Questioni di procedura

  • Qualora risulti, come nel caso di specie, l’interesse del lavoratore all’accertamento del diritto di credito risarcitorio in via non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di amministrazione straordinaria, bensì effettivo alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, spetta al giudice del lavoro la cognizione delle domande di impugnazione del licenziamento, di reintegrazione nel posto di lavoro e di accertamento, nel vigore del testo dell’art. 18, l. n. 300/1970 come novellato dall’art. 1, co. 42, l. n. 92/2012, della misura dell’indennità risarcitoria dovutagli. (Cass. 21/6/2018 n. 16443, Pres. Patti Est. Lorito, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di A. Nicolussi Principe, “Giudice del lavoro o giudice fallimentare? La Suprema Corte estende la cognizione del giudice del lavoro”, 118)
  • La norma dell'art. 95, 3° comma, RD 16/3/42 n. 267 - la quale, in tema di formazione dello stato passivo nel procedimento fallimentare, stabilisce che, se il credito risulta da sentenza non passata in giudicato, è necessaria l'impugnazione per escludere l'ammissione al passivo - va interpretata estensivamente e trova perciò applicazione (oltre che nel caso di pronuncia affermativa del credito) anche nel caso di sentenza non ancora passata in giudicato, che abbia rigettato (anche solo in parte) la domanda del creditore, con la conseguenza che, intervenuto il fallimento del debitore successivamente a tale decisione, il creditore, per evitare gli effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della medesima, deve proporre impugnazione in via ordinaria nei confronti del curatore del fallimento, che è legittimato non solo a proporre l'impugnazione ma anche (passivamente) a subirla. (Cass. 27/8/2007 n. 18088, Pres. Ianniruberto Est. Vidiri, in D&L 2007, con nota di Alessandro Corrado, "Giudizio del lavoro e vis attractiva del tribunale fallimentare: le conferme della Suprema Corte e i cambiamenti successivi alla riforma del RD 267/42", 1289)
  • La ritenuta alla fonte sui redditi di lavoro dipendente (da versare all'Erario nei termini e con le modalità previste dall'art. 23 d.P.R. n. 600 del 1973) è strettamente connessa al pagamento di corrispettivi di lavoro, alla cui qualifica è connaturata, costituendo parte integrante dei corrispettivi stessi. Ne deriva, pertanto, che ove il datore di lavoro, assoggettato alla procedura di concordato preventivo, non abbia materialmente effettuato il pagamento ai propri dipendenti delle retribuzioni maturate anteriormente all'inizio della procedura essendo stati i pagamenti stessi posti in essere da un terzo (che poi ha notificato al datore di lavoro un atto di surroga nei crediti dei dipendenti stessi), esclusivamente detto terzo ha assunto l'obbligo di operare la ritenuta in questione, connesso al pagamento dei corrispettivi, e l'amministrazione delle finanze, quindi, non ha titolo per l'iscrizione a ruolo, a carico del datore di lavoro, delle ritenute alla fonte sulle retribuzioni da questi non corrisposte. (Cass. 1/9/2004 n. 17626, Pres. Riggio Est. Sotgiu, in Giust. civ. 2005, 360)
  • Con specifico riferimento ai crediti da lavoro è opportuno distinguere tra domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento (per esempio in ordine alla pregressa esistenza del rapporto di lavoro ovvero del diritto ad una qualifica) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento aventi funzione strumentale). Per le prime va affermata la perdurante competenza del giudice del lavoro mentre per le seconde si verifica una situazione di improponibilità della domanda. Le questioni concernenti la sede dinanzi alla quale deve essere introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato al fallimento ovvero a liquidazione coatta amministrativa, sono innanzitutto questioni al rito e, pertanto, la dichiarazione di inammissibilità, improcedibilità o improponibilità della domanda va fatta prima ed indipendentemente dal rilievo dell'eventuale incompetenza del tribunale adito. (Trib. Grosseto 29/10/2002, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2003, 586)
  • In caso di fallimento del datore di lavoro permane la competenza del giudice del lavoro in ordina alla domanda di reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 SL - anche domande aventi contenuto non economico, come l'accertamento del diritto alla qualifica, le sanzioni disciplinari, le visite di controllo, la tutela della lavoratrice madre. (Cass. 15/5/2002 n. 7075, Pres. Prestipino Est. Cuoco, in D&L 2002, 779, con nota di Roberto Muggia, "Fallimento e competenza funzionale del giudice del lavoro")
  • In caso di fallimento del datore di lavoro il dipendente licenziato ha interesse ad agire per ottenere una sentenza di reintegrazione nel posto di lavoro, indipendentemente dalla circostanza che l'attività produttiva sia proseguita o meno dopo il fallimento. (Cass. 15/5/2002 n. 7075, Pres. Prestipino Est. Cuoco, in D&L 2002, 779, con nota di Roberto Muggia, "Fallimento e competenza funzionale del giudice del lavoro")
  • In caso di fallimento del datore di lavoro il decreto con il quale il giudice fallimentare rigetta la domanda d'ammissione di crediti connessi con il licenziamento, ha efficacia solo endofallimentare e non preclude la decisione del Giudice del lavoro in ordine alla richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro. (Cass. 15/5/2002 n. 7075, Pres. Prestipino Est. Cuoco, in D&L 2002, 779, con nota di Roberto Muggia, "Fallimento e competenza funzionale del giudice del lavoro")
  • Il fallimento non comporta la sospensione dei rapporti di lavoro subordinato in corso, attesa l'incompatibilità dell'art. 72 L. Fall. con la speciale disposizione contenuta nell'art. 2119 c.c. Ne consegue la continuazione di diritto dei rapporti di lavoro-come rapporti di massa-nell'ambito della procedura concorsuale, in cui risulta privilegiata la tutela del posto di lavoro e dei crediti dei lavoratori finché non intervenga un legittimo recesso da parte del curatore. (Appello di Torino 29/11/2001, Pres. Gamba, Est. Rossi Fulvio, in Giur. italiana 2003, 272)
  • In sede di procedimento, avente ad oggetto l'accertamento di un credito (nella specie, di lavoro) nei confronti del liquidatore giudiziale dei beni ceduti di un ente societario ammesso alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, non è ammissibile la richiesta di misure cautelari dirette ad ottenere la pronuncia di un ordine di accantonamento delle somme contestate o, in alternativa, il sequestro di queste, ai sensi degli artt. 671 e ss. c.p.c., prevedendo l'art. 181 3° comma della legge fallimentare, un rimedio cautelare specifico (Trib. Roma 19/7/99, pres. Zecca, est. Staglianò, in Mass. giur. lav. 2000, pag. 420 con nota di Caiafa, Concordato preventivo con cessione dei beni: tutela del creditore concorrente e misure cautelari) <