Licenziamento

  • L’articolo 10, punto 1, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che consenta il licenziamento di una lavoratrice gestante a causa di un licenziamento collettivo ai sensi dell’articolo 1, punto 1, lettera a), della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi. (Corte di Giustizia 22/2/2018 C-103/16, Pres. Bay Larsen Rel. Safjan, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di C. Pareo, “Il licenziamento collettivo può costituire un’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice madre?”, 912)
  • L’articolo 10, punto 2, della direttiva 92/85 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che consenta al datore di lavoro di licenziare una lavoratrice gestante nell’ambito di un licenziamento collettivo senza fornirle motivi diversi da quelli che giustificano tale licenziamento collettivo, a condizione che siano indicati i criteri oggettivi adottati per designare i lavoratori da licenziare. (Corte di Giustizia 22/2/2018 C-103/16, Pres. Bay Larsen Rel. Safjan, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di C. Pareo, “Il licenziamento collettivo può costituire un’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice madre?”, 912)
  • L’articolo 10, punto 1, della direttiva 92/85 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che, nell’ambito di un licenziamento collettivo, ai sensi della direttiva 98/59, non preveda né una priorità al mantenimento del posto di lavoro né una priorità di riqualificazione applicabili prima di tale licenziamento, per le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, senza che ciò escluda, tuttavia, la facoltà per gli Stati membri di garantire una protezione più elevata alle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. (Corte di Giustizia 22/2/2018 C-103/16, Pres. Bay Larsen Rel. Safjan, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di C. Pareo, “Il licenziamento collettivo può costituire un’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice madre?”, 912)
  • In tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento di cui all’art. 54, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 151 del 2001, dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino, opera solo in caso di cessazione dell’intera attività aziendale, sicché, trattandosi di fattispecie normativa di stretta interpretazione, essa non può essere applicata in via estensiva o analogica alle ipotesi di cessazione dell’attività di un singolo reparto dell’azienda, ancorché dotato di autonomia funzionale. (Cass. 6/6/2018 n. 14515, Pres. Nobile Rel. Neri Della Torre, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di C. Pareo, “Il licenziamento collettivo può costituire un’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice madre?”, 913)
  • Il tenore testuale dell’art. 54, co. 3, lett. b, dell’art. 54 del d.lgs. n. 151/2001 indica che solo in caso di cessazione dell’attività dell’intera azienda è possibile il licenziamento della lavoratrice madre, in quanto trattandosi di norma che pone un’eccezione a un principio di carattere generale (e cioè quello fissato dall’art. 54, co. 1, di divieto del licenziamento della lavoratrice nelle condizioni ivi specificate) essa non può che essere di stretta interpretazione e non è suscettibile di interpretazione estensiva o analogica. (Cass. 28/9/2017, n. 22720, Pres. Mammone Est. Calafiore, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di G. De Luca, “La chiusura di un reparto autonomo dell’azienda non legittima il licenziamento della lavoratrice madre adibita ad esso”, 39)
  • Stante la natura di contratto a tempo indeterminato dell’apprendistato, il licenziamento della lavoratrice madre nel periodo di irrecedibilità non assistito da giusta causa è nullo con applicazione della tutela ex art. 18 Stat. Lav. in assenza di disdetta alla scadenza del periodo formativo. (Cass. 15/3/2016 n. 5051, Pres. Roselli Est. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2016, con commento di Domenico Garofalo, 911)
  • La deroga di cui all’art. 54, comma 4, secondo periodo, d.lgs. n. 151/2001 al divieto generale di licenziamento della lavoratrice madre durante i periodi di tutela deve essere interpretata tassativamente e non può pertanto essere estesa alle differenti ipotesi di cessazione del rapporto o del ramo d’azienda. (Cass. 31/7/2013 n. 18363, Pres. Vidiri Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Daniele Zanetto, 261)
  • In tema di rapporto di lavoro, la lavoratrice in stato di gravidanza o puerperio licenziata illegittimamente ha diritto alle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto indipendentemente dalla trasmissione al datore di lavoro della relativa certificazione medica ove la lavoratrice provi che il datore di lavoro fosse a conoscenza del suo stato all’atto di recesso. A tale conclusione si deve pervenire, a maggior ragione, qualora si versi in un’ipotesi di rapporto di lavoro irregolare nel quale la lavoratrice che si trova nella peculiare condizione di un rapporto mai formalizzato può ritenere di non dover assolvere alcun onere di documentazione a cagione della irregolarità che lo caratterizza. (Cass. 20/7/2012 n. 12693, Pres. Vidiri Est. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2013, Francesca Iaquinta, “Valore meramente probatorio del certificato di gravidanza e corresponsione della retribuzione alla lavoratrice irregolare illegittimamente licenziata”, 96)
  • L'infondatezza nel merito di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo nei confronti di lavoratrice madre può avvalorare la natura discriminatoria del licenziamento stesso, qualora il carattere non veritiero della sua motivazione faccia emergere diversi, soggettivi e illeciti, motivi di allontanamento della lavoratrice madre a pochi giorni dalla richiesta della stessa di un congedo parentale. Il licenziamento determinato da motivo discriminatorio fondato sulla maternità determina ai sensi dell'art. 25 D.Lgs. 11/4/06 n. 198 la nullità del licenziamento ai sensi dell'art. 3 L. 11/5/90 e comporta l'applicazione della tutela reale di cui all'art. 18 SL. (Trib. Pisa 2/4/2009, Est. Santoni, in D&L 2009, con nota di Chiara Zambrelli, "In tema di licenziamento di lavoratrice madre", 801)
  • L'art. 14 del D.P.R. 25 novembre 1976 n. 1026 (regolamento di esecuzione della legge n. 1204 del 1971 sulla tutela delle lavoratrici madri), pur prescrivendo determinate formalità quanto alla redazione e alla produzione del certificato di gravidanza, non collega alcuna sanzione all'inosservanza di tali requisiti formali, sicché la lavoratrice (illegittimamente licenziata) può presentare tale certificato anche in allegato al ricorso con il quale impugna il licenziamento (Cassa e decide nel merito, App. Roma, 2 settembre 2004). (Cass. 3/3/2008 n. 5749, Pres. Sciarelli Est. Stile, in Dir. & prat. lav. 2008, 2247)
  • Il divieto di licenziamento della lavoratrice durante il periodo di tutela ai sensi dell'art. 10 Direttiva 92/85Ce (concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e delle salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento) deve essere interpretato nel senso che esso vieta, non soltanto di notificare una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio durante il periodo stesso, ma anche di prendere misure preparatorie a una tale decisione prima della scadenza di detto periodo. (Corte di Giustizia CE 11/10/2007 causa C-460/06, Pres. A. Rosas Rel. A.O Caoimh, in D&L 2008, con nota di Alberto Guariso, 81)
  • Il licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio è sempre discriminatorio ed è contrario alla Direttiva 76/207/Ce (relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro), qualunque sia il momento in cui la decisione di licenziamento è notificata e, dunque, anche se essa è notificata dopo la scadenza del periodo di tutela; in tale ipotesi la misura sanzionatoria scelta dallo Stato membro dovendo garantire una tutela giurisdizionale efficace e avere per il datore di lavoro un effetto dissuasivo reale, deve essere almeno equivalente a quella prevista per il diritto nazionale in esecuzione degli artt. 10 e 12 della Direttiva 92/85/Ce per il licenziamento per gravidanza posto in essere all'interno del periodo di tutela. (Corte di Giustizia CE 11/10/2007 causa C-460/06, Pres. A. Rosas Rel. A.O Caoimh, in D&L 2008, con nota di Alberto Guariso, 81) 
  • La cessazione dell'attività quale ipotesi di deroga al divieto di licenziamento della lavoratrice madre ex art. 2, 2° comma, lett. b), L. 1024/71 (ora art. 54, c. 3° lett. b, D.Lgs. 151/01), può ricomprendere anche la chiusura del reparto cui era addetta la dipendente, ma solo a condizione che la singola unità produttiva sia formalmente e strutturalmente autonoma e che non sussista nessuna possibilità di riutilizzare la lavoratrice presso un diverso reparto o una diversa struttura aziendale. La prova di siffatta impossibilità di ricollocamento ricade sul datore di lavoro, sicchè in difetto va dichiarata la nullità del licenziamento, con conseguente diritto della lavoratrice a ottenere il pagamento delle retribuzioni non corrisposte. Non rileva in proposito la mancata presentazione del certificato di gravidanza, trattandosi di adempimento che ha finalità esclusivamente probatorie e che come tale può essere sostituito dall'effettiva conoscenza dello stato di gravidanza ottenuta altrimenti dal datore di lavoro. (Cass. 16/2/2007 n. 3620, Pres. De Luca Est. Monaci, in D&L 2007, 497)
  • Il divieto di licenziamento di cui all’art. 2, L. n. 1204/1971 opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio e, pertanto, il licenziamento intimato nonostante il divieto comporta, anche in mancanza di tempestiva richiesta di ripristino del rapporto, il pagamento delle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, le quali maturano a decorrere dalla presentazione del certificato attestante lo stato di gravidanza (art. 4, D.P.R. n. 1026/1976). Ove la lavoratrice sia stata assunta con contratto di formazione e lavoro, la determinazione del risarcimento in misura corrispondente all’importo delle retribuzioni maturate fino al termine del rapporto di formazione e lavoro tiene conto dell’effetto sospensivo del termine contrattuale per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, con conseguente proroga del termine medesimo per un periodo pari a quello della sospensione, essendo l’esecuzione del rapporto sospensioni per fatti non riconducibili alla volontà delle parti. (Cass. 1/2/2006 n. 2244, Pres. Senese Rel. Miani Canevari, in Lav. Nella giur. 2006, 701)
  • Pone in essere un comportamento discriminatorio il datore di lavoro che licenzi una lavoratrice per il suo stato di gravidanza, fuori dai casi consentiti dal D.Lgs. 26/03/01 n. 151, con conseguente obbligo del datore di lavoro, sul piano della rimozione degli effetti, di reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro, di pagare alla stessa le retribuzioni dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa e di risarcire il danno non patrimoniale. (Trib. Pistoia 27/10/2005, decr., Est. De Marzo, in D&L 2006, con n. Sofia Lecconi, “Licenziamento discriminatorio e azione d’urgenza della Consigliera di Parità: presupposti e conseguenze”, 594)
  • La deroga al divieto di licenziamento della lavoratrice madre per cessazione dell’attività presuppone il verificarsi di entrambi i presupposti previsti dalla norma e l’impossibilità di estendere analogicamente la fattispecie. (Cass. 18/5/2005 n. 10391, Pres. Mileo Rel. Di Cerbo, in Lav. nella giur. 2006, 92)
  • Il licenziamento intimato alla lavoratrice all’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino in violazione dell’art. 2, secondo comma, L. n. 1204/1971, è affetto da nullità, a seguito della pronuncia della Corte Cost. n. 61/1991, ed è improduttivo di effetti, con la conseguenza che il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente e il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento, in ragione del mancato guadagno. (Cass. 15/9/2004 n. 18537, Pres. Mattone Rel. Castaldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Lucia Casamassima, 237)
  • Il divieto di licenziamento delle lavoratrici madri, previsto dall'art. 54, D. Lgs. n. 151/01, opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio, ancorchè il datore di lavoro sia inconsapevole, alla data del licenziamento, dello stato della lavoratrice. (Trib. Roma 10/4/2003, Pres. Cortesani Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2003, 1172)
  • Ai fini dell'applicabilità dell'art. 2, comma 3, lett. a), L. n. 1204/1971, il quale rende inoperante il divieto di licenziamento della lavoratrice madre quando ricorra la colpa grave della stessa, non è sufficiente accertare la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento, ma è necessario verificare, con onere probatorio a carico del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2697 c.c., se sussista quella colpa prevista specificatamente dalla norma suddetta e diversa, per la richiesta connotazione di gravità, da quella cui si riferisce la legge o la disciplina collettiva per casi generici di infrazione o di inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto. In definitiva, si tratta di un'ipotesi di colpa più qualificata dal punto di vista soggettivo in ragione delle condizioni psicofisiche in cui versa la lavoratrice madre. (Trib. Roma 30/5/2002, Est. Cocchia, in Lav. nella giur. 2003, 290)
  • Il licenziamento intimato alla madre lavoratrice in violazione della L. n. 1204/71 è nullo , ma ad esso non è applicabile l'art. 18 St. lav. Ne consegue, alla stregua dei principi generali del vigente sistema, che la declaratoria di nullità comporta, da un lato, che il recesso va considerato fin dall'inizio privo di effetti risolutori del rapporto-che, pertanto, giuridicamente è sempre pendente fino a quando non se ne verifichi una legittima risoluzione-e, dall'altro lato, che il creditore ha diritto al risarcimento dei danni come previsto dall'art. 1223 c.c. Peraltro la speciale tutela stabilita per la lavoratrice madre non esonera la stessa dall'offrire la prestazione di lavoro per poter conseguire, con la ripresa della funzionalità in fatto del rapporto o, comunque, con la messa in mora del creditore, il diritto alle retribuzioni o al risarcimento del danno. (Trib. Milano 16/4/2002, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2003, 191)
  • La garanzia per la lavoratrice del divieto di licenziamento intimato a causa di matrimonio nel periodo compreso tra la richiesta delle pubblicazioni ed un anno dalla celebrazione trova le uniche eccezioni nelle ipotesi previste nella stessa L. 9/1/63 n. 7. Ne consegue che è nullo, ai sensi della citata legge, il licenziamento intimato nell'anno dalla celebrazione delle nozze per avvenuto superamento del periodo di comporto. (Cass. 9/4/2002 n. 5065, Pres. Senese Est. Miani Canevari, in D&L 2002, 680, con nota di Lorenzo Franceschinis, "Tutela della lavoratrice per il licenziamento a causa di matrimonio e superamento del comporto")
  • Ai fini di verificare la sussistenza della colpa grave che, ex art. 2, l. 30/12/71, n. 1204, consente il licenziamento della lavoratrice in periodo di gestazione o puerperio, e che, per l'indicato connotato di gravità, è diversa dalla giusta causa e dal giustificato motivo soggettivo, nonché dalla colpa prevista dalla disciplina collettiva per generici casi d'infrazione o d'inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto, è necessario accertare, oltre che la ricorrenza di giusta causa di recesso, la sussistenza di quella colpa specificamente prevista, da provarsi dal datore di lavoro, nella condotta della lavoratrice, in ciò tenendosi conto del comportamento complessivo della lavoratrice stessa, in relazione alle sue particolari condizioni psicofisiche legate allo stato di gestazione, le quali possono assumere rilievo ai fini dell'esclusione della gravità del comportamento sanzionato solo in quanto abbiano operato come fattori causali o concausali dello stesso (nella specie, la corte ha precisato doversi tenere conto, per valutare l'elemento psicologico, dell'avere la stessa lavoratrice, un'impiegata esattrice che è stata licenziata per un ammanco contabile, avvisato il datore di lavoro della differenza contabile risultante dai bollettini di versamento per consentirne un immediato controllo) (Cass. 21/9/00, n. 12503, pres. Ianniruberto, est. Balletti, in Foro it. 2001, I, 110; in Lavoro giur. 2001, 343, con nota di Ferrau', Lavoratrice madre e "giusta causa" di licenziamento per "colpa grave")
  • Il licenziamento intimato alla lavoratrice madre durante il primo anno di vita della figlia - in assenza della sopravvenuta impossibilità definitiva della prestazione lavorativa - è nullo per violazione dell'art. 2 L. 30/12/71 n. 1204 ancorché nella lettera di licenziamento l'effetto risolutivo del rapporto di lavoro sia stato differito a una data successiva al compimento del primo anno di età (Trib. Milano 15 aprile 2000, est. Cincotti, in D&L 2000, 785)
  • Il licenziamento della lavoratrice madre intimato in violazione dell'art.2, 2° comma, L. 1204/71, nella formulazione risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 61/91, è nullo e, conseguentemente, non trova applicazione il regime sanzionatorio di cui all' art. 18 S.L., bensì quello previsto per la nullità di diritto comune (Trib. Cassino 11/2/00,. est. Lisi, in Dir. lav. 2000, pag.376, con nota di Pietropaoli, La nullità del licenziamento della lavoratrice madre)
  • Non integra la fattispecie della cessazione dell'attività dell'azienda, quale circostanza legittimante il recesso intimato nei confronti della lavoratrice madre o puerpera ex art. 2, 3° comma, lett. b), L. n. 1204/71, il licenziamento di tutti i dipendenti e la costituzione con alcuni di essi di rapporti di associazione in partecipazione (Trib. Cassino 11/2/00,. est. Lisi, in Dir. lav. 2000, pag.376, con nota di Pietropaoli, La nullità del licenziamento della lavoratrice madre)
  • E' nullo ai sensi dell'art. 2 L. 30/12/71 n. 1204 il licenziamento intimato alla lavoratrice madre prima del compimento del primo anno di età del bambino. Alla fattispecie si applica l'art. 18 SL a prescindere dalla verifica del numero dei dipendenti impiegati nell'impresa (Trib. Milano 9 febbraio 2000, est. Negri della Torre, in D&L 2000, 473)
  • Alla lavoratrice madre illegittimamente licenziata non si applica il regime previsto dall'art. 18 SL, ma il regime della nullità di diritto comune, con la conseguenza che il licenziamento è inidoneo a estinguere il rapporto e la lavoratrice ha diritto al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 1223 c.c. (Cass. sez. lav. 20 gennaio 2000 n. 610, pres. Delli Priscoli, est. Picone, in D&L 2000, 449, n. Messana, Licenziamento della lavoratrice madre)
  • Al licenziamento della lavoratrice madre non è applicabile l'art. 6 L. 15/7/66 n. 604, che impone l'onere di impugnare il licenziamento entro il termine di decadenza di sessanta giorni (Cass. sez. lav. 20 gennaio 2000 n. 610, pres. Delli Priscoli, est. Picone, in D&L 2000, 449, n. Messana, Licenziamento della lavoratrice madre)
  • Il licenziamento intimato da un’impresa con meno di 15 dipendenti nei confronti di una lavoratrice madre, in violazione della L. 30/12/71 n. 1204 (così come modificata dalla Corte Cost. con sent. n. 61 dell’8/2/91), è affetto da nullità, con conseguente carenza di effetti risolutori del recesso e continuazione del rapporto di lavoro, che è da considerare come giuridicamente esistente fino a quando non si verifichi una legittima causa di risoluzione. Non potendosi considerare interrotto il rapporto di lavoro, spetta il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 1223 c.c., in misura pari alle retribuzioni non corrisposte (Pret. Vallo della Lucania, sez. Agropoli, 5/2/98, est. De Luca, in D&L 1998, 474)
  • Durante il periodo di gravidanza delle lavoratrici addette ai servizi domestici non si applica il divieto di licenziamento stabilito dall’art. 1 della L. 30/12/71 n. 1204, ma ai sensi dell’art. 2110 c.c., il giudice determina equitativamente il periodo all’interno del quale è sottratto al datore di lavoro il potere di recesso, pena la nullità del relativo atto di esercizio (Trib. Roma 2/12/98 (ord.), pres. ed est. Cecere, in D&L 1999, 408)
  • E' illegittimo il licenziamento di una lavoratrice madre intimato , prima del compimento di un anno di età del bambino, da una società di gestione di servizi mensa per la cessazione di uno degli appalti di cui è titolare e a cui era addetta la lavoratrice, se non prova l'autonomia organizzativa o funzionale del servizio cessato rispetto agli altri da essa gestiti e la inutilizzabilità della lavoratrice licenziata in altra occupazione all'interno dell'impresa (Cass. 8/9/99, n. 9551, in Riv. It. Dir. Lav. 2000, pag. 517, con nota di Marra, Sul licenziamento della lavoratrice madre per cessazione di attività (ma non dell'azienda) )
  • Il licenziamento che trova la sua reale motivazione nello stato di maternità della lavoratrice dev’essere dichiarato nullo perché discriminatorio. Le conseguenze sono quelle di cui all’art. 18 SL alla luce del disposto di cui all’art. 3 L. 11/5/90 n. 108 che richiama l’art. 15 SL, dovendosi ricomprendere nelle discriminazioni per ragioni di sesso a fortiori quelle a causa della maternità (Pret. Milano 19/9/97, est. Atanasio, in D&L 1998, 193)
  • Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, a nulla rilevando la conoscenza o meno dello stato di gravidanza da parte del datore di lavoro al momento del licenziamento, mentre va interpretata in senso restrittivo, con riferimento ai soli casi di cessazione totale dell’attività, la deroga di cui all’art. 2, L.30/12/71 n.1204, che non può essere riconosciuta in ipotesi di chiusura della sola unità produttiva alla quale la lavoratrice era addetta (Pret. Milano 23/12/96, est. di Ruocco, in D&L 1997, 646)
  • E' costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 3 Cost., l'art. 2 c. 3 L. 1204/71, nella parte in cui non prevede l'inapplicabilità del divieto di licenziamento nel caso di recesso per esito negativo della prova (Corte cost. 31/5/96, pres. Ferri, rel. Mengoni, in D&L 1996, 919, con nota di ROMEO)
  • La nozione di colpa grave, di cui alla lettera a) del comma 3 dell'art. 2 L. 1204/71, è specifica rispetto a quella generale presupposta dall'art. 2119 c.c., per cui per la configurazione della deroga al divieto di licenziamento della lavoratrice madre è necessaria la sussistenza di una riprovevolezza intrinseca, di una colpa morale, di una gravità oggettiva del comportamento della lavoratrice che serva a superare la considerazione in cui vanno tenute le condizioni psico – fisiche della gestante (o della puerpera), la quale si trova a vivere una rivoluzione dei ritmi biologici e psichici con ineliminabili effetti anche nell'immediata vita di relazione, compresa l'attività lavorativa (nella specie sono stati ritenuti non costituire giusta causa di licenziamento l'effettuazione di sette ritardi nell'inizio dell'attività lavorativa e la timbratura tempestiva del cartellino orario da parte del convivente, anch'egli dipendente del medesimo datore di lavoro) (Pret. Pistoia 12/12/94, est. Amato, in D&L 1995, 412)
  • La deroga al divieto di licenziamento della lavoratrice madre di cui all'art. 2 c. 3 lettera b) L. 1204/71 va intesa in senso restrittivo, con riferimento ai soli casi di cessazione totale dell'attività dell'azienda, con esclusione quindi dell'ipotesi di soppressione di un reparto o ufficio, anche se dotato di autonomia funzionale (Pret. Monza, sez. Desio, 8/11/94, est. Milone, in D&L 1995, 415)
  • Il licenziamento intimato alla lavoratrice entro l'anno dalla celebrazione del matrimonio è nullo e non semplicemente inefficace e da tanto consegue il diritto della lavoratrice, oltre a un risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento sino alla ripresa del rapporto, alla reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato (Trib. Catania 23/11/94, pres. Pagano, est. Nigro, in D&L 1995, 433)