In genere

  • L’ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro comporta l’assegnazione alle originarie sede e mansioni, anche se nel frattempo occupate da altri.
    Nel dare esecuzione all’ordine giudiziale di ripristino del rapporto con una lavoratrice interinale – a seguito della declaratoria di nullità del relativo contratto di fornitura di lavoro temporaneo –, una società aveva provvisoriamente assegnato la dipendente presso l’originaria sede di Roma, salvo poi disporne il trasferimento alla sede di Palermo, trasferimento che era stato rifiutato dalla lavoratrice, che era stata conseguentemente licenziata per giusta causa. Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato il ricorso di impugnazione del licenziamento proposto dalla lavoratrice, giudicando legittimo il trasferimento della stessa da Roma a Palermo, e quindi ingiustificato il suo rifiuto di presentarsi al lavoro, ritenendo che la società avesse dimostrato l’impossibilità di destinare in via definitiva la dipendente presso la sede di Roma, visto che, in tali uffici, già lavorava un’altra dipendente con le stesse mansioni ma con maggiore anzianità di servizio. La Cassazione, nell’accogliere le doglianze della lavoratrice, osserva che: (i) l’ordine giudiziale di ripristino della posizione di lavoro deve essere adempiuto riassegnando il lavoratore nel posto precedentemente occupato e nelle mansioni originarie, e in via prioritaria rispetto ad altri dipendenti; (ii) è possibile per il datore di lavoro disporre il trasferimento del lavoratore reintegrato ad altra unità produttiva, purché questo sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, tra le quali non rientra l’avvenuta sostituzione del lavoratore con altro dipendente. 
    (Cass. 3/5/2023 n. 11564, Pres. Raimondi Rel. Ponterio, in Wikilabour, Newsletter n. 10/23)
  • In tema di mutamento della sede di lavoro del lavoratore, sebbene il provvedimento di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba necessariamente contenere l’indicazione dei motivi, né il datore di lavoro abbia l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento. (Nel caso di specie, la parte resistente ha omesso completamente di allegare circostanze idonee a consentire una tale verifica e di prospettare i motivi sottesi alla soluzione organizzativa adottata con riferimento a quel lavoratore, con ciò facendo trasparire la mancanza di ragioni concrete riguardanti lo stesso). (Trib. Roma, 16/1/2021, Giud. Rossi, in Lav. nella giur. 2021, 666)
  • È legittimo il trasferimento del lavoratore da una sede dell’azienda ad un’altra nel caso in cui, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2103 c.c., sussistano le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. (Cass. 24/12/2020 n. 29596, Pres. Raimondi Rel. Piccone, in Lav. nella giur. 2021, 312)
  • È discriminatorio il trasferimento della lavoratrice successivo al reclamo di quest’ultima per molestie sessuali, pur in assenza di dolo del datore di lavoro.
    Il Giudice accoglie il ricorso ex art. 38 d.lgs. 198/2006 di una lavoratrice, dichiarando discriminatorio il trasferimento deciso dal datore di lavoro quale rimedio al reclamo per molestie sessuali presentato dalla stessa contro il proprio superiore gerarchico. Il Tribunale ritiene che l’adibizione ad altra unità produttiva, anche se più vicina all’abitazione della ricorrente, avesse comportato una diversa e più onerosa articolazione oraria della giornata lavorativa, dando così luogo a un “trattamento sfavorevole”. La condotta viene ritenuta discriminatoria, con diritto della lavoratrice alla riassegnazione all’unità originaria, giacché posta in essere a seguito del reclamo e non avendo il datore di lavoro provato che tale trasferimento fosse l’unica soluzione per tutelare la lavoratrice. (Trib. Torino 7/5/2020, Giud. Mancinelli, in Wikilabour, Newsletter n. 10/2020)
  • Il rifiuto del lavoratore di accettare il trasferimento in una sede diversa da quella originaria  in assenza  di  ragioni obiettive  che  sorreggano detto  provvedimento  è condotta inquadrabile in quella disciplinata dall’art. 1460 c.c. (Cass. 23/4/2019 n. 11180, Pres. Manna Est. Curcio, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di F. Corso, “Termine illegittimo, riammissione in servizio, trasferimento e ‘disobbedienza’ del lavoratore”, 569)
  • Il lavoratore che presta assistenza a una persona con disabilità ha diritto al trasferimento, anche mediante provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., presso la filiale più vicina al domicilio della persona assistita, soddisfacendo i requisiti di fumus boni iuris, che sussiste quando viene riconosciuta la verosimiglianza delle ragioni del lavoratore, e di periculum in mora, che sussiste quando vi è la minaccia di un pregiudizio imminente e irreparabile di un diritto. (Trib. Bari 29/5/2018, Est. Vernia, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di L. Rubino, “Impugnativa del rifiuto alla richiesta di trasferimento ex art. 33, co. 5, l. n. 104/1992 da parte del lavoratore che presta cura e assistenza a una persona con disabilità”, 860)
  • Il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile opera ogni volta che muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione anche se lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva. Tale divieto non può subire limitazioni risultando l’inamovibilità giustificata dal dovere di cura e di assistenza nei confronti del familiare disabile, sempre che non risultino provate da parte del datore di lavoro specifiche esigenze tecniche, organizzative e produttive che, in un equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte. (Cass. 12/10/2017, n. 24015, Pres. Napoletano Rel Blasutto, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di F. Di Noia, “Ancora sulla ‘perimetrazione’ delle agevolazioni ex art. 33, co. 5, l. n. 104/1992 per i lavoratori che assistono un familiare disabile”, 82)
  • Il trasferimento del lavoratore giustifica il rifiuto del dipendente che ha diritto alla tutela di cui all’art. 33, co. 5, l. n. 102/1994 di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli interessi di assistenza familiare e il datore di lavoro non provi l’esistenza di effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte. Ne consegue l’illegittimità del licenziamento intimato in seguito al rifiuto di prendere servizio presso la nuova sede. (Cass. 12/10/2017, n. 24015, Pres. Napoletano Rel Blasutto, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di F. Di Noia, “Ancora sulla ‘perimetrazione’ delle agevolazioni ex art. 33, co. 5, l. n. 104/1992 per i lavoratori che assistono un familiare disabile”, 82)
  • Il diritto del lavoratore che assiste una persona disabile a scegliere la sede lavorativa non va riferito esclusivamente all’atto di assunzione ma, sul presupposto dell’assistenza continua della persona disabile, sussiste anche in corso di rapporto e va contemperato con le esigenze organizzative del datore di lavoro, che ha l’onere di provare le circostanze ostative al suo esercizio. (Cass. 11/10/2017, n. 23857, ord., Pres. Amoroso Est. Curcio, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di F. Di Noia, “Ancora sulla ‘perimetrazione’ delle agevolazioni ex art. 33, co. 5, l. n. 104/1992 per i lavoratori che assistono un familiare disabile”, 82)
  • Nel caso in cui un lavoratore deduca in giudizio l’illegittimità di un trasferimento o di un diniego al trasferimento ai sensi della l. n. 104/1992, avvenuti in data successiva al 25.6.2015, la verifica della fondatezza della domanda va effettuata in relazione ai parametri stabiliti dal nuovo art. 2103 c.c. in tema di mobilità orizzontale. In tal caso, va accertata la sussistenza di posizioni disponibili relativamente a mansioni corrispondenti al livello e categoria legale di inquadramento del lavoratore sia presso la sede sia presso la regione di provenienza e l’onere della prova circa la loro insussistenza grava sul datore di lavoro. (Trib. Roma 18/5/2017, ord., Est. Buconi, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di M. V. Di Tanna, “Assistenza ai disabili: trasferimento e disciplina delle mansioni”, 612)
  • In tema di assistenza a portatori di handicap ex art. 33, c. 5, l. n. 104/1992, il familiare lavoratore può scegliere la sede di lavoro anche in costanza di rapporto, purché il posto sia esistente e vacante; circostanza che deve essere provata dal datore di lavoro alla luce del nuovo criterio di cui al c. 1 dell’art. 2103 c.c., così come modificato dal d.lgs. n. 81/2015, e tenuto conto delle esigenze economiche e organizzative dell’impresa. (Trib. Roma 28/2/2017, ord., Est. Casari, in Riv. Giur. Lav. prev. soc.  2017, con nota di M. V. Di Tanna, “Assistenza ai disabili: trasferimento e disciplina delle mansioni”, 612)
  • La disposizione di cui all’art. 33, c. 5, della l. n. 104/1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psicofisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte. (Cass. 12/12/2016, n. 25379, Pres. Nobile Est. Bronzini, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di M. Salvagni, “L’interpretazione costituzionalmente orientata in materia di trasferimento del lavoratore che assiste il soggetto affetto da disabilità non grave”, 251)
  • Sul datore di lavoro incombe la prova delle ragioni del trasferimento, le quali, però, non è necessario che siano inserite nell’atto che lo ha disposto atteso che esse, di contro, ben possono essere enunziate in sintesi e successivamente integrate. Non esistono regole su di una particolare “ritualità” della comunicazione dello ius variandi territoriale, da ritenersi efficace a patto che sia ben chiara la scelta di esercitarlo, con la indicazione di sede nuova, delle mansioni da espletare e della decorrenza. (Cass. 18/3/2015 n. 5434, Pres. Macioce Est. Macioce, in Lav. nella giur. 2015, 635)
  • Il potere datoriale di determinare il luogo della prestazione lavorativa e di trasferire il lavoratore da un’unità produttiva a un’altra sia discrezionalmente esercitabile solo in presenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive “comprovate”, ovvero la cui sussistenza risulti dimostrata, con onere della prova a carico del datore di lavoro che le assume a fondamento del proprio provvedimento di trasferimento. (Trib. Milano 9/10/2014 Giud. Di Lorenzo, in Lav. nella giur. 2015, 421)
  • In tema di trasferimento del lavoratore, poiché l’art. 2103 c.c. ha lo scopo di tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere le relazioni interpersonali che lo legano a un determinato complesso produttivo, tali tutele rilevano anche ove lo spostamento avvenga in un ambito geografico ristretto, da una unità produttiva a un’altra, intendendo per unità produttiva ogni articolazione autonoma dell’azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità a esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa. (Cass. 30/9/2014 n. 20600, Pres. Stile Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2015, 90)
  • La clausola del CCNL che, in caso di trasferimento, preveda il contemperamento delle esigenze di servizio con l’interesse personale del lavoratore, non si applica ai trasferimenti disciplinati da appositi accordi sindacali di ambito nazionale, disposti sulla base di una procedura concordata in sede sindacale con formazione di graduatorie redatte in forza di criteri predeterminati con le quali le OO.SS. abbiano inteso operare, in via preventiva e generale, il contemperamento tra le esigenze aziendali con le situazioni personali dei singoli dipendenti interessati. (Cass. 19/3/2014 n. 6325, Pres. Vidiri Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2014, 711)
  • La previsione dell’art. 2103 c.c., attraverso il riferimento alla “unità produttiva”, quale articolazione dell’azienda, presuppone che le ragioni del trasferimento risiedano in quella specifica realtà imprenditoriale e non possano fondarsi su circostanze a essa estranee. (Trib. Milano 3/3/2014, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2014, 722)
  • La disposizione dell’art. 33 comma 5 l. n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati – alla luce dell’art. 3 comma 2, dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con l. n. 18 del 2009 – in funzione della tutela della persona disabile. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte. (Cass. 7/6/2012 n. 9201, Pres. Vidiri Est. Mancino, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Domenico Mesiti, 503)
  • Un fatto disciplinarmente rilevante può costituire una delle ragioni tecniche organizzative e produttive, previste dall’art. 2103 c.c., ai fini della legittimità del trasferimento, come nel caso in cui, con congruo apprezzamento delle specifiche circostanze di fatto, il pregresso illecito disciplinare si palesi tale da suggerire, per il lavoratore che ne è autore, un immediato mutamento di sede; è ciò anche al fine di prevenire disfunzioni connesse alla permanenza del dipendente nello stesso ambiente di lavoro, dal momento che il trasferimento di sede, cui segua l’irrogazione di una sanzione disciplinare, non assume carattere di pena privata e non riveste motivazioni afflittive, ma si riconnette a ragioni connesse al regolare funzionamento dell’attività aziendale. (Cass. 6/7/2011 n. 14875, Pres. Lamorgese Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2011, 951)
  • L’atto di trasferimento del lavoratore deve essere interpretato alla luce dei canoni di correttezza e buona fede specie quando esso segua alla reintegrazione giudiziale del lavoratore licenziato o alla sua riammissione in azienda per la conversione, sempre giudiziale, di uno o più contratti a termine dichiarati nulli. Il controllo del Giudice mira in tali casi a evitare che il licenziamento si risolva in una misura finalizzata a eludere il provvedimento giudiziario. A tal fine è necessario che il giudice non valuti soltanto le ragioni che hanno determinato l’impresa al trasferimento del lavoratore in una sede diversa, ma anche quelle che impediscono e ostacolano il ripristino del lavoratore nella sede originaria. (Trib. Roma 20/1/2011, ord., Pres. Franchini Est. Armone, in Lav. nella giur. 2012, con commento di A. Piovesana, 797)
  • Poiché nessuna norma prevede la trasformazione di un presupposto processuale, quale è la irreparabilità del danno, in un termine decadenziale, il ricorso a un provvedimento d’urgenza non è precluso dalla circostanza che il lavoratore abbia lasciato trascorrere un periodo di tempo di circa tre mesi tra la comunicazione della nuova sede e il deposito del ricorso, se tale periodo è stato utilizzato per ricercare una soluzione extragiudiziale e per valutare l’opportunità di adire l’autorità giudiziaria. (Trib. Roma 20/1/2011, ord., Pres. Franchini Est. Armone, in Lav. nella giur. 2012, con commento di A. Piovesana, 797)
  • L’irreparabilità del danno deve essere apprezzata in relazione al diritto non patrimoniale di mantenere la sede di lavoro precedente e al rischio che il protrarsi illegittimo del trasferimento possa compromettere definitivamente la sfera dei rapporti lavorativi in precedenza instaurati e alla stabilità personale e familiare del lavoratore. (Trib. Roma 20/1/2011, ord., Pres. Franchini Est. Armone, in Lav. nella giur. 2012, con commento di A. Piovesana, 797)
  • Il trasferimento del lavoratore ad altra sede o reparto ha natura ontologicamente disciplinare ove sia ricollegabile a una mancanza del lavoratore e non sia conseguente all’esercizio del potere organizzatorio e gestionale del datore di lavoro (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza della corte territoriale che, con accertamento adeguatamente motivato, aveva escluso la natura disciplinare del trasferimento ad altro reparto – con mansioni equivalenti - di un lavoratore addetto alla sorveglianza, il quale, pur accusato della sottrazione di due cartoni di detersivo e alcuni timer per lavatrici, era rimasto, all’esito degli accertamenti, immune da ogni addebito, per l’impossibilità di ricostruire con chiarezza i fatti, ancorché risultasse certo che il medesimo fosse restato, per un certo periodo, da solo e avesse tentato di avvicinare i colleghi per concordare una versione dei fatti; tali circostanze avevano comunque minato il rapporto fiduciario e inciso negativamente sui rapporti tra i colleghi di reparto, così da indurre il datore all’anzidetto trasferimento. (Cass. 17/3/2009 n. 6462, Pres. De Luca Est. Di Nubile, in Orient. Giur. Lav. 2009, 141) 
  • Non può considerarsi idonea a configurare mobbing la mera decisione aziendale di trasferire il lavoratore presso un diverso stabilimento, prevista da un accordo sindacale concluso a seguito della procedura per riduzione del personale, ove non siano state poste in essere vessazioni ripetute e sistematiche rivolte in modo specifico e individuale contro il lavoratore per un apprezzabile periodo di tempo. (Trib. Milano 31/1/208, d.ssa Vitali, in Lav. nella giur. 2008, 1174)

  • Nell'ipotesi in cui venga trasferito il lavoratore invalido al 100% assunto ai sensi della L. n. 68/1999, l'applicazione dell'art. 33, L. n. 104/1992 che subordina il trasferimento al consenso del lavoratore è invocabile solo ove l'azienda abbia effettivamente la possibilità di collocazione lavorativa nella sede originaria. (Trib. Roma 10/8/2006, ord., Pres. Gallo Rel. Mastroberardino, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Stella Laforgia, 180)
  • Nell'ipotesi in cui venga trasferito il lavoratore invalido al 100% assunto ai sensi della L. n. 68/1999, trova applicazione l'art. 33, L. n. 104/1992 che subordina il trasferimento al consenso del lavoratore. (Trib. Roma 11/7/2006, ord., Est. Maraschi, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Stella Laforgia, 178)
  • Non vi è periculum in mora qualora il dipendente trasferito alleghi la mera difficoltà di affrontare le spese di soggiorno nella nuova sede, gravando sul lavoratore ricorrente l’onere di provare la sussistenza del pericolo di un reale e grave pregiudizio non ristorabile per equivalente. Qualora alla scadenza del contratto di formazione e lavoro il dipendente venga assunto a tempo indeterminato si viene a costituire un rapporto di lavoro ex novo, non potendosi conseguentemente configurare un trasferimento per il caso in cui quest’ultimo individui una sede di lavoro diversa da quella in cui si è svolta la formazione, salvo che venga provata, sia pur nei limiti del giudizio di verosimiglianza imposto dal requisito del fumus boni iuris, la totale insussistenza del momento formativo, a fronte della quale opera la conversione in rapporto a tempo indeterminato ab origine. (Trib. Benevento 28/7/2004, ord., Est. Piccone, in Lav. nella giur. 2005, 59, con commento di Enrico Barraco)
  • Il trasferimento del dipendente da una sede all’altra dell’impresa, rientra nel normaleesercizio del potere direttivo del datore di lavoro, costituendo facoltà del medesimo legittimamente esercitabile, purchè si sia in presenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” richieste dall’art. 2103 c.c., nel testo introdotto dall’art. 13 Statuto dei lavoratori. Una volta dimostrate dalla banca – come è avvenuto in fattispecie – le “comprovate” esigenze aziendali (consistenti nella necessità di azionamento della mobilità geografica finalizzata ad evitare licenziamenti per esubero di personale in Viterbo), dottrina e giurisprudenza prevalenti attribuiscono una tutela del tutto residuale alla situazione del lavoratore. Né a legittimare la richiesta del ricorrente può essere validamente utilizzata la certificazione dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Roma “ La Sapienza ” giacchè essa ha evidenziato (non già la “necessità” correlata all’evitamento di un pregiudizio attuale alla salute) ma solo “l’opportunità” che “soggetto lavori in un ambiente vicino a quello di residenza per poter contare sull’appoggio dei riferimenti affettivi e sul sostegno dei medici curanti (come da consulenza neuropsichiatrica)”. A giustificare il non accoglimento della richiesta rientrare da Roma in Viterbo va poi tenuto conto altresì che essa costituisce nuova richiesta, atteso il consenso iniziale (sebbene in via subordinata) del lavoratore ad accettare la concessa allocazione su Roma dalla quale – come egli scrive alla banca – “io potrei agevolmente raggiungere il mio specialista a Viterbo, con il quale sono in cura da diversi anni”. (Trib. Roma 8/1/2004, ord., Pres. Cortesani Rel. Leo, in Lav. e prev. 2004, 520)
  • Il divieto di trasferire, senza il suo consenso, il dipendente che assiste con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato previsto dal 5° comma-come modificato dall'art. 19 L. 8/3/2000 n. 53-dell'art. 33 L. 5/2/92 n. 104 presuppone che l'assistenza prestata dal lavoratore trasferito sia non solo continuativa e sistematica, ma anche effettivamente apprezzabile da parte del familiare portatore di handicap (nella fattispecie è stata esclusa la ricorrenza di detti presupposti in considerazione del fatto che il parente era ricoverato in una struttura che provvedeva autonomamente, giorno e notte, ai bisogni fisici e sanitari di quest'ultimo). (Trib. Milano 20/5/2003, ord., Est. Mascarello, in D&L 2003, 700)
  • La c.d. "incompatibilità ambientale"-che può configurarsi anche quando il conflitto insorga tra lavoratori appartenenti ad imprese diverse che operino nella medesima unità produttiva-può legittimare il trasferimento del dipendente ai sensi dell'art. 2103 c.c. solo qualora comporti apprezzabile disorganizzazione del lavoro nell'unità produttiva stessa (nella specie il giudice ha escluso che il contrasto tra un dipendente dell'impresa di pulizia appaltatrice dei servizi presso una stazione FFSS ed il responsabile dei controlli della società appaltante avesse effettive conseguenze oggettive sull'organizzazione del lavoro). La mancata prestazione del dipendente presso l'unità produttiva ove è stato illegittimamente trasferito, costituisce legittima eccezione di inadempimento ed è pertanto illegittimo il conseguente licenziamento per asserita assenza ingiustificata. (Corte d'Appello Firenze 4/3/2003, Pres. Bartolomei Est. Amato, in D&L 2003, 705)
  • E' legittimo, ex art. 2103 c.c., il trasferimento del lavoratore disposto per incompatibilità aziendale, qualora tale incompatibilità determini disorganizzazione e disfunzione nell'unità produttiva, integranti un'obiettiva esigenza datoriale di modifica del luogo di lavoro. (Cass. 12/12/2002, n. 17786, Pres. Sciarelli, Est. De Luca, in Foro it. 2003, parte prima, 440)
  • L'invio in missione, costituendo una specie del genere trasferimento, può essere disposto solo in presenza di apprezzabili ragioni tecnico-organizzative, secondo quanto previsto dall'art. 13 SL. In ipotesi di ordine di reintegrazione emesso in via d'urgenza, è illegittimo l'invio in missione del dipendente con la motivazione che il suo posto di lavoro è stato, nel frattempo, assegnato ad altri. (Trib. Milano 2/7/2002, Est. Mascarello, in D&L 2002, 952, con nota di Davide Bonsignorio, "Missione e trasferimento: differenze e loro corretto utilizzo")
  • Nel caso in cui il datore di lavoro disponga di un "trasferimento temporaneo" del dipendente a pochi giorni di distanza da un precedente contenzioso con il medesimo dipendente e non fornisca neppure in giudizio adeguata motivazione di detto trasferimento, il Giudice può ben evincere da tali circostanze il carattere discriminatorio e punitivo del trasferimento stesso e conseguentemente dichiararne la nullità ex artt. 1418 e 1345 c.c. (nella specie il dipendente, addetto a lavori subacquei, si era rifiutato di immergersi adducendo la mancanza di adeguate attrezzature, era stato per questo motivo allontanato dal posto di lavoro e quindi trasferito). (Trib. Agrigento 11/6/2002, ord., Pres. D'Angelo Est. Occhipinti, in D&L 2002, 712, con nota di Massimo Aragiusto, "Buona fede nell'esecuzione del contratto di lavoro e nullità del licenziamento")
  • In ipotesi di contratto d'appalto è illegittimo il trasferimento del dipendente dell'appaltatore disposto dal medesimo con l'esclusiva motivazione di doversi conformare al non gradimento espresso dal committente, ai sensi della relativa clausola contenuta nel contratto di appalto; tale clausola, non riferendosi a fatti obiettivi, ma attenendo ad un giudizio soggettivo sulla persona del lavoratore, è inidonea a reintegrare le ragioni tecniche, organizzative e produttive che, ai sensi dell'art. 2103 c.c., devono giustificare il trasferimento. (Trib. Milano 8/6/2002, ord., Pres. Ed est. Curcio, in D&L 2002, 955)
  • Il trasferimento del dipendente dovuto d incompatibilità aziendale, trovando la sua causa nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell'unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive previste dall'art. 2103 c.c., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che il relativo provvedimento datoriale non può essere dichiarato illegittimo per inosservanza delle garanzie sostanziali e procedimentali di cui all'art. 7, l.n. 300/70 (nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva escluso la configurabilità di una sanzione disciplinare in relazione al trasferimento disposto a "scopo cautelativo" nei confronti di un funzionario bancario, a seguito della instaurazione a carico di quest'ultimo di un procedimento penale riguardante operazioni bancarie effettuate presso la filiale da lui diretta). (Cass. 9/3/01, n. 3525, pres. Ghenghini, est. D'Agostino, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 263)
  • È illegittimo il provvedimento di trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva disposto contestualmente all’invito a riprendere servizio dopo l’ordine giudiziale di reintegra, in ragione del fatto che il sistema della tutela giudiziaria impone di ragionare come se il fatto illegittimo (nella specie, il recesso) e la conseguente sanzione (nella specie, l’ordine di reintegra) fossero istantanei (cosicché l’indagine circa la sussistenza delle ragioni giustificatrici del trasferimento va condotta con riferimento al momento del recesso stesso) (Trib. Milano 26/4/97, pres. Gargiulo, est. Ruiz, in D&L 1997, 833)
  • Non sussistono le esigenze tecnico organizzative che legittimano il trasferimento del lavoratore, reintegrato in servizio al termine di un periodo di CIG, qualora questi abbia manifestato la sua disponibilità a diverse sistemazioni nell'unità produttiva da ultimo occupata e quando nella nuova vi sia una situazione di profonda crisi con ricorso alla CIGS e ai contratti di solidarietà (Pret. Milano 4/9/95, est. Vitali, in D&L 1996, 154)
  • E' illegittimo il trasferimento del lavoratore ove risulti che le mansioni da svolgere nel luogo di destinazione siano inferiori alle ultime effettivamente svolte nel luogo di provenienza (Pret. Milano 18/10/94, est. Porcelli, in D&L 1995, 379)
  • Non configura un'ipotesi di incompatibilità ambientale che, ai sensi dell'art. 13 SL può legittimare il trasferimento del lavoratore, la difficoltà nei rapporti con la rete commerciale e con la clientela, potendo ciò, tutt'al più, giustificare un mutamento di mansioni del lavoratore (Pret. Milano 15/10/94, est. Sala, in D&L 1995, 386, nota SCORCELLI)