Danni in genere

  • Dal risarcimento del danno patrimoniale riconosciuto al familiare di una persona deceduta per colpa altrui non è possibile detrarre il valore capitale della pensione di reversibilità: non opera la “compensatio lucri cum damno” in quanto la reversibilità accordata dall’Ente previdenziale è una forma di tutela previdenziale che trova origine nel “sacrificio” compiuto dal de cuius quando era in vita. (Cass. 13/2/2020 n. 3689, ord., Pres. De Stefano Rel. Valle, in Lav. nella giur. 2021, 399)
  • In materia di danno differenziale, è legittimo il riconoscimento per il lavoratore, in sede civile, del danno per inabilità temporanea, voce di danno “non patrimoniale” esclusa dalla tutela previdenziale, dal momento che le somme versate dall’I.N.A.I.L. non possono ritenersi automaticamente satisfattive del danno non ricomprendendo alcune voci di risarcimento, quali il danno morale o biologico temporaneo, presenti invece in sede civile. (Cass. 18/5/2020 n. 9083, Pres. Berrino Est. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2020, 996)
  • Il mancato soddisfacimento dell’onere gravante sull’istante sul piano dell’allegazione e della prova dei pregiudizi relativi al tipo di danno subito in concreto e del nesso di causalità corrente tra il primo e l’inadempimento del datore di lavoro, preclude di procedere alla sua valutazione equitativa. (Trib. Bari 13/10/2016, Giud. Minervini, in Lav. nella giur. 2017, 208)
  • In caso di inadempimento del datore di lavoro dell’obbligo, contrattualmente assunto, di fornitura ai dipendenti di “vestiario uniforme”, ove il dipendente, al fine di adempiere alla propria obbligazione di indossare in servizio “abiti uniformi”, sia costretto ad acquistare a proprie spese abiti che, per tipo e foggia, diversamente non avrebbe acquistato, il datore di lavoro è tenuto, in base alla disciplina generale degli artt. 1218 ss. c.c. a risarcire il danno rappresentato dal costo aggiuntivo incontrato per detto acquisto, giacché trattasi di perdita patrimoniale causalmente riconducibile in modo immediato e diretto all’inadempimento. (Corte app. Lecce 6/7/2016, Rel. Avv. Zaza, in Lav. nella giur. 2016, 1132)
  • In virtù del generale dovere di sicurezza incombente ai sensi dell’art. 2087 c.c. (da interpretarsi in conformità con gli artt. 32 e 41 Cost.), è addebitabile al datore di lavoro la responsabilità per il danno occorso al lavoratore che appaia causalmente riconducibile, in mancanza di prova contraria, all’assenza di misure di prevenzione c.d. “innominate”, le quali, ancorché non espressamente imposte dalla legge, siano suggerite dagli standards di sicurezza normalmente osservati o da conoscenze sperimentali o tecniche. (Cass. 30/6/2016 n. 13465, Pres. D’Antonio Est. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2016, 925)
  • Il risarcimento del danno muove dalla logica di ristorare il “danneggiato” dalla perdita di un valore se, e nella misura in cui, questo sia stato subito, ricostituendo lo stato in cui il medesimo si sarebbe trovato in difetto di illecito. Pertanto, l’accesso a una tutela risarcitoria non può prescindere da un’adeguata allegazione e prova del “danno”, e dunque della perdita da “reintegrare” nella sfera del danneggiato, imponendo un rigoroso accertamento sia del fatto illecito, sia del tipo di danno in concreto subito, nonché del nesso di causalità intercorrente fra evento dannoso e comportamento lesivo. (Trib. Cassino 5/11/2014, Giud. Sandulli, in Lav. nella giur. 2015, 424)
  • Nelle obbligazioni pecuniarie, il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c. rispetto a quello già coperto dagli interessi moratori, è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore ne domandi il risarcimento nell’eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’art. 1284, comma 1, c.c., salva la possibilità per il debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore e per il creditore di provare il maggior danno effettivamente subito. (Cass. 15/4/2014 n. 8755, Pres. Coletti De Cesare Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, 707)
  • La violazione del diritto del lavoratore all’esecuzione della propria prestazione è fonte di responsabilità risarcitoria del datore, salvo che l’inattività del lavoratore sia riconducibile a un lecito comportamento del datore medesimo, giustificata dai poteri imprenditoriali, garantiti dall’art. 41 Cost., o dall’esercizio dei poteri disciplinari. (Cass. 12/4/2012 n. 7963, Pres. Battimiello Est. Tria, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Alessandro Petrillo, “Diritto del lavoratore all’esecuzione della prestazione e danno non patrimoniale: incertezze interpretative e spunti evolutivi”, 104)
  • Il risarcimento derivante dalla violazione del diritto del lavoratore all’esecuzione della propria prestazione deve essere integrale e seguire criteri di valutazione che, seppur nell’ambito di un sistema predeterminato, tengano conto delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione. (Cass. 12/4/2012 n. 7963, Pres. Battimiello Est. Tria, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Alessandro Petrillo, “Diritto del lavoratore all’esecuzione della prestazione e danno non patrimoniale: incertezze interpretative e spunti evolutivi”, 104)
  • La domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall’art. 2087 c.c., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo a una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dall’art. 429, comma 2, c.p.c.; ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dalla l. n. 412/1991, art. 16, comma 6. (Cass. 5/3/2012 n. 3417, Pres. Miani Canevari Rel. Maiasano, in Lav. nella giur. 2012, 505)
  • La prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dall’attività illegittima della Pubblica amministrazione inizia a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza amministrativa che dichiara l’illegittimità degli atti produttivi del danno. (Trib. Enna 19/10/2011, Est. De Simone, in D&L 2012, con nota di Donisio Serra, “Illegittima mancata assunzione e danno a carico della PA”, 504)
  • Il risarcimento del danno non patrimoniale è autonomo dall'accertamento del reato, essendo solamente necessario che il fatto sia astrattamente preveduto come reato e sia conseguentemente idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale. (Cass. 15/6/2010 n. 14345, Pres. Monaci Est. Toffoli, in Lav. nella giur. 2010, 948)
  • L'art. 1, comma 3°, L. 25/2/92 n. 210, letto unitamente al successivo art. 4, 4° comma, deve interpretarsi nel senso che l'indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali deve essere riconosciuto solo a coloro il cui danno permanente presenta una soglia minima di indennizzabilità; soglia rappresentata dall'inquadramento della patologia, anche in via di equivalenza, in una delle otto categorie previste dalla tabella A allegata al DPR 30/12/81 n. 834. (Cass. Sez. Un. 1/4/2010 n. 8064, Pres. Vittoria Est. Amoroso, in D&L 2010, con nota di Alberto Cappellaro, "Epatite C, indennizzo ex lege 210/92 e rilevanza della tabella A allegata al DPR 834/81: intervengono le Sezioni Unite", 627)
  • Perché il lavoratore ottenga il risarcimento del danno di cui all’art. 36 D.Lgs. 30/3/01 n. 165 è necessario che alleghi e provi le specifiche circostanze di fatto che determinano la sussistenza di un danno. (Trib. Napoli 8/3/2010, Est. D’Ancona, in D&L 2010, con nota di Tiziana Laratta, “Qualche breve riflessione su un’insolita sentenza in tema di successione di contratti a termine nel pubblico impiego”, 510)
  • Il dipendente, al quale è stata negata, senza giustificato motivo, la possibilità di fruire dei permessi per la frequenza di corsi di formazione, ha diritto al risarcimento del danno in quanto ha perso una chance formativa attraverso la quale avrebbe potuto ottenere una maggiore qualificazione con migliori prospettive di carriera (nella specie, la Corte ha confermato un risarcimento in favore di una dipendente di una casa di riposo alla quale non erano state concesse le 150 ore di permesso annue per la frequenza di un corso professionale esterno). (Cass. 11/9/2009 n. 19682, Pres. De Luca Est. Nobile, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, con nota di Barbara Caponetti, "Diritto alla formazione e danno da perdita di chance del lavoratore", 282) 
  • L'azione di risarcimento del danno da perdita di chances può essere proposta dal lavoratore che non abbia maturato il diritto alla retribuzione per colpevole inadempimento del datore di lavoro. La parte ricorrente, creditrice, ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere la conseguenza immediata e diretta. (Trib. Napoli 11/3/2009, Giud. Totaro, in Lav. nella giur. 2009, 636)
  • Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento a una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né necessita dell'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo la Costituzione. (S.U. 11/11/2008 n. 26972, Pres. Carbone Est. Preden, in Orient. della giur. del lav. 2009, 1)
  • Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, del quale va esclusa ogni connotazione di carattere temporale. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Ugualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del pregiudizio di tipo esistenziale che altro non sono che componenti del complesso pregiudizio non patrimoniale, che va integralmente e unitariamente ristorato. Possono costituire solo “voci” del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione. (S.U. 11/11/2008 n. 26972, Pres. Carbone Est. Preden, in Orient. della giur. del lav. 2009, 1)

  • Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso, parlando di “danno evento”. E del pari da respingere è la variante costituita dall’affermazione che nel caso di lesioni di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. (S.U. 11/11/2008 n. 26972, Pres. Carbone Est. Preden, in Orient. della giur. del lav. 2009, 1)

  • La pretesa risarcitoria di un dipendente che non trovi fondamento in un contratto di lavoro in essere non può che riguardare la responsabilità precontrattuale della P.A. e quindi contenuta nel limite dell'interesse contrattuale negativo: il dipendente potrà così reclamare le spese inutilmente sostenute nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto e anche la perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione di contratti maggiormente vantaggiosi, ma non potrà formalmente reclamare un risarcimento equivalente a quello conseguente a un eventuale inadempimento contrattuale, non essendo stati acquisiti quei diritti che derivano solo dal contratto. (Fattispecie nella quale il ricorrente, collocato nella graduatoria per il conferimento di contratti di docenza nella scuola statale, lamentando l'illegittima pretermissione in sede di affidamento di un contratto a tempo determinato, contratto assegnato invece ad altro docente inserito nella stessa graduatoria, reclamava a titolo risarcitorio le somme che gli sarebbero spettate quale retribuzione contrattuale, nonché il riconoscimento del punteggio corrispondente al servizio non prestato per colpa dell'Amministrazione, ai fini del successivo aggiornamento delòla graduatoria. Per un'efficace ricostruzione degli elementi distintivi della responsabilità precontrattuale e contrattuale della P.A. in fase di formazione del contratto di lavoro, si veda la recente sentenza della Corte di Cassazione sez. lav., 28 novembre 2008 n. 28456). (Trib. Tolmezzo 26/9/2008, Est. Berardi, in Lav. nelle P.A. 2008, 1133) 
  • In materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora la condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell'evento, e ne costituisca un antecedente causale, l'agente deve rispondere per l'intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato. Non sussiste, invece, nessuna responsabilità dell'agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non ne costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, nè per quelli preesistenti. Anche in queste ultime ipotesi, peraltro, debbono essere addebitati all'agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell'agente stesso per l'intero danno differenziale. (Nella specie, la S.C., sulla scorta del principio da ultimo specificato, ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento all'azione di un lavoratore che aveva agito per il risarcimento del danno nei confronti del suo datore di lavoro per i suoi ripetuti comportamenti vessatori, aveva riconosciuto la responsabilità dello stesso datore per i soli danni a lui imputabili a titolo differenziale per le ulteriori conseguenze patologiche di tipo depressivo che erano derivate dalla sua condotta, inquadrabile come mera concausa rispetto al quadro clinico del dipendente già affetto in precedenza da una situazione psichica compromessa, sulla quale, perciò, aveva prodotto un effetto di aggravamento e non di causa esclusiva). (Cass. 8/6/2007 n. 13400, Pres. De Luca Est. Monaci, in Lav. nella giur. 2008, 90 e in Dir. e prat. lav. 2008, 793)
  • Nel caso di lesione all'integrità psicofisica di un dipendente ASL con mansioni di infermiere, per contrazione del virus dell'epatite a seguito di contatto con esecrato ematico, l'azione risarcitoria ha natura extracontrattuale qualora la condotta dell'amministrazione abbia un'idoneità lesiva che si esplica indifferentemente nei confronti dei cittadini, mentre ha natura contrattuale in caso contrario (nella specie, la S.C. ha stabilito la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di azione contrattuale relativa a fatti anteriori al 30 giugno 1998). (Cass. Sez. Un. 18/5/2007, n. 11562, Pres. Ianniruberto Rel. Miani Canevari, in Lav. nelle P.A. 2007, 737)
  • L'illecito lesivo dell'integrità psico-fisica della persona può dar luogo a due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica; pertanto il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre a incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche pregiudicato la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di reddito. (Cass. 10/1/2007 n. 238, Pres. Senese Est. De Matteis, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Dario Simeoli, "Presunzione di colpa e danno morale; danno biologico e invalidità lavorativa specifica", 670)
  • Dovendosi escludere la configurabilità di una responsabilità risarcitoria dell’imprenditore in base ad un criterio puramente oggettivo di imputazione, occorre che sia accertata – e l’onore della prova incombe sul lavoratore – l’omissione da parte del datore delle misure concrete che, per la specificità del lavoro, le sue modalità e la natura dell’ambiente in cui deve svolgersi si rendono necessarie per tutelare l’integrità del lavoratore. Anche una condizione fisica stressante imputabile al datore può costituire fonte di sua responsabilità, sempre che sia provata la sussistenza di un rapporto di causalità tra tale condizione e l’infortunio subito dal lavoratore, secondo un nesso di causalità adeguata. (Corte d’appello Milano 16/12/2004, Pres. Mannacio Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2005, 799)
  • La differenza ontologica tra il risarcimento del danno e l’indennizzo Inail comporta che non necessariamente debba esservi omogeneità dei parametri valutativi dell’una e dell’altra categoria: sicchè non vi è ragione per cui il giudice della responsabilità civile non possa continuare ad applicare i consueti criteri equitativi di liquidazione del danno anche in presenza di una fattispecie dannosa comportante l’erogazione di prestazioni da parte dell’Inail. (Trib. Pinerolo 27/4/2004, Est. Pappalettere, in Lav. nella giur. 2004, 1209)
  • Al soggetto affetto da patologia dipendente da attività lavorativa il danno biologico subito deve essere liquidato utilizzando le tabelle elaborate dal Tribunale di riferimento, sulla base della percentuale di invalidità e dell’età della persona, mentre il danno morale può essere equitativamente risarcito con una somma equivalente al quarto del danno biologico. (Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 15/4/2004 n. 501, Giud. Grasso, in Giur. It. 2005, 1168)
  • Ogni tipo di lesione di cui si chiede il ristoro, in conseguenza di condotte violative di parte datoriale devono essere oggetto di prova ex art. 2697 c.c. e prima ancora insopprimibilmente individuate nella loro ontologica esistenza sulla scorta di un puntuale tessuto allegatorioe determinate nella specie in base al bene della vita leso. (Trib. Roma 17/3/2004, Est. Marocco, in Lav. nella giur. 2004, 1307)
  • È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c. sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. per irragionevole contrasto con il principio di parità delle giurisdizioni, civile e penale, nella parte in cui escluderebbe la risarcibilità del danno non patrimoniale allorchè la responsabilità dell'autore del fatto, corrispondente ad una fattispecie astratta di reato, venga affermata in base ad una presunzione di legge. Infatti l'art. 2059 c.c. deve essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale sia risarcibile anche quando la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge. (Corte Cost. 11/7/2003 n. 233, Pres. Chieppa Rel. Marini, in D&L 2003, 910, con nota di Alberto Guariso-Giovanni Paganuzzi, "La svolta sul danno non patrimoniale alla prova del diritto del lavoro")
  • Ai sensi dell'art. 2049 c.c. il datore di lavoro è civilmente responsabile nei confronti del proprio dipendente dei danni provocategli da fatto delittuoso commesso, in orario ed ambiente di lavoro, da altro dipendente e superiore gerarchico del primo, dovendosi ritenere sussistente un nesso di causalità tra l'esercizio delle incombenze affidate all'autore del fatto ed il fatto medesimo nel senso che le mansioni affidate a questi hanno reso possibile o comunque agevolato il comportamento dannoso. (Trib. Milano 9/5/2003, Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2003, 1176)
  • In caso di premio aziendale legato alle voci di bilancio, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno morale e patrimoniale a carico degli amministratori della società datrice di lavoro che siano stati condannati con sentenza penale definitiva per falso in bilancio, sempre che sia accertato un nesso di causalità tra la diminuzione del premio ed il falso in bilancio. (Trib. Torino 23/12/2002, Est. Tarnagnone Boerio, in D&L 2003, 372, con nota di Alba Civitelli, "Parte variabile della retribuzione e tutela dei lavoratori")
  • L'inosservanza da parte del datore di lavoro di una decisione del giudice del lavoro attuata mediante atti pregiudizievoli per il lavoratore integra l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 388 c.p. e comporta quindi un risarcimento a favore di quest'ultimo dei danni subiti. (Trib. Milano 30/7/2002, Est. Peragallo, in D&L 2002, 1055, con nota di chele Di Lecce, "Ancora sulla mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice")
  • Il danno allegato dal lavoratore che ha subito una illegittima turnazione deve essere risarcito anche laddove manchi la prova in concreto del pregiudizio riportato, essendo esso intrinseco all'incertezza sulla possibilità di fruire del tempo libero. Il danno da illegittima turnazione può essere quantificato in una percentuale della retribuzione mensile percepita dalla lavoratrice, da determinarsi in relazione a diversi fattori tra i quali l'assenza del consenso dell'interessata alla turnazione e l'esistenza di pregresse contestazioni da parte della lavoratrice in merito alla maggior penosità della prestazione ad essa richiesta in violazione della normativa sul part-time.
    Il risarcimento del danno da illegittima turnazione ha natura extracontrattuale e si prescrive in cinque anni. (Trib. Milano 16/7/2002, Est. Mascarello, in D&L 2003, 118, con nota di "Illegittima turnazione nel part-time: accordi collettivi e danni")
  • Deve considerarsi negligente e quindi, in virtù del disposto dell'art. 1227, 2° comma, c.c., ostativa al riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subiti, la condotta dell'imprenditore che non assicuri l'autovettura aziendale con una polizza idonea a garantire il ristoro di tutti i danni anche nell'ipotesi in cui l'evento lesivo sia riconducibile al comportamento colposo del proprio dipendente, che utilizzi l'autovettura aziendale, pur senza esserne autorizzato, per motivi personali (Trib. Padova 4/6/2001, pres. e est. Balletti, in Lavoro giur. 2001, pag. 1161, con nota di Venditti, Danni del dipendente da circolazione stradale, negligenza del datore di lavoro e attribuzione della responsabilità)
  • L’onere di ordinaria diligenza richiesto ex art. 1227, 2° comma, c.c. al creditore per limitare il danno da inadempimento va esteso anche a quei comportamenti positivi attraverso cui il danno possa essere evitato o ridotto con certezza; pertanto, qualora la prestazione richiesta al lavoratore dipendente comporti, per la peculiare natura dell’attività d’impresa, elevati rischi economici per il datore di lavoro, non è conforme al principio generale di equilibrio contrattuale porre a carico del dipendente le conseguenze di natura patrimoniale dei suoi comportamenti colposi, quando a ciò possa essere posto un rimedio preventivo consistente nella stipula di una polizza adeguata. (Nel caso di specie il Tribunale ha negato la risarcibilità del danno causato dal conducente a un automezzo e al relativo carico, in quanto la datrice di lavoro, esercitante l’attività imprenditoriale di trasporto su strada, non aveva stipulato una polizza assicurativa c.d. "kasko", adeguata a coprire l’intero rischio connesso all’attività d’impresa svolta) (Trib. Rovereto 16/3/98, pres. ed est. Di Fazio, in D&L 1998, 1013)