Successione di contratti a termine

  • In caso di successione di contratti di lavoro a termine, l’impugnazione dell’ultimo di essi non si comunica ai precedenti.
    La mancata impugnazione dei contratti a termine precedenti l’ultimo non impedisce una loro considerazione incidentale per valutare l’eventuale superamento dei limiti temporali complessivi ad opera dell’ultimo.
    In un caso di azione per ottenere la conversione a tempo indeterminato di una serie di contratti a termine succedutisi con brevi intervalli, la Corte conferma la decisione dei giudici di merito di decadenza del ricorrente dall’impugnazione dei contratti precedenti l’ultimo e afferma il principio di cui alla prima massima, ribadendo che l’obbligo di impugnazione stragiudiziale deve essere rispettato per ogni singolo contratto, a pena di decadenza. Pur aderendo alla pronuncia di decadenza del ricorrente dall’impugnazione (in quanto tardiva) dei contratti di lavoro a termine antecedenti l’ultimo, la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso del dipendente, relativo al (possibile) superamento della durata massima stabilita, dalla legge all’epoca vigente per i contratti a termine successivi con un unico datore di lavoro. in 36 mesi. La Corte parte dall’interpretazione del diritto comunitario operata recentemente della Corte di giustizia UE (sent. 14 ottobre 2020 in causa n. C-681/18, relativa all’istituto parallelo della somministrazione), secondo la quale gli Stati membri devono adottare misure per preservare la natura temporanea del lavoro interinale, al fine di evitare l’elusione della direttiva su tale tipo di lavoro. Trasponendo sul contratto a termine tale tipo di ragionamento e procedendo a una interpretazione del diritto nazionale allora vigente in maniera conforme al diritto comunitario, la Cassazione afferma che per ritenere temporanea l’esigenza di cui è contestata la ricorrenza nell’ultimo contratto a termine (quello tempestivamente impugnato), è necessario che la valutazione del giudice si estenda alle modalità complessive di svolgimento del rapporto, tenendo pertanto conto anche del dato fattuale, incidentalmente accertato, dei precedenti contratti in successione con lo stesso datore di lavoro. Solo con tale tipo di accertamento è infatti possibile stabilire se con l’ultimo contratto a termine è stato superato il connotato di temporaneità rappresentato nel diritto nazionale da una durata complessiva non superiore a 36 mesi. 
    (Cass. 30/6/2023 n. 15226, Pres. Raimondi Rel.Garri, in Wikilabour, Newsletter n. 11/23)
  • Il vizio di nullità delle clausole appositive del termine a una serie di successivi contratti a tempo determinato stipulati per far fronte a esigenze di carattere durevole o permanente non può essere valutato in relazione al solo primo contratto di tale serie, ipotesi in cui non trova applicazione la direttiva n. 1999/70/CE, ma può rilevare nell’ambito della successione della quale fanno parte anche i successivi contratti, presupposto per l’applicabilità della predetta direttiva e la configurazione di una violazione del diritto dell’Unione europea, con la conseguenza che il termine di decadenza per l’impugnazione del primo contratto non inizia a decorrere a far data dalla cessazione del relativo rapporto, peraltro privo del suddetto vizio di nullità, bensì dalla data di cessazione dell’ultimo rapporto intercorso tra le parti. (Trib. Trento 4/12/2018, Rel. Flaim, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Turrin, Sulla complessa questione della decorrenza dei termini di impugnazione del contratto a termine e del trasferimento d’azienda in un caso di successione di contratti a tempo determinato”, 237)
  • La previsione di un limite di durata massima ai rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, quale quello introdotto dall’art. 19, co. 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, costituisce – ai sensi della direttiva n. 1999/70/CE – una misura adeguata a prevenire e, se del caso, punire gli abusi derivanti da una successione di contratti a tempo determinato, a condizione che detta disposizione venga interpretata nel senso di riconoscere alla parte che abbia un interesse contrario alla durata determinata del rapporto la facoltà di dimostrare che la successione di contratti oggetto di controversia, seppur rispettosa del limite di durata massima totale ivi prevista, nel concreto, sia invece diretta a soddisfare esigenze aventi carattere permanente o durevole e comunque non temporaneo e di richiederne, pertanto, la trasformazione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il rispetto del predetto limite di durata massima non può far sorgere la presunzione legale assoluta che la successione di contratti oggetto di controversia sia diretta a soddisfare esigenze temporanee, bensì una mera presunzione relativa, cui consegue il riconoscimento alla parte che abbia un interesse contrario alla durata determinata del rapporto la facoltà di offrire prova contraria. (Trib. Trento 4/12/2018, Rel. Flaim, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Turrin, Sulla complessa questione della decorrenza dei termini di impugnazione del contratto a termine e del trasferimento d’azienda in un caso di successione di contratti a tempo determinato”, 237)
  • L’indennità prevista dalla l. n. 183/2010, art. 32, ristora in generale il danno subito dal lavoratore per l’allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato unico, quanto se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il lavoratore aveva diritto a essere comunque retribuito a decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative pur non avendo lavorato, oggi è prevista solo l’indennità da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità. (Cass. 28/5/2015 n. 11077, ord., Pres. Curzio Rel. Mancino, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Alessandra Ingrao, “Successione di contratti a termine illegittimi e funzione risarcitoria dell’indennità omnicomprensiva. Quali prospettive dopo il Jobs Act?”, 84)
  • Per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti) il lavoratore ha invece diritto a essere retribuito e ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità. (Cass. 28/5/2015 n. 11077, ord., Pres. Curzio Rel. Mancino, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Alessandra Ingrao, “Successione di contratti a termine illegittimi e funzione risarcitoria dell’indennità omnicomprensiva. Quali prospettive dopo il Jobs Act?”, 84)
  • In caso di trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato di più contratti a termine per effetto dell’illegittima apposizione del termine, l’indennità risarcitoria, dovuta ai sensi della L. 4 novembre 2010, n. 183, ristora il pregiudizio subito dal lavoratore, comprendendo tutti i danni causati dalla perdita del lavoro per l’illegittima apposizione del termine, l’indennità risarcitoria, dovuta ai sensi della L. 4 novembre 2010, n. 183, ristora il pregiudizio subito dal lavoratore, comprendendo tutti i danni causati dalla perdita del lavoro per l’illegittima apposizione del termine con riferimento agli intervalli non lavorati fra l’uno e l’altro rapporto a termine; al contrario, i periodi lavorati, una volta inseriti nell’unico rapporto a tempo indeterminato, fanno parte dell’anzianità lavorativa e vanno considerati ai fini della maturazione degli scatti di anzianità. (Cass. 12/1/2015 n. 262, Pres. Curzio Rel. Marotta, in Lav. nella giur. 2015, 415)
  • È legittima, e non comporta la conversione a tempo indeterminato del rapporto, la stipulazione di una numerosa serie di contratti a tempo determinato nei confronti di un professore d’orchestra allorché siano state rispettate le clausole contrattuali in materia nonché i requisiti di specificità di ogni contratto quanto all’indicazione del concerto, all’indicazione del direttore e al periodo di tempo interessato. (Cass. 11/12/2012 n. 22657, Pres. Vidiri Rel. Fernandes, in Lav. nella giur. 2013, 191)
  • La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE deve essere interpretata nel senso che qualora la legislazione di uno Stato membro preveda una termine massimo di durata dei contratti a termine successivi, oltre la quale la prosecuzione del rapporto di lavoro sia subordinata alla stipulazione di un contratto a tempo indeterminato, non è necessario che essa imponga altresì l’obbligo di mantenere immutato, nel nuovo contratto, le clausole principali contenute in quello precedente. (Corte Giustizia 8/3/2012, C-251/11, Pres. Lohmus Rel. Caoimh, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Giulia Beltrame, “Contratto a termine: trasformazione a clausole (in)variate?”, 942)
  • Nel caso di stipulazione reiterata di contratti a termine, il rapporto si converte a tempo indeterminato se, per effetto della stipulazione di un contratto a termine in data successiva al 31/3/09, il periodo complessivamente lavorato, anche per effetto di contratti a termine stipulati precedentemente, supera il limite massimo di trentasei mesi ex art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, e ciò per effetto del regime transitorio ex art. 1, 43° comma, L. 24/12/07 n. 247. (Trib. Milano 12/5/2010, ord., Pres. Sala, Est. Greco, in D&L 2010, 436)
  • In presenza di una serie di contratti a termine illegittimi, la successiva stipulazione di un contratto legittimo non estingue il rapporto a tempo indeterminato venutosi a creare e tanto meno raggiunge questo effetto a causa del fatto che le parti avrebbero posto in essere una novazione contrattuale. Affinché si possa configurare una novazione occorre la verifica degli elementi che la connotano (modifica dei soggetti, dell'oggetto o del titolo, l'animus novandi). (In Cass. 12/3/2010 n. 6081, Pres. Sciarelli Est. Curzio, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, con commento di Filippo Aiello, 255) 
  • La risoluzione consensuale tacita di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, in cui si siano convertiti ex lege più contratti a termine illegittimi stipulati tra le stesse parti, va accertata con particolare rigore,, dovendo risultare da un comportamento inequivoco che evidenzi il completo disinteresse delle stesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro; occorre, infatti, superare la presunzione contraria secondo cui, in siffatte ipotesi, comportamenti del lavoratore che potrebbero essere indice di acquiescenza, quali, tra l'altro, lo sbvolgimento di attività presso diversi datori di lavoro, lungi dal manifestare una volontà risolutiva, possono essere indotti dalla consapevolezza dello stato di precarietà in cui il medesimo versa. In tale senso, sono prive di univoco valore sintomatico, oltre all'illegittima apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo, di attività lavorativa, la restituzione del libretto di lavoro al lavoratore, nonché l'accettazione, da parte del medesimo, di competenze economiche. (Cass. 5/8/2008 n. 21141, Pres. Ianniruberto Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Stefania Brun, "L'impossibile applicazione della risoluzione per mutuo dissenso al contratto di lavoro a tempo indeterminato in cui si sia convertito il contratto di lavoro a termine illegittimo", 268) 
  • Sul preteso intento elusivo e fraudolento del datore di lavoro operante nel mondo dello spettacolo, in considerazione della pluralità e molteplicità dei contratti stipulati con il medesimo prestatore di lavoro, si osserva innanzitutto che la sola circostanza della continuazione di contratti ripetutisi nel tempo non comporta automaticamente la loro invalidità, anche per il pregresso; posto che altrimenti l'istituto sarebbe stato inutilizzabile , tanto più nel settore dello spettacolo che prevede sempre cicli di rappresentazioni, repliche, spettacoli in genere ripetuti nel tempo. (Trib. Milano 15/1/2008, Rel. Tarraborelli, in Lav. nella giur. 2008, 738) 
  • In caso di successione di contratti, la clausola 5 Direttiva 1999/70/Ce impone di interpretare la norma interna nel senso che non consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti successivi al primo senza indicare e provare le ragioni temporanee di apposizione del termine. (Trib. Milano 13/12/2007, Est. Porcelli, in D&L 2008, 160)
  • Nel caso di successione di molteplici contratti a tempo determinato, non sussiste per il lavoratore l'onere di impugnazione nel termine di cui all'art. 6 L. 15/7/66 n. 604, con la conseguenza che lo stesso può, in qualsiasi tempo, far valere l'illegittimità del termine, stante l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, né la richiesta del lavoratore di restituzione del libretto di lavoro per ottenere l'indennità di disoccupazione per il periodo di interruzione dei rapporti può essere considerata come acquiescenza all'interruzione del rapporto. (Trib. Milano 4/8/2007, Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, "Brevi note sull'acquiescenza", 1067)
  • In caso di nullità del termine apposto al contratto di lavoro non sussiste per il lavoratore cessato dal servizio l'onere di impugnazione nel termine (di sessanta giorni) previsto a pena di decadenza dell'art. 6, L. 15 luglio 1966, n. 604 (che presuppone un licenziamento), atteso che il rapporto cessa per l'apparente operatività del termine stesso in ragione dell'esecuzione che le parti danno alla clausola nulla; pertanto, applicandosi la disciplina della nullità in qualsiasi tempo il lavoratore può far valere l'illegittimità del termine e chiedere conseguentemente l'accertamento della perdurante sussistenza del rapporto e la condanna del datore di lavoro a riattivarlo riammettendolo al lavoro, salvo che il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all'estromissione dall'azienda e il suo prolungato disinteresse alla prosecuzione del rapporto esprimano, come comportamento tacito concludente, la volontà di risoluzione consensuale del rapporto e sempre che il rapporto (apparentemente) a termine non si sia risolto per effetto di uno specifico atto di recesso del datore di lavoro (licenziamento), che si sia sovrapposto alla mera operatività del termine con la conseguente applicazione, in tale ultimo caso, sia del termine di decadenza di cui all'art. 6 cit., sia della disciplina della giusta causa e del giustificato motivo del licenziamento. (Cass. 21/5/2007 n. 11741, Pres. Ciciretti Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2007, 1250)
  • Nel caso di successione di molteplici contratti a tempo determinato, deve escludersi che la stipulazione dei contratti a tempo determinato determini la risoluzione per mutuo consenso ai sensi dell'art. 1732 c.c. dell'eventuale rapporto a tempo indeterminato esistente tra le parti, in quanto la sottoscrizione di ciascuno di detti contratti implica la volontà del lavoratore di proseguire il rapporto di lavoro, non potendosi desumere da tale comportamento alcuna univoca volontà risolutiva. (Trib. Milano 26/2/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con n. di Alberto Vescovini, "Questioni sempre attuali in tema di contratto a termine: scorrimento, applicabilità dell'art. 1419, 1° comma, c.c., risoluzione tacita", 715)
  • Per ravvisare nella stipulazione di successivi contratti a termine la risoluzione per mero consenso di un rapporto che è a tempo indeterminato in conseguenza della nullità del termine è necessario accertare che sia presente una volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto. L’onere della prova grava sul datore di lavoro che eccepisce la risoluzione per mero consenso. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751)
  • A seguito della privatizzazione del pubblico impiego, il rapporto di lavoro dei lettori universitari non si distingue più dagli altri rapporti di lavoro pubblico contrattualizzati; pertanto anche nei confronti dei lettori trova applicazione l'art. 36, 2° comma, D. Lgs. 30/3/01 n. 165 con la conseguenza che la reiterata stipulazione di contratti a termine al di fuori delle ipotesi di cui alla L. 18/4/62 n. 230, non può dar luogo alla costituzione di rapporti a tempo indeterminato. (Trib. Firenze 13/11/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2004, 329, con nota di Filippo Pirelli, "L'annoso problema del rapporto di lavoro dei collaboratori linguistici presso le università")
  • Nell'ipotesi di conversione di una serie di contratti a termine in un unico a rapporto indeterminato, la retribuzione per i periodi non lavorati spetta soltanto qualora il lavoratore abbia offerto la propria prestazione di lavoro, offerta che si può concretizzare anche nella richiesta di precedenza ex art. 8 bis, d.l. 29/1/83, n. 17, convertito con modificazioni dalla l. 25/3/83, n. 79, inviata dal lavoratore alla competente autorità amministrativa, e non anche al datore di lavoro (Trib. Frosinone 5/7/00, pres. e est. Fraulini, in Dir. lav. 2001, pag. 31, con nota di Pizzuti, Sulla proroga del contratto a termine per "punte stagionali")
  • L'applicabilità dell'art. 23 bis L. 28/2/87, n. 56 - che, nel dettare una nuova regolamentazione del collocamento ordinario, ha in generale consentito l'apponibilità del termine al contratto di lavoro in tutte le ipotesi individuate nei contratti collettivi stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale - presuppone che tra le parti non sussista già un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non avendo il legislatore inteso legittimare (neppure solo negli stessi casi in cui ha reso possibile l'apposizione del termine) la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato in rapporto a termine; pertanto, in caso di sequenza di ripetuti contratti a tempo determinato senza soluzione di continuità - il cui primo contratto, stipulato prima dell'entrata in vigore della citata L. 56/87, sia illegittimo alla stregua della previgente (più rigida) disciplina, applicabile ratione temporis, con conseguente trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato - la stipulazione di un ulteriore contratto a termine della medesima sequenza dopo l'entrata in vigore della L. 56/87 non incide (salva l'ipotesi della novazione del rapporto) sulla già intervenuta trasformazione del rapporto stesso, non consentendo l'apposizione ad esso di alcun termine di scadenza (Cass. 8/3/00 n. 2647, pres. Lanni, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 452)
  • Si trasforma in contratto a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 2, 2° comma, L. 18/4/62 n. 230, con conseguente illegittimità del licenziamento intimato per asserita scadenza del termine, un contratto a termine stipulato fittiziamente come contratto con part-time verticale, qualora il part-time sia nullo per mancata indicazione della distribuzione temporale della prestazione e il contratto stesso preveda di conseguenza due distinti rapporti a termine, il secondo dei quali insorga prima del termine di quindici giorni dalla fine del precedente (Pret. Milano 30/4/99, est. Salmeri, in D&L 1999, 550, n. Franceschinis, Sulla stagionaità nel rapporti di lavoro a tempo determinato)
  • In caso di stipulazione di due successivi contratti di lavoro a tempo determinato senza soluzione di continuità tra gli stessi, il contratto si considera a tempo indeterminato fin dall’origine, indipendentemente dalla diversità delle cause giustificative dei due termini e dall’eventuale legittimità di ognuno di essi (Pret. Milano 15/2/96, est. Di Ruocco, in D&L 1996, 648)