In genere

  • Mentre lo svolgimento da parte del lavoratore di una pluralità di attività può comportare l’obbligo assicurativo per entrambe le assicurazioni, l’intervento dell’assicurazione si ricollega poi ad uno specifico evento, sicché, ove questo riguardi attività di volo, opera il solo regime derogatorio, previsto nell’art. 935 c. nav., che esclude la copertura dell’assicurazione I.N.A.I.L. per il personale navigante abitualmente od occasionalmente addetto al servizio di volo “dall’inizio delle manovre dell’involo al termine di quelle per l’approdo”. (Cass. 18/11/2020 n. 26271, ord., Pres. Berrino Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 203)
  • In caso di infortunio sul lavoro, al di fuori dei casi di rischio elettivo nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti colposi del lavoratore, trova applicazione l’art. 1227, comma 1, c.c.; tuttavia, la condotta incauta del lavoratore non comporta concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento del danno ogni qualvolta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro risulti aver avuto un’incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell’evento dannoso, il che si verifica, tra l’altro, quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all’adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, l’evento dannoso non si sarebbe verificato, nonostante l’imprudenza del lavoratore. (Cass. 25/11/2019 n. 30679, Pres. Napoletano Rel. Bellè, in Lav. nella giur. 2020, con nota di S. Caffio, Infortuni sul lavoro (anche da Covid-19) e concorso colposo del lavoratore: la chimera dell’applicabilità dell’art. 1227 c.c., 1166)
  • In materia di responsabilità per violazioni delle norme antinfortunistiche, il datore di lavoro obbligato alle prescrizioni dettate per la sicurezza va identificato in colui che riveste tale ruolo nell’organizzazione imprenditoriale cui è funzionale il luogo di lavoro nel quale si è verificato l’infortunio (nel caso di specie l’infortunio si è verificato nell’ingresso di una galleria commerciale di proprietà di una società diversa da quella datrice di lavoro dell’infortunato; la Cassazione ha stabilito che la società proprietaria della galleria risponde delle lesioni a condizione che la galleria sia qualificabile come luogo di lavoro dei suoi propri dipendenti). (Cass. 9/9/2015 n. 40721, Pres. Brusco Est. Dovere, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Gianluca Gentile, “La Cassazione delimita (ma non troppo) gli obblighi prevenzionistici del datore di lavoro”, 166)
  • Le prescrizioni rivolte al datore di lavoro possono distinguersi in due tipologie. Le norme antinfortunistiche a carattere oggettivo, avendo un contenuto che prescinde da qualsivoglia riferimento a un particolare destinatario, sono poste a tutela di chiunque si trovi sul luogo di lavoro. Le misure a carattere soggettivo si indirizzano invece a una specifica tipologia di soggetti da tutelare, e quindi non riguardano i soggetti estranei all’organizzazione. (Cass. 9/9/2015 n. 40721, Pres. Brusco Est. Dovere, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Gianluca Gentile, “La Cassazione delimita (ma non troppo) gli obblighi prevenzionistici del datore di lavoro”, 166)
  • Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (cassata, nella specie, la decisione dei giudici di merito che avevano escluso che la morte del lavoratore fosse rapportabile all’epatopatia da virus C probabilmente contratta in occasione del trattamento dell’infortunio lavorativo subito dal lavoratore deceduto, atteso che i giudici di merito, pur a fronte di specifiche e precise censure alla CTU, avevano aderito alle conclusioni dell’accertamento peritale limitandosi al mero richiamo alle conclusioni del consulente. (Cass. 11/11/2014 n. 23990, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 200)
  • L’infortunio subito dal lavoratore fuori dal cantiere per fatto compiuto da terzi si può ascrivere, dal punto di vista causale, (anche) a responsabilità del datore di lavoro quando vi è nesso di causa tra il fatto e il lavoro e viene dimostrata la consapevolezza del datore del rischio incombente sull’incolumità fisica dei propri lavoratori, avendo lo stesso predisposto, in via precauzionale, alcune misure di salvaguardia per fronteggiare il rischio suddetto. (Nella specie, il danno è stato causato da un attentato kamikaze di Al Quaeda). (Trib. Ravenna 23/10/2014, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Vittoria Amato, 185)
  • In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il dipendente che sostenga la dipendenza dell’infermità da una causa di servizio ha l’onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell’affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Ne consegue che, ove la patologia presenti una eziologia multifattoriale, il nesso causale tra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto e ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell’esposizione a rischio. (Cass. 15/10/2014 n. 21825, Pres. Vidiri Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2015, 93)
  • Nella previsione di tutela contenuta nell’art. 2087 non è configurabile un’ipotesi di responsabilità oggettiva, cioè di responsabilità risarcitoria del datore di lavoro basata su un criterio puramente oggettivo di imputazione per l’evento lesivo collegato al rischio dell’attività svolta nel suo interesse, ma è invece ravvisabile in linea con i principi generali in tema di obbligazioni, la violazione da parte sua dell’obbligo contrattuale ivi sancito, dell’avvenuto adempimento di tale obbligo e cioè, si ribadisce, di aver adottato tutte le misure e le cautele necessarie per prevenire ed evitare i rischi connessi all’attività lavorativa. (Trib. Milano 21/8/2014, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2014, 1133)
  • Al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa scolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente. (Trib. Bari 18/7/2014, Giud. Salamida, in Lav. nella giur. 2015, 99)
  • L’art. 2087 c.c. non configura una responsabilità oggettiva e, pertanto, spetta al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa espletata, un danno alla salute, provare l’esistenza di siffatto danno, come pure la nocività dell’ambiente o delle condizioni di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro. A fronte di tale prova, il datore di lavoro dovrà, invece, dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi. (Cass. 8/5/2014 n. 9945, Pres. Roselli Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2014, 815)
  • Ove lo sforzo compiuto nell’esecuzione della prestazione lavorativa non abbia costituito la causa efficiente, né la concausa, né la causa scatenante dello stato morboso, avendo al più rappresentato l’occasione per la manifestazione o la “slatentizzazione” di una patologia preesistente che si pone come causa sufficiente dell’invalidità, lo sforzo stesso non è sufficiente a sostenere l’origine post traumatica della patologia, stante l’ascrivibilità della condizione nosologica a malattia comune. (Cass. 19/12/2013 n. 28434, Pres. Lamorgese Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2014, 286)
  • Il requisito dell’inscindibile connessione tra rendita e attività lavorativa caratterizza anche la differenza tra malattia professionale e infortunio sul lavoro. Solo in relazione a quest’ultimo la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa (cassata, nella specie, la decisione dei giudici di appello che avevano riconosciuto il diritto all’indennità nei confronti di un lavoratore ritenendo sussistente il nesso causale tra la patologia – ernia distale – denunciata dal lavoratore e il prolungato tragitto giornaliero andata e ritorno, protrattosi per diciannove anni attraverso l’utilizzo del proprio autoveicolo). (Cass. 9/10/2013 n. 22974, Pres. Vidiri Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2014, 86, e in Lav. nella giur. 2014, con commento di Gina Rosamarì Simoncini, 360)
  • La speciale azione di regresso spettante all’Inail ai sensi degli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/1965, esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta, non comporta che il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso debba necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (salvo il riscontro dell’eventuale pregiudizialità penale). (Cass. 10/9/2013 n. 20724, Pres. Roselli Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2013, 1044)
  • Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, seconda la quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. Pertanto, deve essere riconosciuta la riconducibilità all’attività lavorativa per l’infezione da epatite contratta a seguito di emotrasfusioni se queste si sono rese necessarie per affrontare il trattamento chirurgico delle fratture subite dal lavoratore in un infortunio in itinere (respinto il ricorso dell’INAIL, il quale sosteneva che le cause della morte andassero riferite all’imperizia del personale medico e che non fossero in alcun modo riferibili all’attività lavorativa). (Cass. 7/5/2013 n. 10565, Pres. Roselli Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2013, 743)
  • Il requisito della “occasione di lavoro” implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, in relazione al quale il lavoro assuma il ruolo di fattore occasionale, mentre il limite della copertura assicurativa è costituita esclusivamente dal “rischio elettivo”, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto a una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei e affronti volutamente, in base a ragioni o a impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attvità lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. (Cass. 29/11/2012 n. 21249, Pres. Miani Canevari Rel. Tricomi, in Lav. nella giur. 2013, 200)
  • Dal combinato disposto degli artt. 2051 c.c. e 4, comma 12, D.Lgs. 19/9/94 n. 626, sussiste la responsabilità risarcitoria dell’ente locale proprietario dell’edificio, sede di un Ufficio giudiziario, per un infortunio accaduto a un dipendente dell’amministrazione della giustizia. (Trib. Verona 29/6/2012, Est. Lanni, in D&L 2012, con nota di Francesco Palumbo, “Infortunio sul lavoro e responsabilità del proprietario dell’immobile, anche diverso dal datore di lavoro”, 745)
  • Ai fini della configurazione della responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al proprio dipendente va ricordato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese a impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità quando essa presenti i caratteri della abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (nella specie, relativa a un infortunio mortale occorso a un lavoratore che aveva eseguito delle lavorazioni in prossimità di linee elettriche, la Corte ha escluso la responsabilità del datore di lavoro, in quanto nel corso del giudizio era emerso che la elusione della distanza di sicurezza dalle linee elettriche era dovuta all’iniziativa del lavoratore, la cui condotta, peraltro, si era rivelata del tutto “atipica” rispetto al procedimento lavorativo seguito ordinariamente, per la stessa fornitura e per la stessa manovra da eseguire nel medesimo cantiere). (Cass. 13/6/2012 n. 9661, Pres. Miani Canevari Est. Morcavallo, in Orient. Giur. Lav. 2012, 342)
  • Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese a impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha accolto la domanda di risarcimento avanzata da un lavoratore rimasto vittima di un infortunio mentre procedeva alla pulizia di macchinari che avrebbero dovuto non essere in funzione o bloccarsi automaticamente). (Cass. 7/6/2012 n. 9199, Pres. Coletti De Cesare Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2012, 819)
  • Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficacia causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto la riconducibilità all’attività lavorativa della malattia contratta per complicanze insorte dalla vaccinazione contro l’epatite B, atteso che la necessità di questo intervento sanitario – nonché dei successivi richiami – era conseguente a un infortunio sul lavoro). (Cass. 17/6/2011 n. 13361, Pres. Vidiri Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2011, 957)
  • Il diritto dell’INAIL al recupero di quanto erogato al danneggiato deve agganciarsi, per la certezza dei rapporti giuridici, alla liquidazione dell’indennizzo assicurativo costituente il fatto certo e costitutivo del diritto a svolgere, nel termine normativamente prescritto, l’azione di regresso. Ne consegue, quando il procedimento penale non sia stato iniziato, che il diritto di credito dell’INAIL diventa azionabile solo all’avverarsi di un fatto certo e costitutivo, qual è la liquidazione dell’indennizzo assicurativo, non potendo rilevare circostanze estranee alla sfera giuridica del creditore, qual è l’avverarsi di una causa di estinzione del reato. (Cass. 11/3/2011 n. 5879, Pres. Roselli Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2011, 522)
  • È indennizzabile come malattia professionale la patologia polmonare che, con rilevante grado di probabilità, sia riconducibile a esposizione al fumo passivo in ambiente di lavoro. (Cass. 10/2/2011 n. 3227, Pres. Miani Canevari, Est. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Cunati, “Fumo passivo e rendita Inail: il punto della Cassazione”, 205)
  • Il datore di lavoro, quale diretto responsabile della sicurezza sul lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa prevenzionale e sfuggano alla tentazione di sottrarsi anche instaurando prassi di lavoro magari anche di comodo, ma non corrette e foriere di pericoli. La responsabilità si può escludere solo nell'ipotesi tipica di comportamento "abnorme" nel caso in cui il lavoratore violi "con consapevolezza" le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare. (Nella specie, il responsabile dei lavori e il delegato alla sicurezza del cantiere sono stati ritenuti responsabili, per colpa generica e specifica, di un infortunio sul lavoro occorso a un lavoratore il quale, scivolando su di una scala in muratura, sprovvista di corrimano, a ridosso dell'area oggetto dei lavori di ristrutturazione, precipitava dal lato aperto della stessa, da un'altezza di circa tre metri, rovinando violentemente al suolo e procurandosi lesioni dalle quali derivava una malattia e una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni (Cass., sez. V pen., 26/8/2010 n. 32357, Pres. Esposito Est. Piccialli, in D&L 2010, con nota di Alessandro Corrado, "La delega di funzioni non libera il datore di lavoro da responsabilità per infortuni", 1167)
  • In riferimento al calcolo del tasso specifico aziendale, inerente alla determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali per l'assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali, oltre che degli oneri diretti e indiretti, si deve tener conto anche della c.d. riserva sinistri, ovvero degli oneri presunti destinati a coprire spese sicuramente da sopportare ma non determinabili alla data del calcolo in via definitiva e che dovranno computarsi anche se, nel periodo considerato, non si siano verificati nell'azione infortuni e/o malattie professionali. E infatti il predetto tasso specifico aziendale è stato previsto dal D.M. 18 giugno 1988 e dai precedenti decreti con riferimento non all'andamento infortunistico, ovvero all'effettivo rischio della singola azienda, bensì al rapporto tra l'andamento infortunistico in ogni tipo di lavorazione e il numero dei dipendenti assicurati nelle singole imprese, nonché le loro retribuzioni (Cass. 27/5/2010 n. 12960, Pres. Sciarelli Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2010, 839)
  • In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'Inail nei confronti della persona civilmente obbligata, può essere esperita alla sola condizione che il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio, mentre il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso - necessario solo in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore e di bonario componimento della lite - non deve necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (salvo il riscontro dell'eventuale pregiudizialità penale). (Cass. 17/5/2010 n. 11986, Pres. Roselli Rel. Napolitano, in Lav. nella giur. 2010, 840) 
  • In caso di infortunio sul lavoro sussiste un’autonoma posizione di garanzia del costruttore, concorrente con quella del datore di lavoro, per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza previsti dalla legge; ne consegue che la responsabilità del costruttore è esclusa nel caso in cui risulti che l’utilizzatore ha compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento dannoso. (Cass. 4/5/2010 n. 16941, Pres. Mocali Est. Piccialli, in D&L 2010, con nota di Ilaria Leverone, “La responsabilità del costruttore nell’ipotesi di infortunio sul lavoro. Regola o eccezione?”, 793)
  • Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Nella specie, la S.C., affermando il principio su esteso, ha cassato la sentenza impugnata che aveva attribuito al tabagismo efficacia causale della rilevata broncopneumopatia cronica, senza approfondire se la noxa professionale riconosciuta dal Ctu, pur marginale, avesse avuto un ruolo concausale, anche se ridotto). (Cassa con rinvio, App. Cagliari, 8 aprile 2005). (Cass. 4/6/2008 n. 14770, Pres. Senese Est. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2008, 2660, e in Lav. nella giur. 2008, 1166) 
  • I dubbi di legittimità costituzionale riguardanti la disciplina relativa a un evento infortunistico avvenuto dopo l'entrata in vigore del D.M. contenente le tabelle cui rinviano i commi 2 e 3 dell'art. 13 del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (in tema di assicurazione contro le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro), sotto il profilo della 'reformatio in peius' della pregressa disciplina e dell'eccesso di delega, sono manifestamente infondati atteso che non occorre basarsi, ai fini della valutazione della portata della nuova normativa, su una comparazione frazionistica di singoli elementi delle rispettive discipline ma, invece, sull'effetto migliorativo complessivo della riforma del citato D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. (Cass. 7/2/2008 n. 2894, Pres. De Luca Est. De Matteis, in Dir. & prat. lav. 2008, 2154)
  • Sussiste la responsabilità concorrente del lavoratore nella verificazione di un infortunio sul lavoro nel caso in cui lo stesso pone in essere una condotta esuberante dalla sua mansione specifica e nonostante il dissenso del datore di lavoro anche nell'ipotesi in cui l'infortunio accada non in coincidenza con lo svolgimento di detta mansione e il datore di lavoro non abbia rispettato le misure di sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Con l'emanazione del d.lgs. n. 38 del 2000 anche il danno biologico rientra nelle regole di esonero e della limitazione al danno differenziale dettate dall'art. 10, TU n. 1124 del 1965. (Trib. Piacenza 22/11/2007, Est. Picciau, in ADL 2008, con commento di Francesco Alvaro, 1513) 
  • In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, ove alcuni infortuni o malattie si siano verificati prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000 e altri si siano verificati successivamente, ai sensi dell'art. 13 comma 6 prima parte di detto decreto, i postumi relativi non si cumulano ai fini della liquidazione di un'unica prestazione previdenziale, restando del tutto autonomi e separati i due regimi di tutela precedente e successivo alle nuove disposizioni; tale esclusione della cumulabilità dei postumi relativi a eventi ricadenti nei diversi regimi normativi opera sia nel caso di eventi già indennizzati in capitale e non in rendita, sia di eventi dai quali siano derivate inabilità inferiori al grado richiesto per la liquidazione delle prestazioni a carico dell'Inail. (Cass. 12/10/2007 n. 21452, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 313)
  • In caso di infortunio mortale, qualora tra l'evento e il decesso intercorra un periodo molto breve (nella fattispecie meno di due ore) non sussiste alcun danno da sofferenza esistenziale trasmissibile iure hereditario agli eredi, potendosi configurare solo danni iure proprio di natura biologica e morale, determinati in misura diversa in ragione del rapporto parentale con il defunto e quantificati con riferimento alle tabelle di liquidazione del danno biologico in uso presso il Tribunale di Milano. (Trib. Milano 29/5/2007, Est. Mennuni, in D&L 2007, con nota di Marzia Giovannini, "Note sul danno da morte", 1150)
  • Nel caso di cattivo funzionamento di una macchina, l'imprenditore, non necessariamente provvisto delle necessarie cognizioni tecniche, si comporta diligentemente rivolgendosi a persona competente. Conseguentemente non è responsabile, ex art. 2087 c.c., per i danni da lesione personale causati dal lavoratore, il datore di lavoro che, constatato il cattivo funzionamento, incarichi della riparazione un tecnico di sua fiducia e di capacità professionale non contestata dalle parti in causa, il quale compia la riparazione rivelatasi, poi, insufficiente per cause non accertate, ma comunque non imputabili al datore. (Rigetta, App. Ancona, 18 marzo 2004). (Cass. 1/12/2006 n. 25599, Pres. Sciarelli Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2007, 1801)
  • In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la notizia dell'infortunio, dalla quale decorre il termine di due giorni previsto dall'art. 53, primo comma, del t.u. n. 1124 del 1965, si riferisce a eventi produttivi, secondo l'accertamento medico, di un'inabilità superiore ai tre giorni, senza che possa avere rilievo nè la sola conoscenza del fatto lesivo, nè quella di un'inabilità contenuta nel predetto termine (principio affermato in fattispecie in cui la prognosi originaria non superava tale termine mentre solo con la produzione dei successivi certificati si era realizzato il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di denuncia. La corte territoriale, con decisione cassata dalla S.C., aveva ritenuto che dalla mera conoscenza di un infortunio subito dal lavoratore, quali ne fossero le conseguenze, sorgesse per il datore di lavoro l'obbligo di denunzia da assolvere nei due giorni successivi a tale conoscenza). (Cass. 20/11/2006 n. 24596, Pres. De Luca Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2007, 623)
  • In tema di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'eziopatogenesi professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale. (Cass. 26/5/2006 n. 12559, Pres. Senese Est. de Matteis, in D&L 2006, 947)
  • Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” e alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione logica e adeguata, aveva verificato che, in presenza di un’acclarata situazione di pericolo esistente al momento dell’infortunio mortale dovuto al brusco innalzamento di un braccio operatore che aveva schiacciato il cranio del dipendente contro il tettuccio della macchina che stava manovrando e riconducibile all’elusione del meccanismo di sicurezza, la società datrice di lavoro non aveva provato che tale elusione fosse dovuta all’iniziativa del lavoratore, precisando, peraltro, che, anche nell’eventualità della sussistenza di tale circostanza, non si sarebbe potuta escludere la responsabilità datoriale, atteso che la “tipicità” di un procedimento lavorativo pericoloso, nel quale l’operatore, per maggiore libertà di movimento, manovri la macchina dopo aver reso inoperante i meccanismi di sicurezza, non escludeva, né riduceva, la colpa dell’imprenditore). (Cass. 8/3/2006 n. 4980, Pres. Mercurio Rel. Morcavballo, in Lav. Nella giur. 2006, 815)
  • Il giudice del lavoro non può riconoscere la responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., se l’infortunato dipendente – che ha proposto il ricorso – non riesce a provare il nesso di causalità tra il danno occorsogli con la nocività dell’ambiente di lavoro. Sul dipendente infortunato ricorrente grava anche l’onere di dimostrare che l’incidente sia avvenuto mentre stava svolgendo l’attività lavorativa e come è avvenuto il sinistro. (Trib. Lucera 19/1/2006, Est. Storace, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Marco Dibitonto, 557)
  • Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Cass. 18/7/2005 n. 15107, Pres. Senese Est. Lamorgese, in Orient. Giur. Lav. 2005, 714)
  • La responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore può ritenersi provata allorchè, a fronte di specifiche deduzioni del lavoratore – giovane operaio di 18 anni, assunto da pochi giorni con contratto interinale e chiamato a svolgere attività specializzata su una fresatrice computerizzata automatica – il datore si sia difeso sostenendo che l’infortunio era stato causato dall’imperizia del lavoratore, senza preoccuparsi di allegare di aver fornito informazione ed istruzioni sulla sicurezza e sulle condizioni di impiego della macchina, come era tenuto a fare ai sensi dell’art. 37, D.Lgs. n. 626/1994. (Corte d’appello Milano 22/12/2004, Pres. e Rel. Ruiz, in Lav. nella giur. 2005, 696)
  •  È da considerarsi accertata la dipendenza da causa di servizio dell’infermità, con diritto alla concessione dell’equo indennizzo, qualora le condizioni di lavoro, senza limitarsi a mero fattore scatenante, hanno dato un contributo rilevante e determinante a che la malattia si manifestasse con tale grado di gravità o, comunque, con tale accelerazione (fattispecie relativa ad un caso di sindrome depressiva congenita, manifestatasi a seguito di una condizione di forte stress lavorativo maturato per un sovraccarico di responsabilità). (Trib. Rimini 2/10/2004, Est. Cetro, in Lav. nelle P.A. 2005, 193)
  • Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il carattere di malattia professionale per l’epatite C, contratta durante la emotrasfusione da lavoratrice affetta da anemia da benzene, ritenendo il contagio addebitabile alla struttura sanitaria quale fattore esterno e autonomo rispetto alla malattia professionale, non essendo stato censurato tale apprezzamento di fatto sotto il profilo del vizio di motivazione). (Cass. 11/3/2004 n. 5014, Pres. ciciretti Rel. Lamorgese, in Giur. It. 2005, 265)
  • Sussiste una corresponsabilità a carico del datore di lavoro che, pur avendo dato direttive specifiche in ordine al percorso da seguire per l'entrata e l'uscita dall'azienda, non abbia adeguatamente segnalato la presenza di una sbarra posta sul percorso vietato ai dipendenti. (Trib. Firenze 30/1/2004, Est. Muntoni, in D&L 2004, 347, con nota di Filippo Pirelli, "Infortunio sul lavoro e concorso di colpa")
  • Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore. Infatti, la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. (Nella specie, un lavoratore, mentre si trovava tra due file di cassoni intento ad apporvi etichette, aveva subito un infortunio per opera dello spostamento dei cassoni da parte di un muletto manovrato da altro operaio che non poteva vederlo. La S.C ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro, rilevando che non era stato indicato in quale altro modo doveva essere effettuata la prestazione e che era stato trascurato il disposto della legge n. 547 del 1955 nella parte in cui prevede le modalità d'uso delle macchine quando possano costituire un pericolo per i lavoratori). (Cass. 27/2/2004 n. 4075, Pres. Prestipino Rel. Mazzarella, in Dir. e prat. lav. 2004, 2029)
  • In quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, il costruttore-venditore di una macchina può attenersi alla normativa tecnica del settore soltanto dopo averne accertato la totale conformità alla legge e, quindi, non può non astenersi dal seguirla se tale normativa affermasse l'impossibilità tecnica della collocazione sulla macchina di un presidio antinfortunistico previsto dalla legge. (Cass. 5/11/2003, n. 41985, Pres. D'Urso Est. Battisti, in Dir. E prat. lav. 2003, 3171)
  • In quanto destinatario delle norme antinfortunistiche che lo riguardano, l'imprenditore non può non conoscere tali norme, a prescindere dai suggerimenti o dalle prescrizioni delle Autorità cui spetta la vigilanza ai fini del rispetto di quelle norme e, pertanto, la circostanza che, in occasione di visite ispettive, non siano stati mossi rilievi in ordine alla sicurezza della macchina, non può essere invocata dal costruttore-venditore per escludere la propria responsabilità. (Cass. 5/11/2003, n. 41985, Pres. D'Urso Est. Battisti, in Dir. E prat. lav. 2003, 3171)
  • Nel caso di infortunio occorso ad un lavoratore autonomo è configurabile la responsabilità del committente qualora questi si sia reso inadempiente all'obbligo, sancito dall'art. 7 D. Lgs. 19/9/94 n. 626, di fornire al lavoratore autonomo dettagliate informazioni sui rischi specifici dell'ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. (Corte d'Appello Trento 23/7/2003, Pres. Zanon Est. Caracciolo, in D&L 2003, 966)
  • In ipotesi di infortunio sul lavoro dovuto alla mancata adozione di misure antinfortunistiche, cui il datore di lavoro sia tenuto ai sensi dell'art. 2087 c.c., sussiste la responsabilità esclusiva del medesimo, che può venire meno solo in presenza di dolo o di "rischio elettivo" imputabile al dipendente (nella fattispecie la lesione-consistente nell'avulsione di un bulbo oculare del lavoratore conducente di autocisterna-risultava causata dallo scoppio di un pneumatico del semirimorchio dovuto a carenza di manutenzione del mezzo, e non risultava in alcun modo censurabile il comportamento tenuto dal lavoratore, che anzi era intervenuto con l'apposito estintore per spegnere un principio di incendio evidenziato dal fumo che usciva da una delle ruote posteriori del semirimorchio). (Trib. Milano 14/3/2003, Est. Negri della Torre, in D&L 2003, 674)
  • Costituisce infortunio sul lavoro indennizzabile dall' Inail l'investimento automobilistico subito durante il servizio da vigile urbano viabilista non addetto alla conduzione di veicoli. (Cass. 20/11/2002, n.16364, Pres. Ciciretti, Rel. Stile, in Foro it. 2003, parte prima, 472)
  • Il datore di lavoro può fare controllare, nelle forme di cui all'art. 5 St. Lav., la sussistenza dell'impedimento al lavoro del lavoratore infortunatosi in azienda. L'obbligo di disponibilità del lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato dalle fasce orarie previste dal d.l. 12 settembre 1983, n. 483, convertito con modificazioni nella l. 11 novembre 1983, n. 638, applicabile ai soli lavoratori in malattia, è legittimamente regolabile dal contratto collettivo (nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la pronuncia che dichiarava legittime le sanzioni disciplinari irrogate nei confronti del lavoratore infortunato il quale, allontanandosi dalla propria abitazione nella fasce orarie previste dalla contrattazione collettiva, senza darne preventiva comunicazione, aveva reso infruttuose le visite di controllo effettuate nel periodo di degenza (Cass. 9/11/2002, n. 15773, Pres. D'Angelo, Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2003, 575, con nota di Andrea Pardini, Fasce orarie di reperibilità ed infortunio sul lavoro; in Giur. It. 2003, 2042, con nota di Vera Zanetta, "Il controllo dell'infermità per infortunio sul lavoro"S)
  • Sebbene l'art. 2087 c.c. non configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva - in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento - tuttavia, ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno a causa dell'attività lavorativa svolta l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro e il nesso causale tra questi due elementi. Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno. Rimane a carico del datore di lavoro l'onere della dimostrazione del fatto del terzo o del comportamento abnorme del lavoratore. (Cass. 7/10/2002, n. 14323, Pres. Mileo, Est. Morcavallo, in Riv. it. dir. lav. 2003, 266, con nota di Marina Garattoni, La ripartizione dell'onere della prova nella responsabilità ex art. 2087 c.c.. Conforme: Cass. 25/8/2003 n. 12467, Pres. Senese Rel. D'Agostino, in Dir. eprat. Lav. 2004, 288).
  • L'obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro di cui all'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro l'adozione di tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del prestatore secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica. La violazione di tale obbligo dà luogo, in caso di infortunio al lavoratore, a responsabilità contrattuale, che ribalta sul datore l'onere di provare di aver adottato tutte le misure richieste dal caso, mentre è escluso che il datore debba rispondere sulla base del mero presupposto dell'avvenuto infortunio, secondo un modello di responsabilità oggettiva alla costruzione ed alla interpretazione del citato articolo. (Corte d'appello Milano 27/9/2002, Pres. Ruiz, Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2003, 492)
  • In ipotesi di infortunio causato da una macchina priva dei dispositivi di sicurezza prescritti dagli artt. 55 e 68 DPR 547/55, il datore di lavoro risponde ai sensi dell'art. 2087 c.c. anche nell'ipotesi in cui l'infortunio non si sarebbe verificato se il lavoratore addetto alla macchina si fosse astenuto dal tentativo di ripararne il funzionamento. (Corte d'Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  • Il lavoratore, che si sia introdotto senza protezione in una zona pericolosa della macchina cui è addetto, non concorre nella responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. se il datore di lavoro non l'ha previamente informato sui rischi connessi all'accesso. (Corte d'Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  • In ipotesi di infortunio di cui sia responsabile il datore di lavoro, l'indennizzo Inail erogato ai sensi del DPR 547/95 non comprende il danno biologico. (Corte d'Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  • L'infortunio sul lavoro, determinato dalla mancata protezione delle zone pericolose di una macchina e della tolleranza di prassi irregolari per ripararne il funzionamento, comporta anche la responsabilità del sovrintendente della macchina. (Corte d'Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  • L'art. 2087 c.c., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, tenuto al dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche se non dipendenti da lui, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire. Il contenuto dell'obbligo di sicurezza include anche i rischi derivanti dall'azione di fattori estranei all'ambiente di lavoro inerenti alla località in cui si trova il posto di lavoro nonché i rischi collegati all'azione criminosa di terzi. Il risarcimento del danno spetta in solido alla società committente e all'appaltatore (datore di lavoro dei lavoratori infortunati) in base alla responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale (Cass. 22/3/02, n. 4129, pres. Mileo, est. Stile, in Lavoro giur. 2002, pag. 746, con nota di Bertocco, Responsabilità del committente per gli infortuni subiti dai dipendenti dell'appaltatore)
  • Ai fini dell'aumento del premio dovuto dal datore di lavoro con riferimento all'andamento infortunistico aziendale (tasso specifico aziendale) rileva anche l'infortunio dovuto a colpa esclusiva del lavoratore atteso che l'imprudenza, la negligenza e l'imperizia rientrano nel rischio assicurato quando ineriscono ad una condotta e ad un comportamento che, ancorché determinati da circostanze straordinarie, sono comunque strettamente riferiti all'esecuzione del lavoro ed in connessione con lo svolgimento del medesimo; solo la presenza di un rischio elettivo, cioè di una fattispecie idonea ad interrompere qualsiasi connessione con l'occasione di lavoro, ed a privare l'evento di ogni aspetto di professionalità, esclude la natura di infortunio lavorativo (Corte Appello Milano 15/2/01, pres. Mannaccio, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 186)
  • La normativa antinfortunistica è direttamente rivolta ad assicurare che i datori di lavoro assumano tutti i provvedimenti atti ad evitare infortuni, indipendentemente dai controlli e dalle revisioni degli organi ispettivi, il cui parere positivo è irrilevante ai fini di escludere la responsabilità penale del datore di lavoro dal reato di lesioni colpose (per amputazione, nella fattispecie, del braccio intrappolato nella macchina priva dei necessari presidi di sicurezza) (Cass. Sez. IV penale 20/10/00, n. 10767, pres. Battisti, est. Mazza, in Lavoro e prev. oggi, pag. 1550)
  • Ancorché il datore di lavoro sia responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore non solo quando ometta di adottare le idonee misure protettive ma anche quando ometta esclusivamente di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente (non assumendo alcun valore esimente per l'imprenditore l'eventuale concorso di colpa del dipendente), tuttavia può configurarsi un esonero totale da responsabilità per il datore di lavoro quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità e dell'assoluta imprevedibilità, da valutare anche in considerazione dell'esperienza lavorativa del dipendente medesimo (Cass. 13/10/00, n. 13690, pres. Grieco, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1126)
  • Essendo rimasto definitivamente accertato - con sentenza di merito incontestata al riguardo - che, in punto di fatto, il ricorrente, nella sua attività di gestore di impianto di distribuzione carburante era da qualificarsi lavoratore artigiano (non riesaminabile in sede di legittimità per la richiesta qualificazione di commerciante ad opera dell'INAIL) e come tale destinatario della tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro, da un lato non può porsi in dubbio la specificità del rischio rapina che su di lui incombeva nei momenti in cui doveva riporre le somme di denaro incassate e, dall'altro, appare innegabile la sussistenza nella specie di una causa, o almeno, di una occasione di lavoro, nel senso che tra la prestazione lavorativa e l'evento vi sia un nesso di derivazione eziologica quanto meno mediata ed indiretta tra prestazione di lavoro (trasporto denaro della persona) ed evento (rapina), essendo questo dipendente dal rischio inerente alla prima o connesso al suo stesso compimento (Cass. 12/10/00, n. 15691, pres. Mileo, est. D'Agostino, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 402)
  • Una volta acclarata la nocività dell’ambiente di lavoro, deve ritenersi che il datore di lavoro sia responsabile per la violazione di specifici obblighi di comportamento imposti da norme di legge. Pertanto, il temporaneo allontanamento del lavoratore dal posto di servizio  “per respirare un po’ di aria salubre” deve qualificarsi come autorizzato e non è idoneo, quindi, ad interrompere il nesso eziologico fra prestazione di servizio e infortunio (T.a.r. Abruzzo, sez. Pescara 2/12/99, n. 897, pres. Catoni, , in Dir. Lav. 2000, pag. 338, con nota di Fabozzi, Allontanamento per pericolo di nocività dal posto di lavoro e infortunio)
  • La responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro è esclusa non da una mera imprudenza del lavoratore, ma solo da una sua condotta abnorme (Pret. Trento 12/11/99, est Flaim, in Lavoro giur. 2000, pag. 962, con nota di Ogriseg, Condotta imprudente del lavoratore e limiti del danno biologico risarcibile)
  • Qualora un infortunio sul lavoro interessi una parte del corpo affetta da una persistente patologia, il principio giuridico della "equivalenza delle cause" impone di individuare quale sia la causa giuridicamente rilevante; pertanto, posto che la responsabilità del datore è esclusa solo quando l'infortunio è avvenuto per fatto e colpa interamente addebitabili al dipendente, sussiste tale responsabilità se il datore - a conoscenza della preesistente patologia - abbia ciononostate adibito il dipendente a un'attività non compatibile (Trib. Milano 23 ottobre 1999, pres. ed est. Mannacio, in D&L 2000, 538)
  • Poiché in caso di distacco il datore di lavoro distaccante resta l’unico titolare del rapporto, l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. permane in capo al medesimo che, ancorché privo in astratto di poteri direzionali sull’organizzazione del lavoro, dovrà ritenersi responsabile per il solo fatto di aver deviato la prestazione di lavoro a favore di soggetto non fornito dei necessari requisiti tecnici e di sicurezza e benché il soggetto diretto destinatario della prestazione lavorativa non possa considerarsi datore di lavoro del dipendente distaccato sussiste in capo al medesimo un obbligo di sicurezza di fonte legale, ex art. 2087 c.c., giacché tale norma si applica a colui che nell’esercizio dell’impresa organizza i fattori della produzione, a prescindere dal titolo in base al quale lo stesso utilizzi le prestazioni lavorative, e a patto che le stesse vengano svolte sotto la sua direzione e a suo vantaggio (Pret. Brescia 12/5/98, est. Cassia, in D&L 1998, 969, nota Conte, La responsabilità ex art. 2087 c.c. in caso di distacco del lavoratore infortunato)
  • Non è cumulabile con la malattia comune il periodo di comporto relativo alla malattia insorta successivamente alla guarigione clinica dall’infortunio sul lavoro quando tale malattia sia stata determinata dalla sopravvenienza di episodi morbosi acuti conseguenti all’infortunio (Trib. Padova 27/10/97, pres. Rizzo, est. Gionfrida, in D&L 1998, 409, n. PIRELLI, Malattia e infortunio sul lavoro: cumulabilità dei periodi di comporto)
  • La malattia del lavoratore e la sua inidoneità al lavoro sono cause di impossibilità della prestazione lavorativa che hanno natura e disciplina giuridica diverse: la prima ha carattere temporaneo, implica la totale impossibilità della prestazione e determina, ai sensi dell'art. 2110 c.c., la legittimità del licenziamento quando ha causato l'astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto; la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, non implica necessariamente l'impossibilità totale della prestazione e consente la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., eventualmente previo accertamento di essa con la procedura stabilita dall'art. 5, legge 20 maggio 1970 n. 300 (procedura peraltro non necessaria, ben potendo l'inidoneità fisica posta a base del licenziamento risultare, oltre che dalla obiettiva frequenza delle assenze per malattia, anche dalla documentazione prodotta dal lavoratore), indipendentemente dal superamento del periodo di comporto. (Cass. 17/6/1997 n. 5416, in Dir. e prat. lav. 2008, 1753)
  • In ipotesi di infortunio sul lavoro occorso a dipendente dell’illecita subappaltatrice di mano d’opera, per accertata violazione della normativa antiinfortunistica di cui al DPR 1124/65, va ritenuta la responsabilità della subappaltante, effettiva datrice di lavoro e pertanto vera destinataria degli obblighi di prevenzione, mentre va esclusa la responsabilità della subappaltatrice, totalmente soggetta alla direzione della subappaltante, nonché la responsabilità della committente, cui non compete alcun potere di controllo sull’effettiva adozione delle misure di sicurezza nell’esecuzione dei lavori (Pret. Milano 5/7/97, est. Cecconi, in D&L 1998, 155)
  • Le assenze del lavoratore dovute a infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono riconducibili, in linea di principio, all'ampia e generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 c.c., comprensiva anche di dette specifiche categorie di impedimenti dovuti a cause di lavoro, e sono pertanto normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto nello stesso art. 2110 c.c., la cui determinazione è da questa norma rimessa alla legg, alle norme collettive, all'uso o all'equità; la suddetta compatibilità nel periodo di comporto non si verifica, peraltro, nelle ipotesi in cui l'infortunio sul lavoro o la malattia non solo abbino avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell'ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell'attività lavorativa, ma altresì quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all'obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie - secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica - per la tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tale ipotesi l'impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata. (Cass. 10/4/1996 n. 3351, in Dir. e prat. lav. 2008, 1754)
  • La malattia professionale - comprese in tale categori, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988, anche le infermità diverse da quelle "tabellate" e derivanti (con dimostrazione a carico dell'assicurato) da una causa di lavoro - presuppone l'azione di fattori che ineriscono al lavoro come tale e che si evolvono dannosamente sulla èersona del lavoratore in continuo o reiterato contatto con essi (c.d. causa lenta, in contrapposizione alla causa violenta che caratterizza l'infortunio); pertanto, non è configurabile come malattia professionale (ma, eventualmente, come infortunio) l'alterazione organica costituita dalla sensibilizzazione di tipo allergico a determinate sostanze e provocata, nel corso dello svolgimento di attività infermieristica, non da sostanze al cui contatto il lavoratore sia rimasto esposto per la sua attività ma dall'inoculazione di un vaccino, e cioè da un fattore episodico e in rapporto di sola occasionalità con detta attività lavorativa. (Cass. 19/3/1992 n. 3393, in Dir. e prat. lav. 2008, 1754)