In genere

 

  • Il termine stabilito dal CCNL per la comunicazione del licenziamento disciplinare ha natura decadenziale.
    Solo tutela indennitaria se il licenziamento è comunicato con pochi giorni di ritardo. Il caso riguarda una lavoratrice alla quale la società datrice di lavoro aveva inviato due volte la medesima lettera di licenziamento per giusta causa: una prima volta tempestivamente, ma mai giunta a destinazione in quanto inviata a un indirizzo errato; una seconda volta, dieci giorni dopo la scadenza del termine stabilita dal CCNL, andata a buon fine. Nel conseguente giudizio, Tribunale e Corte d’appello avevano accolto la domanda di reintegrazione della lavoratrice, in ragione della colpevole mancata comunicazione del licenziamento nei termini. Investita del ricorso del datore di lavoro, la Cassazione osserva che: (i) per costante giurisprudenza, il compimento da parte del soggetto onerato dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione ha l’effetto di impedirne la decadenza a condizione che il procedimento vada a buon fine o, in alternativa, che l’esito negativo del procedimento non sia imputabile al soggetto onerato; (ii) nel caso di specie, tale condizione non risulta soddisfatta, essendo stato accertato in giudizio che la prima lettera non è giunta a destinazione per un errore colpevole del datore di lavoro, che aveva indicato un indirizzo sbagliato. Con riguardo alle conseguenze sanzionatorie, la Corte richiama l’orientamento giurisprudenziale recente, secondo il quale il mancato rispetto dei termini procedimentali comporta l’applicazione della mera tutela indennitaria, mentre una tutela maggiore può conseguire solo in caso di ritardi notevoli e ingiustificati, che ledono interessi sostanziali e l’affidamento legittimo del lavoratore Ciò premesso, la Corte, attribuendo rilevanza alla seconda comunicazione del licenziamento, intervenuta dopo la decadenza del potere di licenziare, applica al caso in esame la mera tutela indennitaria, in ragione dei pochi giorni di ritardo della seconda comunicazione, senza confrontare peraltro tale soluzione col tenore testuale della norma contrattuale che prevede la definitiva archiviazione del procedimento disciplinare in caso di inosservanza del termine. 
    (Cass. 21/4/2023 n. 10802, Pres. Raimondi Rel. Ponterio, in Wikilabour, Newsletter n. 9/23)
  • In materia di licenziamenti disciplinari, nell’ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato dal contratto collettivo come infrazione disciplinare cui consegua una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione (trattandosi di condizione di maggior favore fatta espressamente salva dall’art. 12, L. n. 604 del 1966), a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva. (Nella specie, la S.C., ha confermato la sentenza di merito che, nell’escludere che l’omessa comunicazione da parte del responsabile di un reparto, della sistematica manomissione dei dispositivi di rallentamento della velocità dei carrelli potesse rientrare nel campo di applicazione dell’art. 69 C.C.N.L. Industria Alimentare - alla cui stregua è punita con sanzione conservativa la mancata tempestiva comunicazione al superiore dell’esistenza di guasti o irregolarità di funzionamento dei macchinari -, vi aveva ravvisato il medesimo grave disvalore dell’ipotesi, esemplificata nel citato C.C.N.L., di “danneggiamento volontario o messa fuori opera di dispositivi antinfortunistici”. (Cass. 7/5/2020 n. 8621, Pres. Di Cerbo Est. Boghetich, in Lav. nella giur. 2020, 994)
  • La previsione dell’art. 18, co. 4, l. n. 300/1970, secondo cui il giudice deve applicare la tutela reintegratoria attenuata per licenziamento ingiustificato nel caso in cui «il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili», è riferibile esclusivamente all’ipotesi in cui la condotta contestata al lavoratore sia tipizzata dal codice disciplinare del contratto collettivo, in quanto soltanto in tale evenienza la non irrogabilità di un licenziamento è chiaramente conoscibile in anticipo dal datore di lavoro (la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che, tenuto conto di una previsione del ccnl che comminava una sanzione conservativa nel caso di «abbandono del posto di lavoro», aveva applicato la tutela reintegratoria in un caso di specie in cui il lavoratore licenziato non si era limitato ad abbandonare il posto di lavoro durante l’orario notturno ma si era recato in un altro luogo dello stabilimento e si era lì messo a dormire, venendo svegliato soltanto dall’improvviso sopralluogo, alcune ore dopo, del superiore gerarchico). (Cass. 9/5/2019 n. 12365, Pres. Di Cerbo Rel. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di R. Del Punta, “Ancora sul regime del licenziamento disciplinare ingiustificato: le nuove messe a punto della Cassazione”, 494)
  • È illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore a seguito di avvenimento che lo stesso Ccnl punisce con l’applicazione di una mera sanzione conservativa. Il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificato motivi soggettivi di licenziamento oltre quanto stabilito dalla autonomia delle parti. (Cass. 5/5/2017, n. 11027, Pres. Amoroso Est. Manna, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di O. Genovesi, “Licenziamenti disciplinari e previsioni contrattuali”, 596)
  • È illegittimo, per carenza del potere disciplinare derivante dalla violazione del principio del ne bis in idem e da una conciliazione in sede sindacale, il licenziamento per giusta causa irrogato a un lavoratore in conseguenza della condanna penale con interdizione dai pubblici uffici per un fatto per il quale il datore di lavoro lo aveva già sanzionato con una sospensione di 10 giorni e dopo che le parti avevano sottoscritto un verbale di conciliazione connesso alla sanzione conservativa (nel caso di specie il lavoratore aveva effettuato un trasloco personale con l’ausilio di dipendenti del datore di lavoro e, dopo la comminazione della sospensione e la sottoscrizione della conciliazione, era stato condannato in sede penale con interdizione dai pubblici uffici, in presenza del ccnl Poste che ammette il recesso per giusta causa. (Trib. Bari 6/12/2016, n. 9380, Giud. Vernia, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di V. Speziale, “La carenza di potere disciplinare per violazione del ne bis in idem e a seguito di conciliazione sindacale come ipotesi di insussistenza del fatto contestato”, 295)
  • Un licenziamento disciplinare erogato in carenza di potere costituisce un’ipotesi di insussistenza del fatto contestato, con applicazione della tutela reintegratoria attenuata prevista dall’art. 18, c. 4, della legge 20 maggio 1970, n. 300. (Trib. Bari 6/12/2016, n. 9380, Giud. Vernia, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di V. Speziale, “La carenza di potere disciplinare per violazione del ne bis in idem e a seguito di conciliazione sindacale come ipotesi di insussistenza del fatto contestato”, 295)
  • L’esercizio del diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro è legittimo se limitato a difendere la propria posizione oggettiva, e con modalità nel rispetto della verità oggettiva, e con modalità e termini inidonei a ledere il decoro del datore di lavoro o del superiore gerarchico e a determinare un pregiudizio per l’impresa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente inquadrato nel legittimo diritto di critica l’invio al datore di lavoro di una lettera di denuncia del lavoratore di comportamenti scorretti e offensivi posti in essere dal superiore gerarchico in proprio danno, con allegato un parere “pro veritate” di un penalista). (Cass. 26/10/2016 n. 21649, Pres. Nobile Est. Patti, in Lav. nella giur. 2017, 197)
  • In tema di sanzioni disciplinari, il giudice di merito, investito del giudizio circa la legittimità di tali provvedimenti, deve valutare la sussistenza o meno del rapporto di proporzionalità tra l’infrazione del lavoratore e la sanzione irrogatagli, tenendo a tal fine conto sia delle circostanze oggettive che della condotta del lavoratore; l’apprezzamento di merito della proporzionalità tra l’infrazione e sanzione sfugge a censure in sede di legittimità se adeguatamente e congruamente motivato. Consegue che non è censurabile la decisione di merito che abbia ritenuto, con motivazione adeguata ed esaustiva, eccessiva la sanzione espulsiva quale conseguenza di danneggiamento di beni extra aziendali (auto del collega) avvenuto al di fuori dell’orario di lavoro, cui sia seguita la riappacificazione tra i due dipendenti. (Cass. 25/8/2016 n. 17337, Pres. Amoroso Est. Manna, in Lav. nella giur. 2016, 1122)
  • La violazione della previsione della contrattazione collettiva, che prevede un termine per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare (nella specie sei giorni successivi alle giustificazioni addotte dal lavoratore ex art. 8, comma 4, CCNL metalmeccanici), è idonea a integrare una violazione della procedura di cui all’art. 7, L. n. 300/1970, con conseguente operatività della tutela prevista dall’art. 18, comma 6 e della medesima legge. (Cass. 16/8/2016 n. 17113, Pres. Di Cerbo Est. Amendola, in Lav. nella giur. 2016, 1123)
  • Nel caso in cui il datore di lavoro non adotti, a norma dell’art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e le condizione di salite dei prestatori di lavoro, il lavoratore ha – in linea di principio – la facoltà di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute; conseguentemente, se il lavoratore prova la sussistenza di tale presupposto, è illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a causa del rifiuto del lavoratore di continuare a svolgere tali mansioni. (Corte app’ Genova 19/7/2016, Rel. Giud. Ponassi, in Lav. nella giur. 2016, 1028)
  • In tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, la mancanza degli elementi della fattispecie di illecito determina la insussistenza del fatto addebitato al lavoratore. (Cass. 13/10/2015 n. 20545, Pres. ed Est. Roselli, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Antonio Federici, “In tema di insussistenza del fatto nel licenziamento disciplinare”, 31)
  • In tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla tutela reintegratoria anche a seguito della legge Fornero. (Cass. 13/10/2015 n. 20545, Pres. ed Est. Roselli, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Antonio Federici, “In tema di insussistenza del fatto nel licenziamento disciplinare”, 31)
  • In caso di licenziamento disciplinare, nel nuovo testo dell’art. 18 St. lav., come riformato nel 2012, il fatto contestato al lavoratore, che sia privo del carattere di illiceità, va considerato “insussistente”, derivandone il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro, di cui al quarto comma dell’art. 18. (Cass. 13/10/2015 n. 20540, Pres. e Rel. Roselli, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Oronzo Mazzotta, “Fatti e misfatti nell’interpretazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori”, 102)
  • Il licenziamento disciplinare fondato su una contestazione dell’addebito generica priva il lavoratore della facoltà di offrire prove a discarico e il giudicante di delimitare e accertare il fatto. Ne consegue l’applicazione della tutela reintegratoria in forma attenuata di cui all’art. 18, comma 4, l. n. 300/1970 per insussistenza del fatto contestato. (Trib. Milano 15/4/2015, ord., Est. Dossi, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Francesco Mercuri, “Genericità della contestazione dell’addebito e insussistenza del fatto contestato”, 1037)
  • Ai fini della valutazione della sussistenza del fatto contestato alla base del licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo, questo deve configurarsi come fatto grave e idoneo a ledere l’affidamento del datore di lavoro in ordine alla futura correttezza della prestazione, non solo in sé considerato, ma altresì apprezzato in una valutazione globale dello svolgimento del rapporto di lavoro, in ossequio al principio di proporzionalità tra fatto e sanzione, e tenuto conto anche della recidiva. Ai medesimi fini assume rilievo la sussistenza dell’elemento psicologico del lavoratore. (Trib. Trieste 16/3/2015, ord., Giud. Burelli, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Alessandro Mellace, “Sussistenza del fatto contestato e proporzionalità del licenziamento disciplinare del lavoratore recidivo”, 1020)
  • Nell’ambito del licenziamento disciplinare, la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 300/1970 si applica solo nell’ipotesi di insussistenza del fatto (inteso come fatto materiale, dal quale esula ogni valutazione relativa alla proporzionalità) posto a fondamento del recesso datoriale, o nell’ipotesi in cui il medesimo fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, in base alle disposizioni del CCNL o del codice disciplinare applicabile. Tra le “altre ipotesi” di insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo di cui all’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 ai fini dell’applicazione della tutela indennitaria ex art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 rientra anche la violazione del requisito della tempestività, quale elemento costitutivo del diritto di recesso, mentre esulano dall’ambito applicativo di tale disposizione le violazioni procedurali previste dall’art. 7, L. n. 300/1970. (Cass. 6/11/2014 n. 23669, Pres. Macione Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di M. Lavinia Buconi, 152)
  • In materia di lavoro subordinato, a norma dell’art. 55 quater del d.lgs. n. 165 del 2001, tra i casi in cui si applica la sanzione disciplinare del licenziamento, rientra anche quello dell’assenza dal lavoro, in mancanza di una valida giustificazione, e ciò per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio. Anche un unico episodio di insubordinazione può giustificare il licenziamento, se per le modalità di attuazione e la posizione professionale assunta nell’ambiente di lavoro, è idoneo a far venir meno il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. (Cass. 6/6/2014 n. 12806, Pres. Miani Canevari Est. Tria, in Lav. nella giur. 2014, 923)
  • Nel giudizio relativo alla legittimità del licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore sulla base di un fatto per il quale sia stata esercitata l’azione penale, il giudicato penale non è opponibile alla società datrice, rimasta assente in tale giudizio. (Cass. 6/5/2014 n. 9654, Pres. Vidiri Est. De Renzis, in Lav. nella giur. 2014, 817)
  • In tema di recesso, affinché il licenziamento disciplinare, intimato senza il rispetto delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, possa ritenersi revocato e il rapporto di lavoro ricostituito, non è sufficiente il mero invito a riprendere servizio rivolto dal datore di lavoro, ma è necessario un accordo, che presuppone corrispondenza tra proposta e accettazione. (Trib. Foggia 27/1/2014, Giud. Basta, in Lav. nella giur. 2014, 616)
  • Il licenziamento è illegittimo laddove in concreto fondato su fatti diversi da quelli espressamente contestati in sede disciplinare. (Trib. Milano 3/12/2013, Est. Scarzella, in Lav. nella giur. 2014, 292)
  • Il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito deve essere inteso in senso relativo. E infatti, esso risulta in concreto compatibile anche con un intervallo di tempo più o meno lungo, allorché l’accertamento e la valutazione dei fatti sia laborioso e richieda uno spazio temporale maggiore. (Cass. 17/9/2013 n. 21203, Pres. Lamorgese Est. Garri, in Lav. nella giur. 2014, 83)
  • È illegittimo il licenziamento disciplinare qualora l’esame del reale svolgimento dei fatti consenta di accertare l’infondatezza delle accuse formulate dal datore di lavoro; l’accertamento dei fatti addebitati al lavoratore e il giudizio di gravità degli stessi, nonché quello circa la proporzionalità tra fatti accertati e relative sanzioni, sono riservati al giudice di merito e non sono sindacabili in sede di legittimità, se sorretti da motivazione congrua e immune da vizi logici. (Cass. 26/8/2013 n. 19569, Pres. Lamorgese Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2013, 1039)
  • Nel caso in cui venga comminato un licenziamento disciplinare, l’errore nell’indicazione del giorno in cui sarebbe stato commesso il fatto addebitato non rivela una negligenza trascurabile, ma assume un valore decisivo perché pregiudica il diritto alla prova spettante all’incolpato, e specificatamente il diritto a provare di non essere stato presente sul luogo in cui è stato commesso l’illecito. (Cass. 14/6/2013 n. 15006, Pres. Roselli Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2013, 843)
  • L’assoggettamento del licenziamento per motivi disciplinari alle garanzie procedimentali previste dai primi tre commi dell’art. 7 Stat. Lav. non trova deroga nel contratto di lavoro a tempo determinato, nemmeno per quanto riguarda la forma scritta della contestazione delle infrazioni, salva restando la rilevanza dell’apposizione del termine al relativo rapporto, al diversi fine di escludere, in caso di illegittimità del licenziamento, l’esigenza di una tutela reale del lavoratore mediante reintegrazione nel posto di lavoro. (Cass. 22/3/2013 n. 7311, Pres. Vidiri Rel. Fernandes, in Lav. nella giur. 2013, 616)
  • Il fatto contestato, la cui inosservanza comporta l’applicazione dell’art. 18, comma 4, Stat. Lav., va inteso con riferimento non solo alla sua componente oggettiva (fatto materiale) ma anche a quella soggettiva (fatto giuridico) comprensiva della valutazione in ordine al dolo o alla colpa del lavoratore e alla proporzionalità della sanzione rispetto alla infrazione. Ai fini della tutela reale o indennitaria nel licenziamento disciplinare il giudice non può guardare soltanto al mero fatto ipotizzato o contestato dal datore; ma deve guardare allo stesso fatto in relazione alla nozione di giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Il giudizio di proporzionalità tra infrazione e sanzione ai sensi dell’art. 2106 c.c. mantiene il suo valore essenziale nella scelta della tutela da applicare anche quando il fatto tipico sussiste ma non sia grave in assenza di una tipizzazione da parte dei contratti collettivi e del codice disciplinare. (Trib. Ravenna 18/3/2013, Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Maria Dolores Ferrara, 567)
  • L’assoluzione o proscioglimento con la formula “perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non lo ha commesso”, presupponendo un accertamento che esclude in radice la configurabilità di ogni responsabilità del soggetto imputato in relazione al fatto ascritto, giustificano la preclusione alla valutazione in sede disciplinare dello stesso fatto. Ciò non può dirsi in relazione all’ipotesi in cui vi sia un’assoluzione o proscioglimento “perché il fatto non costituisce illecito penale”, in quanto in tale ipotesi non è esclusa la materialità del fatto, né la sua riferibilità al dipendente pubblico, ma solo la sua rilevanza penale. Di talché, non sussiste alcuna qualificata ragione per sottrarre il dipendente pubblico che sia stato assolto o prosciolto con tale ultima formula alla valutazione disciplinare del fatto. E invero, diversamente opinando verrebbero pregiudicate le esigenze di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, nonché lo stesso principio di uguaglianza. (Fattispecie concernente il rapporto tra azione disciplinare e azione penale e, in particolar modo, in riferimento a quanto disposto in tal senso dall’art. 14 CCNL comparto Ministeri del 2003 e dall’art. 68 CCNL Agenzia Fiscali del maggio 2004). (Cass. 8/1/2013 n. 206, Pres. Vidiri Est. Pagetta, in Lav. nella giur. 2013, 308)
  • Deve considerarsi illegittimo, con conseguente applicazione dell’art. 18, comma 4, della l. n. 300/1970, il licenziamento intimato per un fatto previsto dal contratto collettivo tra le infrazioni punibili con una sanzione conservativa. (Trib. Bologna 15/10/2012 Giud. Marchesini, in Riv. It. Dir. lav. 2012, in con nota di Maria Teresa Carinci, “Il licenziamento non sorretto da giusta causa e giustificato motivo soggettivo: i presupposti applicativi delle tutele previste dall’art. 18 St. Lav. alla luce dei vincoli imposti dal sistema”, e di Raffaele De Luca Tamajo, “Il licenziamento disciplinare nel nuovo art. 18: una chiave di lettura”, e Roberto Romei, “La prima ordinanza sul nuovo art. 18 della legge n. 300/1970: tanto rumore per nulla?”, 1049)
  • Il fatto contestato, la cui insussistenza comporta l’applicazione dell’art. 18, comma 4, della l. n. 300/1970, va inteso con riferimento non solo alla sua componente oggettiva (fatto materiale) ma anche a quella soggettiva (fatto giuridico) comprensiva della valutazione in ordine al dolo o alla colpa del lavoratore ed alla proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione. (Trib. Bologna 15/10/2012 Giud. Marchesini, in Riv. It. Dir. lav. 2012, in con nota di Maria Teresa Carinci, “Il licenziamento non sorretto da giusta causa e giustificato motivo soggettivo: i presupposti applicativi delle tutele previste dall’art. 18 St. Lav. alla luce dei vincoli imposti dal sistema”, e di Raffaele De Luca Tamajo, “Il licenziamento disciplinare nel nuovo art. 18: una chiave di lettura”, e Roberto Romei, “La prima ordinanza sul nuovo art. 18 della legge n. 300/1970: tanto rumore per nulla?”, 1049)
  • Alla luce di quanto previsto dall’art. 11 D.Lgs. n. 196/2003 i dati acquisiti tramite il trattamento dei dati personali in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono in alcun modo essere utilizzati e il licenziamento che si fonda su di essi è illegittimo. (Trib. Ferrara 21/8/2012, Giud. De Curtis, in Lav. nella giur. 2013, 205)
  • La clausola di un contratto collettivo (nella specie, l’art. 194, ccnl 2 luglio 2004 per i dipendenti di imprese della distribuzione cooperativa) secondo cui l’eventuale adozione di un provvedimento disciplinare (nel caso, un licenziamento) deve essere comunicata al lavoratore entro 21 giorni dalla scadenza del termine assegnato allo stesso per presentare le sue giustificazioni si interpreta nel senso che, ove il lavoratore abbia chiesto di essere sentito oralmente a propria discolpa, e tale audizione si svolga oltre il quinto giorno dalla ricezione della contestazione di addebito, il predetto termine di 21 giorni decorre dall’audizione ovvero dal giorno fissato per la stessa. (Cass. 30/3/2012 n. 5116, Pres. Lamorgese Rel. Amoroso, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Angela Vernia, “Sulla decorrenza del termine massimo previsto da un ccnl per l’adozione del provvedimento disciplinare”, 851, e in D&L 2012, con nota di Davide Bonsignorio, “Richiesta di audizione e termine per l’adozione del provvedimento disciplinare”, 556)
  • Lo stato di malattia del lavoratore che ne precluda l’esercizio di diritti fondamentali – quale il diritto di difesa sancito nell’ambito del procedimento disciplinare – non può paralizzare il potere di licenziamento. (Trib. Milano 9/12/2011, Est. Colosimo, in D&L 2012, con nota di Marco Sartori, “L’effettività del diritto di difesa ex art. 7 SL trova un limite generale nel generale dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro”, 558)
  • Il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore (siano esse previste come specifica ragione di licenziamento, sia che facciano riferimento a regole generali di legge o di comune etica ovvero a doveri complementari e accessori), indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari nella specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve ritenersi assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell’art. 7 Stat. Lav. circa la contestazione dell’addebito e il diritto di difesa nonché, per il caso in cui le parti si siano avvalse della facoltà di prestabilire quali fatti e comportamenti integrino l’indicata condotta giustificativa del recesso, anche a quella posta dal primo comma del medesimo art. 7 Stat. Lav. circa l’onere della preventiva pubblicità di siffatte previsioni. (Cass. 10/11/2011 n. 23417, Pres. Vidiri Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Giorgio Mannacio, 482)
  • Il giudizio sulla futura affidabilità del lavoratore licenziato non può essere espresso dal giudice violando i principi costituzionali da cui si desume che l‘assetto organizzativo dell’impresa è, di regola, insindacabilmente stabilito dal datore di lavoro e che il giudice non può imporre all’imprenditore modifiche delle proprie scelte organizzative al fine di garantire la conservazione del posto al lavoratore licenziato disciplinarmente. (Cass. 8/8/2011 n. 17093, Pres. Foglia Est. Tria, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Gaetano Gianni, “Il giudice non può suggerire al datore un diverso impiego del lavoratore al fine di evitare il licenziamento disciplinare”, 337)
  • In tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere fra le parti non va operato in astratto, bensì con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intenzione dell’elemento intenzionale e di quello colposo. (Cass. 26/7/2011 n. 16283, Pres. Battimello Est. Stile, in Lav. nella giur. 2011, 1055)
  • La prova della responsabilità disciplinare del lavoratore, che concretizza la giusta causa di licenziamento, può essere formata mediante presunzioni semplici. Il ragionamento presuntivo è sindacabile per cassazione soltanto sotto il profilo della correttezza e congruità di motivazione della sentenza del giudice di merito. (Cass. 12/9/2011 n. 18655, Pres. Lamorgese Rel. Tricomi, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Giampiero Golisano, 65)
  • La natura sostanzialmente disciplinare del licenziamento, ricondotto a un'inadempienza e/o trasgressione del lavoratore a prescindere dalla circostanza che il licenziamento sia o meno convenzionalmente strutturato quale sanzione disciplinare dalla legge o dal contratto collettivo, impone l'adozione delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7, comma 1), 2), 3) della L. n. 300/1970. (Trib. Milano 1/9/2010, Giud. Lualdi, in Lav. nella giur. 2010, 1143)
  • Il richiamo a opera di una parte processuale al doveroso rispetto del diritto alla privacy - cui il legislatore assicura in sede giudiziaria adeguati strumenti di garanzia - non può legittimare una violazione del disposto di cui all'art. 24 Cost. che, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, non può incontrare nel suo esercizio ostacoli all'accertamento della verità materiale a fronte di gravi addebiti suscettibili di determinare ricadute pregiudizievoli alla persona dell'incolpato e alla sua onorabilità o alla perdita del diritto al posto di lavoro. Conseguentemente è illegittimo il licenziamento intimato a seguito di un procedimento disciplinare nell'ambito del quale il datore di lavoro, per esigenze di tutela della privacy, non ha indicato il nominativo della dipendente asseritamente molestata. (Cass. 5/8/2010 n. 18279, Pres. Vidiri Est. De Renzis, in D&L 2010, con nota di Enrico U.M. Cafiero, "Nel procedimento disciplinare il diritto di difesa del lavoratore può prevalere sulla tutela della riservatezza di altre persone coinvolte", 1143)
  • I principi di specifica contestazione preventiva degli addebiti e di necessaria corrispondenza fra quelli contestati e quelli addotti a sostegno del licenziamento disciplinare, posti dalla L. n. 300 del 1970, art. 7 in funzione di garanzia del lavoratore, non escludono modificazioni dei fatti contestati concernenti circostanze non configuranti una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave di quella addebitata, come ricorre quando le modificazioni non costituiscono elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare, non risultando in tal modo preclusa la difesa del lavoratore. (Cass. 14/6/2010 n. 14212, Pres. Roselli Est. Bandini, in Orient. Giur. Lav. 2010, 419)
  • L'attività di controllo effettuata daldatore di lavoro tramite agenzia investigativa può essere ritenuta legittima,alla luce di quanto previsto dagli artt. 2 e 3 SL, solo laddove il ricorso a tale strumento possa ritenersi proporzionato allo scopo perseguito e assistito da gravi ragioni. In assenza di tali presupposti, gli accertamenti svolti sono inutilizzabili, sicché il licenziamento disciplinare intimato in base a tali accertamenti deve essere ritenuto illegittimo. (Trib. Milano 28/4/2009, Est. Mariani, in D&L 2009, con nota di Andrea Bordone, ""Controlli occulti, agenzie investigative e pedinamenti: solo come extrema ratio", 826)
  • Il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 circa la contestazione dell'addebito e il diritto di difesa. (Trib. Monza 28/1/2009, d.ssa Pizzi, in Lav. nella giur. 2009, 421)  
  • Nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile, in linea di massima (giacché non esiste un obbligo o un onere generale e incondizionato di ricevere comunicazioni scritte da chicchessia e in qualunque situazione), l'obbligo del lavoratore di ricevere sul posto di lavoro e durante l'orario lavorativo comunicazioni, anche formali, da parte del datore di lavoro o di suoi delegati, in considerazione dello stretto vincolo contrattuale che lega le parti di detto rapporto, sicché il rifiuto del lavoratore destinatario di un atto unilaterale recettizio di riceverlo comporta che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, in quanto giunta ritualmente, ai sensi dell'art. 1335 c.c., a quello che, in quel momento, era l'indirizzo del destinatario stesso). (Nella specie, la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto tardiva l'erogazione del licenziamento disciplinare, giacché intervenuta oltre il limite previsto dalla contrattazione collettiva secondo una scansione procedimentale che muoveva dalla comunicazione degli addebiti, da reputarsi, quest'ultima comunicazione, avvenuta a seguito del rifiuto del lavoratore di ricevere personalmente sul posto di lavoro l'atto di contestazione degli addebiti medesimi). (Cass. 3/11/2008 n. 26390, Pres. Roselli Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2009, 300) 
  • In tema di licenziamento del dipendente (nel caso, il Direttore dei Servizi Generali Amministrativi in un Istituto Scolastico) per persistente insufficiente rendimento l'amministrazione è tenuta alla specifica contestazione dei fatti oggetto di recidiva solo quando detti fatti risultino elemento costitutivo dell'addebito, e non meramente accidentale quale criterio di valutazione della gravità della condotta. (Trib. Bari 16/10/2008, ord., Est. Arbore, in Lav. nelle P.A. 2008, 1130)
  • Il licenziamento per persistente unsufficiente rendimento può essere disposto innanzi a una ipotesi di particolare gravità dell'infrazione purché sia concretamente sussistente il nesso di proporzionalità fra sanzione infrazione. (Trib. Bari 16/10/2008, ord., Est. Arbore, in Lav. nelle P.A. 2008, 1130)
  • Ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l'adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio - pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in atesa del secondo - si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto e che legittimando il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni afar data dal momento della sospensione medesima. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha confermato la sentenza di merito che, in applicazione del principio su enunciato, aveva ritenuto la validità del licenziamento con decorrenza dalla data della sospensione del rapporto e, quindi, in epoca anteriore alla richiesta del dipendente - che mai aveva comunicato le sue dimissioni per sopravvenuta inidoneità fisica - di accertamento giudiziale della risoluzione per malattia). (Cass. 9/9/2008 n. 22863, Pres. De Luca Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2009. 198) 
  • Nel procedimento disciplinare, di cui all'art. 7 Stat. lav., l'esercizio del diritto alla difesa deve essere effettivo e, pertanto, nel caso in cui il dipendente versi in uno stato a lui non imputabile che gli impedisca di fatto di esercitare detto diritto, la procedura disciplinare, anche in applicazione dei principi di buona fede e correttezza, dev'essere sospesa in attesa che l'impedimento venga rimosso. (Trib. Milano 6/5/2008, Est. Casella, in Orient. giur. lav. 2008, 736)
  • Laddove il Ccnl sancisca un termine finale per la comunicazione del provvedimento di licenziamento del lavoratore, entro tale termine il provvedimento deve essere non soloadottat, ma anche portato a conoscenza del lavoratore. Ne consegue che, qualora il provvedimento, benché inviato entro la scadenza del termine, sia stato ricevuto dal lavoratore oltre tale scadenza, lo stesso deve ritenersi illegittimo (fattispecie relativa al Ccnl Commercio). (Trib. Milano 8/4/2008, Est. Martello, in D&L 2008, con nota di Andrea Bordone, "Termine finale per la comunicazione del licenziamento: la spedizione non è sufficiente", 1029)
  • E' illegittimo il licenziamento disciplinare comunicato al dipendente dopo la scadenza del termine massimo previsto dal contratto collettivo posto che l'indicazione del termine non rientra tra le cosiddette clausole di stile ma comporta, come effetto del mancato esercizio, la decadenza del datore di lavoro dall'esercizio del potere disciplinare. (Cass. 18/3/2008 n. 7295, Pres. Ciciretti Est. Monaci, in D&L 2008, con nota di U.M. Cafiero, "Sul termine finale previsto dal Ccnl per l'irrogazione del licenziamento disciplinare", 652)
  • E' illegittimo il licenziamento disciplinare che, in seguito a un'attenta ricostruzione dei fatti, non risulti proporzionato non solo rispetto alle circostanze oggettiva, ma anche rispetto alla personalità, allo stato emotivo e ai motivi di ordine psicologico che hanno ispirato il comportamento del lavoratore. (Trib. Milano 31/1/2008, Est. Tanara, in Lav. nella giur. 2008, 851)
  • L'eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto a osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l'art. 1460 c.c., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte. Conseguentemente, costituisce grave insubordinazione, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza. (Cass. 5/12/2007 n. 25313, Pres. Sciarelli Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 422)
  • E' illegittimo il licenziamento disciplinare fondato sulla recidiva se le singole infrazioni che la integrano sono contestate cumulativamente e se altrettanto cumulativamente e simultaneamente non solo sono sanzionate in quanto tali ma anche valorizzate per sanzionare, col medesimo provvedimento, la loro reiterazione. (Trib. Milano 26/10/2007, Est. Di Leo, in D&L 2008, 316, con nota di Paolo Perucco, "Il principio di gradualità delle sanzioni disciplinari e la funzione di ravvedimento nei confronti del lavoratore: riflessi sulle modalità di esercizio del potere disciplinare", 316)
  • Le prove offerte dal datore di lavoro, a sostegno dell'intimato licenziamento del lavoratore, consistenti nei tabulati telefonici analitici riferiti al telefonino aziendale, sono utilizzabili in quanto si collocano nell'ambito di situazioni che prescindono dal consenso  dell'interessato ovvero nell'ambito dei c.d. "controllo difensivi" datoriali, ammessi e ritenuti legittimi dalla giurisprudenz, o comunque per non essere la privacy del prestatore di ostacolo all'accertamento giudiziale, sulla scorta della disciplina giudiziale vigente, cui il Codice della privacy rinvia. (Trib. Torino 28/9/2007, Est. Ciocchetti, in ADL 2008, con nota di Iarussi, "L'utilizzabilità delle prove acquisite a sostegno del licenziamento disciplinare: tra potere datoriale (e del giudice) e diritto alla riservatezza del lavoratore", 1265)
  • Per il licenziamento dovuto a giusta causa riconducibile a illeciti disciplinari del lavoratore è necessario che il datore di lavoro assolva all'obbligo della preventiva contestazione tempestiva degli addebiti (ai sensi dell'art. 7 della L. n. 300 del 1970), il cui mancato rispetto determina l'illegittimità del provvedimento espulsivo impugnato in sede giudiziale (anche quando, come nella specie, sia prevista convenzionalmente la facoltà concorrente di devolvere la domanda del lavoratore a un collegio arbitrale) e comporta, con riguardo a lavoratore tutelato ai sensi dell'art. 8 della L. n. 604 del 1966 (come sostituito dall'art. 2 della L. n. 108 del 1990), la medesima conseguenza sanzionatoria costituita dalla condanna del datore di lavoro alla riassunzione del lavoratore o al risarcimento, in favore di quest'ultimo, da computarsi mediante l'erogazione di un'indennità rapportata alla misura indicata dalla stessa norma. (Cass. 21/6/2007 n. 14487, Pres. Mattone Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2008, 87, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1062)
  • Il licenziamento disciplinare illegittimo è da considerarsi ingiurioso non allorquando la contestazione riguardi un fatto lesivo dell'onore e del decoro del lavoratore, bensì laddove la forma del provvedimento e la pubblicità data a esso siano effettivamente lesive della sua dignità, atteso che un licenziamento ingiustificato o immotivato - sicuramente illegittimo e produttivo di danno risarcibile a norma di legge - non è, per ciò solo, anche ingiurioso, per cui il lavoratore non può pretendere a tale titolo un ulteriore risarcimento, ove non provi l'ulteriore e diverso danno subito. (Corte app. Venezia 6/6/2007, Pres. Pivotti Est. Santoro, in D&L 2007, con nota di Irene Romoli, "Modalità di contestazione dell'illecito disciplinare e risarcimento del danno ulteriore per lesione dell'onore e del decore del lavoratore: l'illegittimità del recesso non implica l'ingiuriosità", 1219)
  • Ai fini dell'accertamento in giudizio di un inadempimento del lavoratore non ha validità probatoria una relazione ispettiva basata su notizie riferite da informatori non identificati; pertanto il licenziamento basato su tali reazioni deve essere dichiarato illegittimo. (Cass. 19/4/2007 n. 9332, Pres. Sciarelli Est. Maiorano, in D&L 2007, con nota di Stefano Muggia, "Brevi osservazioni sull'onere della prova e sulla prova per presunzioni", 900)
  • Con l'ordinanza collegiale del 12 febbraio 2007 il Tribunale di Trani dichiara l'illegittimità del licenziamento disciplinato adottato oltre il termine di decadenza previsto dal contratto collettivo di settore, ritenendo irrilevante la proroga del termine invocata dal datore di lavoro e comunicata al lavoratore per un supplemento di istruttoria. (Trib. Trani 12/2/2007, Pres. Di Trani Rel. La Notte Chirone, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Marcello Paduanelli, 1005)
  • Nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro, e quindi costituisca giusta causa di licenziamento, va tenuto presente che il fatto concreto va valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sufficiente a minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e a giustificare il licenziamento per giusta causa il comportamento del dipendente che, abusando del possesso delle chiavi dello stabilimento, si era introdotto all'interno di esso in giorno festivo e quindi nell'ufficio del direttore, coprendosi il volto per eludere la sorveglianza televisiva, e si era avvicinato a un armadio dal quale in precedenza erano stati sottratti dei valori). (Cass. 7/7/2006 n. 15491, Pres. Mercurio Est. Lupi, in Lav. nella giur. 2007, 84)
  • In tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, allorquando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice disciplinare non deve esaminarli partitamente, riconducendoli alle singole fattispecie previste da clausole contrattuali, ma deve valutarli complessivamente al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito per non avere considerato complessivamente la condotta di un impiegato di banca al fine di verificare se essa fosse atta a minare la fiducia dell'istituto di credito suo datore di lavoro, e per non aver considerato che il dirottamento della clientela, avente un'esposizione debitoria tale da renderle problematico un ulteriore accesso al credito bancario, verso società finanziaria costituisce in ogni caso una violazione del dovere di fedeltà e correttezza. (Cassa con rinvio, Trib. Messina, 17 gennaio 2003). (Cass. 23/3/2006 n. 6454, Pres. Mercurio Rel. Di Nubila, in Dir. e prat. lav. 2006, 2680)
  • Nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro, va tenuto presente che è differenziata l'intensità della fiducia richiesta, a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell'oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono, e che il fatto concreto va valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento. (Cass. 10/6/2005 n. 12263, in Dir. & prat. lav. 2008, 2239)
  • Ai fini della qualificazione come disciplinare del licenziamento rilevano non soltanto le violazioni del codice disciplinare predisposto dal datore di lavoro, ma anche le violazioni di norme di legge, in primo luogo delle leggi penali, nonché la violazione degli altri doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione. (Cass. 25/5/2005 n. 10991, Pres. Mattone Rel. D’Agostino, in Lav. e prev. oggi 2005, 1278)
  • L’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 trova applicazione non soltanto quando il licenziamento disciplinare sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva e trovi fondamento nel c.d. codice disciplinare, anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative di recesso previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie all’etica comune o concretanti violazione dei doveri accessori, complementari e strumentali al compimento della prestazione principale, tra i quali quelli nascenti dagli obblighi di fedeltà e diligenza. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, aveva applicato il principio sopra enunciato al licenziamento del dipendente delle Poste Italiane S.p.a., per gravissimi reati estranei al rapporto di lavoro, senza l’adozione del procedimento ex art. 7 legge n. 300 del 1970). (Cass. 21/7/2004 n. 13526, Pres. Sciarelli Rel. De Matteis, in Lav. e prev. oggi 2004, 1851)
  • Laddove né il CCNL né il codice disciplinare ne faccia menzione, non può attribuirsi rilevanza inficiante la contestazione disciplinare al fatto che vi abbia provveduto persona non munita di rappresentanza tecnico-giuridica dell'ente, essendo la contestazione annullabile unicamente a istanza della società, che può anche ratificarla a norma dell’art. 1399 c.c. e porla a fondamento del licenziamento disciplinare. (Trib. Bari 26/11/2003, ord., Est. Caso, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Alessia Muratorio, 1185)
  • L'onere della formazione e della pubblicazione del codice disciplinare va assolto quando il licenziamento venga intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo soggettivo espressamente previste dalla normativa collettiva in funzione di preventiva valutazione pattizia dell'importanza dei relativi casi di inadempimento, quando non sia immediatamente percepibile a chiunque, anche estraneo all'assetto organizzativo aziendale, che l'eventuale illecito sia talmente grave da comportare il licenziamento. (Trib. Milano 30/5/2003, Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2004, 89)
  • Poiché la nozione di giusta causa di licenziamento trova la propria fonte direttamente nella legge, l'elencazione delle ipotesi di giusta causa eventualmente contenuta nei contratti collettivi o, come nella specie, in un atto unilaterale del datore di lavoro, ha valenza esemplificativa e non tassativa, tuttavia il giudice del merito, nel valutare la lesione del vincolo fiduciario per fatti estranei al rapporto di lavoro, ben può prendere in considerazione le specifiche previsioni contenute nei contratti collettivi o in atti unilaterali del datore di lavoro, anche se queste non sono idonee, da sole, a fornire il parametro per verificare la sussistenza o meno della concreta lesione di quel vincolo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che una sentenza di applicazione della pena di tre mesi di reclusione, ex art. 444 c.p.c., per fatti estranei al rapporto di lavoro, potesse integrare, da sola, giusta causa di licenziamento, in presenza di una disposizione del Regolamento del personale dell'Istituto Poligrafico Zecca dello Stato che limitava il rilievo delle sentenze penali a quelle comportanti una pena restrittiva della libertà personale in misura non inferiore ad un anno, precisando che non aveva alcun rilievo, ai fini suindicati, la natura patteggiata della pena). (Cass. 10/12/2002, n. 17562, Pres. Trezza, Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2003, 476)
  • L'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare clausole generali come quella dell'art. 2119 c.c. che, in tema di licenziamento, reca una "norma elastica", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, che esige il rispetto di criteri e principi ricavabili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali sino alla disciplina particolare (anche stabilita dai contratti collettivi), in cui si colloca la fattispecie. In particolare, l'operazione valutativa non è censurabile, se il giudice di merito abbia applicato i principi costituzionali che impongono un bilanciamento dell'interesse del lavoratore, tutelato dall'art. 4 della Costituzione, con l'interesse del datore di lavoro, tutelato dall'art. 41, Cost., bilanciamento che, in materia di licenziamento disciplinare, si riassume nel criterio dettato dall'art. 2106 c.c., della proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto alla all'infrazione contestata, conformandosi altresì agli ulteriori standards valutativi rinvenibili nella disciplina collettiva e nella coscienza sociale, valutando la condotta del lavoratore in riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà, anche alla luce del "disvalore ambientale" che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere per gli altri dipendenti dell'impresa a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di tali obblighi (Nella specie la S.C. ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice di merito, che aveva rigettato l'impugnazione del licenziamento del responsabile della piccola casa di uno stabilimento industriale-il quale si era appropriato di due somme di lire 1.200.000 e lire 500.000-valorizzando tra l'altro, la gravità della condotta , in considerazione della posizione lavorativa del dipendente). (Cass. 4/12/2002, n. 17208, Pres. Dell'Anno, Rel. Foglia, in Lav. nella giur. 2003, 344, con commento di Giorgio Mannacio)
  • Il licenziamento intimato a motivo di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia pur essa idonea a configurare la giusta causa di cui all'art. 2119 c.c., ha natura ontologicamente disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie procedimentali di irrogazione stabilite dall'art. 7, L. n. 300/1970. (Corte d'appello Bari 15/11/2002, Est. Gentile, in Lav. nella giur. 2003, 386)
  • Le condotte del lavoratore configuranti un fatto oggettivamente illecito, derivante da una norma penale radicata nella coscienza sociale, non necessitano di essere esplicitamente contemplate dal codice disciplinare e possono comunque essere contestate in via disciplinare. Occorre comunque distinguere tra comportamenti illeciti, attinenti all'organizzazione aziendale ed ai modi di produzione, i quali si riferiscono a norme per lo più ignote alla genericità e sono perciò conoscibili solo se espressamente previste, e quelli manifestamente contrari ai valori generalmente accertati, e perciò spesso illeciti anche penalmente, oppure palesemente in contrasto con l'interesse dell'impresa, per i quali non è necessaria, appunto, la specifica inclusione nel codice disciplinare. (Trib. Forlì 3/10/2002, Pres. Velotti, Est. Allegra, in Lav. nella giur. 2003, 391)
  • La nozione di giusta causa di recesso è nozione legale (art. 2119 c.c.) e, proprio per questo,tanto più con riguardo a fatti di rilievo penale e contrari a regole di civiltà, non richiede previsioni ad hoc nel codice disciplinare, le quali, se presenti, danno luogo a fattispecie tipizzate (comunque sottoposte a controllo giudiziale di congruità) e non pongono fuori della nozione comportamenti diversi. (Corte d'appello Milano 27/9/2002, Pres. Mannacio, Rel. De Angelis, in Lav. nella giur. 2003, 387)
  • In tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, allorquando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito non deve esaminarli partitamente, riconducendoli alle singole fattispecie previste da clausole contrattuali, ma deve valutarli complessivamente. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, emessa in sede di rinvio, la quale, non adeguandosi al principio di diritto, attraverso un esma separato degli episodi contestati, aveva ritenuto sì sussistente un illecito disciplinare, ma non così grave da giustificare l'intimato licenziamento). (Cass. 16/9/2002, n. 13536, Pres. Ciciretti, Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2003, 74)
  • L'eventuale preventiva delibera assunta dall'assemblea dei soci, nella quale sia stato manifestato il proposito di licenziare un lavoratore per motivi disciplinari, non costituisce circostanza invalidante del successivo licenziamento, essendo ogni decisione definitiva rinviata all'esito del relativo procedimento disciplinare e alla valutazione delle sue risultanze. (Cass. 18/6/2002, n. 8853, Pres. Mileo, Est. Di Lella, in Riv. it. dir. lav. 2003, 91, con nota di Sndro Mainardi, Vecchie e nuove questioni in materia di procedimento disciplinare, titolarità del potere e termini a difesa).
  • Il pubblico dipendente, nei cui confronti non sia stato promosso procedimento disciplinare in seguito alla pronuncia di sentenza penale di condanna, ha diritto alla restitutio in integrum. (Consiglio di Stato, 28/2/2002, n. 2, Pres. De Roberto, Est. Farina, in Foro it. 2003, parte terza, 371)
  • Il potere di risolvere il contratto di lavoro subordinato per il caso di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali deriva al datore di lavoro direttamente dalla legge (art. 3 della legge n. 604 del 1966), e non necessita, per il suo legittimo esercizio, di una dettagliata previsione, nel contratto collettivo o nel regolamento disciplinare predisposto dal datore di lavoro, di ogni possibile ipotesi di comportamento illecito integrante il suddetto requisito, spettando al giudice di verificare, ove si contesti la giustificatezza del recesso, se gli episodi addebitati integrino l'indicata fattispecie legale. Pertanto, anche se non specificatamente previste dalla normativa negoziale, costituiscono ragione di valida intimazione del recesso del datore di lavoro le gravi violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quei doveri cioè, che sorreggono la stessa esistenza del rapporto, quali sono i doveri imposti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., e, specificatamente, quelli derivanti dalle direttive aziendali. (Cass.8/6/2001, n. 7819, Pres. Trezza, Rel. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2003, 351)
  • La teoria cd. ontologica estende l'ambito del licenziamento disciplinare a tutti i casi in cui viene a suo mezzo sanzionata una inadempienza e/o trasgressione del lavoratore. Una simile regola non incontra limiti nel carattere extralavorativo della causa di licenziamento addotta dal datore di lavoro, trattandosi comunque di un comportamento imputabile del lavoratore. Consegue da ciò l'applicabilità anche in questo caso delle regole del contraddittorio sancite dall'art. 7, l. n. 300/70. (Corte Appello Bologna 12/3/2001, pres e est. Castiglione, in Lavoro giur. 2001, pag. 1043, con nota di Cavalloni, Il principio "audiatur et altera pars" nel licenziamento per fatto extralavorativo)
  • Nella valutazione della gravità dei comportamenti del lavoratore al fine della configurabilità di una giusta causa di licenziamento non assume rilevanza decisiva il tenue valore del danno economico arrecato al datore di lavoro, dovendosi avere riguardo agli effetti del comportamento del lavoratore sulla particolare fiducia che ripone in lui il datore di lavoro in relazione alle mansioni assegnate (nella specie, la cassiera di un supermercato aveva indebitamente utilizzato una tessera punti-sconto riservata ai clienti) (Trib. Milano 16/11/00, est. Peragallo, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 962)
  • Gli artt. 2104 e 1176 c.c. impongono al lavoratore di eseguire la prestazione - indipendentemente dalle direttive impartite dal datore di lavoro - secondo la particolare qualità dell'attività dovuta, risultante dalle mansioni e dai dati professionali che la definiscono, e di osservare, altresì, tutti i comportamenti accessori e le cautele che si rendano necessari ad assicurare una gestione professionalmente corretta (nel caso, il bancario aveva dato corso a rilevanti operazioni di bonifico senza alcuna cautela) (Cass. 27/9/00, n. 12769, pres. Trezza, est. Coletti, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 446, con nota di Nadalet, Sull'obbligo di diligenza e i cd. compiti accessori: verso un'estensione della sfera di imputabilità)
  • L'ipotesi del notevole "inadempimento degli obblighi contrattuali" cui si riferisce l'art. 3, l. n. 604/66 non può identificarsi soltanto nell'inadempimento o inesatto adempimento della prestazione lavorativa dovuta, ma deve estendersi anche alla violazione degli obblighi accessori o funzionali rispetto alla prestazione stessa e, più in generale, alla violazione dei doveri di correttezza, di lealtà, di fedeltà, che pure derivano dal contratto di lavoro, sulla base delle disposizioni degli artt. 2094 e 2104 c.c. (Nella specie, la Cassazione ha cassato con rinvio la decisione dei giudici di appello che avevano escluso la configurabilità del notevole inadempimento nel comportamento del lavoratore che aveva manomesso l'orologio marcatempo in modo da far risultare sul cartellino un orario di entrata che non era stato registrato) (Cass. 19/8/00, n. 10996, pres. Mileo, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 747)
  • Il giudice del lavoro adito con impugnativa di licenziamento, ove questo sia stato irrogato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è obbligato a tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazione degli stessi del tutto svincolate dall'esito del procedimento penale. In ogni caso, la valutazione della legittimità del comportamento del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per giusta causa deve essere da quel giudice operata alla stregua della ratio degli artt. 2119 c.c. e 1, l. 15/7/66, n. 604, cioè tenendosi conto dell'incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze dell'organizzazione produttiva e delle finalità e delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione, indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi ai fini penali: sicchè non incorre in vizio di contraddittorietà la sentenza che affermi la legittimità del recesso nonostante l' assoluzione delle lavoratore in sede penale per le medesime vicende addotte dal suo datore di lavoro a giustificazione dell'immediata risoluzione del rapporto (nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., in relazione al licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore che aveva prestato denaro dietro notevole interesse ad un collega di lavoro e aveva proceduto poi a tutti i conseguenti atti di recupero crediti, aveva ritenuto la gravità del comportamento del dipendente, in quanto idoneo a turbare l'ordine della compagine aziendale, distolta dai suoi necessari moduli di solidarietà tra colleghi e di dedizione esclusiva all'attività di lavoro, e aveva perciò reputato legittimo il recesso del datore di lavoro, indipendentemente dall'avvenuta assoluzione del lavoratore dal reato di usura) (Cass. 5/8/00, n. 10315, pres. Santojanni, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 339, con nota di D'Arcangelo, Giusta causa di licenziamento e usura)
  • Spetta al solo giudice di merito la valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della sua qualificazione come giusta causa o giustificato motivo di recesso, non essendo queste ultime clausole generali che necessitino di una attività di integrazione da parte del giudice per dare concretezza al contenuto del precetto normativo, ma piuttosto specificazioni del generale principio previsto dall'art. 1455 c.c. circa la rilevanza che deve avere l'inadempimento per legittimare la risoluzione del contratto (Cass. 19/6/00, n. 8313, pres. Prestipino, est. Picone, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 112, con nota di Vallauri, Espressioni ingiuriose, abitudini lessicali e giusta causa di licenziamento. Alcune osservazioni sulla natura di giusta causa e giustificato motivo)
  • La valutazione del notevole inadempimento nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo deve operarsi con riferimento non al fatto astrattamente considerato, bensì agli aspetti concreti del fatto stesso, alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo (Trib. Roma 15/6/2000, pres. e est. Cocchia, in Lavoro giur. 2001, pag. 1076, con nota di Montanari, Specificità della contestazione dell'addebito e valutazione dell'infrazione nel licenziamento)
  • In caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, con particolare riguardo dell'elemento fiduciario e la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nonché alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo. (Nel caso esaminato, la Cassazione ha ritenuto incensurabile in sede di controllo di legittimità, la sentenza impugnata che, con motivazione congrua, esaustiva e priva di salti logici, aveva ritenuto reazione sproporzionata il licenziamento di una dipendente gastronoma di un bar-gastronomia appropriatasi di due kiwi e di un cestino di fragole, valorizzando circostanze quali la lunga durata del rapporto di lavoro, l'assenza di precedenti disciplinari della lavoratrice e il minimo grado di affidabilità richiesto dalle mansioni assegnatale) (Cass. sez. lav. 27 novembre 1999 n. 13299, pres. Sciarelli, est. Vidiri, in D&L 2000, 479, n. Ianniello, Ancora sulla nozione di giusta causa e giustificato motivo soggettivo)
  • Per accertare la legittimità di un licenziamento per colpa adottato nei confronti di un dipendente, occorre che il comportamento dello stesso sia valutato attraverso un giudizio globale che tenga conto dell’effettiva incidenza del fatto addebitato sul comportamento lavorativo (Cass. 13/4/99 n. 3645, pres. Pontrandolfi, est. Guglielmucci, in D&LGiusta causa di licenziamento e <>) 1999, 657, n. Muggia,