Normativa comunitaria

  • L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che una donna che abbia cessato di esercitare un’attività autonoma a causa delle limitazioni fisiche connesse alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto conserva la qualità di persona che esercita un’attività autonoma, purché riprenda tale attività o trovi un’altra attività autonoma o un impiego entro un periodo di tempo ragionevole dopo la nascita del figlio. (Corte di Giustizia, sez. IV, 19/9/2019, C-544/18, Est. Vilaras, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di D. Diverio, “L’assenza dal mercato del lavoro a motivo della gravidanza non pregiudica lo status di lavoratore (neppure) per la lavoratrice autonoma”, 168)
  • La lavoratrice che, in conformità all'art. 5, n. 2, della direttiva 92/85, sia stata provvisoriamente assegnata, a causa della sua gravidanza, ad un posto nella quale essa svolge mansioni diverse rispetto a quelle che esercitava anteriormente all'assegnazione, non ha diritto alla retribuzione che percepiva in media anteriormente a detta assegnazione, fermo restando il mantenimento dello stipendio base e delle integrazioni legate allo status professionale. (Corte di Giustizia 1/7/2010, causa C-471/08, Pres. Cunha Rodrigues Rel. Caoimh, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Elena de Gregorio, "Sui limiti della garanzia retributiva spettante alla lavoratrice madre adibita ad altre mansioni per la tutela della salute e della sicurezza sua e del bambino", 202)
  • La lavoratrice temporaneamente dispensata dal lavoro a causa della gravidanza ovvero la lavoratrice in congedo di maternità ha diritto a una retribuzione equivalente allo stipendio medio dalla stessa percepito nel corso di un periodo di riferimento anteriore all'inizio della gravidanza, con l'esclusione degli elementi della retribuzione o delle indennità che dipendono dall'esercizio di funzioni specifiche in condizioni particolari, tra cui l'indennità per servizio di guardia. (Corte di Giustizia 1/7/2010, causa C-194/08, Pres. Cunha Rodrigues Rel. Caoimh, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Elena de Gregorio, "Sui limiti della garanzia retributiva spettante alla lavoratrice madre adibita ad altre mansioni per la tutela della salute e della sicurezza sua e del bambino", 202)
  • La clausola 2, punto 6, dell'accordo quadro sui congedi parentali, allegato alla direttiva 96/34/CE, osta a una disposizione nazionale a norma della quale i lavoratori che si avvalgono del loro diritto al congedo parentale di due anni perdono, al termine di tale congedo, i diritti alle ferie annuali retribuite maturati nell'anno precedente alla nascita del loro figlio. ( Corte di Giustizia 22/4/2010, causa C-486/08, Pres. Tizzano Rel. Levits, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Rita Poggio, "Il rapporto tra difesa dei diritti sociali e tutela della libertà di iniziativa economica alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia", 1030)
  • L'art. 3 del regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n,. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, nella sua versione modificata e aggiornata dal regolamento CE del Consiglio 2 dicembre 1996, n. 118/97, deve essere interpretato nel senso che una persona divorziata, cui sono state versate le prestazioni familiari dall'ente competente dello Stato membro in cui essa risiedeva e in cui il suo ex coniuge continua a vivere e lavorare, conserva, per il proprio figlio e a condizione che quest'ultimo sia un componente del nucleo familiare dell'ex coniuge, ai sensi dell'art. 1, lett. f), i), del citato regolamento, il beneficio di dette prestazioni anche qualora lasci tale Stato per stabilirsi con il figlio in un altro Stato membro dove essa non lavora e anche qualora l'ex coniuge possa percepire tali prestazioni nel suo Stato membro di residenza. L'esercizio, a opera di una persona che si trovi in una situazione quale quella della ricorrente nella causa principale, di un'attività professionale nello Stato membro in cui risiede che faccia effettivamente sorgere un diritto a prestazioni familiari ha l'effetto di sospendere, in applicazione dell'art. 76 del regolamento n. 1408/71, il diritto alle prestazioni familiari dovute in forza della legislazione dello Stato membro nel cui territorio l'ex coniuge di tale persona esercita un'attività professionale, fino a concorrenza dell'importo previsto dalla legislazione dello Stato membro di residenza di quest'ultimo. (Corte di Giustizia 26/11/2009 C. 363/08, Pres. Bonichot Avv. Gen. Polares Maduro, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Stefano Giubboni, "Libera circolazione delle persone, prestazioni familiari e regole comunitarie anticumulo", 479)  
  • La direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, n. 92/85, in merito al divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti di cui all'art. 10, punto 1, deve essere interpretato nel senso che essa non riguarda una lavoratrice che si sia sottoposta a fecondazione in vitro qualora, al momento della comunicazione del licenziamento, la fecondazione abbia già avuto luogo, e si sia quindi già in presenza di ovuli fecondati, ma questi non siano stati ancora trasferiti nell'utero della lavoratrice. (Corte di Giustizia 26/2/2008, Grande Sezione, n. C-506/6, Pres. Skouris, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Lorena Forni, "La Corte di Giustizia europea e i diritti delle lavoratrici gestanti nel caso della fecondazione assistita", 747)
  • L'art. 2 della Direttiva del Consiglio 9/12/76, 76/207/Cee (relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione ed alla promozione professionali e le condizioni di lavoro) deve essere interpretato nel senso che osta a che la lavoratrice, che prima della scadenza del congedo parentale intende essere reintegrata nel suo posto con il consenso del datore di lavoro, sia tenuta ad informare quest'ultimo del proprio stato di gravidanza nel caso in cui, a causa di taluni divieti posti dalla normativa sul lavoro, non possa svolgere talune mansioni. L'art. 2 n. 1 della medesima direttiva 76/207/Cee deve essere interpretato nel senso che osta a che un datore di lavoro possa, ai sensi del diritto nazionale, rimettere in discussione l'accordo da lui dato al reintegro di una lavoratrice nel suo posto prima della scadenza del congedo parentale per il motivo che avrebbe versato in errore sullo stato di gravidanza dell'interessata. (Corte di Giustizia CE 27/2/2003 causa C 320/01, Pres. C.W.A. Timmermans Rel. Wathelet, in D&L 2003, 277, con nota di Giovanni Paganuzzi, "Ancora in tema di comunicazione dello stato di gravidanza")
  • L'art. 10 della direttiva del Consiglio 19/10/92 n. 92/85/Ce (concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento) ha un effetto diretto e deve essere interpretato nel senso che, in mancanza di misura di trasposizione adottate da uno Stato membro entro il termine prescritto da tale direttiva, esso conferisce ai singoli diritti che questi possono far valere dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti delle autorità di tale Stato. (Corte di Giustizia CE 4/10/2001, causa C-438/99, Pres. La Pergola Rel. M. Wathelet, in D&L 2002, 299)