Questioni di procedura

  • La mancata proposizione, nell'atto giudiziale di impugnativa del licenziamento, della domanda risarcitoria-contestualmente a quella di reintegrazione nel luogo di lavoro-integra un comportamento di inerzia del riccorrente che preclude, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il risarcimento del danno per il periodo in relazione al quale la parte ha limitato la domanda al profilo strettamente reintegratorio, ex art. 18 SL, spettando per contro il risarcimento del danno per il periodo della sentenza fino all'effettiva reintegra. (Trib. Firenze 28/12/2002, Est. Lococo, in D&L 2003, 407, con nota di Irene Romoli, "Licenziamento illegittimo e risarcimento del danno: l'inerzia del lavoratore nel proporre l'azione quale ipotesi di riduzione della misura risarcitoria")
  • Le somme dovute al lavoratore in virtù della sentenza del giudice del lavoro, che ordinando la reintegrazione, condanni il datore di lavoro al pagamento della retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento annullato alla data della sentenza, se non precisamente quantificate, possono essere liquidate in separato procedimento monitorio - senza che si incorra nel divieto del bis in idem - non aprendo, la predetta sentenza, direttamente la via dell'esecuzione forzata, per mancanza dei requisiti di liquidità e certezza di cui all'art. 474 c.p.c. (Trib. Salerno ordinanza 8/3/02, pres. e est. De Stefano, in Lavoro giur. 2002, pag. 642, con nota di Rossi, Riflessioni sui procedimenti in materia esecutiva su sentenza in tema di licenziamento)
  • In tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposta dal giudice ai sensi dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori, l'eccezione con la quale il datore di lavoro, al fine di vedere ridotto al limite legale delle cinque mensilità di retribuzione l'ammontare del suddetto risarcimento, deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione, ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno, non fa valere alcun diritto sostanziale di impugnazione, né l'eccezione stessa è identificabile come oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore di una parte; pertanto, allorquando vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d'ufficio (anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato (Cass. 16/8/00, n. 10859, pres. Mercurio, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 775 e e in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1028, con nota di Russo, Licenziamento e risarcimento del danno: una nuova pronuncia della Cassazione in tema di detraibilità dell'aliunde perceptum e percipiendum)
  • Nel giudizio di impugnativa di un licenziamento, l'eccezione cosiddetta dell' aliunde perceptum - vale a dire la deduzione della rioccupazione del lavoratore licenziato al fine di limitare il danno da risarcire a seguito di un licenziamento illegittimo intervenuto nell'area della tutela reale, o anche a seguito di un licenziamento, intimato al di fuori di tale area, che sia inefficace, perché privo dei requisiti formali richiesti dall'art. 2 L. 604/66 (come nella specie, relativa a licenziamento orale in piccola impresa) - non costituisce un'eccezione in senso stretto, atteso che con essa non si introducono fatti diversi da quello che costituisce oggetto del giudizio per effetto della domanda dell'attore. Ne consegue che quando la prova della rioccupazione del lavoratore licenziato risulti ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore, il giudice ne deve tener conto anche d'ufficio e, in difetto, l'omissione può formare oggetto di un motivo di gravame (Cass. 21/3/00 n. 3345, pres. Genghini, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 467 e in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 133, con nota di Cattani, Sulla valutazione del danno provocato dal licenziamento al lavoratore che, dopo il recesso, abbia trovato una nuova occupazione)