Società collegate

Questione 1

Cosa si intende per società collegate, e che rilevanza hanno nel rapporto di lavoro?

Le società collegate si configurano quando imprese formalmente distinte operino, nei fatti, in modo del tutto promiscuo; ciò può verificarsi nel caso in cui tali società, ciascuna con una propria autonoma ragione sociale, una propria sede legale, un proprio titolare, ecc., abbiano in concreto numerosi elementi in comune. Tali elementi possono essere beni materiali, quali i locali, le apparecchiature, la mensa aziendale, il centralino, la reception, il magazzino, ecc., se non addirittura interi settori, anche di notevole importanza nella gestione aziendale, quali, ad esempio, il management, l'ufficio del personale, l'amministrazione, ecc..

Un'altra forma con cui si può manifestare il collegamento di imprese è sicuramente quella dell'utilizzazione in comune, da parte delle stesse, dei rispettivi dipendenti.

Ciò si verifica, in sostanza, quando un lavoratore, formalmente assunto alle dipendenze di una società, si trovi abitualmente ad operare anche per una diversa società facente capo al medesimo gruppo, prendendo ordini dai responsabili della stessa e, più in generale, trovandosi inserito, contemporaneamente, nella struttura delle due società, senza che sia possibile un'effettiva distinzione dell'attività da lui svolta per l'una o per l'altra.

In ogni caso, anche accertato che due società sono riconducibili ad un'unica realtà imprenditoriale, non è semplice stabilire le conseguenze di una simile circostanza, specie sui rapporti di lavoro dei singoli dipendenti. In linea di principio, si ritiene che i rapporti giuridici facenti capo a società diverse debbano rimanere separati, riguardando soggetti tra loro distinti e dunque dotati di una propria autonomia. In tal senso, il lavoratore potrebbe avanzare rivendicazioni solo esclusivamente nei confronti del proprio datore di lavoro.

Peraltro, tale principio generale incontra un limite ben preciso, ed è quello della legittimità delle ragioni che inducono a suddividere in due o più società un'impresa che opera in modo unitario.

Infatti, la giurisprudenza riconosce che più società possono essere considerate come un unico soggetto giuridico, con tutte le conseguenze che ne conseguono, nel caso in cui la formale separazione delle società stesse costituisca semplicemente un mezzo per "aggirare" alcune norme di legge inderogabili, quali quelle che tutelano i lavoratori dal licenziamento.

Per esempio, si dovrebbe accertare se il "frazionamento" della società è stato attuato al solo di fine di avere due "piccole imprese", ciascuna con meno di sedici dipendenti. Questo è infatti il numero minimo di dipendenti che un'impresa deve avere perché, nel caso di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro possa essere condannato non solo al risarcimento del danno, ma anche alla riammissione in servizio del lavoratore illegittimamente allontanato.

Una volta appurato che la divisione dell'unica impresa in più società è determinata unicamente dalla volontà di poter licenziare più agevolmente i propri dipendenti, si potrebbe intravedere, in tale distinzione, un intento illegittimo. Conseguentemente, al fine di impedire che la tutela legale del posto di lavoro venga scavalcata con un espediente, i rapporti di lavoro dei dipendenti delle "due" società potrebbero essere tutti attribuiti al "gruppo" costituito dalle due imprese, considerato come un unico soggetto. In tale ipotesi, il numero dei dipendenti (rilevante per i motivi sopra indicati) andrebbe calcolato non soltanto con riferimento alla società che ha intimato il licenziamento, bensì sommando i lavoratori delle due società; le conseguenze di un'eventuale dichiarazione di illegittimità del licenziamento a lui intimato sarebbero allora ben diverse.

In questa prospettiva si sta ponendo, sia pur timidamente, anche la Corte di cassazione. La sentenza n. 3136 dell'1/4/99 parte dalla premessa che il collegamento tra imprese dello stesso gruppo non fa venir meno l'autonomia delle singole società del gruppo; conseguentemente, gli obblighi giuridici relativi ad un determinato rapporto di lavoro alle dipendenze di una società del gruppo non si estendono alle altre società del medesimo gruppo. D'altra parte, questa regola generale incontra un'importante eccezione, che si verifica nel caso in cui vi sia una simulazione, ovvero quando la frammentazione sia preordinata per frodare la legge.

Fin qui niente di nuovo, giacché la Corte di cassazione era già pervenuta ad una simile conclusione che, come è agevole comprendere, non è idonea a realizzare risultati positivi, stante la difficoltà di provare la simulazione. La novità della sentenza citata sta nel fatto che sono indicati i criteri che il giudice deve seguire per accertare la simulazione e, quindi, l'esistenza di un unico rapporto di lavoro tra un dipendente e tutte le società del gruppo.

Infatti, la Corte ritiene che la prova della simulazione possa essere fornita dimostrando: 1. l'unicità della struttura organizzativa e produttiva; 2. l'integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; 3. un coordinamento tecnico e amministrativo - finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; 4. l'utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori che fruiscono dell'attività del lavoratore.

Come si vede, a seguito della citata sentenza il lavoratore non è più obbligato a rendere l'impossibile prova della simulazione; al contrario, è sufficiente provare alcuni indici presuntivi, dai quali la simulazione viene indirettamente desunta.

 

Questione 2

Quali problemi pratici il gruppo societario può comportare nei confronti del lavoratore?

Il fenomeno del gruppo societario comporta altri problemi, oltre a quello di cui si è parlato al quesito precedente. Infatti, è sempre più diffusa, nell'ambito dei gruppi societari, la pratica di spostare il personale da una società del gruppo ad un'altra: si tratta dunque di capire come ciò possa avvenire.

Un primo dubbio da chiarire è se il lavoratore, passando alle dipendenze di un'altra società del gruppo, possa mantenere inalterato il suo rapporto di lavoro alle dipendenze della originaria società, o se il passaggio debba essere formalizzato mediante una nuova assunzione da parte della nuova società. Di regola, il passaggio da una società all'altra viene formalizzato mediante una vera e propria assunzione, con contestuale risoluzione del rapporto alle dipendenze dell'originario datore di lavoro. In un caso come questo, il lavoratore deve accertarsi che nella nuova lettera di assunzione non sia previsto il patto di prova (altrimenti, al termine del periodo di prova, potrebbe essere licenziato), che siano garantiti un livello di inquadramento e una retribuzione almeno pari a quelli precedenti, che sia riconosciuta convenzionalmente l'anzianità precedentemente maturata (infatti, l'anzianità è utile alla maturazione degli scatti, nonché - di solito - alla fruizione di una maggiore quantità di ferie e alla possibilità di utilizzare un più lungo termine di comporto per il caso di malattia).

Potrebbe anche capitare che, invece, il passaggio non sia formalizzato mediante una nuova assunzione. In questo caso, si tratta però di un distacco, che si verifica appunto quando un lavoratore viene comandato presso un diverso datore di lavoro, per un determinato periodo di tempo e nell'interesse del distaccante. Questo è dunque un caso diverso da quello precedente, se non altro perché il lavoratore è destinato, al termine del distacco, a tornare alle dipendenze dell'originario datore di lavoro.

Un altro problema riguarda il pagamento del TFR. Nel caso del distacco, il problema non si pone, perché l'originario rapporto di lavoro non si risolve e, dunque, il lavoratore non può avanzare alcun diritto in ordine al pagamento di questo emolumento. Al contrario, nel caso in cui il passaggio del lavoratore al nuovo datore di lavoro venga formalizzato mediante una nuova assunzione, teoricamente il pagamento della somma in questione è dovuto, perché si verifica la risoluzione del rapporto. Tuttavia, accade non di rado che, trattandosi di società dello stesso gruppo, il TFR non venga corrisposto subito, ma venga posto a carico del nuovo datore di lavoro: quando si risolverà il rapporto con questo datore di lavoro, egli dovrà pagare anche la quota di TFR precedentemente maturata.

Non c'è una regola per decidere se sia preferibile il pagamento immediato, ovvero rimandato del TFR: la decisione dipenderà dall'esigenza del lavoratore di disporre subito di quella somma di denaro. Pertanto, il lavoratore, di volta in volta, potrà contrattare il pagamento immediato del TFR, ovvero chiedere che lo stesso sia posto a carico del nuovo datore di lavoro, sulla base delle proprie personali esigenze.