art. 37 l. n. 685 del 1957), che attribuisce anche al direttore generale la possibilità di autorizzare il sistema di lavoro a cottimo e di fissare norme particolari per l’esecuzione di detto lavoro (art. 35 l. n. 34 del 1970, art. 5 d.P.R. n. 1188 del 1977 e, in precedenza, art. 37 l. n. 685 del 1957). Né il diritto suddetto, all’adeguamento sulla base delle variazioni in aumento del lavoro straordinario introdotte con norme di legge, può fondarsi: sulla mera prestazione fissata dalle circolari autorizzative, che non fanno venire meno l’estensione di tale parametrazione a periodi successivi, essendo rimasto soggetto il rapporto di lavoro in questione alla disciplina pubblicistica sino al giugno 1988, mentre tale uso presuppone un ambito di autonomia privata; su un uso normativo (art. 8 prel.), che opera solo nei casi in cui è la stessa legge a rinviare a esso; sull’art. 36 Cost., valevole per il complesso della retribuzione e non per le singole componenti; sulla formazione di tariffe a cottimo non modificabili se non con il rispetto degli art. 2100 e 2101 c.c., stante la non permeabilità della disciplina pubblicistica sino al giungo 1988, e la mancanza delle condizioni per l’applicabilità dei suddetti articoli per il periodo successivo; ferma restando la mancanza di rilievo decisorio delle norme pattizie successive (art. 6 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 1987 e art. 45 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 1990). (Cass. 7/3/2005 n. 4813, Pres. Carbone Est. Vidiri, in Giust. Civ. 2005, 435)
  • L’accordo accluso al contratto individuale secondo cui il lavoratore viene retribuito in base al numero di viaggi effettuati ed alla destinazione (con suddivisione del territorio nazionale in cinque zone cui corrisponde un compenso maggiore per le zone più lontane) in luogo del tempo impiegato per l’effettuazione dei viaggi (quindi in luogo dello straordinario e delle altre voci stabilite dal CCNL per i dipendenti da imprese di spedizione e autotrasporto merci del 12 aprile 1995 come l’indennità di trasferta stabilita dall’art. 19 e quella di disagio stabilita dall’art. 20) è illegittimo poiché viola l’art. 10, Regolamento CEE n. 3820/85 del Consiglio relativo all’armonizzazioni di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, il quale stabilisce un chiaro divieto di retribuire i conducenti salariati – neppure mediante la concessione di premi o di maggiorazioni di salario – in base alle distanze percorse e/o al volume delle merci trasportate. (Trib. Bolzano 9/8/2004, Est. Michaeler, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Daniele Simonato, 245)
  • Il comma 2 dell’art. 2120 c.c. vigente, nel definire la nozione di retribuzione, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma codicistica, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro. (Nella specie, la S. C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la computabilità, ai fini del suddetto calcolo, delle somme corrisposte a titolo di festività non fruite in quanto cadenti di domenica). (Cass. 19/6/2004 n. 11448, Pres. Mattone Rel. Cataldi, in Dir. e prat. lav. 2004, 2937)
  • Per la formazione degli usi aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali, è necessaria unicamente la sussistenza di una prassi generalizzata (che si realizza attraverso la mera reiterazione di comportamenti posti in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo) che comporti per i dipendenti l’attribuzione generalizzata di un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. La configurabilità in concreto dell’uso aziendale va accertato da parte del giudice di merito, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, con la conseguenza che la corresponsione in tre occasioni di incentivi all’esodo per ridurre il personale non vale a costituire un uso aziendale, giacchè determinata di volta in volta da momenti patologici della vita dell’impresa, caratterizzata da specifici accadimenti di fatto e coevi interventi normativi. (Cass. 3/6/2004 n. 10591, Pres. Mileo Rel. Picone, in Dir. e prat. lav. 2004, 2786)
  • Ove il datore di lavoro corrisponda ai suoi dipendenti un determinato emolumento, il giudice del merito, al fine di accertare l'obbligatorietà dell'erogazione, deve valutare se quest'ultima -ancorchè originariamente corrisposta con carattere di spontanea liberalità, senza essere imposta da alcuna fonte legale né pattizia, sia stata corrisposta continuativamente ad una generalità di dipendenti. (Nella specie la S.C ha confermato la decisione di merito che aveva revocato il decreto pretorile con il quale era stato ingiunto ad un istituto di credito di corrispondere in favore di un dipendente una somma a titolo di emolumento integrativo, in chiusura di bilancio, sul rilievo che l'emolumento richiesto, benchè corrisposto in precedenza, nello stesso periodo, costituiva attribuzione "una tantum", del tutto discrezionale, assegnata all'istituto in funzione degli esiti positivi di bilancio, in considerazione dell'apporto dato a tale risultato da ogni dipendente in relazione alle proprie specifiche responsabilità e ruoli). (Cass. 15/12/2003 n. 19123, Pres. Sciarelli rel. Cucuruto, in Dir. e prat. lav. 2004, 1128)
  • Le schede di valutazione utilizzate al fine del riconoscimento della retribuzione di risultato devono essere compilate in ossequio ai requisiti formali e sostanziali previsti dalla contrattazione collettiva. In caso di violazione della procedura prevista, spetta al lavoratore la liquidazione della retribuzione di risultato (nel caso di specie la scheda di valutazione era priva dei requisiti minimi di congruità e di motivazione ed era stata compilata da personale non appartenente al nucleo di valutazione). (Trib. Milano 5/12/2003, Est. Martello, in D&L 2004, con nota di Valentina Civitelli, "Sindacabilità della scheda di valutazione e retribuzione di risultato", 95)
  • Qualora la contrattazione collettiva qualifichi un emolumento come rimborso spese, il Giudice non deve limitarsi a prendere atto di tale qualificazione, che pure costituisce un elemento importante di giudizio, ma deve indagare in concreto la natura dell'erogazione; Ove questa non sia volta a compensare la particolarità della mansione, ma corrisponda ad un esborso effettivo del lavoratore, deve attenersi alla qualificazione contrattuale, anche qualora il relativo importo venga determinato in misura forfettaria e non con riferimento specifico alle spese sostenute (nella specie il Giudice, con riferimento al Ccnl dipendenti Enel ed alla richiesta di computo di alcune voci retributive nell'indennità di trasferta ed all'equo indennizzo chilometrico, mentre ha riconosciuto natura retributiva all'indennità di cantiere ed all'indennità di guida). (Trib. Milano 12/7/2003, Est. Porcelli, in D&L 2003, 981)
  • In caso di indebito pagamento da parte del datore di lavoro, l'obbligo di restituzione del dipendente riguarda le sole somme al netto della ritenuta fiscale, ben potendo il datore di lavoro provvedere direttamente alla richiesta di restituzione dell'importo versato all'amministrazione finanziaria a titolo di ritenuta. (Cass. 26/2/2002 n. 2844, Pres. Prestipino Est. De Luca, in D&L 2002, 409)
  • E' dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 545 c.p.c., nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto, sollevata, in relazione all'art. 32, comma 1, Cost., dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, con l'ordinanza di cui in epigrafe (Corte Cost. ordinanza 22/5/02, n. 225, pres. Ruperto,est. Chiappa, in Lavoro giur. 2002, pag. 627)
  • La circostanza che vi sia stato un accordo contrattuale fra datore di lavoro e lavoratore (avente ad oggetto la pattuizione di una retribuzione non parametrata alle effettive ore lavorate) non esclude, di per sé, la sussistenza degli estremi del reato di estorsione, in quanto uno strumento giuridico, teoricamente legittimo (quale un accordo contrattuale) può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è stato apprestato e può integrare, al di là dell'apparenza esteriore, una minaccia ingiusta, se ingiusto è il fine a cui esso tende (Cass. Sez. Pen. 11/2/02, n. 5426, pres. Valente, est. Fiandanese, in Lavoro giur. 2002, pag. 652, con nota di Piovesana, Un accordo peggiorativo della retribuzione può integrare gli estremi del reato di estorsione?)
  • Una prestazione non può essere identica a quella legittimamente richiesta dal datore, e quindi può costituire inadempimento, anche se varia solamente il contesto spazio-temporale in cui è resa dal lavoratore, quando la diversa dislocazione impedisce il raggiungimento del risultato cui lo svolgimento della mansione è preordinato secondo la legittima pretesa dell'imprenditore. A nulla conta quindi se i medesimi compiti siano stati espletati altrove, se ciò non è valso ad assicurare il conseguimento dello stesso (ed intero) risultato cui è preordinata la mansione, né può rilevare che tale condotta sia stata adottata in concomitanza con uno sciopero qualora sia accertata l'illegittimità dell'astensione collettiva. Di conseguenza, in applicazione dell'art. 1460 c.c., è legittima la decurtazione retributiva dovuta alla minore proficuità della prestazione che ha prodotto un'utilità inferiore per il datore di lavoro. (Trib. Ravenna 18/1/01, pres. e est. Riverso, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 1113)
  • Posto che non esiste un diritto soggettivo del lavoratore generale ed inderogabile alla parità di trattamento economico e di inquadramento che trovi fondamento nelle fonti legislative anche di diritto comunitario, deve considerarsi legittimo un accordo collettivo che diversifichi la posizione di alcuni lavoratori in relazione a determinate circostanze personali (nella fattispecie, fissando superminimi di entità diversa per i lavoratori assunti rispettivamente prima e dopo una certa data), essendo preclusa al giudice del merito la valutazione della razionalità del regolamento di interessi posto in essere dalle parti sociali, a meno che non sia denunciata la violazione di specifiche norme di diritti positivo (Trib. Milano 5/7/00, pres. Gargiulo, est. Cerreti, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 342)
  • Quanto il lavoratore subordinato abbia percepito in più, rispetto al minimo salariale previsto dalla contrattazione collettiva in relazione alla qualifica riconosciutagli, è computabile in detrazione delle maggiori spettanze che vengano successivamente allo stesso attribuite in accoglimento della domanda di rivendicazione di una qualifica superiore (cosiddetto assorbimento), ove l'interessato non deduca e dimostri uno specifico patto individuale che abbia conferito a detto ulteriore compenso la natura di assegno di merito ad personam (Corte Appello Milano 18/10/00, pres. Mannacio, est. De Angelis, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 921)
  • L'accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall'art. 19, l. 4/4/52, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell'art. 23, 1° comma, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare - salva la prova di fatti a lui non imputabili - debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire (Cass. 11/7/00, n. 9198, pres. Grieco, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 734)
  • Il datore di lavoro che pretenda di ripetere una somma erogata al lavoratore in misura superiore rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo deve dimostrare che la corresponsione della maggiore retribuzione è frutto di un errore essenziale e riconoscibile dal dipendente stesso ex artt. 1429 e 1431 c.c. (Cass. 17/4/00, n. 4942, pres. Sciarelli, est. Coletti, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 45, con nota di Ogriseg, Datore di lavoro e ripetizione di indebito: inesistenza di valida causa solvendi o annullamento della solutio per errore?)
  • Qualora il datore di lavoro sia inadempiente verso il lavoratore per quote di retribuzione, l'inadempimento sorge al momento del mancato pagamento delle medesime, perché l'intervento del giudice che sancisce tale obbligo ha valore di accertamento e di condanna. Perciò il ritardo nel pagamento dei contributi previdenziali trae origine dall'inosservanza da parte del datore di lavoro dei principi di buona fede e correttezza nello svolgimento del rapporto contrattuale, restando, quindi, escluso che questi, pagati i contributi, abbia diritto di rivalersi nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest'ultimo (Cass. 8/8/00, n. 10437, pres. Santojanni, est. D'Angelo, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 584, con nota di Notaro, Pagamento di retribuzioni per effetto di sentenza e contribuzione previdenziale)
  • Poiché i crediti di lavoro non sono compensabili, per il combinato disposto degli artt. 1246 n. 3 c.c. e 545 c.p.c., è illegittimo il comportamento di una Banca, che, dovendo liquidare le spettanze di fine rapporto a proprio dipendente, da esse trattenga l'intero importo di un finanziamento precedentemente concesso al lavoratore, versando poi il residuo sul conto corrente scoperto del lavoratore stesso, con entrambe tali operazioni compensando i propri crediti finanziari con i crediti di lavoro del dipendente (Trib. Roma 20 luglio 1999 (ord.), pres. ed est. Bronzini, in D&L 2000, 203)
  • La normativa italiana sul sistema delle tariffe a forcella non confligge con i superiori principi di rango costituzionale o di derivazione comunitaria, e si applica, ai sensi dell’art. 2126 c.c., all’autotrasportatore di merci per conto terzi che svolge attività in rapporto di "parasubordinazione" (Pret. Pistoia 22/2/99, est. Amato, in D&L 1999, 633, n. Pancini, L'applicabilità ex art. 2126 c.c. al lavoratore parasubordinato del sistema di tariffe <>)
  • L’accertamento e la liquidazione dei crediti del lavoratore per arretrati retributivi debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, che costituiscono un debito del lavoratore insorgente in momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione di tali crediti (Trib. Roma 17/10/97, pres. Zecca, est. Bonaventura, in D&L 1998, 442)
  • Gli infermieri extracomunitari assunti ai sensi dell’art. 9 L. 28/2/90 n. 39 non hanno diritto agli aumenti contrattuali spettanti ai colleghi di nazionalità italiana, dovendosi considerare sul punto legittima l’esclusione contenuta nel DM 5/3/91 n. 174 la quale non è di entità tale da incidere sulla proporzionalità e sufficienza della retribuzione (Pret. Monza 4/9/96, est. Gardoni, in D&L 1997, 606, nota Romeo)
  • Il lavoratore che agisce esecutivamente in base a sentenza, a seguito del mancato spontaneo adempimento datoriale, ha diritto a conseguire la disponibilità dell’intero credito azionato, salva la sua successiva obbligazione verso il fisco, gravando sul datore di lavoro l’obbligo di effettuare le ritenute fiscali soltanto in ipotesi di adempimento spontaneo (Pret. Roma 28/1/97, est. Di Marco, in D&L 1997, 817)
  • Laddove la disponibilità dell'auto sia oggetto di una concessione contrattuale da parte del datore di lavoro quale beneficio in natura, la stessa costituisce oggetto di una specifica obbligazione che, anche se collegata a una controprestazione, assume natura retributiva (nella specie il dirigente, a fronte della disponibilità, anche per uso personale, dell'autovettura aziendale, subiva una trattenuta mensile di L. 60.000) (Pret. Monza 19/2/96, est. Padalino, in D&L 1997, 170)
  • L'incremento del premio di produzione, previsto da contratto collettivo aziendale sino a un predeterminato termine finale, non viene meno per effetto dell'avvenuta scadenza del termine anzidetto, posto che, anche per i contratti collettivi postcorporativi, la scadenza del termine di efficacia contrattualmente previsto non determina l'automatica cessazione delle previsioni di natura retributiva, giacché, incidendo queste su beni di rilevanza costituzionale, quale la conservazione di un'esistenza libera e dignitosa e del livello partecipativo alla vita del Paese, la loro efficaci permane, sino a quando non intervengono fattori incompatibili (Cass. 22/4/95 n. 4563, pres. De Rosa, est. Guglielmucci, in D&L 1995, 1012)
  • Per l'individuazione del luogo di adempimento dell'obbligazione retributiva, le regole dettate dall'art. 1182 c.c. hanno un mero valore supplettivo, operando solo in assenza dell'accordo delle parti – che può formarsi anche tacitamente – o, in mancanza, degli usi, ovvero in ragione della natura della prestazione (nel caso di specie, accertato che la retribuzione era sempre stata pagata, di fatto, mediante accredito sul conto corrente bancario del lavoratore, il Pretore ha attribuito prevalenza alla convenzione tacitamente sorta tra le parti rispetto alle regole sancite dall'art. 1182 c.c.) (Pret. Monza 25/7/95, est. Padalino, in D&L 1995, 1095, nota CHIUSOLO, Il luogo del pagamento della retribuzione)
  • L'assegnazione di alloggi delle Ferrovie dello Stato, eseguita in favore di dipendenti F.S., aventi sede di lavoro nel distretto, e in possesso di predeterminati requisiti reddituali e familiari, non integra ordinario rapporto di locazione, bensì beneficio connesso alla prestazione lavorativa di natura retributiva, sì da doversi ritenere illegittima l'unilaterale pretesa dell'Ente proprietario di assoggettare tali rapporti alla disciplina dell'equo canone, trattenendone l'importo sulla busta paga (Pret. Milano 14/3/95, est. Peragallo, in D&L 1995, 658)