In genere

  • Qualora un avviso di selezione del personale di una società concessionaria di trasporti pubblici preveda il requisito della cittadinanza italiana, lo straniero può proporre l'azione civile contro la discriminazione ex art. 44 TU immigrazione anche qualora non abbia effettivamente presentato domanda di assunzione, giacché la lesione del diritto alla parità di trattamento - e, conseguentemente, la sussistenza dell'interesse ad agire - deriva già dalla previsione di detto requisito. (Trib. Milano 20/7/2009, ord., pres. Sala Est. Gasparini, in D&L 2009, con nota di Laura Curcio, "Azione civile antidiscriminatoria e interesse ad agire", 669)
  • Costituisce atto discriminatorio e deve pertanto essere rimosso, la previsione del requisito della cittadinanza italiana o comunitaria in un bando di selezione per l'assunzione in un'azienda concessionaria di pubblici trasporti; infatti l'art. 10, 1° comma, n. 1 RD 8/1/31 n. 148, che detto requisito prevede, deve ritenersi incompatibile (e dunque implicitamente abrogato) con le successive disposizioni nazionali, internazionali e comunitarie che hanno sancito il principio di parità di trattamento tra italiani e stranieri nell'accesso al lavoro, salve solo le attività per le quali la riserva ai cittadini sia funzionale alla tutela dell'interesse nazionale. (Trib. Milano 20/7/2009, ord., pres. Sala Est. Gasparini, in D&L 2009, con nota di Laura Curcio, "Azione civile antidiscriminatoria e interesse ad agire", 669)
  • Qualora un avviso di selezione del personale di una società concessionaria di trasporti pubblici preveda il requisito della cittadinanza italiana, chi intenda contestare tale requisito proponendo il ricorso ex art. 44 TU immigrazione deve preventivamente presentare domanda di assunzione, giacché in assenza di tale domanda non può ritenersi sussistente un interesse concreto d agire in giudizio. (Trib. Milano 17/6/2009, ord., Est. Mennuni, in D&L 2009, con nota di Laura Curcio, "Azione civile antidiscriminatoria e interesse ad agire", 669)
  • Le associazioni di cui all'art. 5 D.Lgs. 9/7/03 n. 215 non hanno legittimazione a promuovere un giudizio avverso le discriminazioni in assenza di delega rilasciata dal soggetto vittima di discriminazione. (Trib. Milano 17/6/2009, ord., Est. Mennuni, in D&L 2009, con nota di Laura Curcio, "Azione civile antidiscriminatoria e interesse ad agire", 669)
  • Il principio di parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti, di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 286 del 1998, comporta il riconoscimento della natura discriminatoria dell'esclusione da un concorso pubblico per mancanza del requisito della cittadinanza italiana dello straniero in possesso di regolare permesso di soggiorno. (Trib. Perugia 29/9/2006, ord., Rel. Criscuolo, in ADL 2007, con nota di Anna Montanari, "La parità di trattamento tra lavoratori italiani ed extracomunitari nell'accesso al pubblico impiego", 206)
  • I minori hanno diritto, a parità di lavoro, ad un trattamento economico pari a quello che sarebbe corrisposto ad un lavoratore maggiorenne anche se hanno compiuto il diciottesimo anno di età ma entro il vecchio limite del ventunesimo anno. (Cass. 23/12/2004 n. 23898, Pres. Mercurio Rel. Amoroso, in Dir. e prat. lav. 2005, 1360)
  • Non esiste nell’impiego privato un principio di parità di trattamento, tale per cui a parità di lavoro debba corrispondere anche parità di retribuzione ovvero di inquadramento, ben potendo il datore di lavoro –pur rispettando per tutti i limiti minimi garantiti dalla legge o dalla contrattazione collettiva- accordare a taluni lavoratori trattamenti di miglior favore. (Trib. Rovigo 2/4/2004, Est. Materia, in Lav. nella giur. 2004, 808)
  • Premesso che non esiste nell'ordinamento un generale principio di parità di trattamento, il giudice di merito, quando debba fare applicazione di una disposizione di un contratto collettivo la cui interpretazione non sia contestata dalle parti, non può sindacare la clausola stessa, operando su di essa un intervento di tipo "manipolativo", ed estendere le previsioni in essa contenuta ad altri lavoratori in forza del principio di parità di trattamento, giacchè ciò significherebbe abilitare il giudice a sostituirsi alle parti sociali e consentirgli, sulla base di personali valutazioni, di rompere l'equilibrio che dette parti hanno raggiunto con le scelte compiute. Ove poi la clausola in questione dovesse essere disapplicata, perché ritenuta contrastante con norme imperative di legge, la conseguenza non potrebbe essere quella della estensione del trattamento più vantaggioso ai lavoratori meno favoriti, ma l'annullamento della norma nei confronti dei destinatari della stessa e cioè di quelli discriminati in "bonam partem". (Cass. 2/12/2003 n. 18418, Pres. Mattone Rel. Celentano, in Dir. e prat. lav. 2004, 827)
  • La circostanza che compiti identici a quelli svolti dal lavoratore aspirante alla qualifica di dirigente siano stati in precedenza assegnati a lavoratori con la detta qualifica non è decisiva ai fini del riconoscimento del diritto al superiore inquadramento (Cass. Sez. lav., 17/2/94, n. 1530). Ciò perché nell'ambito delle imprese private non vige il principio di parità di trattamento (Cass. S.U., 29/5/93, n. 6030; Cass. S.U., 17/5/96, n. 4570) e perché la qualifica del predecessore può essere stata impropriamente attribuita dal datore di lavoro (Cass. 12/2/02, n. 1985, pres. Prestipino, est. Roselli, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 564, con nota di Canali De Rossi, Rivendicazione di qualifica dirigenziale e caratteristiche della funzione. Non vigenza del principio di parità di trattamento) 
  • La direttiva del Consiglio 9/2/76, 76/207/Cee, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, osta all’applicazione di norme nazionali , come quelle del diritto tedesco, che escludono in generale le donne dagli impieghi militari comportanti l’uso di armi e che ne autorizzano l’accesso soltanto ai servizi di sanità e alle formazioni di musica militare (Corte giustizia Comunità europee 11/1/00, C-285/98, pres. Iglesias, in Mass. giur. lav. 2000, pag. 358, con nota di Gottardi, La corte di Giustizia ancora alle prese con la parità di trattamento. L’accesso delle donne agli impieghi militari)
  • Costituisce discriminazione basata sul sesso ed è pertanto illegittima ai sensi della direttiva del Consiglio 9/2/76 n.76/207/Cee, il comportamento del datore di lavoro che, dopo la cessazione del rapporto di lavoro di una dipendente, rifiuti di firmare referenze come reazione a un’azione giudiziaria proposta dalla dipendente stessa al fine di far rispettare il principio di parità di trattamento tra uomini e donne (Corte di Giustizia delle Comunità Europee 22/9/98, causa C-185/97, in D&L 1998, 903) 
  • Costituisce discriminazione fondata sul sesso ai sensi dell’art. 2, n. 1 e dell’art. 5 n.1 della direttiva del Consiglio 76/207/Cee – relativa all’attuazione della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali, e le condizioni di lavoro – il licenziamento di una lavoratrice motivato dalle assenze dovute a una malattia che trova la sua ragione nella gravidanza, quand’anche il licenziamento sia intimato al di fuori del periodo di congedo (Corte di Giustizia delle Comunità Europee 30/6/98, causa C-394/96, in D&L 1998, 897, nota Paganuzzi, Malattie connesse alla gravidanza e comporto
  • Qualora sia statisticamente rilevabile una presenza maggioritaria delle lavoratrici nell’ambito dei lavori a tempo frazionato (c.d. job sharing) costituisce discriminazione sessuale – ed è pertanto in contrasto con l’art. 119 del Trattato Ce e con la direttiva 10/2/75 n.75/117/Cee – l’attribuzione di incrementi retributivi basati su un calcolo dell’anzianità differenziato per i lavoratori a tempo pieno e per quelli a tempo frazionato, salvo che tale differenziazione non sia giustificata da ragioni obiettive (Corte di Giustizia delle Comunità Europee 17/6/98, causa C-243/95, in D&L 1998, 892)
  • L’art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva del Consiglio 9/2/76, 76/207/Ce relativa all’attuazione della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e alle condizioni di lavoro, non osta a una norma nazionale che, in caso di pari qualificazioni di candidati di sesso diverso quanto a idoneità, competenza e prestazioni professionali, obblighi a dare la precedenza nelle promozioni ai candidati di sesso femminile nei settori di attività pubblici in cui, al livello del posto considerato, le donne sono meno numerose degli uomini, a meno che non prevalgano motivi inerenti alla persona di un candidato di sesso maschile; a tal fine è tuttavia necessario che detta norma garantisca, in ciascun caso individuale, ai candidati di sesso maschile aventi una qualificazione pari a quella dei candidati di sesso femminile un esame obiettivo delle candidature che prenda in considerazione tutti i criteri relativi alla persona dei candidati e non tenga conto della precedenza accordata ai candidati di sesso femminile quando uno o più di tali criteri facciano propendere per il candidato di sesso maschile, e tali criteri non siano discriminatori nei confronti dei candidati di sesso femminile (Corte di Giustizia delle Comunità Europee 11/11/97, causa C409/95, in D&L 1998, 59)
  • Qualora, a seguito dell'espletamento di un concorso che prevede la stipula di contratti di formazione e lavoro, il datore abbia escluso dall'assunzione le candidate utilmente inserite in graduatoria in base a una clausola che riserva alle donne il 30% dei posti, il Giudice può ordinare ex art. 700 cpc l'immissione in servizio delle escluse (Pret. Genova 8/7/96, est. Fadda, in D&L 1997, 105, nota PIRELLI, Bandi di concorso, percentuale di riserva per le donne e diritto all'assunzione. V. in senso contrario Trib. Genova 18/7/96, pres. ed est. Russo, in D&L 1997, 106, nota PIRELLI, Bandi di concorso, percentuale di riserva per le donne e diritto all'assunzione)
  • In ipotesi di trattamento differenziato tra lavoratori che svolgono analoghe mansioni, la totale assenza di apprezzabili e giustificate ragioni di dette differenze (quand'anche previste in accordi sindacali) comporta violazione dei principi di correttezza e buona fede, con conseguenze risarcitorie a ristoro dei danni subiti dai lavoratori esclusi dai trattamenti economici privilegiati (Cass. 8/7/94 n. 6448, pres. De Rosa, est. Vidiri, in D&L 1995, 157)
  • Pur dopo la sentenza n. 103/89 della Corte cost., gli artt. 3 e 41 Cost. non possono considerarsi precetti idonei a fondare un principio di parità soggettiva tra i lavoratori, alla stregua del quale a coloro che svolgono identiche mansioni debba in ogni caso attribuirsi la stessa retribuzione o il medesimo inquadramento (Cass. 8/7/94 n. 6448, pres. De Rosa, est. Vidiri, in D&L 1995, 157)