In genere

  • Per la prima volta, un TAR riconosce che i giudici di pace sono dipendenti pubblici di fatto e gli va riconosciuto un trattamento economico, normativo e previdenziale equivalente a quello dei giudici togati comparabili.
    Il TAR accoglie parzialmente il ricorso presentato da una giudice di pace, volto all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e al riconoscimento dell’instaurazione di un rapporto di pubblico impiego di fatto ex art. 2126 c.c. Pur escludendo che lo status dei giudici di pace sia equiparabile in tutto a quello dei magistrati togati, il Collegio ritiene che i giudici di pace siano lavoratori a tempo determinato ai sensi del diritto dell’Unione europea. Di conseguenza, va loro riconosciuto un trattamento economico, normativo e previdenziale equivalente a quello assicurato ai lavoratori comparabili, considerando come tali i magistrati togati, al netto degli aumenti di stipendio conseguenti alla prima valutazione di professionalità e tenendo conto dell’impegno lavorativo limitato alle due/tre giornate coincidenti con le udienze. Riconosciuto altresì il diritto alle ferie, ed esclusa la prescrizione di ogni diritto, il cui termine non poteva considerarsi decorrente in corso di rapporto. (TAR Emilia Romagna 8/3/2023, Pres. Migliozzi Est. Amovilli, in Wikilabour, Newsletter n. 10/23)
  • I consorzi di bonifica hanno natura di enti pubblici economici e sono assoggettati alla disciplina di diritto privato dei rapporti di lavoro in quanto l’art. 1, c. 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, include tra le P.A. destinatarie della disciplina per l’impiego pubblico i soli consorzi costituiti tra gli enti territoriali, ma non quelli che esplicano la propria attività con risorse quasi totalmente locali, per il raggiungimento di scopi territorialmente limitati e sono sottoposti alla mera vigilanza della regione. (Trib. Velletri 29/10/2020, Giud. Falcione, in Lav. nella giur. 2021, 208)
  • Sono dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 76 Cost., il secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater, D.Lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 116 del 2016, che disciplina la responsabilità per danno patrimoniale e danno all’immagine alla P.A. arrecato dal pubblico dipendente attraverso la condotta di falsa attestazione della presenza in servizio mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento e altre modalità fraudolente. A differenza di quanto avvenuto con la precedente L. n. 15 del 2009, laddove il legislatore aveva espressamente delegato il Governo a prevedere, a carico del dipendente responsabile, l’obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno all’immagine subìti dall’amministrazione, tanto non si rinviene nella legge di delegazione n. 124 del 2015 - attuato dalla norma censurata - che, all’art. 17, comma 1, lett. s), prevede unicamente l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare. La materia delegata è quindi unicamente quella attinente al procedimento disciplinare, senza che possa ritenersi in essa contenuta l’introduzione di nuove fattispecie sostanziali in materia di responsabilità amministrativa e, in particolare, la specifica fattispecie del danno all’immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici. Al contrario, la disposizione censurata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l’Umbria, prevede una nuova fattispecie di natura sostanziale intrinsecamente collegata con l’avvio, la prosecuzione e la conclusione dell’azione di responsabilità da parte del procuratore della Corte dei conti, da cui risulta inequivocabile il suo contrasto con il parametro evocato. Infine, sebbene le censure del rimettente siano limitate all’ultimo periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater, che riguarda le modalità di stima e quantificazione del danno all’immagine, l’illegittimità riguarda anche il secondo e il terzo periodo di detto comma, perché essi sono funzionalmente inscindibili con l’ultimo, così da costituire, nel loro complesso, un’autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega. (Corte Cost. 9/1/2020 n. 61, Pres. Carosi Rel. Carosi, in Lav. nella giur. 2021, con nota di M. Nicolosi, Danno all’immagine della P.A., lotta all’assenteismo e potere disciplinare, 56)
  • Il danno derivante dalla lesione del diritto all’immagine della P.A. consiste nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall’art. 97 Cost. (Corte Cost. 9/1/2020 n. 61, Pres. Carosi Rel. Carosi, in Lav. nella giur. 2021, con nota di M. Nicolosi, Danno all’immagine della P.A., lotta all’assenteismo e potere disciplinare, 56)
  • La delega finalizzata al riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, concede al legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai princìpi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante. (Corte Cost. 9/1/2020 n. 61, Pres. Carosi Rel. Carosi, in Lav. nella giur. 2021, con nota di M. Nicolosi, Danno all’immagine della P.A., lotta all’assenteismo e potere disciplinare, 56)
  • In difetto di specifica norma volta a regolamentare l’individuazione di collaboratori autonomi, deve ritenersi analogicamente applicabile ad una società in house l’art. 19, d.lgs. n. 175/2016 — dettato con riguardo ai lavoratori subordinati —essendo pur sempre necessario, per un soggetto interamente partecipato da una pubblica amministrazione, rispettare principi essenziali per garantire il corretto impiego di risorse pubbliche. (Trib. Roma 2/8/2019, ord., Pres. Luna Rel. Cerroni, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di M. Falsone, “Conversione dei rapporti di lavoro, reclutamento e solidarietà negli appalti delle imprese pubbliche: una terra contesa dal diritto comune e speciale”, 46)
  • Ai sensi dell’art. 18, co. 2 d.l. n. 112/2008 le società a totale partecipazione pubblica devono procedere alle assunzioni mediante procedure selettive nel rispetto dei principi che sottendono la regola del concorso pubblico ex art. 97 della Costituzione. Pertanto opera anche in questo caso il principio secondo cui la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità. (Cass. 23/7/2019 n. 19925, Pres. Napoleone, Est. Tricomi, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di M. Falsone, “Conversione dei rapporti di lavoro, reclutamento e solidarietà negli appalti delle imprese pubbliche: una terra contesa dal diritto comune e speciale”, 46)
  • La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, che rilevano di per sé – anche a prescindere dal danno economico cagionato all’ente truffato fornendo una prestazione nel complesso inferiore a quella dovuta – in quanto incidono sull’organizzazione dell’ente stesso, modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e ledono gravemente il rapporto fiduciario che deve legare il singolo impiegato all’ente; di tale ultimi elementi è necessario tenere conto anche ai fini della valutazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4 c.p. (Cass. Sez. II pen. 18/10/2018 n. 7005, Pres. Cammino Est. Beltrani, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di G. Gentile, “Profili penali della falsa attestazione della presenza in servizio”, 322)
  • Nella ipotesi di falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio è configurabile il concorso materiale tra il reato di truffa aggravata e quello di false attestazioni o certificazioni previsto dall’art. 55-quinquies, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. (Cass. Sez. II pen. 18/10/2018 n. 7005, Pres. Cammino Est. Beltrani, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di G. Gentile, “Profili penali della falsa attestazione della presenza in servizio”, 322)
  • L’aspettativa retribuita in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca, prevista dalla l. 13 agosto 1984, n. 476, art. 2, come modificato dalla l. 22 dicembre 2001, n. 448, art. 52, comma 57, è stata riservata dal legislatore al rapporto a tempo indeterminato, come si desume dal riferimento alla prosecuzione del rapporto, per un periodo minimo di durata, dopo il conseguimento del dottorato. (Cass. 8/2/2018 n. 3096, Pres. Napoletano Est. Di Paolantonio, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di D. Schiuma, “Il diritto all’aspettativa per dottorato del pubblico dipendente a tempo determinato. Tra interesse privato, interesse pubblico e principio di parità di trattamento”, 615)
  • La limitazione agli assunti a tempo indeterminato non contrasta con il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE nel caso in cui non vi sia compatibilità fra la condizione risolutiva prevista dallo stesso art. 2, giustificata da una legittima finalità, e la durata del contratto a termine, tale da non consentire, dopo il conseguimento del dottorato, la prosecuzione almeno biennale del rapporto. (Cass. 8/2/2018 n. 3096, Pres. Napoletano Est. Di Paolantonio, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di D. Schiuma, “Il diritto all’aspettativa per dottorato del pubblico dipendente a tempo determinato. Tra interesse privato, interesse pubblico e principio di parità di trattamento”, 615)
  • Il regolamento sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Ue ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche, emanato con d.P.c.m. 7.2.1994, nella parte in cui prevede che “i posti di livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato” sono riservati ai soli cittadini italiani è difforme dall’art. 38 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, di cui costituisce norma attuativa, che prevede (in conformità ai principi dell’Ue) che i cittadini degli Stati membri dell’Unione possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale. Nel caso in cui la pubblica amministrazione debba selezionare un dirigente per attribuirgli determinati in carichi per l’espletamento di attività amministrativa è necessario valutare quale sia il contenuto effettivo di tale attività allo scopo di stabilire se possa considerarsi espressione di pubblici poteri. (Cons. St. 24/7/2017, n. 3666, Pres. Santoro Est. Lopilato, in Riv. Giur. Lav. Prev. soc. 2018, con nota di F. Liguori, “La public service exception tra norma e giudice: il caso dei direttori stranieri dei musei italiani”, 33)
  • È legittima l’apertura agli stranieri della procedura di selezione del direttore del Parco archeologico del Colosseo, in quanto tale dirigente pubblico svolge attività prevalentemente rivolta alla gestione economica e teorica del parco. (Cons. St. 24/7/2017, n. 3666, Pres. Santoro Est. Lopilato, in Riv. Giur. Lav. Prev. soc. 2018, con nota di F. Liguori, “La public service exception tra norma e giudice: il caso dei direttori stranieri dei musei italiani”, 33)
  • Il ricoprire da parte del pubblico dipendente la carica di amministratore in società aventi fini di lucro, ancorché tali società abbiano affittato a terzi l’azienda di cui sono proprietarie, integra violazione del disposto di cui all’art. 60, d.P.R. n. 3 del 1957. (Trib. Venezia 2/12/2014, ord., Giud. Menegazzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Mauro Dallacasa, 609)
  • L’art. 42-bis del d.lgs. n. 151 del 2001 pone sul datore di lavoro pubblico l’onere di giustificare anticipatamente il diniego all’assegnazione temporanea domandata da un dipendente, in modo tale che, attraverso la verifica sotto il profilo della congruenza e della consistenza delle ragioni concrete addotte sia verificabile da parte del lavoratore e, successivamente, sindacabile in sede giurisdizionale, la correttezza del suo operato, a pena di condanna giudiziale all’assegnazione presso la sede di destinazione domandata. (Trib. Busto Arsizio 12/11/2014, Giud. Molinari, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Maurizio Falsone, “L’assegnazione temporanea del dipendente pubblico ex art. 42-bis del d.lgs. n. 151 del 2001: diritto soggettivo, interesse legittimo (di diritto privato) o mera aspettativa?”, 447)
  • Nell’ambito del rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni regolato, dopo la cosiddetta privatizzazione, dalle norme di diritto privato, l’atto del datore di lavoro incidente sulla prestazione lavorativa è un atto paritetico, ancorché espressione del potere di supremazia gerarchica, privo dell’efficacia autoritativa propria del provvedimento amministrativo; di conseguenza, il giudice del lavoro ne rileva i vizi secondo le categorie proprie del diritto civile (inesistenza, nullità, annullabilità, inefficacia) e i motivi soggettivi rilevano solo in caso di illiceità (artt. 1418 e 1345 c.c.), mentre non sono applicabili né la distinzione tra vizi di legittimità e di merito elaborata dalla giurisprudenza amministrativa, né i vizi di legittimità dell’incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, previsti dall’art. 26 del Testo Unico n. 1054 del 1924 e dagli artt. 2 e 3 della L. n. 1034 del 1971. (Trib. Bologna 9/12/2013, Giud. Benassi, in Lav. nella giur. 2014, 414)
  • È incostituzionale l’art. 12, 4° comma, LR della Regione Lombardia 16/7/12 n. 12, come sostituito dall’art. 1 LR 24/12/12 n. 21, laddove prevede che, in occasione della cessione di funzioni tra una società a integrale o prevalente controllo pubblico e un ente pubblico, i lavoratori della prima (assunti senza procedure concorsuali) vengano trasferiti al secondo, essendo irrilevante sia la garanzia dell’art. 2112 c.c. (che non opera nel passaggio tra soggetto privato e PA) sia il fatto che il passaggio alle dipendenze dell’ente pubblico cessionario sia subordinato a una prova attitudinale. (Corte Cost. 11/7/2013 n. 167, Pres. Gallo Rel. Manzella, in D&L 2013, con nota di Alberto Guariso, “La ‘reinternalizzazione’ di funzioni pubbliche resta senza garanzie”, in D&L 2013, 32)
  • In tema di passaggio del personale Ata dagli Enti locali allo Stato, il comma 218 dell’art. unico L. 23/12/05 n. 266 – essendosi limitato a recepire i contenuti dell’accordo sindacale 20/7/2000 e del DM 5/4/01 e a elevare a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva sul maturato economico, con salvaguardia del trattamento globale economico e normativo fruito prima dell’inserimento nei ruoli ministeriali, ivi compreso il trattamento accessorio – non è in contrasto con la direttiva CEE 77/187, in quanto la stessa non garantisce la conservazione dell’anzianità, bensì solo il diritto dei lavoratori trasferiti a non subire un peggioramento retributivo sostanziale, la cui eventuale esistenza deve essere accertata dal giudice di merito confrontando le condizioni globalmente fruite prima e dopo il trasferimento. Detto comma non si pone in contrasto neppure con il principio dell’equo processo in quanto la Corte Costituzionale ha escluso l’incostituzionalità della norma in quattro interventi, mentre la Corte di Giustizia Europea nella sentenza 6/9/11 “Scattolon” ha giudicato assorbita la quarta questione posta dal Tribunale di Venezia concernente la conformità della disciplina italiana con l’art. 6, n. 2, TUE, in combinato disposto con l’art. 6 della Cedu e gli artt. 47 e 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. (Cass. 13/11/2012 n. 19876, Pres. De Luca Est. Tricomi, in D&L 2012, con nota di Nicola Zampieri, “Sull’insanabile conflitto tra la Corte di Strasburgo e i giudici interni in materia di interpretazione della Cedu”, 781)
  • La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza 7/6/11, ha accertato che lo Stato italiano – emanando il comma 218 dell’art. unico L. 23/12/05 n. 266 (Finanziaria 2006) – ha violato il principio dell’equo processo di cui all’art. 6 Cedu (ponendo in essere un’indebita ingerenza nell’amministrazione della giustizia) nonché l’art. 1 del Protocollo n. 1, posto che i ricorrenti, prima dell’intervento di detta legge, potevano vantare, in forza dell’univoca giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, una “aspettativa legittima” di ottenere il pagamento del trattamento economico connesso all’anzianità maturata nel comparto Enti locali. Conseguentemente il personale Ata che, in forza di detto comma 218, è stato immesso nei ruoli del Ministero senza il riconoscimento dell’anzianità pregressa deve essere posto nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato se la violazione della Convenzione non si fosse verificata (ossia se il Governo non avesse imposto di interpretare l’art. 8 della L. 3/5/99 n. 124 in maniera difforme all’interpretazione fornita dalla Suprema Corte di Cassazione) e ha pertanto diritto di ricevere a titolo di equa soddisfazione la differenza tra il trattamento economico percepito e quello che avrebbe invece ottenuto in assenza dell’intervento di “interpretazione”. (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 8/11/2012, ricorsi nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, in D&L 2012, con nota di Nicola Zampieri, “Sull’insanabile conflitto tra la Corte di Strasburgo e i giudici interni in materia di interpretazione della Cedu”, 781)
  • In tema di passaggio del personale Ata dagli Enti locali allo Stato l’intervento di interpretazione autentica introdotto dal comma 218 dell’art. unico L. 23/12/05 n. 266 non si pone in contrasto con l’art. 6 della Cedu, in quanto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 311/09 ha già escluso l’incostituzionalità della norma; ne consegue che, pur dopo la sentenza della Corte di Strasburgo 7/6/11 “Agrati” – che ha affermato il contrasto di detta norma con l’art. 6 Cedu – non può essere nuovamente rimessa alla Consulta la già esaminata questione di costituzionalità della norma per violazione dell’art. 117, 1° comma, Cost. Il predetto comma 218, inoltre, non è incompatibile neppure con la direttiva 77/187/CEE, in quanto la stessa garantisce ai lavoratori la conservazione delle sole indennità o benefici riconosciuti dai contratti collettivi che siano collegate all’anzianità pregressa e non del trattamento accessorio percepito prima del coattivo trasferimento alle dipendenze del Miur. (Corte app. Milano 25/10/2012, Pres. Castellini, in D&L 2012, con nota di Nicola Zampieri, “Sull’insanabile conflitto tra la Corte di Strasburgo e i giudici interni in materia di interpretazione della Cedu”, 782)
  • L’art. 1, comma 218, L. 23/12/05 n. 266 non si pone in contrasto con l’art. 6 della Cedu in quanto la Corte di Strasburgo, con la sentenza 7/6/11 “Agrati”, ha affermato che è consentito al legislatore emanare leggi con efficacia retroattiva se giustificate da motivi imperativi di interesse generale, la cui sussistenza può essere valutata solo dal legislatore nazionale e dalla Corte Costituzionale italiana. Ne consegue che, anche dopo la citata sentenza Agrati, è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale di detto comma 218 per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6 Cedu, essendosi la Consultà già pronunciata sul punto con la sentenza 311/09. Il citato comma 218 inoltre è conforme anche alla direttiva 77/187 CEE in quanto la stessa non impedisce una riduzione della retribuzione dei lavoratori interessati dal trasferimento di attività, ma solo la sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, non configurabile in relazione alla perdita di elementi accessori del trattamento retributivo. (Corte app. Roma 21/8/2012, Pres. Di Paoloantonio Est. Nitto, in D&L 2012, con nota di Nicola Zampieri, “Sull’insanabile conflitto tra la Corte di Strasburgo e i giudici interni in materia di interpretazione della Cedu”, 783)
  • Il sistema di reclutamento del personale della scuola, di cui al d.lgs. n. 297/1994 e s.m.i., che configura una situazione di precarietà che viene bilanciata da una sostanziale e garantita immissione in ruolo, è escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 368/2001, in applicazione del principio lex posterior generalis non derogat legi priori speciali. Nel settore scolastico, dunque, vige un corpus speciale autonomo, disciplinante la materia del reclutamento del personale, che risulta funzionale alla salvaguardia delle esigenze di bilancio dello Stato, e che appare conforme alla Direttiva 1999/70/CE in quanto le circostanze precise e concrete che caratterizzano la particolare attività scolastica costituiscono “norma equivalente” alle misure di cui alla clausola 5 dell’Accordo Quadro, secondo quanto indicato nella sentenza “Angelidaki”. La rilevata esistenza di molteplici pronunce conformi della Corte di Giustizia sul punto induce a ritenere che si sia in presenza di un acte claire, che, non lasciando alcun ragionevole dubbio sulla esegesi della Direttiva 1999/70/CE, non impone al giudice di ultima istanza l’obbligo di rinvio pregiudiziale. (Cass. 20/6/2012 n. 10127, Pres. Vidiri Est. Napoletano, in Lav. nella giur. 2012, con commento di V. De Michele, 778)
  • La regola per cui il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (art. 2112 c.c.), è confermata, per i dipendenti pubblici, dall’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 che riconduce il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse alla fattispecie della “cessione del contratto) ex art. 1406 c.c. con la conseguente applicazione del trattamento giuridico ed economico previsto nei contratti collettivi del comparto dell’Amministrazione cessionaria; in tale prospettiva, non si giustificano diversità di trattamento tra i dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza (nel caso di specie, la Suprema Corte ha stabilito il principio della riassorbibilità nei futuri aumenti della retribuzione tabellare dell’assegno ad personam riconosciuto a due lavoratori al momento del loro passaggio dall’Agenzia del demanio al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al fine di adeguare l’importo dell’indennità di amministrazione corrisposta dal Ministero ai propri dipendenti a quello, maggiore, dell’indennità di agenzia goduta dai due lavoratori presso l’amministrazione di partenza). (Cass. 16/4/2012 n. 5959, Pres. Miani Canevari Est. Tria, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Stefania Brun, “Il riassorbimento nei successivi aumenti della retribuzione tabellare dell’assegno ad personam concesso a seguito del passaggio diretto tra amministrazioni diverse”, 397)
  • Il principio di parità di trattamento contrattuale gravante sul datore di lavoro pubblico, espresso dall’art. 45, c. 2, d.lgs. n. 165/2001, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva, vietando trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli ivi previsti, ma non costituisce parametro per valutare le eventuali differenziazioni operate in quella sede, non vietando ogni trattamento differenziato nei confronti di singole categorie di lavoratori ma solo quelli contastanti con specifiche previsioni normative (nella specie, la Corte ha giudicato insussistente la violazione del principio di parità di trattamento in quanto la lamentata differenziazione dell’indennità di amministrazione, stabilita dalle parti collettive, tra lavoratori provenienti da diverse amministrazioni pubbliche e confluiti nel Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, non violava il regolamento di organizzazione del Ministero). (Cass. 28/3/2012 n. 4971, Pres. Roselli Est. Bandini, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Giorgio Desto, “Parità di trattamento nel pubblico impiego e contrattazione collettiva”, 122)
  • Ove il datore di lavoro abbia manifestato la volontà di provvedere alla copertura di posti di una determinata qualifica attraverso il sistema del concorso interno e abbia, a questo fine, pubblicato un bando che contenga tutti gli elementi essenziali (numero dei posti disponibili, qualifica, modalità del concorso, criteri di valutazione dei titoli, ecc.), prevedendo, altresì, il riconoscimento del diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione di lavoro disponibile e la data a decorrere dalla quale è destinata a operare giuridicamente l’attribuzione della nuova posizione, sono rinvenibili in un siffatto comportamento gli estremi dell’offerta al pubblico, che impegna il datore di lavoro non solo al rispetto della norma con la quale esso stesso ha delimitato la propria discrezionalità, ma anche ad adempiere l’obbligazione secondo correttezza e buona fede. Sicché il superamento del concorso, indipendentemente dalla successiva nomina, consolida nel patrimonio dell’interessato l’acquisizione di una situazione giuridica individuale, non disconoscibile alla stregua della natura del bando, né espropriabile per effetto di successiva determinazione del datore di lavoro. (Cass. 12/1/2012 n. 240, Pres. Vidiri Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2012, 309)
  • Deve essere riammesso nelle graduatorie a esaurimento della scuola l’insegnante che abbia proposto domanda tardiva se le modalità di pubblicazione del decreto ministeriale non rispettano le linee guida per i siti della Pa adottate dal Ministero della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione. Il mancato rispetto delle stesse, infatti, facendo venir meno l’effetto di pubblicità legale dell’atto, determina che il termine decadenziale di 20 giorni, in esso fissato per la presentazione delle domande, non è decorso. (Trib. Genova 5/10/2011, ord., Pres. Ravera Rel. Magnanensi, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di P. Digennaro, “L’esclusione del docente dalle graduatorie scolastiche: sussistenza della giurisdizione civile e requisiti della pubblicità della graduatoria”, 408)
  • La situazione giuridica riconosciuta in capo al dipendente che aspiri al conferimento di un determinato incarico non è di diritto soggettivo c.d. potestativo, ma di interesse legittimo di diritto privato. Per converso, la situazione facente capo al datore di lavoro è di “potere discrezionale” provato, essendo in facoltà dello stesso, pur nel rispetto dei limiti di legge, di accogliere o meno la richiesta di conferimento dell’incarico. Ne consegue che il giudice giammai può emettere sentenza con la quale accerta il diritto del ricorrente a vedersi conferire l’incarico cui aspira, essendo lo stesso attribuibile solo a seguito di valutazione discrezionale della P.A., ma, al più, ove accerti che il potere discrezionale sia stato esercitato travalicando i limiti previsti dalla legge, potrà dichiarare illegittimo il provvedimento di conferimento dell’incarico impugnato, così costringendo la P.A. a operare una nuova valutazione, nel rispetto delle norme in precedenza violate. Il mancato conferimento di un determinato incarico non appare di per sé idoneo a ledere la dignità professionale di coloro che aspiravano ad ottenerlo, dovendosi, ad ogni modo, fornire la prova in concreto del pregiudizio lamentato, sulla scorta di circostanze oggettive e specifiche e non di mere valutazioni soggettive del richiedente. Peraltro, in consimili fattispecie di interesse pretensivo, non sussiste alcun periculum in mora tutelabile in via cautelare d’urgenza. (Trib. Trani 22/9/2011, ord., in Lav. nella giur. 2012, con commento di Lorenzo Ieva, 75)
  • Nel lavoro pubblico contrattualizzato deve ritenersi inammissibile l’esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione, quale parte datoriale, trattandosi di prerogativa correlata all’esercizio delle sue funzioni autoritative, ormai incompatibile col paradigma disegnato dal legislatore che le attribuisce i poteri del privato datore di lavoro. Di talché deve ritenersi inammissibile il recesso unilaterale della pubblica amministrazione dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, stipulato a seguito di stabilizzazione, in ragione di una diversa e più restrittiva interpretazione delle norme in materia. Tanto, considerando anche il consolidamento del diritto soggettivo del lavoratore per il considerevole lasso di tempo decorso, nonché l’inapplicabilità retroattiva della legge, cui va assimilata la sua più restrittiva interpretazione. (Trib. Bari 25/3/2011, ord., Giud. Rubino, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Paola Cosmai, 161)
  • Il principio generale, applicabile in tema di passaggi di personale, è quello della riassorbibilità degli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito, argomentandone l’esistenza dal d.lgs. n. 29/1993, art. 34, come sostituito dal d.lgs. 80/1998, art. 19 (ora d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 31), e osservando che le regole dettate dalla norma in questione, nella parte in cui dispone la continuità giuridica del rapporto di lavoro del personale che transita alle dipendenze di un diverso soggetto, con la conservazione di tutti i diritti, secondo le regole dettate dall’art. 2112 c.c., rese applicabili a fattispecie diverse dal “trasferimento d’azienda”, non consentono di dubitare che il principio del mantenimento del trattamento economico, collegato al complessivo status posseduto dal dipendente prima del trasferimento, opera nell’ambito e nei limiti della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili a seguito del trasferimento. (Trib. Taranto 15/3/2011, Giud. Palma, in Lav. nella giur. 2011, 747 )   
  • Il diritto d'accesso ai documenti prodotti dai candidati e agli atti del procedimento in un concorso prevale sul diritto alla riservatezza dei terzi, perché i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno acconsentito a misurarsi in una competizione ove è prevista la comparazione dei valori. (TAR Lazio 3/9/2010 n. 32103, Pres. Tosti, in D&L 2010, con nota di Dionisio Serra, "Sul diritto di accesso ai documenti nei concorsi pubblici", 1068)
  • Qualora un candidato a un concorso pubblico proponga domanda di accesso agli atti, non vi è alcuna necessità di attendere la conclusione della procedura concorsuale, in quanto il candidato è comunque titolare di un interesse autonomo alla conoscenza.  (TAR Lazio 3/9/2010 n. 32103, Pres. Tosti, in D&L 2010, con nota di Dionisio Serra, "Sul diritto di accesso ai documenti nei concorsi pubblici", 1068)   
  • L’Azienda Lombarda per l’edilizia residenziale (Aler) pur essendo subentrata nelle funzioni dell’Istituto Autonome Case Popolari, non può qualificarsi come pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1, 2° comma, D.Lgs. 30/3/01 n. 165, non essendo compresa nell’elenco tassativo di cui a detta norma; deve invece qualificarsi come ente pubblico economico, stante l’espressa previsione dello Statuto dell’azienda in tal senso. (Trib. Milano 30/7/2010, est. Cipolla, in D&L 2010, 786)
  • L’art. 1, 52° comma, LR Lazio 11/8/09 n. 22, è illegittimo con riferimento agli artt. 51 e 97 Cost. poiché autorizza una procedura di stabilizzazione senza concorso previo superamento di una qualsiasi selezione pubblica e presso un qualsiasi ente pubblico, requisiti troppo generici che non garantiscono che la selezione abbia natura concorsuale e sia riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente è chiamato a svolgere. (Corte Cost. 24/6/2010 n. 225, Pres. Amirante Rel. Gazzella, in D&L 2010, 734)
  • L'applicazione tout court del principio di "scorrimento delle graduatorie" (non può essere ritenuta automatica, NDR), atteso che l'obbligatorio ricorso a detto sistema di copertura delle vacanze si colloca a valle della scelta discrezionale dell'Amministrazione di procedere alla copertura dei posti, cioè a una scelta di carattere organizzativo che non è affatto predeterminata dalla disponibilità delle risorse finanziarie. (Trib. Bologna 18/5/2010, Giud. Coco, in Lav. nella giur. 2010, 843)
  • Con riferimento agli Enti locali, va ritenuto che decorre dal 1° gennaio 2010 l’applicabilità dell’art. 62 del D.Lgs. 27/10/09 n. 150, nella parte in cui stabilisce che le progressioni tra aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso all’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50% di quelli messi a concorso. Ne segue che l’art. 91 Tel nella parte in cui prevede concorsi interamente riservati al personale dipendente, deve ritenersi abrogato per incompatibilità con il D.Lgs. 27/10/09 n. 150. (Corte dei Conti sez. delle autonomie 29/4/2010 n. 10, est. D’Urso, in D&L 2010, con nota di Dionisio Serra, “Enti locali: progressioni tra aree mediante pubblico concorso”, 768)
  • In assenza di espressa disposizione circa l'immediata caducazione dei contratti collettivi vigenti nel pubblico impiego, e, sussistendo per contro l'espressa previsione di un iter temporalmente scandito per l'adeguamento dei contratti collettivi vigenti al D.Lgs. 27/10/09 n. 150, il sistema delle relazioni sindacali nel pubblico impiego resta disciplinato anche dopo l'entrata in vigore di detto D.Lgs. dai contratti nazionali vigenti sino alla prevista scadenza. (Trib. Torino 2/4/2010, ord., Est. Lanza, in D&L 2010, con nota di Nadia Marina Gabigliani, "Il nuovo modello di relazioni sindacali nelle pubbliche amministrazioni: questioni di diritto transitorio", 390)
  • Ai fini della qualificazione di un ente pubblico come economico rileva il criterio oggettivo della valutazione dell’attività dallo stesso svolta secondo criteri di economicità, desumibili dal tendenziale equilibrio tra i costi e i ricavi. Pertanto, mentre è irrilevante l’oggetto dell’attività medesima, assume rilevanza lo svolgimento, per la realizzazione dei fini istituzionali, di un’attività di conservazione, scambio e produzione di beni e servizi secondo criteri di economicità, ovvero, lo svolgimento di un’attività funzionale non soltanto al perseguimento di fini sociali, ma anche al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi. (Trib. Milano 26/2/2010, Est. Cipolla, in D&L 2010, con nota di Giovanni Scalambrieri, “La rilevanza della qualificazione giuridica degli enti pubblici economici ai fini della disciplina applicabile al contratto a termine”, 779)

  • In materia di stabilizzazioni, ai sensi del 558° comma, art. 1, L. 27/12/06 n. 296, non è richiesto che il requisito dell’anzianità triennale, necessario per accedere alla procedura, sia stato maturato tutto presso l’ente che stabilizza, dovendosi a tal fine computare anche l’anzianità maturata presso altra amministrazione. (Trib. Firenze 4/2/2010, Est. Bazzoffi, in D&L 2010, con nota di Andrea Ranfagni, “Confermati i primi orientamenti di giurisprudenza in materia di stabilizzazioni”, 448) 

  • In tema di stabilizzazione dei pubblici dipendenti, l’art. 1, 558° comma, L. 27/12/06 n. 296, individua una facoltà e non un obbligo dell’amministrazione di procedere alla stabilizzazione del proprio personale precario. La discrezionalità dell’amministrazione nell’esercitare tale facoltà è limitata all’individuazione del numero di lavoratori da stabilizzare, ma non consente di aggiungere ulteriori requisiti di accesso non previsti dalla legge. (Trib. Firenze 4/2/2010, Est. Bazzoffi, in D&L 2010, con nota di Andrea Ranfagni, “Confermati i primi orientamenti di giurisprudenza in materia di stabilizzazioni”, 448)

  • Il diritto della lavoratrice che ha raggiunto l'età pensionabile di rimanere in servizio sino al raggiungimento dell'età pensionabile prevista per gli uomini, sancito nell'art. 30 D.Lgs. 11/4/06 n. 198, ha natura insindacabile. (Trib. Milano 19/1/2010, est. Perillo, in D&L 2010, con nota di Sonia Elena Boatti, "Il diritto insindacabile della lavoratrice a non essere collocata a riposo prima dei colleghi uomini", 619)
  • Va rimessa alla Corte di Giustizia la questione se il principio del maturato economico (introdotto dal comma 218 dell'articolo unico della l. 23/12/05 n. 266) sia compatibile con l'art. 3, n. 1, 1° comma, della direttiva n. 77/187, in ragione del quale è obbligatorio computare l'anzianità del dipendente che proviene dall'Amministrazione cedente tenendo conto dell'anzianità maturata prima del trasferimento, se le norme nazionali che disciplinano la situazione dei dipendenti dello Stato prendono in considerazione l'anzianità del dipendente per il calcolo della sua retribuzione. Per effetto della comunitarizzazione del principio dell'equo processo, disposta dal Trattato di Lisbona, compete inoltre alla Corte di Giustizia verificare se i principi della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, dell'uguaglianza delle armi del processo, dell'effettività della tutela giurisdizionale e, più in generale, a un equo processo, garantiti dall'art. 6, n. 2, del Trattato sull'Unione Europea, in combinato disposto con l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e con gli artt. 46, 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7/12/2000, debbano essere interpretati nel senso che ostano all'introduzione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile, di una norma di interpretazione autentica, come quella contenuta nell'art. 1, comma 218, della L. 23/12/05 n. 266, difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastante con l'interpretazione costante e consolidata dell'organo titolare della funzione nomofilattica. (Trib. Venezia 4/1/2010, ord., Est. Bertolaso, in D&L 2009, con nota di Nicola Zampieri, "Sull'abuso da parte del legislatore dello strumento delle leggi finanziarie 'interpretative' in violazione dei principi di parità delle armi, di legalità e dell'equo processo", 901) 
  • Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 218, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, censurato, in riferimento all'art. 117, primo comma Cost. ed all'art. 6 della Cedu, nella parte in cui, interpretando l'art. 8, comma 2, della legge 3 maggio 1999, n. 124, stabilisce che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico e ausiliare statale (ATA) venga inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all'atto del trasferimento. (Corte Cost. 26/11/2009 n. 311, Pres. Amirante Rel. Tesauro, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Fabio Avallone, "Personale ATA trasferito dagli enti locali allo Stato: la storia infinita", 389) 
  • Nel pubblico impiego il diritto alla restitutio in integrum mediante riammissione in servizio va riconosciuto ex art. 3, comma 57 della legge n. 350/2003 anche al dimessosi senza diritto alla quiescenza mediante un'interpretazione estensiva della norma citata, il cui testo disciplina solo l'ipotesi del lavoratore collocatosi anticipatamente in quiescenza. (Corte app. Firenze 25/9/2009, Pres. Pieri Est. Schiavone, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Pina D'Inverno, "Il diritto alla restitutio in integrum del pubblico dipendente prosciolto in sede penale", 403)
  • L'efficacia temporale dell'art. 3, comma 57, della legge n. 350/2003 e succ. mod. e la conseguente riammissione in servizio del pubblico dipendente dimessosi o collocatosi anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale nei suoi confronti, conclusosi con assoluzione con formula piena, vanno riconosciuti anche al lavoratore che abbia ottenuto sentenza di assoluzione definitiva in epoca successiva ai cinque anni antecedenti l'entrata in vigore la citata disposizione. (Trib. Napoli 29/11/2009, Giud. Scognamiglio, in Riv. it. dir. lav. 2010, 403)
  • In materia di pubblico impiego, la disciplina dell'incompatibilità prevista dagli artt. 60 ss. d.P.R. n. 3/1957, applicabile a tutti i dipendenti pubblici, prevede che l'impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall'incarico. Ne consegue che il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all'art. 55 del d.lgs. n. 165/2001 soltanto nel caso in cui l'impiegato ottemperi alla diffida. Diversamente, trova applicazione l'istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati "ab origine", avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro. (Cass. 21/8/2009 n. 18608, Pres. De Luca Est. Bandini, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Federico Siotto, "Incompatibilità e decadenza del dipendente pubblico: dietro il licenziamento illegittimo sta 'in agguato la dura moneta' del cumulo", 413)
  • Il Giudice può ordinare di procedere alla stabilizzazione del posto di lavoro e condannare la P.A. ad assumere i ricorrenti, qualora i lavoratori siano in possesso dei requisiti e dei titoli previsti dalla legge, siano stati assunti a tempo determinato all'esito di una procedura selettiva e non vi sia contestazione circa la carenza dei posti in organico. (Trib. Voghera 11/6/2009, Est. Dossi, in D&L 2009, 851) 
  • La falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente a indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata. (Cass. Sez. Un. 2/12/2008 n. 44912, Pres. Bardovagni Rel. Iasillo, in Lav. nelle P.A. 2008, 1149) 
  • Non può estendersi alle controversie dei dipendenti dei gruppi parlamentari la "giurisdizione domestica" prevista per i dipendenti della Camera in quanto, riguardo ai gruppi parlamentari e alle relative controversie, non esiste nell'ordinamento una norma avente fondamento costituzionale sia pure indiretto che autorizzi la deroga al principio della indefettibilità della tutela giurisdizionale davanti ai giudici comuni. (Cass. S.U. 24/11/2008 n. 27863, Pres. Carbone Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Alessandra Raffi, "Il rapporto di lavoro alle dipendenze dei gruppi parlamentari e la c.d. 'autodichia' della Camera dei Deputati", 865) 
  • Non è configurabile un'estensione dell'ambito di autodichia parlamentare a tutte quelle attività del gruppo parlamentare che, fuoriuscendo dal campo applicativo del diritto parlamentare, non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari. (Cass. S.U. 24/11/2008 n. 27863, Pres. Carbone Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Alessandra Raffi, "Il rapporto di lavoro alle dipendenze dei gruppi parlamentari e la c.d. 'autodichia' della Camera dei Deputati", 865)
  • L'art. 97 Cost., impone che sia prevista per il lavoro pubblico, sulla base di disposizioni di legge non derogabili dalla contrattazione collettiva, l'estinzione del rapporto al compimento di un'età massima, salvo le ipotesi di protrazione per periodi definiti a domanda del dipendente e, eventualmente, con il consenso dell'amministrazione. La risoluzione del rapporto di lavoro per il compimento del limite massimo di età avviene automaticamente al verificarsi del fatto previsto, senza che sia necessario alcun preavviso. (Cass. 3/11/2008 n. 26377, Pres. Mattone Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 1145) 
  • La l. n. 270 del 1988, n. 270, nel prevedere la delegificazione della disciplina del rapporto del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto, dopo aver abrogato le tabelle nazionali delle qualifiche del personale, ha previsto che la disciplina dela materia era rimessa alla contrattazione collettiva nazionale di categoria. Conseguentemente solo quest'ultima poteva creare nuove qualifiche professionali, mentre ciò era precluso alla contrattazione di livello inferiore. (Cass. 7/10/2008 n. 24735, Pres. Ianniruberto Rel. Balletti, in Lav. nelle P.A. 2008, 880)
  • Costituisce reato di abuso d'ufficio la condotta del sindaco e degli altri amministratori che, al solo scopo di allontanare, anche fisicamente, quel dirigente che si caratterizzi per indipendenza e autonomia decisionale rispetto all'indirizzo politico, creano un apposito ufficio cui adibire il funzionario inviso, senza con ciò mirare al raggiungimento di un fine pubblico, venendo anzi conseguito l'esatto contrario. (Cass. VI sez. pen. 1/10/2008 n. 37354, Pres. Di Virginio Rel. Milo, in Lav. nelle P.A. 2008, 884)
  • Gli organi periferici del Ministero della Pubblica Istruzione sono privi di legittimazione passiva in ordine a pretese di carattere giuridico ed economico derivanti dalla prestazione di servizio di cui è destinatario ex lege il solo Ministero, quale amministrazione di appartenenza del ricorrente. (Trib. Tolmezzo 26/9/2008, Est. Berardi, in Lav. nelle P.A. 2008, 1133)
  • La previa determinazione del futuro inquadramento del personale in posizione di comando enunciata nel D.P.C.M. 18 ottobre 1999 è vincolante per il datore di lavoro, anche in funzione di una adeguata determinazione dei costi relativi; né assume rilievo, in senso contrario, la corresponsione, tramite la tecnica di assegni ad personam, di una retribuzione superiore a quella prevista per la "nuova" qualifica. (Cass. 25/9/2008 n. 24045, Pres. Sciarelli Rel. Amoroso, in Lav. nelle P.A. 2008, 886)
  • I dipendenti di enti pubblici che certificano il proprio orario di ingresso e di uscita dal lavoro concorrono nel reato di falso ideologico commesso dai soggetti ai quali la pubblica amministrazione ha affidato la funzione di attestare l'orario di lavoro dei dipendenti, qualora la propria dichiarazione confluisca in un atto dei soggetti preposti al controllo. L'atto in cui si è concretizzato il reato pertanto è atto pubblico, sia per la qualifica del soggetto che lo ha posto in essere, sia con riferimento alla sua natura. (Cass. sez. III pen. 10/9/2008 n. 35058, Pres. Rizzo, Rel. Curzio, in Lav. nelle P.A. 2008, 883)
  • Il palese ingiustificato protrarsi dell'assenza dal posto di lavoro dell'imputato, realizza una sospensione di fatto del rapporto di impiego che necessariamente produce un danno patrimoniale per l'ente erogante la retribuzione, nonché l'ulteriore danno (patrimoniale ma non anche d'immagine, nella specie) correlato alla mancata presenza del dipendente nel presidio lavorativo, rimasto così sguarnito, senza che possa valere come velo la eventuale difficoltà di qualificazione del danno medesimo. (Cass. sez. III pen. 10/9/2008 n. 35058, Pres. Rizzo, Rel. Curzio, in Lav. nelle P.A. 2008, 883) 
  • L'art. 1, comma 218, della legge n. 266 del 2005, che disciplina, con effetti retroattivi, l'anzianità giuridica ed economica riconosciuta del personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale A.T.A. (amministrativo, tecnico, ausiliario) dello Stato in termini meno favorevoli di quelli in precedenza stabiliti, possiede tutti i requisiti della norma di interpretazione autentica rispetto alla norma interpretata di cui all'art. 8, comma 2, della legge n. 124 del 1999. (Cass. 4/9/2008 n. 22260, Pres. Senese, in Lav. nelle P.A. 2008, 632)
  • Il rapporto di lavoro del personale docente, dopo l'attribuzione di personalità giuridica alle singole istituzioni scolastiche statal e pur in presenza del trasferimento a esse di funzioni già di competenza dell'amministrazione centrale e periferica (art. 14 d.P.R. n. 275/1999), sorge non con il singolo istituto, ma con il Ministero dell'istruzione, di cui all'art. 15 del citato d.P.R., riserva infatti le funzioni di reclutamento del personale: ne deriva che la controversia nella quale si discuta di un diritto afferente al rapporto di lavoro (nel caso il diritto al congedo parentale) non può che svolgersi nei confronti del Ministero, soggetto che ha la qualità di datore di lavoro, e non nei confronti dell'istituto scolastico che pertanto è privo di legittimazione passiva. (Cass. 28/7/2008 n. 20251, Pres. Sciarelli Rel,. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 633)
  • Il ccnl Sanità 1994/1997, in merito all'attività professionale intramuraria dei medici dipendenti del SSN fornisce (all'art. 67 lett. c e d) una definizione dell'attività libero-professionale legata a elementi esterni alla volontà delle part, facendo derivare tale qualificazione dal mero dato contrattuale rappresentato dalla (proposta di) attribuzione di un incarico specificatamente indicato come di attività di consulenza libero-professionale e come tale accettato dal destinatario della proposta. Non contiene pertanto alcun errore di diritto l'affermazione secondo cui assume carattere decisivo sul piano della qualificazione dell'incarico affidato dalla ASL al medico dipendente il fatto che, nel richiedere a questi la relativa prestazione, l'Amministrazione datrice di lavoro l'abbia chiaramente qualificata come di lavoro straordinario. (Cass. 23/6/2008 n. 17055, Pres. Mattone Rel. Ianniello, in Lav. nelle P.A. 2008, 650)
  • La norma di cui all'art. 28 CCNL enti locali 14.09.2000, che prevede che l'Ente datore di lavoro assuma a proprio carico ogni onere di difesa a vantaggio di un dipendente sottoposto a procedimen to di responsabilità civile o penale, è diretta alla tutela dell'immagine e del prestigio dell'ente interessato, così che si deve escludere l'eventualità di un rimborso da parte dell'Amministrazione in seguito ad autonoma gestione del contenzioso da parte del dipendente, in quanto l'applicazione della norma, oltre agli ulteriori presupposti richiesti (procedimento dovuto a fatto o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti di ufficio, esclusione di un conflitto di interessi), è strettamente legata all'individuazione fin dal principio di un legale di comune gradimento cui affidare la difesa. (Cass. 6/6/2008 n. 16252, Pres. Ravagnani Rel. Mammone, in Lav. nelle P.A. 649)
  • In materia di accesso al lavoro, sia esso privato o pubblico, vale nell'attuale ordinamento il principio di pari trattamento e di uguaglianza fra cittadini italiani, cittadini comunitari e cittadini extracomunitari, dovendo il principio affermato nell'art. 2 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 trovare diretta e immediata applicazione sia in riferimento ai diritti inerenti allo svolgimento del rapporto di lavoro ma anche con riguardo al diritto di aspettativa di occupazione. Le disposizioni che richiedono il possesso della cittadinanza italiana, pur mantenendo validità, vanno pertanto interpretate nel senso di limitare tale requisito a quei rapporti che implicano lo svolgimento di pubblici poteri o di funzioni poste a tutela dell'interesse nazionale. (Trib. Milano 27/5/2008, Giud. Bianchini, in Riv. it. dir. lav. 2009, con commento di Giuseppe Ludovico, "L'accesso degli extracomunitari al pubblico impiego tra limitazioni normative e aperture interpretative", 392)
  • Il rapporto di lavoro del personale della scuola - che prosegue immutato e ininterrotto anche a seguito di trasferimento da un'istituzione scolastica ad altra - continua a far capo al Ministero della Pubblica Istruzion: è pertanto questo e non l'istituzione scolastica il soggetto legittimato in ordine alla domanda del dipendente che contesti in giudizio la ricostruzione di carriera. (Trib. Genova 5/5/2008 n. 594, Est. Scotto, in Lav. nelle P.A. 2008, 633)
  • L'Ufficio scolastico Regionale è mera struttura interna del Ministero della Pubblica istruzion, organo decentrato di questo privo di soggettività giuridica esterna: è pertanto solo il Ministero della Pubblica Istruzione soggetto processualmente legittimato alla causa. (Trib. Genova 5/5/2008 n. 594, Est. Scotto, in Lav. nelle P.A. 2008, 633)
  • La determinazione del trattamento retributivo all'atto dell'inquadramento nel profilo dei DSGA non è regolato dall'art. 66, comma 6, del CCNL 1995 e dalle norme da questo richiamate. La fattispecie risulta espressamente ed esclusivamente regolata dall'art. 8 del CCNL 15.3.2001, norma speciale rispetto al precitato art. 66 e destinata a regolare la fattispecie del passaggio da responsabile amministrativo a DSGA in sede di prima applicazione. (Trib. Genova 5/5/2008 n. 594, Est. Scotto, in Lav. nelle P.A. 2008, 633)
  • La fonte contrattuale è l'unica applicabile alla fattispecie in quanto normativa speciale e successiva, coerente con i principi stabiliti dalle norme generali in materia di pubblico impiego di cui al d.lgs. n. 165/2001 e aderente ai principi di contrattualizzazione, che riserva a quest'ultima la competenza esclusiva a determinare il trattamento economico dei pubblici dipendenti (art. 2, comma 2). (Trib. Genova 5/5/2008 n. 594, Est. Scotto, in Lav. nelle P.A. 2008, 633)
  • Né tale regolamentazione è irragionevole, nemmeno se confrontata con il diverso sistema previsto per l'inquadramento a regime nel profilo del DSGA, essendo tale diversa soluzione giustificata dall'esistenza di una procedura concorsuale per l'accesso al predetto profilo. (Trib. Genova 5/5/2008 n. 594, Est. Scotto, in Lav. nelle P.A. 2008, 633)
  • Non ricorrono i presupposti per farsi luogo al rinvio pregiudiziale ex art. 64 d.lgs. n. 165/2001 mancando il presupposto dell'oscurità o equivocità del contenuto della clausola contrattuale, che al contrario si presenta chiara e di facile interpretazione (principio dell'acte claire). (Trib. Genova 5/5/2008 n. 594, Est. Scotto, in Lav. nelle P.A. 2008, 633)
  • Il tenore letterale del DPR n. 275 del 1999, art. 14, che attribuisce alle istituzioni scolastiche tutte le funzioni relative alla gestione del personale con esclusione di quelle riservate all'amministrazione centrale o periferica implica la necessità di un'esplicita esclusione di attribuzione alle amministrazioni scolastiche - in materia di stato giuridico del personale - di determinate funzioni. La generale previsione del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 25, che, nell'ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, attribuisce al dirigente l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale coordinata con la ricognizione delle "competenze escluse" di cui all'art. 15 del DPR 275/99, non esclude dalle attribuzioni scolastiche taluni provvedimenti implicanti la risoluzione del rapporto di lavoro, quali la dispensa. (Cass. 8/4/2008 n. 9129, Pres. Senese Rel. Baldini, in Lav. nelle P.A. 2008, 376)  
  • L'art. 1, 218° comma, L. 23/12/05 n. 266 (Legge finanziaria per il 2006) ha natura di norma interpretativa dell'art. 8, 2° comma, L. 3/5/99 n. 124 (recante la disciplina del trasferimento del personale Ata dagli Enti locali allo Stato) ed è pertanto dotato di efficacia retroattiva. (Cass. 16/1/2008 n. 677, Pres. Ianniruberto Est. Curcurutu, in D&L 2008, con nota Sara Russi, "Ancora sulla vicenda Ata: opposte opinione in tema di trasferimento di attività", 213, e in ADL 2008, con commento di Natalia Paci, 1488) 
  • Ai sensi dell'art. 34 D.Lgs. 3/2/93 n. 29 (ora art. 31 D.Lgs. 30/3/01 n. 165) si ha trasferimento di attività solo qualora sia identificabile un elemento che, pur presentando un rilevante grado di dematerializzazione, sia ulteriore rispetto alla sola vicenda del passaggio dei rapporti di lavoro; quest'ultima ha infatti carattere neutro e non può integrare di per sé la fattispecie del trasferimento di attività, essendo configurato dalla norma di riferimento come effetto del trasferimento stesso. (Cass. 16/1/2008 n. 677, Pres. Ianniruberto Est. Curcurutu, in D&L 2008, con nota Sara Russi, "Ancora sulla vicenda Ata: opposte opinione in tema di trasferimento di attività", 213)
  • Benché l'art. 1, 218° comma, L. 23/12/05 n. 266 (L. finanziaria 2006) abbia determinato, in conseguenza del suo carattere interpretativo, una regolazione retroattiva dell'anzianità giuridica del personale Ata transitato dagli Enti locali allo Stato in senso meno favorevole a quelli precedentemente stabiliti, tale previsione non contrasta con il diritto a un equo processo sancito dall'art. 6, par. 1 Cedu sia perchè la legge interpretativa garantisce in ogni caso ai dipendenti i livelli retributivi già raggiunti, sia perchè con il predetto intervento il legislatore ha dovuto governare un'operazione di riassetto di ampia portata, sicché sussistono le pressanti ragioni di interesse generale che, secondo la giurisprudenza della Corte Europea, legittimano anche interventi retroattivi. (Cass. 16/1/2008 n. 677, Pres. Ianniruberto Est. Curcurutu, in D&L 2008, con nota Sara Russi, "Ancora sulla vicenda Ata: opposte opinione in tema di trasferimento di attività", 213)
  • Il trasferimento del personale Ata dal comparto Enti locali al Ministero dell'Istruzione costituisce trasferimento di attività e rientra nell'ambito di applicazione sia dell'art. 34 D.Lgs. 3/2/93 n. 29 (ora art. 31 D.Lgs. 30/3/01 n. 165) sia della direttiva 77/187 Ce, applicabile anche al comparto pubblico ogniqualvolta non vi sia esercizio di pubbliche funzioni. Poiché la norma comunitaria garantisce il mantenimento dei diritti in caso di trasferimento, deve essere disapplicato l'art. 1, 218° comma, L. 266/05 che tali diritti non garantisce. (Trib. Venezia 5/1/2008, Est. Bortolaso, in D&L 2008, con nota Sara Russi, "Ancora sulla vicenda Ata: opposte opinione in tema di trasferimento di attività", 213)
  • Affinché sorga il diritto del dipendente pubblico sottoposto a procedimento penale per fatti commessi nell'esercizio delle funzioni, a ottenere il rimborso delle spese di assistenza processuale - previsto per il comparto sanità dall'art. 41, DPR 20/5/87 n. 270 - è necessario che il procedimento penale si concluda con l'assoluzione e che non vi sia conflitto di interessi con l'Ente; tale ultimo requisito deve essere valutato a posteriori, rimanendo a tal fine irrilevante la costituzione dell'Amministrazione quale parte civile nel processo penale, circostanza quest'ultima inidonea a riflettersi su una obbligazione preesistente. (Corte app. Milano 14/11/2007, est. De Angelis, in D&L 2008, con nota di Roberta Maddalena Paris, "Sul diritto al rimborso delle spese giudiziali sostenute da lavoratori subordinati per le proprie difese nell'ambito di giudizi penali", 243)
  • Qualora sia provata l'esistenza del danno, il giudice può fare ricorso alla valutazione equitativa non solo quando è impossibile stimarne con precisione l'entità, ma anche quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia difficoltosa. Costituisce ius perceptum nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice che il danno arrecato da pubblici dipendenti all'immagine dell'ente (o da soggetti comunque inseriti nell'apparato organizzativo di una pubblica amministrazione) è suscettibile di valutazione patrimoniale, poiché anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta tuttavia comporta un danno sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso. (Cass. 11/5/2007 n. 10847, in Lav. nelle P.A. 2008, 618)
  • L'orientamento della Corte di Cassazione in tema di immodificabilità delle clausole del bando di concorso da parte della contrattazione collettiva successiva trova applicazione anche al pubblico impiego privatizzato, benché sia stato affermato con riferimento alla fattispecien di concorso indetto da un ente pubblico economico divenuto poi ente privato, e quindi a un datore di lavoro assoggettato alla disciplina del codice civile e alla normativa in tema di lavoro subordinato nell'impresa senza i limiti di cui al TU n. 165/2001. Anche la P.A. è tenuta al rispetto dell'obbligo di adempimento della prestazione secondo i principi della correttezza e della buona fede. (Corte app. Milano 12/4/2007, Pres. Salmeri Rel. Curcio, in Lav. nella giur. 2008, 97)
  • Il sistema di valutazione della prestazione individuale è parte integrante del sistema retributivo e di progressione in carriera e professionale del dipendente pubblico e, pertanto, considerati l'importanza della valutazione e la sua diretta connessione con le progressioni di carriera, il pubblico dipendente ha diritto di contestare le valutazioni a lui sfavorevoli e di chiedere al giudice di sindacare evidenti cattive applicazioni delle norme contrattuali e i giudizi espressi. (Corte app. Milano 12/3/2007, Pres. e Rel. Salmieri, in Lav. nella giur. 2007, 1262)
  • Ai fini dell'opzione per l'ente di appartenenza, prevista dall'art. 8 c. 2 della l. 3 maggio 1999, n. 124, in favore del personale A.T.A. degli enti locali, le cui qualifiche e i cui profili non trovino corrispondenza nei ruoli del personale A.T.A. statale, rilevano anche le previsioni, integrative della regola legale, contenute nel decreto del Ministero della Pubblica istruzione 5 aprile 2001, di recepimento dell'accordo ARAN-sindacati del 20 luglio 2000, fermo restando che per decidere della validità dell'opzione in base al criterio della corrispondenza fra qualifiche e profili il confronto fra i due sistemi di classificazione non va condotto alla stregua di criteri strettamente formali, dovendo essere valorizzato il nucleo essenziale di ciascuna delle qualifiche confrontate. (Cass. 12/3/2007, n. 5691, in Lav. nelle P.A. 2007, 556)
  • La formulazione dell'art. 7, comma 3, della L. n. 145/02 è assolutamente chiara e inequivocabile, nel senso che attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di "disciplinare l'istituzione" dell'area della vice dirigenza, il che significa che il legislatore non ha istituito direttamente, con la norma succitata, l'area della vice dirigenza, bensì ne ha demandato l'istituzione formale e la disciplina alla contrattazione collettiva, come del resto confermato dall'art. 10, comma 3, della L. n. 145/02, che stabilisce che la disciplina relativa alle disposizioni di cui all'art. 7, comma 3 resta affidata alla contrattazione collettiva, sulla base di atti di indirizzo del Ministero per la funzione pubblica all'ARAN. Non avendo ancora la contrattazione collettiva provveduto a introdurre, nell'ambito della classificazione del personale, l'area della vice dirigenza e a definirne la disciplina, non può ritenersi sussistente il diritto dei ricorrenti a essere inquadrati in un'area che, ad oggi, non esiste. (Trib. Grosseto 8/2/2007, Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2007, 1046)
  • L'art. 53, 7° comma, D.Lgs. 30/3/01 n. 165 - a norma del quale il compenso dovuto al pubblico dipendente per incarichi non previamente autorizzati deve essere versato a cura dell'erogante o, in difetto, del precettore, all'amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere destinato al fondo di produttività - non costituisce una norma prettamente sanzionatoria, nè nei confronti del dipendente (sicchè non deve essere necessariamente preceduta da contestazione) nè nei confronti del soggetto utilizzatore (che è passibile di sanzione amministrativa ex art. 53 cit., 9° comma). Qualora il soggetto erogante abbia già integralmente corrisposto gli importi al prestatore, l'Amministrazione può rivalersi direttamente su quest'ultimo. (Trib. Milano 28/12/2006, Est. Peragallo, in D&L 2007, 266)
  • Nel rapporto di lavoro privatizzato le posizioni soggettive del lavoratore, a fronte di un potere discrezionale della pubblica amministrazione, si sustanziano in legittime aspettative rispetto alle quali il criterio di valutazione della legittimità dei comportamenti del datore di lavoro sono, come nell'impiego privato, il rispetto della legge e la buona fede; pertanto, con riferimento alla domanda di trattenimento in servizio fino a 70 anni di un dirigente del SSN, è salva la buona fede dell'amministrazione che accoglie l'istanza per un periodo di tempo più breve di quello richiesto, stante la previsione in tal senso della circolare della Funzione pubblica che fornisce indicazioni sull'applicazione dell'istituto. (Trib. Catania 23/10/2006, ord., Rel. Cordio, in Lav. nella P.A. 2007, 546)
  • Con riferimento alla domanda del personale scolastico al trattenimento in servizio fino ai 70 anni ex art. 16 del D.Lgs. 503/1992, l'amministrazione  esercita un potere decisionale, rispetto al cui esercizio il lavoratore ha una posizione di mera aspettativa. Nell'ambito del periodo transitorio di cui al DL 223/2006 solo il perfezionamento dell'accettazione della domanda del lavoratore da parte dell'amministrazione, da accertarsi in base alle norme procedurali che regolabno tale accettazione (nella specie il DM del Ministro della PI n. 87 del 2005), implica la formazione del diritto al trattenimento e, quindi, comporta l'ultrattività dell'istituto. (Trib. Catania 18/12/2006, ord., Rel. Cordio, in Lav. nelle P.A. 547)
  • Gli ufficiali giudiziari, gli aiutanti ufficiali giudiziari addetti agli uffici NEP si inquadrano nella categoaria degli impiegati civili dello Stato poichè essi, quali "ausiliari dell'ordine giudiziario", godono di uno stabile inserimento nell'amministrazione giudiziaria (idoneo a escludere qualsiasi accostamento a privati cittadini esercenti pubbliche funzioni), sono equiparati agli impiegati statali agli effetti dei congedi e dell'impignorabilità ed insequestrabilità della retribuzione, delle indennità e degli assegni, sono assunti in servizio per pubblico concorso, sono assoggettati al potere di sorveglianza del presidente della Corte d'appello e del presidente del tribunale, nonchè al potere disciplinare del Ministro e sono inquadrati secondo le qualifiche e i profili professionali del pubblico impiego; nè, a tali fini, rilevano le peculiarità del loro trattamento retributivo e l'assenza dell'obbligo del rispetto di un orario predeterminato, sia perchè il complesso metodo retributivo può ritenersi assimilabile al trattamento stipendiale degli impiegati statali, sia perchè la mancata preordinazione di un orario lavorativo non influisce sulla natura subordinata e pubblica del rapporto, che, nel settore specifico, si caratterizza per standard lavorativi che, seppure cadenzati entro gli orari indicati dalla normativa processualistica per i singoli atti da compiere, non possono ugualmente - per la molteplicità e particolarità dei compiti affidati agli ufficiali giudiziari - essere assoggettati, in ragione di evidenti esigenze di efficienza del servizio, a schemi temporali fissi e generalizzati (fattispecie nella quale le sezioni unite hanno dichiarato ratione temporis la giurisdizione del giudice amministrativo sulla pretesa risarcitoria derivante dalla mancata corresponsione di compensi a titolo di indennità di trasferta, affermando che le controversie di lavoro dell'ufficiale giudiziario sono ora assoggettate alla generale disciplina regolante le controversie attinenti al lavoro pubblico c.d. "privatizzato"). (Cass. sez. un. 25/7/2006 n. 16895, Pres. carbone Est. Vidiri, in Giust. civ. 2007, 729) 
  • Il personale dipendente degli enti di ricerca e inquadrato nel profilo professionale di ricercatore ha diritto alla corresponsione dell'indennità di sede disagiata prevista dalla contrattazione collettiva, facente parte della retribuzione accessoria. (Trib. Milano 5/7/2006, Rel. Bianchini, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Tiziana Laratta, 985)
  • La previsione dell'art. 2, d.lgs. n. 165 del 2001 - secondo la quale eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che lalegge disponga espressamente in senso contrario -, che non si applica alle norme precedenti all'emanazione del d.lgs. n. 29 del 1993, introduce il principio generale che solo ove vi sia un'esplicita riserva di legge il rapporto di lavoro trova fonte regolatrice in tale normativa legale, altrimenti derogabile da norme contrattuali successivamente entrate in vigore, che possono anche derogare alla previgente disciplina legale. (Corte app. Milano 15/3/2006, Pres. Castellini Est. Curcio, in Giust. Civ. 2007, 731)
  • Fermo restando che il giudicato penale di condanna ha efficacia nel processo contabile, giusta quanto disposto dall'art. 651 c.p.p., limitatamente ai fatti materiali accertat, il giudice contabile può e deve autonomamente inquadrare tali fatti nell'ambito dell'illecito amministrativo contabile. Tra le voci di danno erariale, oggetto di sindacato del giudice contabile, vi è anche il profilo di danno sub specie iuris di danno esistenziale, insito nella lesione di un bene di rilevanza costituzionale quale appunto l'immagine della P.A. che è qualificabile quale danno-evento e non quale danno conseguenza. (La concreta quantificazione del risarcimento necessita, a questo titolo, una valutazione quitativa ex art. 1226 c.c. che è l'unica a consentire un criterio personalizzato e dunque non eguale per tutti. (Corte Conti 1/3/2006 n. 146, in Lav. nelle P.A. 2008) 
  • In materia di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’efficacia derogatoria riconosciuta al contratto collettivo rispetto alla legge (dall’art. 2, comma 2, seconda parte, d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal d.lgs. n. 80 del 1998, ora trasfuso nell’art. 2 d.lgs. n. 165 del 2001), presuppone che la legge della cui deroga si tratti non investa la fonte collettiva de compito della propria attuazione, poiché ove ciò accada viene meno il presupposto stesso di operatività della disciplina concernente la suddetta efficacia, senza che a tal fine sia necessario che la legge disponga espressamente la propria inderogabilità, diversamente da quel che deve avvenire quando la legge non disponga in alcun modo circa i propria rapporti con successive norme di fonte collettiva (nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che – in riferimento all’ipotesi di trasferimento del personale Ata dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art. 8 l. n. 124 del 1999 – aveva ritenuto legittimo il diritto al solo c.d. “maturato economico” sulla base dell’accordo Aran-organizzazioni sindacali del 20 luglio 2000, recepito con d. interm. 5 aprile 2001, riconoscendo a tale accordo la possibilità di deroga a norma di legge, prevista dal suddetto art. 2, nonostante la legge derogata, che riconosce al personale l’anzianità di servizio maturata presso l’ente di provenienza ai fini giuridici e economici, rinvii al contratto collettivo la disciplina di dettaglio. (Cass. 27/9/2005 n. 18829, Pres. Mattone Est. Curcuruto, in Giust. Civ. 2006, 531)
  • In materia di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’efficacia derogatoria riconosciuta al contratto collettivo dall’art. 2, comma 2, seconda parte, d.lgs. n. 29 del 1993, presuppone che la legge della cui deroga si tratti non investa la fonte collettiva del compito della propria attuazione, poiché in tale caso viene meno il presupposto stesso di operatività della disciplina concernente la suddetta efficacia; a tal fine, non è necessario che la legge preveda espressamente la propria inderogabilità, diversamente da quanto accade quando la legge non disponga in alcun modo circa i propri rapporti con successive norme di fonte collettiva (fattispecie in tema di mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio a personale Ata transitato nei ruoli dell’amministrazione statale). (Cass. 23/9/2005 n. 18655, Pres. Mattone Est. Curcuruto, in Giust. Civ. 2006, 205)
  • La mancanza, nel soggetto destinato ad assumere le funzioni di direttore amministrativo di un’azienda sanitaria locale, dei requisiti di pregressa esperienza professionale richiesti dall’art. 3, comma 7, d.lgs. n. 502 del 1992, comporta la nullità per contrarietà a norma imperativa del relativo contratto di lavoro; infatti, tale norma, nella sua rigidità, ha la finalità di assicurare alla struttura sanitaria dirigenti di vertice di comprovata esperienza e capacità e – attesa l’amplissima discrezionalità attribuita al direttore generale nell’individuazione dei suoi collaboratori e il ricorso allo strumento privatistico del rapporto contrattuale – solo la sanzione di nullità può ritenersi idonea ad assicurare effettività alla previsione legale (nella specie, la Suprema Corte ha cassato la decisione di merito che aveva escluso la nullità del contratto di lavoro del direttore amministrativo per la presenza di requisiti analoghi, o solo in parte corrispondenti a quelli previsti dalla legge. (Cass. 3/8/2005 n. 16281, in Giust. Civ. 2006, 673)
  • L’art. 63 D.Lgs. 165/02001 deve essere interpretato nel senso che rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo anche le controversie in materia di procedure concorsuali per la progressione verticale dei dipendenti pubblici le quali, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, devono essere aperte all’esterno e costituiscono, quindi, concorsi pubblici, a meno che la procedura selettiva non sia riservata ai dipendenti e di esclusiva fonte contrattuale, nel qual caso – e a prescindere dal problema della nullità o non delle clausole contrattuali – la giurisdizione appartiene al giudice ordinario. (Corte appello Milano 25/2/2005 Est. De Angelis, in Lav. nella giur. 2006, 101)
  • Non commette il delitto di falsità ideologica in atto pubblico di cui all’art. 479 c.p. l’impiegato comunale che ometta a timbratura del cartellino segnatempo in occasione di arbitrari e momentanei allontanamenti dall’ufficio. (Cass. 12/11/2004 n. 44288, Pres. Foscarini Est. Marini, in Dir. e prat. lav. 2005, 77)
  • Commette il delitto di falsità ideologica in atto pubblico di cui all’art. 479 c.p. il funzionario di una soprintendenza archeologica che abbia fatto timbrare il cartellino segnatempo da altri. (Cass. 20/10/2004 n. 40848, Pres. Foscarini Est. Rotella, in Dir. e prat. lav. 2005)
  • La previsione dell’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, all’evidente fine di portare alle naturali conseguenze l’armonizzazione tra le distinte discipline dei vari comparti pubblici, nonché il processo di omogeneizzazione tra impiego pubblico e lavoro privato, ha stabilito che contratti o accordi collettivi possono derogare a disposizioni di legge, regolamento o statuto, che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche. (Corte d’Appello Firenze 16/3/2004, Rel. Amato, in Lav. nelle P.A. 2004, 510)
  • Commette il delitto di truffa aggravata con danno patrimoniale della Pubblica Amministrazione consistente nella retribuzione erogata per un'attività lavorativa solo apparentemente resa il dipendente dell'amministrazione comunale che si allontani senza autorizzazione dal luogo di impiego, evadendo o eludendo gli obblighi finalizzati al controllo ed alla documentazione della prestazione lavorativa, atteso che il datore di lavoro viene così indotto in errore sull'effettivo svolgimento dell'attività dovuta dal dipendente, che comunque retribuisce; né la connivenza o addirittura il concorso da di qualche ufficiale nella condotta può configurare una sorta di consapevolezza (o implicito consenso) da parte della persona offesa (Persona giuridica pubblica) circa le assenze arbitrarie, per eliderne il tasso di decettività e la conseguente rilevanza penale. (Cass. 11/3/2004 n. 11856, Pres. Casentino Est. Fumu, in Dir. e prat. lav. 2004, 1634)
  • Commette il delitto di falsità ideologica in atto pubblico di cui all'art. 479 c.p. il funzionario di cancelleria che nei fogli di presenza del personale di un ufficio giudiziario falsamente attesti l'ora di ingresso e di uscita. (Cass. 3/3/2004 n. 9696, Pres. Foscarini Est. Marasca, in Dir. e prat. lav. 2004, 1634)
  • Nella procedura di nomina dei responsabili amministrativi del comparto scuola di cui all’art. 557 del d.lgs. n. 297/1994 occorre distinguere una fase relativa all’espletamento del concorso, che termina nel momento in cui la graduatoria è divenuta “permanente” e la fase, che iniziata – dopo tale momento – con l’utilizzazione degli esiti, ormai stabilizzati, della suddetta graduatoria, prosegue con la verifica dei requisiti (titoli di studio, anzianità e servizio di ruolo) richiesti per il conferimento di posti riservati, e termina infine, all’esito di tale verifica, con la nomina in ruolo da parte dei competenti organismi. (Cass. 3/2/2004 n. 1989, Pres. Grieco Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2004, 226)
  • Commette il delitto di truffa aggravata con effettivo danno della Pubblica Amministrazione il sanitario addetto alla guardia medica pur pagato ad ore o frazioni di ora superiori ai trenta minuti che nei fogli di presenza abbia indicato l'inizio del lavoro in ora diversa da quella effettiva, avendo iniziato il lavoro con venti minuti di ritardo. Commette il delitto di falsità ideologica in atto pubblico di cui all'art. 479 c.p. il sanitario addetto alla guardia medica che nei fogli di presenza abbia falsamente attestato l'ora di inizio del lavoro. (Cass. 23/1/2004 n. 2297, Pres. Marrone Est. Rotella, in Dir. e prat. lav. 2004, 1634)
  • È legittima – e non in contrasto il principio ex art. 97 Cost. dell’assegnazione dei pubblici uffici a mezzo di procedure concorsuali che consentano l’accesso dall’esterno – una norma regolamentare transitoria, adottata da un ente locale con il richiamo all’art. 6, comma 12, l. 15.5.97 n. 127, in virtù della quale viene bandito un concorso per la copertura di un posto unico di istruttore direttivo nel settore tecnico dell’ente medesimo, riservandolo al solo personale interno, nel caso in cui la volontà della P.A. sia quella di provvedere alla copertura di detto posto a mezzo di particolari profili o figure professionali caratterizzati da una professionalità specifica acquisita esclusivamente all’interno dell’amministrazione (alla stregua del principio è stato ritenuto legittimo il concorso per la copertura di un posto unico di istruttore direttivo nel settore tecnico  - VII qualifica – riservato in via esclusiva al personale interno dell’ente locale in possesso di quattro anni di anzianità nella qualifica immediatamente superiore, e titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto per l’accesso dall’esterno). (Cons. di Stato 18/12/2003 n. 8344, Pres. Frascione Est. Cerreto, in Lav. nelle P.A. 2004, 473)
  • In conformità agli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale, il passaggio del personale in servizio presso le P.A. ad un’area o fascia funzionale superiore deve avvenire attraverso una procedura che riveste le caratteristiche del pubblico concorso aperto, di regola, anche a candidati esterni all’amministrazione banditrice della procedura; deve pertanto ritenersi che la riserva del giudice amministrativo prevista dall’art. 63, comma 4 del d. lgs. N. 165/2001 faccia riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore. (Cass. Sez. un. 15/10/2003 n. 15403, Pres. Carbone Est. Prestipino, in Lav. nelle P.A. 2004, 471)
  • In conseguenza della privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego, gli atti di gestione del rapporto di lavoro da parte dell'amministrazione, vale a dire le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro, non sono più qualificabili in termini di atti amministrativi, ma sono atti di diritto privato, con la conseguenza che la motivazione è dovuta, come elemento essenziale della validità dell'atto, solo quando espressamente prevista dalla legge o dai contratti collettivi. (Trib. Milano 5/8/2003, Est. Porcelli, in Lav. nella giur. 2004, 406)
  • L’art. 53, c. 23, l. n. 388 del 2000 e successive modifiche e integrazioni, che consente agli enti locali di piccole dimensioni di attribuire ai “componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale”, deve essere interpretato in stretta aderenza alla sua formulazione letterale in quanto norma derogatoria del generale principio della distinzione delle competenze tra organi politici e dirigenti. Alla luce di tale interpretazione, la norma non legittima l’attribuzione agli organi di direzione politica, nominati responsabili degli uffici e dei servizi, della presidenza  delle commissioni di concorso per l’assunzione di personale. L’autonomia organizzativa riconosciuta agli enti locali dalla riforma del titolo V della Costituzione deve essere esercitata nel rispetto dei principi costituzionali in tema di organizzazione pubblica. A questa stregua la nomina a presidente di commissione di concorso di un’autorità politica risulta incompatibile con i principi di buon andamento ed imparzialità sanciti dall’art. 97, c. 1, della Costituzione. (Cons. di Stato, parere 7/5/2003, n. 2479, Pres. Ruoppolo Est. Borioni, in Lav. nelle P.A. 2004, con nota di Antonio Aurilio, 239)
  • Il dipendente pubblico non può essere collocato a riposo per raggiunti limiti di età qualora l'Amministrazione abbia autorizzato con un proprio atto-mai revocato o annullato-il suo trattenimento in servizio per un biennio ex art. 16 D. Lgs. 30/12/92 n. 503, essendo in tal caso la prosecuzione del rapporto un diritto acquisito non suscettibile di caducazione ad opera della sopravvenuta contrattazione collettiva, le cui norme, laddove prevedano l'automatica cessazione del rapporto di lavoro al compimento dell'ordinario limite di età, sono inapplicabili. (Tar Toscana 7/4/2003 n. 1364, Pres. Ed Est. Vacirca, in D&L 2003, 345)
  • Nel comparto Ministeri la graduatoria degli idonei formulata a seguito di concorso interno conserva validità-ai sensi dell'art. 3, 22° comma, L. 24/12/93 n. 537, dell'art. 20 L. 23/12/99 n. 488 e dell'art. 15 DPR 9/5/94 n. 487-per due anni ed entro tale limite temporale l'Amministrazione ha l'obbligo di attingere a detta graduatoria per la copertura dei posti vacanti; conseguentemente è illegittima l'indizione di una selezione interna per la copertura dei medesimi posti già messi a concorso, a nulla rilevando che detta modalità di progressione sia prevista dal contratto collettivo nel frattempo intervenuto. (Trib. Milano 19/3/2003, Est. Martello, in D&L 2003, 722)
  • Il dipendente pubblico che, avendo anzianità di servizio inferiore all'anno, non ha maturato il diritto all'indennità di buonuscita a carico dell'Inpdap, ha diritto al Tfr ex art. 2120 c.c., essendo a tal fine irrilevante che l'accordo quadro 29/7/99 abbia escluso detto diritto per i lavoratori assunti dopo il 1/1/96 e fino al 30/5/2000; detta norma infatti, nella parte in cui limita il diritto in questione, è nulla per contrasto con l'art. 36 Cost. Ai sensi dell'art. 64 D. Lgs. 30/3/01 n. 165, il giudice è bensì vincolato ad adottare l'interpretazione del contratto collettivo fornita dall'Aran e dalle OO.SS. a seguito di rinvio pregiudiziale, ma resta di sua esclusiva competenza lo scrutinio in ordine alla validità o meno della norma interpretata. (Trib. Prato 7/3/2003, Est. Rizzo, in D&L 2003, 750, con nota di Filippo Pirelli, "Ancora su diritto al Tfr per i dipendenti pubblici infrannuali e rinvio pregiudiziale ex art. 64 TU")
  • La L. 13/5/85 n. 190, che ha introdotto la categoria dei quadri nel sistema di classificazione dei prestatori di lavoro subordinato, trova immediata applicazione anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze della PA, non solo perché non sussistono norme che, neppure implicitamente, impediscano l'estensione di detta qualifica al pubblico impiego, ma anche perché detta immediata applicabilità trova conferma nell'art. 40, 2° comma, D. Lgs. 30/3/2001 n. 165, laddove prevede una disciplina contrattuale differenziata per i lavoratori di pubblico impiego che, pur non essendo dirigenti, si trovino in una posizione sovraordinata rispetto agli altri dipendenti; ne consegue che, sussistendone i requisiti, il lavoratore pubblico ha diritto al riconoscimento della qualifica anche in assenza di una previsione contrattuale applicativa. (Trib. Lodi 20/2/2003, Est. Giuppi, in D&L 2003, 347)
  • Le controversie inerenti le selezioni interne per c.d. "progressione verticale" rientrano nella giurisdizione dell'Ago. In ipotesi di concorso interno per c.d. "progressione verticale" il bando di concorso non può prevedere clausole contrastanti con la contrattazione collettiva nazionale (nella specie il giudice ha ritenuto che il bando alterasse l'equilibrio tra competenze meritocratiche ed esperienze professionali individuato dal Ccnl). (Trib. Milano 5/2/2003, Est. Santosuosso, in D&L 2003, 452)
  • Le controversie inerenti le selezioni interne per c.d. "progressione verticale" rientrano nella giurisdizione dell'Ago poiché il passaggio da una qualifica ad un'altra costituisce una mera vicenda modificativa del rapporto di lavoro, rispetto alla quale il bando di concorso viene a qualificarsi come atto di gestione del rapporto. (Trib. Milano 31/12/2002, Est. Peragallo, in D&L 2003, 452, con nota di Vincenza Palmieri, "La giurisdizione in materia di procedure selettive interne indette dalle pubbliche amministrazioni per la progressione verticale dei dipendenti: una questione ancora irrisolta")
  • Il sistema di delegificazione introdotto dall'art. 2 D. Lgs. 30/3/01 n. 165 stabilisce-fatte salve alcune riserve pubblicistiche per le materie dell'accesso e delle mansioni-una prevalenza della volontà collettiva rispetto alle disposizioni di legge riservate ai pubblici dipendenti, onde tali disposizioni devono sempre intendersi derogabili ad opera di successivi contratti o accordi collettivi (nella specie il giudice ha ritenuto legittimo il comportamento dell'Amministrazione che-in applicazione di un accordo collettivo-aveva indetto una procedura selettiva per la riqualificazione del personale, anziché utilizzare la graduatoria, non ancora decaduta, relativa ad un concorso già espletato). (Trib. Milano 17/6/2002, ord., Est. Marasco, in D&L 2002, 851)
  • È costituzionalmente illegittimo l’art. 12, comma 1 della l. 11.5.99 n. 140, (contenente “Norme in materia di attività produttive”), nella parte in cui prevedeva la facoltà dell’amministrazione di collocare il dirigente in possesso della qualifica di capo-servizio, conseguita mediante le procedure di legge in vigore ad una certa data, a semplice domanda, senza sottoposizione ad alcuna procedura selettiva ed indipendentemente dall’esistenza di una vacanza nella relativa pianta organica, nella qualifica immediatamente superiore con effetti giuridici ed economici decorrenti dalla data di entrata in vigore della norma, per contrasto con l’art. 97 Cost., in quanto deroga ingiustificatamente alla regola del pubblico concorso. Va ravvisata una forma di reclutamento di personale in ogni passaggio da una fascia funzionale a quella superiore che, come tale, è soggetta alla regola del pubblico concorso; quest’ultimo, in quanto meccanismo di selezione tecnica e naturale dei più capaci deve essere considerato come il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità, costituendo momento ineludibile di controllo, funzionale al miglior rendimento della pubblica amministrazione, in aderenza con i principi costituzionali. (Corte Cost. 29/5/2002 n. 218, Pres. Ruperto Rel. Capotosti, in Lav. nelle P.A. 2004, 471)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 24 e 39 Cost., degli artt. 49 e 64 del decreto n. 165/01, nella parte in cui costringono il giudice di merito ad arrestarsi di fronte ad atto dell'Aran e dei sindacati di conferma della validità di un contratto, senza che lo stesso giudice possa passare all'esame della questione di nullità proposta (Trib. Treviso 29/10/01 ordinanza, pres. e est. De Luca, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 829, con nota di Gragnoli, Questione di validità di un contratto collettivo, adozione di un atto di "conferma" e poteri del giudice di merito)
  • A seguito di interventi legislativi riformatori nel settore del pubblico impiego (nel cui ambito si colloca anche la disciplina del part-time come compiutamente delineata "anche attraverso la riscrittura delle regole relative alle incompatibilità, già poste dal decreto legislativo n. 29/93") anche ad opera dell'art. 1, comma 56, l. n. 662/93 che ha apportato "una decisiva modifica ad uno di canoni fondamentali del rapporto del pubblico impiego, e cioè quello della esclusività della prestazione" e ad opera del comma 56-bis che "ha completato il disegno legislativo disponendo l'abrogazione (e non più l'inapplicabilità) di tutte le norme che vietano ai pubblici dipendenti a part-time l'iscrizione ad albi professionali e l'esercizio di altre prestazioni di lavoro", ne è derivato un sistema che non solo non reca "pregiudizio al corretto funzionamento degli uffici", essendo anzi diretto "a privilegiare, in modo non irragionevole, il valore dell'efficienza della pubblica amministrazione", ma non compromette nemmeno i principi evocati dal rimettente a sostegno della sollevata questione. Nell'elidere il vincolo di esclusività della prestazione in favore del datore di lavoro pubblico, il legislatore, proprio per evitare eventuali conflitti di interessi, ha provveduto, infatti, a porre direttamente (ovvero ha consentito alle amministrazioni di porre) rigorosi limiti all'esercizio, da parte del dipendente che richieda il regime di part-time ridotto, di ulteriori attività lavorative e, in particolare, di quella professionale forense, che se esercitata nel rispetto di quei limiti e condizioni risulta pienamente legittima (Corte Cost. 11/6/01, n. 189, pres. Ruperto, est. Vari, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 991; in Lavoro giur. 2002, pag. 47, con nota di Mannacio, Esercizio della professione forense e rapporto di lavoro part-time preso una pubblica amministrazione)
  • L'art. 69 bis, 4° comma, D. Lgs. 3/2/93 n. 29 - a norma del quale l'Amministrazione deve nominare il proprio rappresentate nel collegio di conciliazione "qualora non accolga la richiesta del dipendente" - non comporta che in caso di mancata nomina e di conseguente impossibilità di costituzione del collegio, la richiesta del dipendente debba intendersi tacitamente accolta (Trib. Milano 12 maggio 2000, est. Salmeri, in D&L 2000, 771)
  • In base a quanto disposto dagli artt. 5, 7° comma, D. Lgs. 21/12/99 n. 517, 15 quinquies, 2° comma lett. a), b), c) e d) D. Lgs. 30/12/92 n. 502 e 72, 11° comma, L. 23/12/98 n. 448, l'Ente di appartenenza dei dirigenti sanitari che optino per l'esercizio della libera attività professionale intra moenia è tenuto a individuare le strutture aziendali all'interno delle quali deve essere esercitata l'attività medesima (o le soluzioni alternative di cui all'art. 72, 11° comma, L. 448/98 cit.), fermo restando che, nella fase di passaggio al nuovo sistema, la concreta disponibilità delle dette strutture non deve necessariamente precedere l'esercizio delle opzioni, in quanto esse vanno predisposte tenendo conto del numero effettivo di opzioni esercitate per l'attività inframuraria e delle concrete specializzazioni dei dirigenti sanitari che hanno optato (Cons. Stato, VI sez., 24 marzo 2000 n. 1431 (ord.), pres. De Roberto, est. Maruotti, in D&L 2000, 307)
  • Il pubblico dipendente che avendo anzianità di servizio inferiore a un anno non ha maturato il diritto all'indennità di buonuscita a carico dell'Inpdap, ha diritto - in applicazione all'art. 2, 5° comma, L. 8/8/95 n. 335 - alla corresponsione del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'art. 2120 c.c. (Trib. Milano 8 marzo 2000, est. Frattin, in D&L 2000, 434, n. Martignoni, Un TFR per tutti)
  • Le disposizioni di cui all'art. 4 L. 1261/65, sulla posizione e sul trattamento dei dipendenti degli enti pubblici chiamati a cariche elettive si applicano esclusivamente ai dipendenti degli enti pubblici non economici; mentre i dipendenti degli enti pubblici economici restano soggetti dell'art. 31 Stat. Lav. (per tale motivo nel caso di specie, inerente ad un giudizio promosso da un dipendente di un istituto di credito eletto deputato, i giudici di legittimità hanno ritenuto fin'anche irrilevanti le disposizioni di cui all'art. 22, 39° comma, L. 724/94, le quali, attraverso un'opera di interpretazione autentica, dispongono oggi nel senso dell'applicabilità della norma statutaria a tutti i dipendenti pubblici) (Cass. 3/11/99 n. 12258, pres. Prestipino, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 669, con nota di Caro, La disciplina applicabile al dipendente di ente pubblico economico chiamato a carica elettiva)
  • L'art. 15-quater del D. Lgs. 19/6/99 n. 229 ha collegato l'obbligo di opzione del dirigente del ruolo sanitario (medici ospedalieri) in servizio alla data del 31/12/98 per il rapporto esclusivo al mero trascorrere di 90 giorni dall'entrata in vigore del D. Lgs. stesso, escludendo quindi che la predetta opzione debba essere esercitata solo dopo l'attivazione da parte dell'ente datore di lavoro di mezzi e strutture per l'esercizio dell'attività professionale c.d. intramuraria (Trib. Genova 27 ottobre 1999 (ord.), est. Ravera, in D&L 2000, 183, n. Nespor, La lunga marcia della privatizzazione della sanità pubblica)
  • Anche per l'ente pubblico, come per l'imprenditore privato, occorre fare riferimento alla dislocazione sul territorio delle strutture oggettive attraverso le quali viene erogato il servizio, giungendo ad identificare quale "unità produttiva" l'insieme di strutture, di personale e mezzi materiali dotato di autonoma rilevanza in relazione al servizio erogato. Consegue che in tema di pubblica istruzione, ciascuna scuola costituisce "unità produttiva", in quanto destinata con compiutezza a derogare il servizio in una particolare zona del territorio comunale, al fine di soddisfare le esigenze degli utenti della zona medesima. Dovendosi pertanto valutare tale trasferimento alla luce dell'art. 2103 c.c., è evidente che nell'ordine di servizio in questione risulta assolutamente carente il requisito delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, dato che il provvedimento richiama genericamente inderogabili esigenze connesse alle nuove mansioni. Quanto al periculum in mora è sufficiente ricordare il consolidato orientamento giurisprudenziale che lo ha ritenuto sussistere in re ipsa, dato che il disagio sotto il profilo lavorativo e della dignità professionale non è suscettibile di riparazione, neppure per equivalente, nel caso del successivo riconoscimento nel merito dell'illegittimità del trasferimento. Consegue che deve essere ordinato di reintegrare la ricorrente nell'originaria sede di servizio (Trib. Chiavari 27/2/99, pres. ed est. Diomeda, in Riv. Giur. lav. 2000, pag. 57, con nota di Cottini, Trasferimento del lavoratore e autonomia dell'unità produttiva nel rapporto di pubblico impiego)