Questioni di procedura

  • L’art. 6, comma 2, L. n. 604 del 1966, nel testo modificato dall’art. 1, comma 38, L. n. 92 del 2012, deve essere interpretato, nel caso di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della L. n. 300 del 1970, e successive modifiche, nel senso che, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che, nel termine di centottanta giorni ivi previsto, venga proposto un ricorso secondo il rito di cui ai commi 48 ss. dell’art. 1 della stessa L. n. 92 del 2012 (nella fattispecie la S.C. ha di conseguenza ritenuto inidoneo a evitare l’inefficacia il deposito nel termine di un ricorso ante causam ai sensi dell’art. 700 c.p.c. (Cass. 14/7/2016 n. 14390, Pres. Macioce Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2016, 1015)
  • Lo speciale rito descritto dall’art. 1, commi da 48 a 68, l. n. 92 del 2012, ha natura sommaria ma non cautelare, sicché esso non appare astrattamente incompatibile con la procedura di cui all’art. 700 c.p.c. La tutela sommaria stabilita dal c.d. rito Fornero può essere anticipata da una tutela urgente ex art. 700 c.p.c. in presenza di un periculum qualificato, quando vengono in gioco questioni che attengono alla dignità umana e alla sopravvivenza libera e dignitosa della persona e della sua intera famiglia. (Trib. Ravenna 18/3/2013, Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Maria Dolores Ferrara, 567)
  • In assenza di specifica disciplina sul punto, non risulta possibile, nemmeno nella fase di cui al comma 49 dell’art. 1 l. n. 92 del 2012, convertire il rito (instaurato ex comma 48 art. 1 cit.) nelle forme di cui agli artt. 413 e ss. c.p.c., tale conversione è ancor più da escludersi che possa avvenire nella fase di opposizione, introdotta proprio sul presupposto che la domanda ex art. 18 Stat. Lav. sia fondata e debba essere azionata nelle forme processuali previste dalla l. n. 92 del 2012 e non con ricorso ex art. 414 c.p.c., la cui proposizione non era certo preclusa dalla dichiarazione, per ragioni di mero rito, di inammissibilità/improponibilità adottata dal Tribunale con l’ordinanza ex art. 1 comma 49 l. n. 92 del 2012. (Trib. Milano 15/2/2013 Giud. Greco, in Lav. nella giur. 2013, 525)
  • A fronte di un ricorso che abbia i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., atteso che spetta al giudice di qualificare la domanda e per il principio di conservazione degli atti processuali, resta irrilevante l’omessa indicazione della l. n. 92 del 2010 nell’atto introduttivo, dovendosi avere riguardo alla domanda e applicare il rito di cui alla l. n. 92 del 2012 tutte le volte in cui la controversia abbia a oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 Stat. Lav., in quanto deve escludersi la “facoltatività” del rito. (Trib. Reggio Calabria 6/2/2013, ord., Giud. Picari, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 373)
  • Avendo la giurisprudenza di legittimità sempre riconosciuto l’interesse ad agire del datore di lavoro, anche con azione di mero accertamento della legittimità del licenziamento, il datore di lavoro ha interesse e facoltà di instaurare il giudizio di merito rispetto al provvedimento di urgenza emesso ai sensi dell’art. 700 c.p.c., che dispone la reintegra nel posto di lavoro. (Trib. Reggio Calabria 6/2/2013, ord., Giud. Picari, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 373)
  • È ammissibile la domanda riconvenzionale del lavoratore di reintegra e risarcimento del danno ex art. 18 Stat. Lav. per l’illegittimità del licenziamento qualora il datore di lavoro chieda il giudiziale accertamento della legittimità del licenziamento intimato al dipendente, essendo il provvedimento che in luogo del rigetto della domanda statuisca l’illegittimità del recesso non affetta da vizio di ultrapetizione, atteso che il richiesto accertamento implica che sia verificata la ricorrenza dei requisiti formali e sostanziali atti a incidere sulla continuità giuridica del rapporto, quale parte integrante della tutela della situazione giuridica dedotta, e la adottata declaratoria di illegittimità riflette il risultato negativo di quella verifica. (Trib. Reggio Calabria 6/2/2013, ord., Giud. Picari, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 373)
  • La domanda riconvenzionale del lavoratore volta a ottenere la pronuncia della illegittimità del licenziamento e il riconoscimento della conseguente tutela di legge è ammissibile anche nella prima fase del cd. rito Fornero che sia stato instaurato dal datore di lavoro per il giudiziale accertamento della legittimità del licenziamento, attenendo agli stessi fatti costitutivi. (Trib. Reggio Calabria 6/2/2013, ord., Giud. Picari, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 373)
  • Laddove sia proposta la domanda con il c.d. rito Fornero ma l’oggetto del contendere non sia invia immediata “l’impugnativa di licenziamento nell’ipotesi regolate dall’art. 18 della l. n. 300/1970” come previsto dall’art. 1 comma 47 l. n. 92 del 2012, il Giudice propone il mutamento del rito assegnando alle parti dei termini per l’integrazione dei rispettivi atti. (Trib. Palermo 15/1/2013, Giud. Barone, in Lav. nella giur. 2013, 526)
  • La riforma Fornero non ha inciso sull’orientamento giurisprudenziale di legittimità che ha sempre affermato l’interesse ad agire, con azione di mero accertamento, da parte del datore di lavoro ogni qualvolta ricorra una pregiudizievole situazione di incertezza relativa a diritti o rapporti giuridici, la quale, anche con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato, non sia eliminabile senza l’intervento del giudice, sicché è ammissibile la domanda del datore di lavoro diretta all’accertamento della legittimità del licenziamento, ancorché questo risulti essere già stato impugnato dal lavoratore con l’instaurazione di un precedente giudizio. (Trib. Genova 9/1/2013, ord., Giud. Ravera, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 367)
  • Il rito Fornero non è finalizzato alla reintegrazione o a evitare risarcimenti lievitanti nel tempo, ma a dare pronta certezza proprio ai rapporti di lavoro anche dove l’azienda per la fattispecie solutoria può da subito prevedere l’entità del risarcimento non destinato a crescere nel tempo per effetto della durata del processo. (Trib. Genova 9/1/2013, ord., Giud. Ravera, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 367)
  • La chiarezza della disposizione “procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione” delle controversie in materia di licenziamenti e la sua collocazione all’inizio dell’art. 1, indicano che ogni volta che l’interpretazione letterale o sistematica del testo possa dare luogo a più soluzioni, bisognerà privilegiare quella che risponde meglio alla finalità della normativa. (Trib. Genova 9/1/2013, ord., Giud. Ravera, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 367)
  • L’esecutività dell’ordinanza che chiude la fase sommaria vale anche per l’ordinanza di rigetto del ricorso introdotto dal lavoratore e quindi tale esecutività non è finalizzata alla stabilità della reintegra ma a dare certezza al complessivo rapporto di lavoro, secondo la ratio di fondo del nuovo rito processuale. (Trib. Genova 9/1/2013, ord., Giud. Ravera, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 367)
  • L’azione proposta dal lavoratore non è tecnicamente una impugnativa di licenziamento ma una azione di accertamento negativo della sua legittimità, con conseguente domanda di reintegra e di risarcimento del danno, così come specularmente, l’azione proposta dal datore di lavoro, è un’azione di accertamento positivo della sua legittimità e implicita (e consequenziale) domanda che il lavoratore non ha diritto alla reintegra e al risarcimento. (Trib. Genova 9/1/2013, ord., Giud. Ravera, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 367)
  • Il rito c.d. Fornero è obbligatorio per entrambe le parti e deve trovare applicazione per tutte le controversie nelle quali si discuta della legittimità di un licenziamento venga richiesta o meno l’applicazione dell’art. 18 l. n. 300 del 1970 come modificato: il rito non è infatti funzionale alla reintegrazione ma alla certezzadei rapporti cui deve pervenirsi per mezzo della celerità del rito. (Trib. Genova 9/1/2013, ord., Giud. Ravera, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 367)
  • In ogni caso sussiste un interesse concreto e attuale del datore di lavoro che riceve una richiesta di costituzione del collegio di conciliazione e arbitrato previsto dall’art. 7 l. n. 300 del 1970 ad agire in prevenzione, operando così il trasferimento della sede arbitrale a quella giudiziale. (Trib. Genova 9/1/2013, ord., Giud. Ravera, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Alberto Piccinini, 367)
  • Il nuovo speciale procedimento ex l. n. 92 del 2012 dovrà essere attivato dal giudice ogni qual volta, impugnando il licenziamento, l’attore chieda la reintegra, salvo che si tratti di prospettazione palesemente strumentale, abnorme, errata. Qualora invece tali situazioni limite non ricorrano, il giudice aprirà il nuovo procedimento; se poi, nel contraddittorio tra le parti ma in limine litis (ossia prima della trattazione istruttoria), egli rileverà che non ricorrono i presupposti della reintegra, si pronunzierà immediatamente, o dichiarando inammissibile la domanda o disponendo il mutamento di rito ex art. 4 d.lgs. n. 150 del 2011 (ovvero ex artt. 426 s., c.p.c.). Se, invece, l’insussistenza del requisito dimensionale per la reintegra emergerà a seguito dell’istruttoria (ricordando che l’onere grava sul datore di lavoro), pare preferibile che il giudice si pronunci ormai nel merito. (Trib. La Spezia 7/1/2013, Giud. Panico, in Lav. nella giur. 2013, 313)
  • Con il ricorso ex art. 1, commi 47 ss. l. n. 92 del 2012 non possono essere proposte domande diverse da quelle di impugnativa del licenziamento e di tutela ex art. 18 Stat. Lav. novellato (comma 48), salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi. Nel caso di errore nella scelta del rito che emerga sin dall’atto introduttivo del giudizio deve, pertanto, emettersi un provvedimento con il quale si disponga la conversione del rito, assegnando un termine per la regolarizzazione degli atti, in aderenza al principio di conservazione degli atti. Devono viceversa essere dichiarate inammissibili le domande riconvenzionali, anche se fondate su fatti costitutivi identici, non essendo prevista nella fase sommaria la possibilità della loro proposizione, trattandosi di determinazione legislativa chiaramente connessa alle esigenze di celerità che la caratterizzano. (Trib. Taranto 30/11/2012, Giud. Magazzino, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Simona Santaroni, 587)
  • Caratteristica fondamentale del nuovo procedimento risiede nel fatto che, per le controversie alle quali esso è applicabile, il rito di cui all’art. 1 l. n. 92 del 2012 costituisce l’unica modalità di esercizio dell’azione giudizile. In altri termini, non è concessa alla parte interessata la facoltà di scelta tra l’ordinario rito del lavoro di cui al codice di procedura civile e quello introdotto dal legislatore del 2012, essendo il ricorrente tenuto a seguire questo secondo. (Trib. Roma 28/11/2012, Giud. Sordi, in Lav. nella giur. 2013, 314, e in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Giovanna Pacchiana Parravicini, “Il rito Fornero: un labirinto senza uscita?”, 288)
  • L’individuazione delle controversie soggette al rito speciale si deve procedere senza alcun riguardo alla circostanza che i licenziamenti che vi hanno dato origine siano poi in concreto assoggettati alla disciplina contenuta nella nuova versione dell’art. 17 St. lav: quest’ultima, infatti, si applicherà ratione temporis solo ai licenziamenti a far data dal 18 luglio 2012, mentre – secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 67 l. n. 92 del 2012 – il nuovo rito si applica alle “controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”. (Trib. Roma 31/10/2012, Giud. Pucci, in Lav. nella giur. 2013, 315)
  • Nel caso in cui il ricorrente chieda l’accertamento del suo diritto a essere reintegrato presso un datore di lavoro diverso da quello da cui lo stesso era stato formalmente assunto, la controversia non rientra tra quelle ricomprese nel nuovi rito di cui all’art. 1 comma 47 ss. l. n. 92 del 2012, disciplina da interpretarsi restrittivamente e che non tollera indagini istruttorie incompatibili con la natura sommaria del procedimento; la conseguente inammissibilità del ricorso non rileva ai fini della configurabilità di una causa di decadenza ex art. 32 l. n. 183/2010, al qual fine rileva soltanto la data del deposito del ricorso presso la cancelleria del Tribunale funzionalmente e territorialmente competente. (Trib. Milano 23/10/2012, ord., in Lav. nella giur. 2013, con commento di Filippo Maria Giorgi, 928)
  • Le controversie di cui all’art. 1, comma 47 e 48 l. n. 92/2012 si caratterizzano per l’identità del rapporto di lavoro dedotto in giudizio con quello per cui si chiede la tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18 St. lav. con conseguente esclusione, a titolo esemplificativo, di tutte le domande, anche preliminari e incidentali, relative all’accertamento della costituzione di diversi e ulteriori rapporti di lavoro con soggetti terzi rispetto al formale datore di lavoro. L’accertamento di un rapporto di lavoro diverso da quello dedotto in causa richiede, infatti, un’indagine istruttoria che appare incompatibile con la sommatorietà del rito di cui all’art. 1 comma 48 L. 92/2012 e, pertanto, la relativa domanda è inammissibile. (Trib. Milano 25/10/2012, ord., Giud. Scarzella, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Aldo Bottini, “Il nuovo processo per l’impugnazione dei licenziamenti: obbligatorietà e selezione all’ingresso”, 1086)
  • L’applicabilità del rito sommario ex art. 1, comma 47 e ss. l. n. 92/2012 è retta, al pari della competenza, dal principio della prospettazione, fatti salvi i casi in cui la prospettazione offerta dalla parte ricorrente appaia prima facie artificiosa e volta al solo fine di sottrarre la cognizione della causa al giudice predeterminato per legge. Il rito rimane legato al petitum a prescindere dalle evoluzioni di quest’ultimo nel corso del processo. (Trib. Napoli 16/10/2012, ord., Giud. Picciotti, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Aldo Bottini, “Il nuovo processo per l’impugnazione dei licenziamenti: obbligatorietà e selezione all’ingresso”, 1085)
  • Nel caso in cui il lavoratore, con ricorso ex art. 1, comma 47 e ss. l. n. 92/2012, denunzi l’esistenza di un organico sufficiente all’applicazione dell’art. 18 St. Lav. o chieda l’applicazione dell’art. 18 deducendo trattarsi di licenziamento vietato o inefficace per difetto di forma, il nuovo rito sommario sarà applicabile e l’eventuale domanda subordinata di tutela debole (ex art. 8 della legge n. 604/1966) rientrerà per trascinamento nel rito speciale. (Trib. Napoli 16/10/2012, ord., Giud. Picciotti, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Aldo Bottini, “Il nuovo processo per l’impugnazione dei licenziamenti: obbligatorietà e selezione all’ingresso”, 1085)
  • La lettura costituzionalmente orientata dell’espressione “questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro” utilizzata dal legislatore, impone di considerare rientranti tra dette questioni e quindi ammissibili ex art. 1, comma 47 e ss. l. n. 92/2012 anche le questioni nelle quali è in contestazione tra le parti l’esistenza di un qualunque vincolo sinallagmatico, nonché le ipotesi in cui è richiesto l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello che formalmente ha rivestito tale posizione nel sinallagma contrattuale, ovverosia la fattispecie della interposizione fittizia di manodopera. L’accertamento sulle domande “relative alla qualificazione del rapporto di lavoro” deve arrestarsi a ciò che è necessario e sufficiente a reggere la domanda principale (l’impugnazione del licenziamento), essendo a questa pregiudiziali e non assurgendo ad autonomo capo di domanda. (Trib. Napoli 16/10/2012, ord., Giud. Picciotti, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Aldo Bottini, “Il nuovo processo per l’impugnazione dei licenziamenti: obbligatorietà e selezione all’ingresso”, 1085)
  • Le domande ultronee che non trovano spazio nell’ambito di applicazione del nuovo processo sommario ex art. 1, comma 47 e ss., l. n. 92/2012 devono esere dichiarate improponibili in rito, con pronuncia che non incide sulla riproponibilità delle stesse con ricorso ordinario. (Trib. Napoli 16/10/2012, ord., Giud. Picciotti, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Aldo Bottini, “Il nuovo processo per l’impugnazione dei licenziamenti: obbligatorietà e selezione all’ingresso”, 1085)
  • L’impugnativa di licenziamento con richiesta di applicazione dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, depositata dopo il 18 luglio 2012, va trattata con il procedimento sommario previsto dall’art. 1, commi 48 ss. l. n. 92 del 2012, nel quale tuttavia non possono essere formulate domande diverse dall’impugnativa predetta limitatamente alle ipotesi regolate dal citato art. 18, a meno che siano “fondate sugli identici fatti costitutivi”; con l’effetto che, ove proposte, dette domande devono essere dichiarate inammissiili. (Nella specie, il Tribunale di Palermo ha dichiarato inammissibili le domande relative a mansioni superiori e pagamento di differenze retributive, anche in relazione a un inizio anticipato del rapporto rispetto alla sua regolarizzazione, nonché quelle di accertamento della temporanea sospensione degli effetti dell’intimazione di licenziamento fatta al lavoratore in malattia, in concreta rivolta al pagamento di retribuzioni sino all’effettiva cessazione del rapporto al termine della malattia, e di condanna al pagamento dell’indennità di malattia per il medesimo periodo spiegata nei confronti dell’INPS). (Trib. Palermo 15/10/2012, Giud. Marino, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Simona Santaroni, 591)
  • In caso di licenziamento illegittimo, benché l’aliunde perceptum non integri un’eccezione in senso stretto e, pertanto, sia rilevabile dal giudice anche in assenza di un’eccezione di parte in tal senso, ovvero in presenza di un’eccezione intempestiva, è comunque necessario che la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo, anche, eventualmente, per iniziativa del lavoratore e non del datore di lavoro. (Trib. Prato 11/4/2012, Est. Consani, in D&L 2012, con nota di Andrea Ranfagni, “Apprendistato: natura, conseguenze sanzionatorie, onere della prova e ricostruzione del rapporto”, 470)
  • Nel rito del lavoro, caratterizzato da una rigida disciplina della fase introduttiva, integra una vera e propria “mutatio libelli”, come tale non consentita, la formulazione di una domanda che, ad integrazione di quella originariamente proposta, concernente la sola declaratoria di illegittimità di un licenziamento, abbia ad oggetto l’applicazione della tutela reale di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, atteso che essa implica non solo un mutamento del “petitum” ma anche della “causa petendi”, in quanto l’applicabilità della tutela reale presuppone, in particolare, la sussistenza di un determinato requisito dimensionale la cui valutazione da parte del giudice comporta l’inserimento nel processo dell’allegazione di un fatto costitutivo precedentemente non dedotto. (Cass. 28/7/2005 n. 15781, Pres. Carbone Rel. Elefante, in Dir. e prat. lav. 2006, 404)
  • Il lavoratore che deduca con il ricorso introduttivo l’illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa non può far valere successivamente nel corso del giudizio (con le note autorizzate prima dell’udienza di discussione, come nella specie) la nullità per l’inosservanza della procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare, in quanto tale ulteriore prospettazione costituisce domanda nuova, trattandosi di una diversa “causa petendi”, con l’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione. La preclusione posta dall’art. 414 c.p.c. non può essere superata, né ritenendo riconducibili i passaggi procedurali richiesti dall’art. 7 cit. a requisiti formali, come tali sussumibili nelle generiche censure di ordine formale contenute nel ricorso, atteso che la prospettazione di detti profili implica l’allegazione di fatti nuovi; né dall’acquiescenza o dall’accettazione del contraddittorio della controparte, stante le esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento del processo poste a fondamento della disciplina della fase introduttiva del giudizio. (Cass. 20/4/2005 n. 8264, Pres. Miani Canevari Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2005, 2107)
  • Nell’ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o risoluzione per mutuo consenso) si impone una indagine accurata da parte del giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie, in relazione anche all'esigenza di rispettare non solo il primo comma dell'art. 2697 c.c., relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell’eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere della controparte; regola che deve ritenersi violata nel senso di rigetto della domanda basato in sostanza sulla valorizzazione dell’ipotesi di mutuo consenso, privilegiata solo per la ritenuta insufficienza della prova del licenziamento. (Nella specie, la Corte Cass. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda del lavoratore, ritenendo non sufficiente la prova del licenziamento orale e valorizzando l’eccezione – peraltro irrituale – del mutuo consenso, dando rilievo a fatti irrilevanti, quali la quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore nel riscuotere la liquidazione del tfr, il lungo tempo trascorso tra il licenziamento e la proposizione della domanda giudiziale, il reperimento di una nuova occupazione). (Cass. 18/3/2005 n. 5918, Pres. Ciciretti Rel. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2005, 1634)
  • L’illegittimità del licenziamento non può essere parte di un giudizio motivato con riferimento a circostanze, per quanto analoghe, emerse dal processo ma diverse da quelle originariamente contestate al lavoratore. (Cass. 12/1/2005 n. 428, Pres. Ciciretti Rel. Lupi, in Dir. e prat. lav. 2005, 1414)
  • Ove il lavoratore impugni il licenziamento ed agisca in giudizio deducendo il difetto di giusta causa o giustificato motivo, l’eventuale motivo discriminatorio o ritorsivo, pur ricavabile da circostanze di fatto allegate, integra un ulteriore, e non già compreso, motivo di illegittimità del recesso, come tale non rilevabile d’ufficio dal giudice e neppure configurabile come mera diversa qualificazione giuridica della domanda. (Nella specie la Corte ha respinto il motivo di ricorso in base al quale la lavoratrice aveva lamentato che il giudice di appello, anziché ritenere domanda nuova quella volta a dedurre il carattere ritorsivo del licenziamento, avrebbe dovuto accogliere la domanda stessa, seppure sulla base di una norma giuridica diversa da quella prospettata, considerato che nel ricorso introduttivo erano comunque stati indicati i fatti che dimostravano quel carattere). (Cass. 21/12/2004, Pres. Ciciretti Rel. La Terza , in Dir. e prat. lav. 2005, 1249)
  • Incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. la decisione di merito che addivenga all’accoglimento della domanda di annullamento del licenziamento, rilevando d’ufficio l’irrituale esperimento della procedura di licenziamento collettivo, per nulla invocato dall’originario ricorrente. (Nella specie il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per carenza del giustificato motivo oggettivo e il datore di lavoro aveva sostenuto che si trattava di licenziamento collettivo. La corte di appello, aderendo alla tesi del licenziamento collettivo, lo aveva, tuttavia, dichiarato inefficace per violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, emettendo, in tal modo, una statuizione basata su elementi fattuali non allegati. (Cass. 20/12/2004 n. 23611, Pres. Ciciretti Rel. La Terza , in Lav. nella giur. 2005, 484)
  • In tema di licenziamento individuale per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, il giudizio sulla proporzionalità o adeguatezza tra fatto addebitato e sanzione è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato sul punto la decisione di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un avvocato interno all’ufficio legale di un’azienda al quale era stato addebitato di aver trattenuto, oltre all’importo delle proprie competenze, la somma capitale di lire 722.000, rimessagli nel giugno 1986 dal legale di un debitore dell’azienda). (Cass. 7/4/2004 n. 6823, Pres. Senese Rel. Celentano, in Dir. e prat. lav. 2004, 2534)
  • In un giudizio di impugnazione di licenziamento illegittimo il datore di lavoro non può allegare e provare per la prima volta in appello l'intervenuta cessazione dell'attività aziendale, ostativa alla liquidazione dei danni maturati successivamente a tale cessazione. (Cass. 20/12/2002, n. 18194, Pres. Prestipino, Est. Foglio, in Foro it. 2003 parte prima, 1516, con nota di Renato Oriani, "Il principio di non contestazione comporta l'improponibilità in appello di eccezioni in tal senso?")
  • Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, fondandosi sui fatti dedotti in giudizio dal ricorrente, dichiari il carattere ritorsivo e discriminatorio del licenziamento, pur in mancanza di un espresso richiamato all'art. 3 L. 11/5/90 n. 108 nel ricorso introduttivo. (Trib. Agrigento 11/6/2002, ord., Pres. D'Angelo Est. Occhipinti, in D&L 2002, 712, con nota di Massimo Aragiusto, "Buona fede nell'esecuzione del contratto di lavoro e nullità del licenziamento")
  • In caso di impugnazione di licenziamento il giudice ha potere di qualificare l'azione in relazione al concreto svilupparsi della fattispecie portata al suo vaglio (indipendentemente dalla prospettazione giuridica della parte) a condizione che la domanda possa ritenersi tacitamente proposta e virtualmente contenuta nell'istanza introduttiva del giudizio e che, con particolare riguardo al petitum ed alla causa petendi, si trovi in rapporto di necessaria connessione con l'oggetto della lite. (Cass. 21/1/2002 n. 572, Pres. Sciarelli Est. Mileo, in D&L 2002, 426, con nota di Roberto Muggia, "Licenziamento per comporto ed impossibilità della prestazione")
  • Non vi è periculum in mora qualora al lavoratore licenziato sia stata accreditata una somma di denaro (a titolo di competenze di fine rapporto) sufficiente a garantire le esigenze economiche familiari per più di un anno, né vi sarebbe periculum in mora se il ricorrente restituisse la somma erogatagli, perché così facendo aggraverebbe deliberatamente la propria posizione economica e la procedura d'urgenza non appare accoglibile a favore di chi si pone consapevolmente in condizioni di pericolo (Trib. Padova 8/5/01 ordinanza, pres. e est. Balletti, in Lavoro giur. 2001, pag. 853, con nota di Spolverato, Licenziamento e tutela d'urgenza)
  • Non può ritenersi sussistente il requisito del periculum in mora richiesto per la proposizione del procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., quando per l'inattività del ricorrente sia decorso un periodo di tempo eccessivo dalla comunicazione del licenziamento al momento della introduzione del giudizio cautelare (nella specie, cinque mesi) (Trib. Milano 18/9/00, est. Sala, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 786)
  • Sia la nozione di giusta causa sia quella di giustificato motivo di licenziamento rappresentano una specificazione, con riguardo la potere di recedere dal rapporto attribuito al datore di lavoro, della regola generale secondo cui l'inadempimento di una parte di un contratto sinallagmatico si pone in contrasto con la funzione del contratto medesimo solo se supera la soglia della non scarsa importanza avuto riguardo all'interesse dell'altra (art. 1455 c.c.). Ne discende che non si è in presenza di una clausola generale che richieda una attività di integrazione da parte del giudice idonea a dare concretezza al precetto normativo e, come tale denunziabile direttamente in Cassazione sotto il profilo della violazione di legge, ma di un tipico giudizio di fatto rimesso al giudice di merito, con esclusivo riferimento alla concreta fattispecie contrattuale e alle obbligazioni che ne discendono. Pertanto, va cassata per insufficienza e contraddittorietà della motivazione, la sentenza che abbia escluso la legittimità del licenziamento disciplinare comminato al lavoratore per utilizzo di espressioni offensive sulla base della sola valutazione dei livelli culturali e delle abitudini lessicali del lavoratore e per gli altri addetti all'azienda (Cass. 19/6/00, n. 8313, pres. Prestipino, est. Picone, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 1099)
  • Nel caso di impugnazione di un licenziamento con richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro, incombe al lavoratore il solo onere di allegare e provare l'esistenza del rapporto di lavoro e del licenziamento (Cass. 3/4/00, n. 4038, pres. De Musis, est. Celentano, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 591, con nota di Cattani, Interpretazione della domanda giudiziale, possibili vizi e onere della prova nell'impugnazione del licenziamento)
  • Il ricorso proposto ai sensi dell'art. 700 c.p.c. avente ad oggetto un licenziamento può essere ammesso in quanto sia suffragato da specifiche dettagliate e dimostrate ragioni d'urgenza, ulteriori rispetto a quella rappresentata dalla natura della causa, che giustifichino l'utilizzazione della misura cautelare in luogo dello speciale rito del lavoro; in particolare, il pregiudizio economico, derivante dalla perdita della retribuzione a seguito di un licenziamento, essendo per sua natura risarcibile, è privo del carattere della irreparabilità, potendo concretare un pregiudizio imminente ed irreparabile in quanto la retribuzione costituisca l'unica fonte di sostentamento per il lavoratore e per la sua famiglia (Trib. Roma 2/3/00, est. Delle Donne, in Lavoro giur. 2001, pag. 773, con nota di Menegatti, I provvedimenti d'urgenza nel processo del lavoro: limiti, contenuto e presupposti)
  • Il lavoratore che agisce in giudizio per conseguire i rimedi contro il licenziamento illegittimo ha l'onere di provare l'esistenza del licenziamento, spettando al datore di lavoro provare la giusta causa o il giustificato motivo. Tuttavia, il datore di lavoro che neghi il licenziamento e affermi l'esistenza di dimissioni del lavoratore ha l'onere di provare queste ultime (Cass. 25/2/00, n. 2162, pres. Lanni, est. Roselli, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 162, con nota di Ponari, Contrasto sulle modalità di cessazione del rapporto di lavoro e onere della prova: la Cassazione muta orientamento. In senso conforme, v. Cass. 13/4/00, n. 4760, pres. Mercurio, est. Servello, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 166, con nota di Caro, La ripartizione dell'onere della prova dell'estinzione del rapporto di lavoro, in assenza di dichiarazioni negoziali scritte)
  • Il giudizio di valore sulla legittimità del licenziamento, espresso dal giudice di merito, è censurabile in Cassazione allorché si ponga in contrasto con i principi propri dell’ordinamento lavoristico, come individuati in attuazione della funzione nomofilattica propria della Corte di Cassazione e con quegli standard valutativi, propri di un certo contesto sociale, ma che devono tenersi nell’ambito dei predetti "principi cornice" realizzando globalmente il diritto vivente e nel campo del lavoro la cosiddetta "civiltà del lavoro" (Cass. 13/4/99 n. 3645, pres. Pontrandolfi, est. Guglielmucci, in D&L 1999, 657, n. Muggia, Giusta causa di licenziamento e <>)
  • Sono irreparabili i danni derivanti dalla perdita del posto di lavoro per licenziamento illegittimo, in considerazione, in particolare, del loro profilo non patrimoniale con conseguente necessità di procedere alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro in via provvisoria e urgente (Pret. Milano 21/12/94, est. Santosuosso, in D&L 1995, 578. In senso conforme, v. Pret. Milano 13/3/95, est. Atanasio, in D&L 1995, 581; Pret. Milano 31/1/95, est. Peragallo, in D&L 1995, 583)
  • Le controversie di lavoro relative all'impugnativa di licenziamento sfuggono alla vis attractiva del Tribunale fallimentare, e restano attratte dalla competenza funzionale del giudice del lavoro (Pret. Milano 27/9/94, est. Peragallo, in D&L 1995, 421, nota QUATTROMINI)
  • In ipotesi di impugnativa di licenziamento il lavoratore ha soltanto l'onere di allegare e provare l'esistenza del rapporto di lavoro e l'evento del licenziamento con determinate modalità, mentre spetta esclusivamente al datore di lavoro comprovare i fatti che hanno determinato la risoluzione del rapporto di lavoro (Cass. 27/6/94 n. 6172, pres. De Rosa, est. Picone, in D&L 1995, 429)