In genere

  • Sui limiti della vincolatività del giuramento decisorio.
    In un giudizio in cui il promotore finanziario di una banca sosteneva l’inefficacia del recesso del committente per mancata ricezione della relativa nota, l’impresa gli aveva deferito sul punto il giuramento decisorio e in tale sede egli aveva confermato il fatto, Tribunale e Corte d’appello avevano tuttavia respinto le sue domande, avendo accertato che il promotore aveva comunque avuto conoscenza per altre vie della volontà di recesso della banca. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del promotore, che lamentava la mancata considerazione del carattere decisorio del giuramento deferitogli dalla controparte, osserva che: (i) la Corte d’appello ha evidentemente escluso il carattere decisivo del fatto sul quale il giuramento era stato deferito, in particolare laddove essa osserva che la nota contenente l’atto di recesso non costituiva l'unica modalità attraverso la quale il promotore poteva essere stato edotto della volontà di recesso da parte della società; (ii) né i giudici di merito potevano ritenersi vincolati dal giuramento, in quanto l'ordinanza che ammette il giuramento decisorio può essere revocata, ai sensi dell'art. 177 c.p.c., dallo stesso giudice che l’ha pronunciata, allorché, riesaminate le risultanze di causa, si convinca che non sussistevano le condizioni per il suo deferimento, e ciò vale anche nel caso in cui il giuramento sia stato effettivamente reso, dal momento che l'esistenza delle condizioni di ammissibilità del giuramento decisorio deve essere verificata dal giudice anche d'ufficio. 
    (Cass. 2/5/2023 n. 11314, ord., Pres. Doronzo Rel. Pagetta, in Wikilabour, Newsletter n. 9/23)
  • Costituzionale la disciplina della chiamata in causa del terzo nel processo del lavoro, con provvedimento all’udienza di discussione.
    In una causa di lavoro in cui il convenuto aveva chiesto la chiamata in giudizio di un terzo, il giudice aveva sollevato questione di costituzionalità degli artt. 418 e 420 c.p.c., nella parte in cui non prevedono l’obbligo per il convenuto che chiama un terzo di proporre, a pena di inammissibilità, l’istanza di fissazione di una nuova udienza già nella memoria di costituzione. La questione era stata fondata sull’art. 3 Cost. (disparità di trattamento rispetto alla disciplina della domanda riconvenzionale) e 111 Cost. (contrasto col principio della ragionevole durata del processo). La Corte costituzionale, nel dichiarare non fondate le questioni sollevate dal Tribunale rimettente c dopo l’analitica ricostruzione della disciplina positiva dell’istituto, osserva che: (i) la chiamata in causa del terzo, a differenza della domanda in via riconvenzionale, non è proposta nei confronti di un soggetto che è già parte del giudizio ma di un terzo e ciò impedisce di considerare come ingiustificata la differenza di trattamento che il legislatore riserva a questi due istituti; (ii) la collocazione nell’udienza di discussione della decisione del giudice sulla chiamata in causa del terzo ha la finalità di garantire al ricorrente, che di solito è il lavoratore, il diritto al contraddittorio in udienza, prima ancora dell’autorizzazione della chiamata richiesta dal convenuto, anche in ordine alla possibilità che quest’ultima finisca con l’aggravare eccessivamente la durata del processo. (Corte Cost. 11/4/2023 n. 67, Pres. Sciarra Red. Amoroso, in Wikilabour, Newsletter n. 8/23)
  • In tema di prova testimoniale non esiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia con una delle parti processuali un vincolo di parentela o coniugale, non potendo l’attendibilità degli stessi essere esclusa aprioristicamente, senza altri elementi da cui il giudice possa desumere la perdita di credibilità. (Cass. 2/2/2021 n. 2295, Pres. Esposito Rel. Marchese, in Lav. nella giur. 2021, 550)
  • La domanda proposta da più lavoratori nei confronti dello stesso datore di lavoro dà luogo a un litisconsorzio facoltativo improprio, nel quale permane l’autonomia dei titoli e la sentenza, formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite, per loro natura scindibili, con la conseguenza che l’impugnazione proposta solo da alcune delle parti non coinvolge la posizione delle parti non impugnanti e rende inapplicabile l’art. 331 c.p.c. (Cass. 6/11/2020 n. 24928, Pres. Berrino Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2021, 194)
  • Nell’ipotesi di mancata integrazione del contraddittorio, qualora una parte chieda in giudizio un bene della vita la cui attribuzione non può aver luogo senza che al giudizio partecipi un terzo, non si verifica un’ipotesi di inammissibilità della domanda, bensì un’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c.: e ciò a prescindere da ogni considerazione riguardante le condizioni dell’azione o la fondatezza nel merito della domanda, che sono questioni che possono essere delibate soltanto nel contraddittorio fra tutti gli interessati. (Nel caso di specie, considerato che il giudizio, promosso dal lavoratore solo contro il datore di lavoro, per ottenere il ricalcolo della retribuzione, ai fini della determinazione delle maggiori somme da versare all’I.N.P.S. a titolo di contributi previdenziali, si era svolto, sia in primo, sia in secondo grado, in assenza dell’I.N.P.S., la Corte ha rimesso le parti avanti al primo giudice affinché provvedesse alla instaurazione ex novo del giudizio, previa integrazione del contraddittorio). (Cass. 21/9/2020, n. 19679, Pres. Manna Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2021, 82)
  • La cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell’evento alle altre parti. (Cass. 2/9/2020 n. 18250, Pres. Raimondi Rel. Lorito, in Lav. nella giur. 2020, 1206)
  • Non incorre nel vizio di ultrapetizione la pronuncia che accordi al lavoratore la tutela deteriore pur a fronte della domanda di una tutela “maggiore”. (Corte app. Brescia 12/6/2020, Pres. Matano Rel. Greco, in Lav. nella giur. 2020, 1105)
  • I verbali redatti dall’Ispettorato del Lavoro o dai funzionari degli enti di previdenza ed assistenza, in tema di omesso versamento di contributi, costituiscono prova idonea a legittimare il ricorso al procedimento ingiuntivo e fanno fede sino a querela di falso per quanto riguarda la provenienza dal pubblico ufficiale che li ha redatti ed i fatti che quest’ultimo attesta che siano avvenuti in sua presenza o che siano stati da lui compiuti; mentre in ordine alle altre circostanze di fatto che il verbalizzante segnali di aver accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese o de relato o in seguito ad ispezione di documenti, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito. In tale ultima ipotesi, il materiale raccolto dal verbalizzante deve passare al vaglio del giudice, il quale, nel suo libero apprezzamento, può valutarne l’importanza e determinare quale sia il conto da farne ai fini della prova; al proposito, la Suprema Corte, anche di recente, ha ribadito che i verbali ispettivi predetti non hanno alcun valore probatorio precostituito, ma che costituiscono “materiale istruttorio che può essere utilizzato in sede giudiziale per fondare il convincimento del giudicante”, poiché le dichiarazioni raccolte dagli ispettori e trasferite negli stessi, anche se non sono munite di efficacia fino a querela di falso, costituiscono oggetto di libera valutazione del giudice e, in concorso con altri elementi di prova, possono essere utilizzati per corroborare la decisione assunta. (Cass. 14/5/2020 n. 8946, Pres. D’Antonio Rel. Leo, in Lav. nella giur. 2020, 1103)
  • L’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni ulteriori rispetto a quelle tipizzate. (Corte Cost. 19/4/2018 n. 77, Pres. Lattanzi Rel. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Spinelli, “La Corte Costituzionale estende l’ambito oggettivo della compensazione delle spese di lite, ma i limiti restano”, 702)
  • La condizione soggettiva di “lavoratore” non costituisce, di per sé, ragione sufficiente per esonerare dall’obbligo di rifusione delle spese processuali in caso di soccombenza totale nelle controversie promosse nei confronti del datore di lavoro. (Corte Cost. 19/4/2018 n. 77, Pres. Lattanzi Rel. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Spinelli, “La Corte Costituzionale estende l’ambito oggettivo della compensazione delle spese di lite, ma i limiti restano”, 702)
  • Nell’ambito dei documenti informatici, l’efficacia della scrittura privata è riconosciuta solo al documento sottoscritto con firma elettronica qualificata. L’e-mail tradizionale, al pari di ogni altro documento informatico sprovvisto di firma elettronica, è invece liberamente valutabile dal giudice in ordine alla sua idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta. Ne consegue che il licenziamento fondato sul contenuto di e-mail aziendali può essere considerato illegittimo dal giudice di merito che abbia ragione di dubitare della riferibilità delle e-mail al loro autore apparente. (Cass. 8/3/2018 n. 5523, Pres. Bronzini Est. Marchese, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di R. Silvestre, “L’inattendibilità della e-mail tradizionale come documento informatico attestante la paternità del testo”, 590)
  • Nel rito del lavoro, la proposizione in giudizio di una domanda relativa a un contratto già impugnato con un precedente ricorso, fondata tuttavia su una diversa “causa petendi”, non costituisce abuso del processo per ingiustificato e arbitrario frazionamento della domanda, in quanto non mira a realizzare una esclusiva utilità dell’attore e non determina un inutile aggravamento della posizione della controparte. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato inammissibile la domanda di nullità di un contratto a termine con Poste italiane s.p.a., per violazione della clausola di contingentamento di cui all’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, sul presupposto che il ricorrente aveva già impugnato lo stesso contratto per contrarietà della medesima disposizione alla direttiva 1999/70/CE). (Cass. 9/2/2018 n. 3226, Pres. Manna Est. Patti, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di L. Di Paola, “Giudicato implicito ‘deducibile’ e frazionamento della tutela giurisdizionale con riferimento alle azioni di impugnativa negoziale nell’ambito del rapporto di lavoro”, 963)
  • Nel rito del lavoro non è precluso alla parte che ha già presentato un ricorso con determinate domande, di riproporre un successivo e separato ricorso, per ulteriori domande nei confronti del medesimo convenuto. (Cass. 21/7/2017 n. 18018, Pres. Napoletano Est. Curcio, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di O. La Tegola, “L’eterodirezione della prestazione come criterio selettivo della subordinazione”, 10)
  • Il principio di non contestazione dev’essere dedotto dalla complessiva strategia difensiva della parte. Di conseguenza, se l’attore fornisce prova dei fatti costitutivi a fondamento della propria domanda e nega l’esistenza di un fatto impeditivo che dovrebbe invece essere provato dalla controparte, non ha uno specifico onere di contestazione quando la controparte lo allega. (Corte app. Roma 14/2/2017, Pres. Bonanni Est. Di Sario, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di M. G. Greco, “Ancora sul riparto degli oneri probatori e sul principio di non contestazione nel processo del lavoro”, 86)
  • Il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 416, comma 2, c.p.c. non si applica alle mere difese, fra cui rientra anche l’assunto del datore di lavoro di aver stabilito una data turnazione fra i propri dipendenti per venire incontro a una loro richiesta. (Cass. 13/9/2016 n. 17966, Pres. Bronzini Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2017, 90)
  • Nel rito del lavoro la prevalenza del dispositivo sulla motivazione è circoscritta alle ipotesi in cui vi è contrasto tra le due parti della pronuncia, mentre, ove l’incompatibilità manchi, la portata precettiva della pronuncia va individuata integrando il dispositivo con la motivazione. (Cass. 21/6/2016 n. 12841, Pres. Nobile Rel. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2016, 922)
  • La fase dell’opposizione ai sensi dell’art. 1, c. 51, l. n. 92/2012, non costituisce un grado diverso rispetto alla fase sommaria ex art. 1, c. 48, l. n. 92 cit., non integrando una revisio prioris instantiae, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente; conseguentemente è da escludere che possa determinare un obbligo di astensione o la facoltà della parte di richiedere la ricusazione del magistrato (persona fisica) che abbia conosciuto della fase sommaria, al pari di quanto affermato dalla Corte costituzionale riguardo alla legittimità dell’art. 51, c. 1, n. 4 c.p.c., ove non preveda un obbligo di astensione del medesimo giudice che abbia previamente concesso una misura cautelare ante causam. (Cass. 16/4/2016 n. 7782, Pres. Lamorgese Rel. Tria, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Enrico Maria Terenzio, “Il giudizio di opposizione nel rito cd. ‘Fornero’ non riveste natura impugnatoria”, 60)
  • Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, c. 1, n.4, c.p.c., e 1, c. 51, l. n. 92/2012 (cd. “legge Fornero”) in quanto, con il disporre – quest’ultima norma – che contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto di cui al c. 49 può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’art. 414 c.p.c., da depositare innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, e nel contemplare – la prima norma – l’obbligo di astensione in capo al magistrato che abbia conosciuto della causa in altro grado, risulterebbero lesivi degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede l’obbligo di astensione per l’organo giudicante (persona fisica) investito del giudizio di opposizione ex art. 1, c. 51, l. n. 92/2012, che abbia pronunciato l’ordinanza ex art. 1, c. 49, della stessa l. n. 92; le dette previsioni, che si differenziano infatti dal reclamo nel procedimento cautelare ex art. 669-terdecies, c. 2, c.p.c., non vulnerano il principio dell’imparzialità del giudice e non limitano, anzi accrescono, la tutela del lavoratore. (Corte Cost. 13/5/2015 n. 78, Pres. Criscuolo Est. Morelli, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Enrico Maria Terenzio, “Il giudizio di opposizione nel rito cd. ‘Fornero’ non riveste natura impugnatoria”, 59)
  • La fase dell’opposizione ai sensi dell’art. 1, c. 51, l. n. 92/2012 non costituisce un grado diverso rispetto alla fase sommaria ex art. 1, c. 48, l. n. 92 cit., ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente; conseguentemente non sussiste incompatibilità tra il giudice che aveva emesso l’ordinanza di cui all’art. 1, c. 49, l. n. 92, e quello competente per la trattazione del successivo giudizio di opposizione. (Cass. 17/2/2015 n. 3136, Pres. ed Est. Roselli, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Enrico Maria Terenzio, “Il giudizio di opposizione nel rito cd. ‘Fornero’ non riveste natura impugnatoria”, 60)
  • Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere – dovere. (Cass. 11/12/2014 n. 26107, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 303)
  • Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere – dovere. (Cass. 11/12/2014 n. 26107, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 303)
  • L’interesse che determina l’incapacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c. è solo quello giuridico, che comporta una legittimazione litisconsortile o principale ovvero secondaria a intervenire in un giudizio già proposto da altri controinteressati. Tale interesse, pertanto, non si identifica con l’interesse di mero fatto che un testimone (come, nella causa relativa alla legittimità del licenziamento, la persona aggredita dal lavoratore licenziato) può avere e che la controversia sia decisa in un certo modo. (Cass. 25/11/2014 n. 25015, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 194)
  • Tra la causa proposta con il rito di cui all’art. 1, cc. 47 ss., l. n. 92/2012, per l’accertamento della legittimità del recesso del datore di lavoro, pendente in fase di opposizione, e quella concernente l’impugnativa del medesimo licenziamento, pendente nella fase sommaria dello stesso rito avanti a diverso tribunale, pure in astratto territorialmente competente, sussiste un rapporto di continenza, sicché, ai fini della determinazione del giudice competente, occorre aver riguardo esclusivamente al criterio della prevenzione – avuto riguardo alla data di deposito del ricorso – a prescindere dall’individuazione della causa contente e di quella contenuta, nonché dall’esame di profili processuali relativi alla domanda proposta davanti al giudice preventivamente adito. (Cass. 20/11/2014 n. 24790, ord., Pres. Curzio Est. Garri, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Enrico Maria Terenzio, “Il giudizio di opposizione nel rito cd. ‘Fornero’ non riveste natura impugnatoria”, 61)
  • La fase introduttiva del giudizio di cui all’art. 1, cc. 47 ss., l. n. 92/12 ha natura sommaria, non cautelare; qualificazione da ricondursi alla natura “semplificata” dell’attività istruttoria consentita al giudice di questa fase, paragonabile a quella di cui al procedimento sommario di cognizione, nonché alla mancanza di formalità conseguente all’inapplicabilità delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. L’ordinanza conclusiva di questa fase ha, tuttavia, efficacia di giudicato sostanziale, così come quella di cui all’art. 702-quater c.p.c. L’opposizione all’ordinanza non è una revisio prioris instantiae, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado. (Cass. 20/11/2014 n. 24790, ord., Pres. Curzio Est. Garri, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Enrico Maria Terenzio, “Il giudizio di opposizione nel rito cd. ‘Fornero’ non riveste natura impugnatoria”, 61)
  • Non costituisce violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. un’autonoma ricostruzione dei fatti rispetto a quelli allegati dalle parti, né una diversa qualificazione dei medesimi da parte del giudice. (Cass. 6/11/2014 n. 23669, Pres. Macione Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di M. Lavinia Buconi, 152)
  • La fase introduttiva del primo grado del nuovo rito per l’impugnazione dei licenziamenti di cui alla L. n. 92 del 2012 ha natura sommaria non cautelare, qualificazione da ricondursi alla natura “semplificata” dell’attività istruttoria consentita al Giudice di questa fase, paragonabile a quella di cui al procedimento sommario di cognizione, nonché alla “mancanza di formalità” conseguente all’inapplicabilità delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. L’ordinanza conclusiva di questa fase ha, tuttavia, efficacia di giudicato sostanziale, così come quella di cui all’art. 702 quater c.p.c. L’opposizione all’ordinanza non è una revisio prioris istantiae, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado. (Cass. S.U. 18/9/2014 n. 19674, ord., Pres. Rovelli Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Filippo Maria Giorgi, 269)
  • In tema di prova testimoniale, l’eccezione di nullità della testimonianza per incapacità a deporre deve essere sollevata immediatamente dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del procuratore della parte all’incombente istruttorio, entro la successiva udienza, restando, in mancanza, sanata. Né assume rilievo che la parte abbia preventivamente formulato, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., una eccezione di incapacità a testimoniare che non include l’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa e assunta nonostante la previa opposizione. (Cass. 19/8/2014 n. 18036, Pres. Coletti de Cesare Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2014, 1123)
  • È ammissibile il regolamento di giurisdizione proprio nella prima fase del procedimento di impugnativa del licenziamento, di cui all’art. 1, cc. 47 ss., l. n. 92/12, la quale, pur caratterizzata da sommarietà dell’istruttoria, ha natura semplificata e non cautelare in senso stretto, non riferendosi la sommarietà anche alla cognizione del giudice, né sussistendo un’instabilità dell’ordinanza conclusiva di tale fase, che è idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione. (Cass. S.U. 18/9/2014 n. 19674, ord., Pres. Amatucci Est. Amoroso, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Enrico Maria Terenzio, “Il giudizio di opposizione nel rito cd. ‘Fornero’ non riveste natura impugnatoria”, 62)
  • Nel rito del lavoro, mentre è consentita, sia pure previa autorizzazione del giudice, la modificazione della domanda (emendatio libelli), non è ammissibile la proposizione di una domanda nuova – per la valutazione della sussistenza della quale occorre fare riferimento sia al “petitum” che alla sua “causa petendi” – neppure con il consenso della controparte manifestato espressamente con l’esplicita accettazione del contraddittorio o implicitamente con la difesa nel merito (la Cassazione ha così confermato la decisione dei giudici del merito, che avevano dichiarato inammissibile la domanda nuova avente a oggetto la concessione dell’indennità per ciechi assoluti non ritualmente proposta nel giudizio nel quale era stata richiesta e poi riconosciuta l’indennità di accompagnamento per invalidi civili assoluti, essendo le due provvidenze distinte). (Cass. 1/7/2014 n. 14950, Pres. Stile Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2014, 1022)
  • Ai fini della validità della procura rilasciata su foglio separato è irrilevante la mancanza di un’espressa menzione del procedimento per il quale essa sia stata rilasciata, qualora essa sia stata notificata unitamente all’atto cui accede, in quanto la collocazione della procura, anche se rilasciata su foglio separato, è idonea a conferire la certezza circa la provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura al giudizio cui l’atto stesso fa riferimento. L’unico limite cronologico posto dalla legge al rilascio della procura al difensore si rinviene nella disposizione di cui all’art. 125, comma 2, del codice di procedura civile, da cui si desume che tale requisito deve essere integrato quanto meno al momento della costituzione della parte. (Trib. Bari 4/6/2014, Giud. Pazienza, in Lav. nella giur. 2014, 1030)
  • Le dichiarazioni dei lavoratori rilasciate in sede ispettiva fanno prova in giudizio e, ove esse siano univoche, non abbisognano di essere ivi confermate, tanto più se il datore di lavoro non alleghi e dimostri eventuali contraddizioni delle dichiarazioni rese agli ispettori in grado di inficiarne l’attendibilità. (Cass. 14/5/2014 n. 10427, Pres. Miani Canevari Est. Buffa, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Carmine Santoro, 883)
  • La mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, perché siffatta omissione o incompletezza possa tradursi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, nel senso di averne comportato o un’omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati dalle parti medesime. (Cass. 24/4/2014 n. 9311, Pres. Stile Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2014, 705)
  • Benché lo svolgimento di una prima consulenza tecnica non precluda l’affidamento di un’ulteriore indagine a un professionista qualificato nella materia, al fine di fornire al giudice un ulteriore mezzo volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, se il giudice intende uniformarsi alle risultanze della seconda consulenza tecnica d’ufficio è peraltro necessario, ove tali risultanze siano state oggetto, nella impostazione difensiva della parte interessata, di critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica, che egli non si limiti a una generica adesione alle risultanze stesse, ma che giustifichi la propria scelta, esponendo le ragioni per le quali ritiene di discostarsi dalle conclusioni del primo consulente. (Cass. 15/1/2014 n. 684, Pres. Roselli Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2014, 403)
  • L’art. 164, terzo comma, c.p.c., nella parte in cui prevede che la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione, è applicabile anche nel rito del lavoro. (Cass. 2/5/2013 n. 10264, Pres. Roselli Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2013, 736)
  • Non sussiste litispendenza (e pertanto, una volta conclusa la prima causa, neppure preclusione da giudicato), qualora il lavoratore agisca in giudizio prima di far accertare la nullità del contratto a termine, con conseguente conversione del rapporto lavorativo a tempo indeterminato, e poi, con successiva azione autonoma, per ottenere la condanna del datore di lavoro all’ammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data accertata di inizio del rapporto lavorativo all’effettiva ammissione: si tratta infatti di due azioni aventi petitum e causa petendi diversi e distinti. (Cass. 19/12/2012 n. 23405, Pres. Vidiri Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2013)
  • È incostituzionale l’art. 5 comma 1 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, nella parte in cui, in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., pone come condizione di procedibilità della domanda giudiziale l’obbligo del procedimento di mediazione, obbligo non prefigurato dalla legge delega. (Corte Cost. 6/12/2012 n. 272, Pres. Quaranta Rel. Criscuolo, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Cosima Ilaria Buonocore, 483)
  • La motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, atteso che l’art. 118 disp. Att. C.p.c., nel testo novellato dalla l. n. 69/2009, consente di rendere i motivi della decisione attraverso una succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi. In particolare, è consentita la motivazione della sentenza mediante rinvio a un precedente del medesimo ufficio, sempre che, al fine di rendere comunque possibile e agevole il controllo della motivazione, si dia conto dell’identità contenutistica della situazione di fatto e di diritto tra il caso deciso dal precedente e quello oggetto di decisione. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare il principio, ne ha fatto diretta e immediata applicazione con riferimento a proprio precedente, con il quale aveva deciso una controversia analoga). (Cass. 22/5/2012 n. 8053, Pres. Lamorgese Est. Curzio, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Carlo Rasia, “Sull’uso della motivazione per relationem in caso di rinvio a un precedente conforme del medesimo ufficio”, 436)
  • Si ha mutamento della “causa petendi” della domanda originaria non solo allorché esso involga una trasformazione obiettiva della domanda stessa, ma anche quando determini solo un ampliamento del tema di indagine; integra tale ipotesi la condotta del lavoratore-ricorrente che, in corso di causa, dopo aver dedotto una generica violazione della normativa dettata in tema di sicurezza dei lavoratori e della circolazione aeroportuale interna a sostegno del rifiuto opposto a prestare la propria attività durante le operazioni di rifornimento, lamenti successivamente ulteriori specifiche circostanze, costituite dalla peculiarità delle mansioni svolte che lo avrebbero esonerato dall’adempimento. (Cass. 20/1/2011 n. 1237, Pres. Roselli Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2011, 409)
  • Nel rito del lavoro, i documenti vanno equiparati alle prove costituende per quanto riguarda i termini e le modalità di acquisizione al processo.  (Cass. 12/7/2010 n. 16295, Pres. Vidiri Est. De Renzis, in Orient. giur. lav. 2011, 25) 
  • Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritiene più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati (SU 13/4/2010 n. 8737, Pres. Vidiri Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Daniele Iarussi, 688)    
  • Nel procedimento di accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'art. 420 bis c.p.c., la parte ha l'onere di depositare, a pena di improcedibilità del ricorso, il testo integrale del contratto o accordo sul quale il ricorso si fonda, in quanto l'indicato adempimento ha carattere strumentale rispetto all'adeguato esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte di cassazione. (Cass. 17/4/2009 n. 9246, Pres. Sciarelli Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2009, 829)
  • Ove il termine a ritroso previsto nel processo del lavoro per la costituzione della parte resistente scada nella giornata di sabato, non trova applicazione l'art. 155, 5° comma, c.p.c. e, conseguentemente, deve ritenersi tempestiva la costituzione effettuata in tale giornata. (Trib. Lodi 20/1/2009, ord., est. Giuppi, in D&L 2009, con nota di Ilaria Mazzurana, "I termini processuali a ritroso: il problema della scadenza del termine nella giornata di sabato", 1083)
  • L'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti medesimi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso. (Trib. Taranto 20/1/2009, Est. Palma, in Lav. nella giur. 2009, 415) 
  • In materia di pubblico impiego privatizzato, nelle controversie relative all'espletamento di procedure concorsuali interne per il riconoscimento del diritto all'assegnazione del posto messo a concorso, sono contraddittori necessari i partecipanti nei cui confronti la decisione è destinata a produrre effetti diretti, dovendosi escludere il litisconsorzio necessario ove sia chiesto solo il risarcimento del danno. (Cass. 5/6/2008 n. 14914, Pres. Miani Canevari Est. Picone, con nota di Buoncristiani, "Concorsi privati. Tecniche di tutela e litisconsorzio", 120)
  • Nel rito del lavoro l'originale della memoria difensiva della parte convenuta (di cui all'art. 416 c.p.c.) - al pari degli scritti difensivi successivi - fa parte del fascicolo di ufficio e non di quello della parte convenuta. Lo stesso, pertanto, (può) deve essere esaminato dal giudice anche nella eventualità che per sua libera scelta la parte, dopo avere ritirato il proprio fascicolo di parte, abbia ritenuto di non depositarlo nuovamente in occasione della discussione. (Cass. 11/4/2008 n. 9697, Pres. Vittoria Est. Finocchiaro, in Lav. nella giur. 2008, 837)
  • La lettura del disposto dell'art. 420 bis c.p.c., operata alla luce della ratio a esso sottesa, mostra che il presupposto per l'operatività dell'iter procedurale regolato dalla suddetta norma del codice di rito - e per la consequenziale pronunzia di un dictum giurisprudenziale di forza vincolante superiore a quella delle altre pronunzie emesse in materia giuslavoristica dalla Corte di Cassazione - è la decisione di una singola controversia, caratterizzantesi per la sua tipicità anticipatoria di un contenzioso spesso imponente, sicché l'accertamento pregiudiziale sulla efficacia, validità e interpretazione del contratto collettivo deve in ogni caso porsi come antecedente logico-giuridico della sentenza del giudice di merito e, poi, della decisione conclusiva dell'intero processo; ne consegue che, dovendo nel rito del lavoro ogni domanda contenere, ai sensi dell'art. 414 nn. 3 e 4 c.p.c., la determinazione dell'oggetto della domanda stessa e l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui essa si fonda, l'accertamento pregiudiziale ex art. 420 bis c.p.c., in quanto destinato a incidere con rilevanza decisoria sull'esito della intrapresa controversia, non può che riguardare le clausole contrattuali sulle quali poggiano la causa petendi e il petitum della domanda attrice, non potendo invece investire in via prioritaria ed esclusiva, e senza alcun riferimento alle suddette clausole, disposizioni contrattuali richiamate dal contenuto per eccepire l'infondatezza o la non azionabilità del diritto di controparte (nella specie, la suprema corte ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di merito che, in sede interpretativa, aveva ritenuto applicabile l'art. 24 c.c.n.l. per i dirigenti di aziende commerciali del 27 maggio 2004 al caso delle dimissioni del dirigente motivate con l'allegazione di un demansionamento disposto in relazione all'art. 2103 c.c.). (Cass. 8/2/2008 n. 3098, Pres. De Luca Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, 135)
  • In base all'art. 416 c.p.c., nel processo del lavoro, il convenuto ha l'onere di contestare specificatamente i fatti affermati dagli attori. L'onere di contestazione tempestiva riguarda però anche il ricorrente, perchè tale onere è desumibile non solo dagli artt. 167 e 416 c.p.c., ma deriva da tutto il sistema processuale come risulta: dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost. (giusto processo). Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l'altra ha l'onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto, potendo trattarsi di un fatto la cui esistenza incide sull'andamento del processo e non sulla pretesa in esso azionata. (Cass. 4/12/2007 n. 25269, Pres. Ciciretti Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Daniele Iarussi, 270)
  • Nelle controversie di lavoro, la spedizione dell'atto introduttivo a mezzo del servizio postale, pur se pervenuto nella cancelleria del giudice del lavoro nei termini di legge, integra una modalità non prevista in via generale (salva l'espressa eccezione rappresentata dall'art. 134 disp. att. c.p.c. per il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso) ed è carente del requisito formale indispensabile (il deposito in cancelleria ex art. 415 c.p.c.) per il raggiungimento dello scopo, cui è destinato dalla legge, conseguendone la nullità della prescelta modalità di proposizione del ricorso, nella specie in opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 156, secondo comma, c.p.c.e la rilevabilità d'ufficio e l'insanabilità del relativo vizio, ancorché il ragioniere abbia erroneamente proceduto all'iscrizione a ruiolo della causa relativa (v. Corte Cost. n. 34 del 2007). (Cass. 12/10/2007 n. 21447, Pres. Senese Est. Stile, in Lav. nella giur. 2008, 305)
  • Nel rito del lavoro, l'inosservanza da parte del convenuto, che abbia ritualmente proposto, ai sensi dell'art. 416 c.p.c., domanda riconvenzionale, del disposto di cui al primo comma dell'art. 418 c.p.c. - il quale impone, a penda di decadenza della domanda riconvenzionale medesima, di chiedere al giudice, con apposita istanza contenuta nella memoria di costituzione in giudizio, di emettere ulteriore decreto per la fissazione della nuova udienza - non determina la decadenza stabilita ex lege qualora l'attore ricorrente compaia all'udienza originariamente stabilita ex art. 415 c.p.c. ovvero alla nuova udienza di cui all'art. 418 c.p.c. eventualmente fissata d'ufficio dal giudice, senza eccepire l'irritualità degli atti successivi alla riconvenzione e accettando il contraddittorio anche nel merito delle pretese avanzate con la stessa domanda riconvenzionale. Infatti, osta a una declaratoria di decadenza sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell'art. 156, terzo comma, c.p.c., alla realizzazione della funzione dell'atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, in forza dell'art. 157, secondo comma, c.p.c., sarebbe legittimata a far valere il vizio, essendo appunto quella nel cui interesse è stabilita la decadenza stessa, dovendosi inoltre escludere che l'istanza di fissazione dell'udienza rappresenti un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale (tale che in suo difetto non possa neppure reputarsi proposta la domanda stessa), giacché l'istanza di fissazione concerne la vocatio in ius ed è, perciò, "esterna" rispetto alla proposizione della riconvenzionale, la quale, ai sensi dell'art. 416, secondo comma, c.p.c., si realizza con la editio actionis. (Cass. 1/8/2007 n. 16955, Pres. Senese Est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2008, 186)
  • Nelle controversie assoggettate al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati (per il convenuto in primo grado ai sensi dell'art. 416 c.p.c. e per l'appellato in virtù dell'art. 436 c.p.c.) con riferimento alla "udienza di discussione", non si deve avere riguardo a quella originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella fissata - ove, eventualmente, sopravvenga - in dipendenza del rinvio d'ufficio, che concreta una modifica del precedente provvedimento di fissazione, e che venga effettivamente tenuta in sostituzione della prima. (Cass. Sez. Un. 20/6/2007 n. 14288, Pres. Prestipino Est. Picone, in Lav. nella giur. 2008, 82 e in Dir. e prat. lav. 2008, 913)
  • Nel rito del lavoro ogni udienza, a cominciare dalla prima, è destinata alla discussione orale e, quindi, alla pronunzia della sentenza e alla lettura del dispositivo sulle conclusioni proposte in ricorso, per l'attore, e nella memoria di costituzione per il convenuto, di modo che il giudice non è tenuto a invitare le parti alla precisazione delle conclusioni prima della pronunzia delle sentenze. Ne consegue che la disposizione dell'art. 281 sexies c.p.c. che prevede la possibilità per il giudice di esporre a verbale, subito dopo la lettura del dispositivo di sentenza, le ragioni di diritto e di fatto poste a base della decisione, è applicabile al rito del lavoro a condizione del suo adattamento al rito speciale, nel quale non è prevista l'udienza di precisazione delle conclusioni. (Cass. 12/6/2007 n. 13708, Pres. senese Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2008, 83 e in Dir. e prat. lav. 2008, 912)
  • Con riferimento al rispetto dei termini che si computano "a ritroso" fissati per gli adempimenti che le parti devono svolgere fuori udienza e scadenti nella giornata del sabato, non opera la proroga di cui all'art. 155, 5° comma, c.p.c. e la scedenza deve intendersi anticipata al giorno precedente non festivo (Cass. 4/5/2007, Est. Beccarini Crescenzi, in D&L 2007, 610)
  • La non contestazione della domanda, che ha per oggetto i fatti costitutivi della domanda e non quelli dedotti in esclusiva funzione probatoria, scaturisce dalla non negazione fondata sulla volontà della parte oggettivamente risultante e deve essere pertanto inequivocabile, di talchè non può ravvisarsi nè in caso di contumacia del convenuto, nè in ipotesi di contestazione meramente generica e formale. Peraltro la non contestazione del fatto, che è tendenzialmente irreversibile, non determina di per sè la decisione della controversia, dovendo il giudice di merito valutare se il fatto non contestato sia inquadrabile nell'astratto parametro normativo e, prima ancora, stabilire la sussistenza o l'insussistenza di una non contestazione. A tal fine ove il giudice, anche tacitamente, abbia manifestato la propria interpretazione in senso contrario alla non contestazione e, in assenza di ogni deduzione sulla stessa, abbia proceduto all'espletamento incontestato di un mezzo istruttorio in ordine all'altrui pregressa contestazione diventa inammissibile. (Nella specie, relativa all'inquadramento di un dipendente delle Ferrovie dello Stato nell'ottavo livello professionale, la S.C. ha rilevato che non si era formata non contestazione in ordine all'espletamento delle mansioni superiori, come tardivamente dedotto in grado di appello, perchè in primo grado era stata espletata prova testimoniale in ordine alle mansioni effettivamente svolte). (Cass. 2/5/2007 n. 10098, Pres. Mattone Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2007, 1245)
  • Il litisconsorzio necessario ricorre, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe, onde non privare la decisione dell'utilità connessa all'esperimento dell'azione proposta, indipendentemente dalla natura del provvedimento richiesto, non essendo di per sè solo rilevante il fatto che la parte istante abbia richiesto una sentenza costitutiva, di condanna o meramente dichiarativa. Conseguentemente, in controversia concernente il diritto alla ricostituzione della posizione assicurativa-previdenziale con il computo dei contributi da trasferirsi dall'Inpdap all'Inps e relativa condanna dell'Inps al pagamento dei ratei di pensione maturati e non riscossi, non sussiste una situazione strutturalmente comune a una pluralità di soggetti, nè ricorre un litisconsorzio necessario, per cui la decisione può conseguire il proprio scopo anche se non resa nei confronti dell'Inpdap, che si atteggia solo quale soggetto-mezzo per il mero trasferimento dei contributi previdenziali. (Nella specie la S.C. ha respinto, per il principio di cui in massima, le censure concernenti l'inammissibilità dell'appello, sollevate per il duplice profilo della violazione del contraddittorio in cause inscindibili e per la pretesa sussistenza di un giudicato). (Cass. 12/4/2007 n. 8788, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Lav. nella giur. 2007, 1245)
  • Il rapporto di pregiudizialità che, ai sensi dell'art. 295 c.p.c. impone al giudice la sospensione del processo, non può configurarsi nell'ipotesi di cause pendenti tra soggetti diversi, perchè la pronuncia di ciascun giudizio, non potendo far stato nei confronti delle parti di altro giudizio, non può per ciò stesso costituire il necessario antecedente logico - giuridico della relativa decisione. (Cass. 11/4/2007 n. 8701, Pres. Mercurio Est. La Morgese, in Lav. nella giur. 2007, 1246)
  • La procedura prevista dall'art. 420 bis c.p.c. è destinata al solo giudizio di primo grado e si applica quando la clausola contrattuale appaia di contenuto oggettivamente oscuro e possa prestarsi a diverse e contrastanti letture interpretative. (Cass. 26/3/2007 n. 7306, Pres. Ianniruberto Est. Miani canevari, in D&L 2007, con nota di Davide Pollastro, "La Cassazione interpreta l'art. 420 bis c.p.c.", 598, e in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Passanante, "Un precedente in cerca di identità? Nuovi arrets della Cassazione sull'art. 420 bis c.p.c.", 132)
  • La mutatio libelli, nel processo ordinario di cognizione così come in quello del lavoro, si concretizza nella formulazione di una pretesa nuova, diversa da quella originaria, nel senso che di quest'ultima deve innovare l'oggetto e introdurre nel giudizio nuovi temi di indagine. Pertanto, il ricorrente, che in un suo atto difensivo nell'ambito del processo del lavoro, limitandosi a meglio definire giuridicamente la domanda contenuta nell'atto introduttivo del giudizio, senza alterarne l'oggetto originario, si proponga almeno un parziale soddisfacimento della pretesa azionata formulando una richiesta subordinata, attua una mera riduzione del petitum originario, che non richiede - ai sensi dell'art. 420, comma primo, c.p.c. - alcuna autorizzazione del giudice. (Nella specie, la S.C., rigettando il relativo motivo proposto, ha ritenuto legittima la riduzione della domanda operata dal ricorrente originario che, senza modificare la causa petendi, si era nel corso del giudizio limitato a chiedere la mera declaratoria del diritto alla chance di diventare titolare del diritto a percepire il credito riconducibile alla posizione economica differenziata, in luogo dell'accertamento del diritto stesso, riduzione, peraltro, che il giudice avrebbe avuto il potere di effettuare direttamente, anche in difetto di esplicita richiesta in tal senso da parte del lavoratore). (Cass. 21/2/2007 n. 4003, Pres. Senese Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 1141)
  • Nel caso in cui una domanda (nella specie relativa alla verifica dell'esistenza di un rapporto di lavoro con l'uno o l'altro dei Comuni evocati in giudizio) sia proposta alternativamente nei confronti di due soggetti e tra gli stessi vi sia contestazione circa l'individuazione dell'unico obbligato, i rapporti processuali relativi ai due convenuti sono legati dal nesso di dipendenza reciproca delle cause (la decisione di ciascuna causa comportando quella anche dell'altra) che dà luogo a un'ipotesi di litisconsorzio necessario, in virtù del quale le cause medesime devono essere decise da un unico giudice e rimanere riunite anche in fase di impugnazione, ove sia ancora in discussione la questione dell'individuazione dell'effetto obbligato. (Cass. Sez. Un. 12/12/2006 n. 16420, Pres. Nicastro Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2007, 522)
  • La preventiva proposizione della domanda amministrativa costituisce – nelle controversie previdenziali richiedenti il previo esperimento del procedimento amministrativo – un presupposto dell’azione giudiziaria, la mancanza del quale determina non già la mera improcedibilità, contemplata dall’art. 443 c.p.c., ma la radicale “improponibilità” della domanda giudiziale. Questo vizio rende nulli tutti gli atti del processo, in quanto presuppone una temporanea carenza di giurisdizione, ed è rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio, e quindi anche in appello, indipendentemente dal comportamento difensivo della controparte, salvo che sulla questione si sia formato il giudicato interno espresso. (Cass. 29/12/2004 n. 24103, Pres. Senese Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2005, 586)
  • Nel rito del lavoro, la mancata specifica contestazione dei fatti costitutivi del diritto dedotti dal ricorrente –che può essere effettuata entro il limite temporale previsto dall’art. 420, comma 1, c.p.c., per la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni- rende i fatti stessi incontroversi e, conseguentemente, essi non possono essere contestati nell’ulteriore corso del giudizio, sono sottratti al controllo probatorio del giudice e devono essere ritenuti sussistenti senza necessità di un apposito accertamento. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in un giudizio di opposizione ad ordinanza- ingiunzione emessa dall’Inps, accogliendo il gravame dell’Istituto previdenziale, aveva riformato la sentenza di primo grado, che aveva annullato l’ordinanza- ingiunzione per essere la stessa stata emanata senza la richiesta audizione dell’interessata, anche se solo in grado di appello, l’Inps aveva eccepito che la destinataria del provvedimento sanzionatorio non aveva chiesto di essere sentita in sede amministrativa, ai sensi dell’art. 18, L. 24 novembre 1981, n. 689). (Cass. 5/3/2004 n. 4556, Pres. Sciarelli Rel. Guglielmucci, in Lav. nella giur. 2004, 902)
  • Nell'ordinamento processuale vigente, in forza del principio di cui all'art. 116 c.p.c. il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la sua valutazione. (Fattispecie relativa ad un elenco dei dipendenti di un'azienda, privo di attestazione della provenienza, utilizzato per valutare il requisito dimensionale di una controversia in tema di licenziamento). (Cass. 27/3/2003, n. 4666, Pres. Prestipino, Rel. Lamorgese, in Dir. e prat. lav. 2003, 1929)
  • La mancata contestazione dei fatti secondari comporta l'espunzione degli stessi dal thema probandum, di tal che il giudice, una volta ritenuti accertati per mancanza di contestazione, può desumere dagli stessi, in via presuntiva, l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda. (Cass. 17/4/2002, n. 5526, Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2003, 599)
  • La cancellazione della società dal registro delle imprese non determina automaticamente l'estinzione della società stessa in difetto di liquidazione di tutti i rapporti pendenti. Nella fattispecie permaneva, pertanto, la legittimazione passiva della società convenuta, in relazione al ricorso proposto dal dipendente per la dichiarazione di illegittimità del licenziamento. (Corte Appello Milano 4/5/01, pres. Mannaccio, est. Accardo, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 433)
  • Non può essere attivato il procedimento incidentale di cui all'art. 68 bis D. Lgs. 3/2/93 n. 29 introdotto dall'art. 30 D. Lgs. 31/3/98 n. 80, quando vi sia la possibilità di decidere la controversia con un'ordinaria attività interpretativa per il chiaro tenore delle previsioni contrattuali da interpretare (Trib. Milano 27 marzo 2000, est. Martello, in D&L 2000, 679)