Causa violenta

  • La causa violenta, richiesta dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, per l’indennizzabilità dell’infortunio, può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo stesso, ancorché non eccezionale e abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta e alla loro eventuale connessione con le conseguenze dannose dell’infortunio (respinta la richiesta del lavoratore, il quale non aveva provato di aver proceduto a uno spostamento di pacchi di peso e che proprio lo sforzo al quale si era sottoposto fosse stata la causa determinante del dolore allo sterno e del malore sopravvenuto). (Cass. 27/9/2013 n. 22257, Pres. Roselli Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2013, 1127)
  • Rientra nella nozione di causa violenta anche un agente lesivo, presente nell'ambiente di lavoro, in modo esclusivo o in misura significativamente superiore che nell'ambiente esterno, il quale produca un abbassamento delle difese immunitarie; dal suo meccanismo d'azione, se rapido e concentrato, oppure lento deriva poi la collocazione dell'evento tra gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. (Cass. 26/5/2006 n. 12559, Pres. senese Est. de Matteis, in D&L 2006, 947)
  • In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, il diritto alla relativa prestazione richiede che l'infortunio sia stato provocato da una "causa violenta" (art.2, D.P.R. n. 1124/1965) che può riscontrarsi anche in riferimento allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, qualora sia caratterizzato dalla intensità dell'energia spiegata, concentrata in un breve arco temporale, che va identificato nell'unità cronologica costituita dal turno di lavoro (Nella specie, la S.C .ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto insussistente la "causa violenta" nello sforzo posto in essere da due lavoratrici, le quali, per un intero turno lavorativo avevano, rispettivamente, provveduto a rifilare con un coltello plastiche di particolare durezza e ad inserire tappi in scarponi da sci mediante una graffettatrice, contraendo entrambe una tendinite acuta). (Cass. 10/1/2003, n. 239, Pres. Mileo, Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2003, 475; in Riv. it. dir. lav. 2003, 637, con nota di Luca Ruggiero, Il turno lavorativo come unità cronologica della causa violenta "allargata" nell'infortunio sul lavoro)
  • L'infarto, per il suo attuarsi in un brevissimo arco temporale, ha il carattere della "violenza" ed assume rilievo come causa di infortunio sul lavoro, ove sia legato all'attività lavorativa con una connessione causale (in quanto, anche nell'ambito di un eventuale concorso di cause, sia determinato dall'attività lavorativa) ed una contiguità topografica (in quanto si verifichi nel corso dell' attività lavorativa), contiguità che non significa (attesa la dizione di legge "in occasione") assoluta contestualità, cosicché essa non è esclusa da un breve intervallo temporale fra lavoro e lesione (infarto), ove questa sia inequivocabilmente riconducibile all'attività volta in un tempo immediatamente precedente (nella fattispecie prestando lavoro dalle 12 alle 14 ore al giorno per l'inaugurazione della nuova sede della Camera del lavoro) (Cass. 26/10/00, n. 14085, pres. De Musis, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2281)
  • Nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, lo sforzo messo in atto dal lavoratore, in una delle situazioni tipiche ed abituali del suo lavoro, al fine di vincere una resistenza specifica delle condizioni di lavoro e del suo ambiente, che determini, con azione rapida ed intensa, un infarto cardiaco e le relative conseguenze invalidanti o letali, costituisce "causa violenta", ai sensi dell'art.2 del D.P.R. 30/6/65 n. 1124 (Cass. 27/9/00 n. 12798, pres. Trezza, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2111)