In genere

  • La nuova regola di cui al c. 1 dell’art. 2103 c.c., così come introdotta dall’art. 3 del d.lgs. n. 81/2015, modifica il parametro legale in base al quale deve essere verificata la legittimità dell’esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro e condiziona, quale effetto riflesso, anche gli istituti che presuppongono l’utilizzo del medesimo concetto, quali il trasferimento e il cd. repechage. (Trib. Roma 27/4/2017, ord., Est. Emili, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di M. V. Di Tanna, “Assistenza ai disabili: trasferimento e disciplina delle mansioni”, 612)
  • A norma dell’art. 2103, comma 1, c.c., nel testo sostituito dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, è legittimo lo spostamento del lavoratore a mansioni che appartengono allo stesso livello di inquadramento cui appartenevano quelle svolte in precedenza dallo stesso dipendente, non essendo necessario che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza acquisita dal dipendente nello svolgimento delle precedenti mansioni. (Trib. Roma 30/9/2015, Est. Sordi, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Valeria Nuzzo, “Il nuovo art. 2103 c.c. e la (non più necessaria) equivalenza professionale delle mansioni”, 1044)
  • La nuova disciplina legislativa dello ius variandi si applica anche ai rapporti di lavoro già in corso alla data della sua entrata in vigore e ha rilevanza rispetto a mutamenti di mansioni disposti prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2015 e in atto ancora dopo quella data; conseguentemente, l’assegnazione di mansioni non equivalenti alle ultime effettivamente svolte, ma pur sempre riconducibili allo stesso livello di inquadramento, se può essere considerata illegittima prima del 24 giugno 2015, non può più esserlo successivamente a quella data. (Trib. Roma 30/9/2015, Est. Sordi, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Valeria Nuzzo, “Il nuovo art. 2103 c.c. e la (non più necessaria) equivalenza professionale delle mansioni”, 1044)
  • Il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di essere addetto allo svolgimento di mansioni non spettanti può essere legittimo e quindi non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall’art. 1460 c.c., sempre che il rifiuto sia proporzionato all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede. Ne consegue che deve ritenersi legittimo il rifiuto opposto da una dipendente di una società che si occupa del commercio della vendita di alimenti e bevande e che è articolata sul territorio in più punti vendita, di svolgere il servizio di permanenza di direzione di uno di questi punti vendita – servizio che comporta l’assunzione del ruolo di responsabile del punto di vendita stesso, nei suoi riflessi anche penalistici – se non è dimostrato che si tratta di un compito rientrante nella qualifica di competenza del lavoratore e che questi ha conoscenze adeguate per il relativo svolgimento. (Cass. 19/7/2013 n. 17713, Pres. Stile Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2013, 952)
  • Qualora si discuta del corretto inquadramento del lavoratore, occorre ricostruire il contenuto delle mansioni onde poi procedere al giudizio di sussunzione nella categoria più adeguata, dopo aver allegato quella posseduta e quella rivendicata, ciò, però, vale quando il lavoratore rivendichi un collocamento più elevato rispetto a quello formalmente posseduto. Ciò non vale, però, quando le parti abbiano pattuito un determinato inquadramento e il datore di lavoro retribuisca il lavoratore secondo livelli inferiori, ovvero quando sia stato il datore ad assegnare al lavoratore un certo livello e, poi, ancora una volta, lo retribuisca in misira inferiore. (Trib. La Spezia 17/12/2012, Giud. Panico, in Lav. nella giur. 2013, 313)
  • L’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori, con il consenso del dipendente, è legittima solo ove sia l’unica alternativa al licenziamento. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza che aveva ritenuto illegittimo il demansionamento disposto a seguito di rifiuto di trasferimento). (Cass. 12/4/2012 n. 5780, Pres. Roselli Est. Arienzo, in Orient. Giur. Lav. 2012, 289)
  • L’attribuzione al lavoratore della qualifica corrispondente alle mansioni svolte deve avvenire seguendo un procedimento logico articolato in tre fasi successive, occorrendo accertare in fatto le attività concretamente svolte dal lavoratore, individuare poi la qualifica rivendicata e le mansioni alla stessa riconducibili secondo la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva e verificare, infine, che le prime corrispondano a queste ultime. (Cass. 18/7/2011 n. 15739, Pres. Roselli Rel. Filabozzi, in Lav. nella giur. 2011, 1056)
  • In tema di rapporti di lavoro dei dipendenti dell'Azienda di Stato per i servizi telefonici, nel passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico a quello privato, in forza della normativa di riferimento (art. 4 l. n. 58 del 1992) le indicazioni contenute nelle tabelle di equiparazione adottate con accordo sindacale costituiscono elemento decisivo di riferimento per operare l'inquadramento presso la nuova gestione solo ed in quanto l'equivalenza delle posizioni di lavoro - messe a confronto - sussista realmente. Ne consegue la non applicabilità in tali tabelle, ove non si riscontri corrispondenza in concreto tra le mansioni svolte nella fase precedente (connesse all'inquadramento e al livello prima attribuito) e le mansioni riferite a qualifica e livello ottenuti in sede di passaggio all'impiego privato. (Cass. 1/3/2011 n. 4991, Pres. Lamorgese Est. De Renzis, in Orient. giur. lav. 2011, 69)
  • In tema di inquadramento dei dipendenti postali, la contrattazione collettiva ben può configurare meccanismi di mobilità orizzontale, prevedendo a questa clausola la fungibilità delle mansioni onde sopperire a contingenti esigenze aziendali (come avvenne con c.c.n.l. del 1994) ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori secondo eventuale rotazione senza con ciò violare l'art. 2103 c.c. (Cass. 3/2/2009 n. 2602, Pres. Mercurio Est. Roselli, in Orient. giur. lav. 2009, 44)
  • Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. L'accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell'inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce comunque giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica e adeguata motivazione. (Nella specie, l'impugnata sentenza, con motivazione ritenuta corretta dalla S.C., aveva negato il diritto di un dipendente dell'A.T.A.C. di Roma, già inquadrato nel quinto livello di cui all'accordo nazionale collettivo del 13 maggio 1987, all'inquadramento nel quarto livello, immediatamente superiore, avendo accertato, previa definizione delle mansioni di tale superiore livello, che l'attività svolta dal dipendente consisteva in mansioni amministrative presso il "nucleo stampa" e in mansioni di composizione grafica al computer, le cui modalità di esecuzione non comportavano un apprezzabile margine di autonomia, né la soluzione di problemi variabili e complessi, posto che la grafica veniva eseguita sulla base di progetti ideati da altre persone deputate al relativo controllo). (Cass. 30/10/2008 n. 26233, Pres. Mattone Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2009, 301)
  • L'eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto a osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l'art. 1460 c.c., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte. Conseguentemente costituisce grave insubordinazione, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza. (Rigetta, App. Lecce, 3 giugno 2004). (Cass. 5/12/2007 n. 25313, Pres. Sciarelli Est. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2008, 1692)  
  • Non è illegittimo, ma doveroso ai sensi dell'art. 2087 c.c., il comportamento del datore di lavoro che revochi al dipendente incarichi incompatibili con il suo stato di salute, non essendo il datore di lavoro tenuto a modificare l'organizzazione del lavoro in modo da adattare una determinata posizione di lavoro alla persona con limitate possibilità di svolgimento delle mansioni connesse. L'eventuale tempo trascorso tra la revoca dell'incarico e l'assegnazione di una nuova posizione di lavoro è giustificata dalla necessità di eliminare con urgenza situazioni potenzialmente pericolose per il lavoratore e di reperire altre mansioni equivalenti. (Trib. Milano 23/2/2007, in Dir. e prat. lav. 1425)
  • E' legittimo il comportamento del datore di lavoro che abbia adibito il dipendente a mansioni inferiori, se tale adibizione è stata determinata per il rifiuto del dipendente di mutare il proprio orario di lavoro, se è dipesa da temporanee esigenze aziendali e se, in ogni caso, il lavoratore abbia manifestato il suo consenso alla nuova assegnazione. (Trib. Milano 1/2/2008, in Dir. e prat. lav. 2008, 1425)
  • Nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto dei risultati di tali due indagini. (Cass. 22/8/2007 n. 17896, in Dir. e prat. lav. 2008, 1423)
  • Il datore di lavoro, in conseguenza di processi di riorganizzazione o ristrutturazione aziendale che abbiano comportato l'esternalizzazione di servizi o la riduzione dell'attività, può adibire il dipendente allo svolgimento di mansioni diverse, anche inferiori, mantenendo immutato il trattamento retributivo, qualora ciò costituisca l'unica alternativa praticabile al licenziamento. (Cass. 5/4/2007 n. 8596, Pres. Mercurio Est. Vidiri, in D&L 2007, con nota di Andrea Bordone, "Demansionamento legittimo in alternativa al licenziamento", 782 e in Dir. e prat. lav. 2008, 380)
  • Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto dei risultati di tali due indagini. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio, per insufficiente motivazione, la sentenza di merito che aveva accolto la domanda, proposta nei confronti dell'allora s.p.a. FF.SS., di inquadramento nell'ottava categoria contrattuale area quadri in relazione alle mansioni di un dipendente con la qualifica di capo gestione superiore appartenente alla settima categoria, senza, però, enunciare gli elementi essenziali per siffatto inquadramento, nè i tratti differenziali tra le mansioni proprie della settima qualifica e quelle caratterizzanti la categoria superiore, omettendo anche la specificazione delle mansioni attraverso le quali si sarebbero tradotti, in concreto, nella realtà fattuale quei compiti di raccordo - tipici della posizione lavorativa di quadro - tra il personale impiegatizio e quello dirigenziale). (Cass. 6/3/2007 n. 5128, Pres. de Luca est. Vidiri, in lav. nella giur. 2007, 1143, e in Dir. e prat. lav. 2008, 63)
  • Il principio di irriducibilità della retribuzione, dettato dall'art. 2103 c.c., opera anche in relazione a fattispecie in cui il lavoratore percepisca una retribuzione superiore a quella prevista dal Ccnl rispetto alle mansioni in concreto svolte e rimaste invariate anche nelle modalità del loro espletamento qualora il rapporto sia regolato anche dal contratto individuale, se più favorevole (come nella specie). Per ritenere annullabile quest'ultimo occorre che sia dedotto e accertato, con relativo onere incombente sul datore di lavoro, che lo stesso sia stato determinato da errore e venga specificato l'oggetto dell'erronea rappresentazione dei fatti con i necessari connotati per renderla rilevante, con la conseguenza che, in difetto di tale rappresentazione, non può che valere la suddetta regola generale della irriducibilità della retribuzione. (Cassa con rinvio, App. Roma, 19 dicembre 2002). (Cass. 23/1/2007 n. 1421, Pres. Mattone Est. De Renzis, in Dir. e prat. lav. 2007, 2456)
  • La contrattazione collettiva può rendere fungibili per temporanee esigenze aziendali anche mansioni che esprimono professionalità di grado diverso (non legalmente equivalenti a norma dell'art. 2103, primo comma, c.c.) purchè siano contrattualmente equivalenti, in quanto classificate nella medesima categoria e allo stesso livello retributivo. (Cass. 24/11/2006 n. 25033, Pres. Carbone Est. Amoroso, in riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Antonella occhino, 336, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1424)
  • La contestualità tra la formulazione di una contestazione disciplinare e adibizione a un diverso reparto della medesima unità produttiva e ad altre mansioni, non comporta di per sè un utilizzo sanzionatorio dello ius variandi, nè violazione dell'art. 2103 c.c. sempre che le nuove mansioni siano equivalenti. (Trib. Firenze 31/7/2006, Est. Taiti, in D&L 2007, con nota di Lisa Amoriello, "I provvedimenti datoriali alla luce del complicato intreccio fra oggettivo e soggettivo", 527)
  • Nel provvedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi dalla motivata valutazione di tre fasi tra di oloro ordinate in successione, consistenti: a) nell'accertamento di fatto dell'attività lavorativa in concreto svolta; b)nell'individuazione delle qualifiche o gradi previsti dalla normativa applicabile nel singolo caso (contratto collettivo ovvero regolamento del personale a esso equiparabile); c) nel raffronto dei risultati di tali due indagini. Pertanto, se risulta omessa da parte del giudice del merito la motivata indicazione e valutazione della seconda di dette fasi, ne deriva l'errata applicazione dell'art. 2103 c.c., restando l'individuazione dei criteri generali e astratti caratteristici delle singole categorie alla stregua della disciplina collettiva del rapporto censurabile in sede di legittimità, oltre che per vizi di motivazione (come le altre fasi del predetto "iter" logico-giuridico dell'inquadramento), anche per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale nell'interpretazione della disciplina collettiva applicabile. (Nella specie, la Suprema Corte, sulla scorta dell'enunciato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con cui la motivazione era stata erroneamente trascurata la seconda delle summenzionate fasi - non riportandosi il contenuto della specifica disposizione del regolamento del personale che indicava il contenuto delle mansioni della classe attribuitagli giudizialmente e, quindi, non riferendosi in base a quale criterio ermeneutico fosse stata interpretata la relativa normativa contrattuale-regolamentare - e, pertanto, pervenendosi all'erronea applicazione dell'art. 2103 c.c.) (Cass. 12/5/2006 n. 11037, Pres. Sciarelli Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2006, 1225)
  • In materia di ius variandi ex art. 2103 c.c. è necessario aderire a una nozione "dinamica" di equivalenza professionale, basata sulla conservazione dei tratti essenziali delle competenze richieste al lavoratore prima e dopo il mutamento di mansioni. Costituisce infatti principio acquisito che possano legittimamente assegnarsi al dipendente, a parità di inquadramento, mansioni anche del tutto nuove e diverse, purchè affini alle precedenti dal punto di vista del contenuto professionale (principio applicato dalla Corte in una fattispecie in cui il lavoratore, dipendente di un istituto di credito, dapprima titolare di una filiale secondaria, veniva successivamente assegnato all'ufficio Cassa titoli e cedole della sede centrale, poi al servizio ispettorato, quindi nominato a capo dell'ufficio Segreteria fidi, dell'ufficio Rischi e dell'ufficio Cassa centrale; infine, a seguito dell'unificazione degli uffici Cassa centrale di Cuneo e di Milano, inviato in qualità di direttore presso le filiali delle sedi di Cuneo e Boves, in sostituzione del titolare). ( Cass. 2/5/2006 n. 10091, Pres. Ciciretti Est. stile, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Alessandra Sartori, "Limiti allo ius variandi e flessibilità: i paradossi della giurisprudenza", 654)
  • Nell'ambito dello ius variandi ex art. 2103 c.c., è principio consolidato quello per cui il divieto di diminuzione della retribuzione non sia assoluto, ma collegato al divieto di dequalificazione; con la conseguenza che, a fronte di mansioni equivalenti dal punto di vista professionale, ben possono venir meno le indennità remunerative di particolari modalità della prestazione lavorativa (nel caso di specie, la c.d. indennità di reggenza). ( Cass. 2/5/2006 n. 10091, Pres. Ciciretti Est. stile, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Alessandra Sartori, "Limiti allo ius variandi e flessibilità: i paradossi della giurisprudenza", 654 e in Dir. e prat. lav. 2008, 1422)
  • Il legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro non può in ogni caso non rispettare l’equivalenza delle mansioni assegnate senza per questo dover condizionarlo alla loro omogeneità. (Cass. 12/1/2006 n. 425, Pres. Mattone Rel. Mattone, in Lav. Nella giur. 2006, 597)
  • Il lavoratore che intenda richiedere l’inquadramento in mansioni diverse e superiori deve provare le determinanti qualità tecniche che la lavorazione, come individuata dalla contrattazione collettiva, chiede come necessarie. (Cass. 2/11/2005, Pres. Mileo Rel. Cuoco, in Lav. Nella giur. 2006, 595)
  • Con riguardo allo ius variandi del datore di lavoro, il divieto di variazione in peius opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria, ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali. A tal fine l'indagine del giudice di merito deve essere volta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi onde formulare il giudizio di equivalenza, da fondare sul complesso della contrattazione collettiva e delle determinazioni aziendali; in particolare, le nuove mansioni possono considerarsi alle ultime effettivamente svolte soltanto ove risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore, anche nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare, e anzi di arricchire, il patrimonio professionale acquisito con lo svolgimento della precedente attività lavorativa, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze. (Cass. 11/4/2005 n 7351, in Dir. e prat. lav. 2008, 1422)
  • Il contratto collettivo – nella specie, integrativo – non può modificare in peius le mansioni in precedenza legittimamente svolte, o comunque attribuibili, al dipendente pubblico, il quale ha, di conseguenza, diritto al risarcimento dei danni derivanti dal demansionamento. (Corte app. Lecce 8/1/2005, Pres. Delli Noci, in Giust. Civ. 2006, 207)
  • Posto che ogni altro elemento è determinabile per fonte normativa o collettiva, l’unico elemento essenziale che deve essere indicato in un contratto di lavoro subordinato, pena la nullità per indeterminatezza dell’oggetto, sono le mansioni che l’assumendo è chiamato a svolgere. Tali mansioni possono essere determinate indirettamente attraverso l’indicazione dell’inquadramento contrattuale attribuito al lavoratore; ma ciò in quanto, a norma del contratto collettivo, le mansioni corrispondenti al livello – o categoria o qualifica – indicato siano ben definite. Così non è per la qualifica dirigenziale dove i possibili compiti aventi le caratteristiche indicate dal contratto collettivo sono praticamente infiniti, sicchè le mansioni restano indeterminate e indeterminabili. (Trib. Milano 17/12/2004, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2005)
  • In applicazione dell’art. 1363 c.c., il Ccnl ministeri 1998-2001 del 16 febbraio 1999 va interpretato per qualifiche funzionali con quello per aree professionali e posizioni economiche deve avvenire reinquadrando i dipendenti in servizio in base –non alla collocazione delle mansioni svolte nelle declaratorie dell’allegato B di “trasposizione automatica” (nella specie, è stato ritenuto corretto, poiché conforme alla richiamata tabella B del Ccnl di comparto, il reinquadramento in C1 dei “collaboratori” dell’Ispettorato del lavoro, profilo della VII q.f. che il contratto collettivo integrativo per il Ministero del lavoro del 25 ottobre 2000 ha legittimamente mantenuto fino ad esaurimento). (Trib. Ravenna 17/2/2004, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Davide Casale, 777)
  • Nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato è necessario in primo luogo individuare i criteri generale ed astratti previsti dal contratto collettivo di categoria, quindi accertare le attività svolte in concreto dal dipendente, ed infine provvedere al raffronto tra tali mansioni e le previsioni della disciplina del rapporto. (In applicazione di questo principio di diritto, la Suprema Corte ha ritenuto viziata la motivazione del giudice di merito il quale, al fine dell'inquadramento di un dipendente delle FfSs che aveva svolta attività di interprete e traduttore di testi di lingua tedesca interessanti il servizio ferroviario nel settimo o nell'ottavo livello, aveva tout court ricondotto le attività svolte dal dipendente tra quelle qualificate di studio, sussumibili nell'ottavo livello, senza considerare che l'attività dell'ottavo livello o erano inquadrabili nell'area dirigenziale, o dovevano consistere in attività particolarmente qualificate di studio, progettazione e ricerca, e che quindi era necessario indagare più approfonditamente sulle attività in concreto svolte dal dipendente, e motivare specificatamente sul punto, per verificare se egli fosse qualificabile come semplice traduttore o se l'attività svolta fosse di tale complessità da giustificare l'inserimento nell'ottavo livello). (Cass. 26/3/2003, n. 4508, Pres. Terza, Rel. Curcuruto, in Dir. e prat. lav. 2003, 1928)
  • Deve escludersi un sindacato giudiziale relativamente alla ragionevolezza dei criteri secondo cui i contratti collettivi operano distinzioni tra i vari tipi di mansioni ai fini dell'inquadramento contrattuale dei lavoratori, dato che è proprio la contrattazione collettiva ad essere ritenuta lo strumento idoneo ad interpretare le esigenze dei vari settori produttivi ai fini in esame, come è stato confermato dall'art. 2, l. n. 190/85 in materia di determinazione dei requisiti di appartenenza alla categoria dei quadri (nella specie, la Corte d'Appello ha ritenuto insindacabile l'indicazione contenuta nell'art. 44 del Ccnl dell'Ente Poste che prevede, per l'inquadramento nell'area quadro di II livello la preposizione alla conduzione ed al controllo di unità organizzative di media rilevanza). (Corte Appello Milano 5/6/01, pres. Mannaccio, est. Ruiz, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 250)
  • Una volta entrato in vigore il Ccnl 26/11/94, che ha ricondotto tutti i profili in cui si articolavano le nove categorie funzionali del personale già dipendente dell'Am-ministrazione delle Poste e Telecomunicazioni in quattro aree professionali, l'inquadramento dei lavoratori in tali aree non è automatico, ma è demandato alla regolamentazione dell'Ente, oggi Poste Italiane Spa, che deve tuttavia effettuarlo nel rispetto del Ccnl, raffrontando le mansioni precedentemente svolte con le declaratorie relative alle quattro aree professionali; conseguentemente ai lavoratori che hanno svolto mansioni di gestione di unità organizzative di uffici postali di media rilevanza o di direzione di uffici di piccola entità spetta l'inquadramento nell'area dei quadri di 2° livello (e non nell'area operativa) (Trib. Foggia 15 aprile 2000, pres. Bordone, est. Bianchi, in D&L 2000, 987)
  • L’inquadramento del dipendente in un’area professionale inferiore (nella fattispecie area "di base" anziché "operativa") è illegittimo ove risulti conseguenza di tipo sanzionatorio per la mancata produzione della richiesta certificazione medica (Pret. Milano 24/12/97, est. Sala, in D&L 1998, 434)
  • La previsione di un accordo aziendale diretta a escludere da un’area professionale i dipendenti fisicamente inidonei allo svolgimento di tutte le mansioni ascrivibili a tale area è nulla per contrasto con l’art. 2103 c.c.; ai sensi di tale norma il parametro di valutazione dell’idoneità del lavoratore non può essere infatti che quello relativo alle mansioni di assunzione o a quelle da ultimo svolte (e non a tutte quelle genericamente riconducibili alle categorie di appartenenza) (Pret. Milano 24/12/97, est. Sala, in D&L 1998, 434)