In genere

  • Nel regime introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, alle controversie, regolate dal processo del lavoro, di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che abbiano oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella omissione totale o parziale di contributi o da cui deriva un’omissione contributiva, si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma della L. n. 742 del 1969, art. 3, trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c. Ne consegue che, ai fini della tempestività dell’impugnazione avverso la sentenza resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa per violazioni inerenti al rapporto di lavoro o al rapporto previdenziale, deve tenersi conto della detta sospensione. (Cass. SU 29/1/2021 n. 2145, Pres. Tirelli Rel. D’Oronzo, in Lav. nella giur. 2021, 413)
  • L’art. 395, n. 2, c.p.c., su cui è fondata la domanda di revocazione, impone che le prove siano accertate come false con sentenza passata in giudicato; il decreto di archiviazione, invece, non comportando alcun accertamento con efficacia di giudicato, è inidoneo a fondare la domanda di revocazione (nella fattispecie, è stata respinta la richiesta di un lavoratore, licenziato per aver compiuto delle indebite operazioni sui conti correnti e sui libretti di risparmio dei clienti, il quale aveva avanzato domanda di revocazione della sentenza, in quanto era sopravvenuto un decreto di archiviazione, emesso dal GIP per intervenuta prescrizione). (Cass. 9/1/2015 n. 156, Pres. Macioce Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2015, 410)
  • L'interesse all'impugnazione, manifestazione del generale principio dell'interesse ad agire - sancito, quanto alla proposizione della domanda e alla relativa contraddizione alla stessa, dall'art. 100 c.p.c. - va apprezzato in relazione all'utilità concreta derivabile alla parte dall'accoglimento del gravame, e si collega alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, mancando la quale l'impugnazione è inammissibile. Conseguentemente deve escludersi l'interesse della parte integralmente vittoriosa a impugnare la sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, salvo il caso che da quest'ultima possa dedursi un'implicita statuizione contraria all'interesse della parte medesima, nel senso che a questa possa derivare pregiudizio da motivi che, quale premessa necessaria dalla decisione, siano suscettibili di formare giudicato. (Nella specie, la S.C., ribadendo l'enunziato principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale, in relazione a un giudizio per repressione di condotta antisindacale, si censurava la decisione della Corte territoriale per avere accolto la domanda in base all'argomentazione, formulata in via subordinata nel giudizio, che la procedura di mobilità condotta a termine dalla società, ai sensi della legge n. 223 del 1991, dissimulava un trasferimento d'azienda, trattandosi di mera subordinazione logica rispetto all'altra, con cui si deduceva l'occultamento di un'illecita operazione di intermediazione di manodopera, e attesa l'assenza di una pronunzia di rigetto del diverso percorso motivazionale. (Cass. 10/11/2008 n. 26921, Pres. Sciarelli Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2009, 294) 
  • Non è fondata, in ragione della congruità del termine e del dovere di vigilanza dell'interessato, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento alla presunta violazione del diritto di difesa, dell'art. 327 del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede la decorrenza del termine annuale per l'impugnazione dalla pubblicazione della sentenza, anziché dalla sua comunicazione a cura della cancelleria. (Corte Cost. 9/7/2008 n. 297, Pres. Bile Rel. Finocchiaro, in Dir. e prat. lav. 2008, 2309) 
  • La doglianza relativa alla mancata adozione di un diverso rito, dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato, in quanto l'esattezza del rito non deve essere considerata fine a sé stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa e apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale. (Cass. 13/5/2008, n. 11093, Pres. Finocchiaro Est. Talevi, in Lav. nella giur. 2008, 1057)
  • Il canone costituzionale della ragionevole durata del process, coniugato con quello dell'immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), orienta l'interpretazione dell'art. 420 bis c.p.c. nel senso, confortato anche da argomenti di interpretazione letterale, che tale disposizione trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in quello d'appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato (D.Lgs. n. 40 del 2006) che, più in generale, ha limitato la possibilità di ricorso immediato per cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d'appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell'impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado. Conseguentemente, la sentenza di accertamento pregiudiziale sull'interpretazione di un contratto collettivo, ove resa in grado d'appello, non essendo riconducibile nel paradigma dell'art. 420 bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, che non è quello del ricorso immediato per cassazione, il quale ove proposto deve essere dichiarato inammissibile, ma trattandosi di sentenza che non definisce, neppure parzialmente, il giudizio, è quello generale risultante dal combinato disposto dell'art. 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c. Pertanto non viene in rilievo l'affidamento che le parti possono avere riposto nella decisione della Corte territoriale emessa nel contesto processuale dell'art. 420 bis c.p.c., atteso che l'interesse a un giudizio di impugnazione sulla sentenza resa dal giudice di appello è salvaguardato dall'applicabilità del secondo periodo del terzo comma dell'art. 360 c.p.c., come novellato dall'art. 2 del D.Lgs. n. 40 del 2006, che prevede che avverso le sentenze che non definiscono il giudizio e non sono impugnabili con ricorso immediato per cassazione, può essere successivamente proposto il ricorso per cassazione, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio. (Cass. 7/5/2008 n. 11135, Pres. Mercurio Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 953) 
  • In caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza - in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell'art. 335n c.p.c. - alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l'impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati. (Cass. 4/3/2008 n. 5846, Pres. Sciarelli Est. Balletti, in dir. e prat. lav. 2008, 2249)
  • La caducazione del titolo esecutivo costituito da una sentenza di appello a seguito del suo annullamento da parte della Corte di Cassazione, pur comportando, ai sensi dell'art. 336, secondo comma, c.p.c., la perdita di efficacia degli atti della relativa procedura di esecuzione, non fa venir meno - in difetto della rinuncia delle parti - l'interesse alla definizione in sede di cassazione del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, che con riguardo a quel titolo sia stata proposta, tenuto conto dell'autonoma rilevanza di tale ultimo giudizio e delle necessità di verifica della fondatezza o meno dell'opposizione anche ai fini del regolamento delle spese processuali. (Cass. 11/10/2007 n. 21323, Pres. Ciciretti Est. Figurelli, in Lav. nella giur. 2008, 306) 
  • L’appellante non può invocare a giustificazione della tardività della proposizione del gravame (avvenuta pacificamente oltre il termine di cui all’art. 327, c. 1, c.p.c.), la previsione dell’art. 327, comma 2, c.p.c., in quanto tale norma espressamente prevede quale condizione per la proposizione tardiva dell’impugnazione la mancata conoscenza del processo per effetto non solo della nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, ma anche della “nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292”, tra i quali è espressamente prevista l’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio formale, sul presupposto implicito, ma evidente, che in caso di regolare notificazione di tali atti la parte viene comunque a conoscenza dell’esistenza del processo nei suoi confronti anche se per ipotesi non lo fosse in precedenza per il vizio della notificazione degli atti introduttivi. (Corte app. Roma 9/6/2005, Rel. Conte, in Lav. Nella giur. 2006, 715)
  • L’acquiescenza prevista dall’art. 329 c.p.c. è fondata sul rapporto di incompatibilità (quale reciproca esclusione) fra la volontà che è alla base di un atto- che può essere anche anteriore alla stessa sentenza – e la volontà che è alla base dell’impugnazione; conseguentemente, la predisposizione di un conteggio nel corso del giudizio di primo grado, per l’eventuale affermazione giudiziale del diritto controverso del quale si contesta la sussistenza, integrando solo un condizionato riconoscimento del “quantum”, non è incompatibile con l’impugnazione dell’”an”, né con l’impugnazione del riconoscimento delle spettanze fondato sulla negazione del diritto. Essendo l’accertamento della compatibilità giudizio di fatto, la valutazione di tali atti da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se assistita da congrua motivazione. (Cass. 19/4/2005 n. 8137, Pres. Mattone Rel. Cuoco, in Dir. e prat. lav. 2005, 2061)
  • La specificità dei motivi di appello richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c. -riscontrabile direttamente anche dal giudice di legittimità, il quale può a tal fine interpretare autonomamente l'atto di appello, vertendosi in tema di "error in procedendo"- impone all'appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza impugnata, in modo che sia possibile desumere quali siano le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l'impugnazione in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata. Detta individuazione non deve peraltro necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell'appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame -che può validamente consistere anche nella mera richiesta di riforma della sentenza impugnata e di accoglimento della domanda iniziale, sia delle ragioni della doglianza, che possono essere integrate anche con il rinvio ad atti del processo già ritualmente acquisiti, i quali si presumono noti. (Cass. 27/1/2004 n. 1456, Pres. Sciarelli Rel. Figurelli, in Dir. e prat. lav. 2004, 1636)
  • La motivazione per relationem ad altre decisioni deve considerarsi carente o meramente apparente – e come tale censurabile in sede di legittimità – quando il decisum si fondi, come nella specie, esclusivamente sul mero rinvio a precedenti o a massime giurisprudenziali richiamati in modo acritico e non ricollegati espressamente alla fattispecie controversa, di talchè sia impedito un controllo sul procedimento logico seguito dal giudice proprio per l’impossibilità di individuare la ratio decidendi della sentenza. Nel caso di specie, il rinvio ha esaurito la motivazione della sentenza, poiché i giudici di appello hanno fatto riferimento solo ad una propria precedente decisione, relativa ad una controversia simile a quella sub iudice. Non può costituire, infatti, integrazione della motivazione la semplice considerazione, non motivata, secondo la quale la indennità di trasferta, come la indennità speciale ed i compensi per lavoro straordinario, in quanto aventi natura continuativa, fanno parte della retribuzione e devono considerarsi come “retribuzione globale di fatto” e, quindi, anche come base di calcolo della tredicesima, ferie e trattamento di fine rapporto. (Cass. 17/1/2004 n. 662, Pres. Ciciretti Rel. Filadoro, in Lav. e prev. oggi 2004, 708)
  • Nel rito del lavoro, la norma relativa al decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione del giudizio d'appello non prescrive che l'atto debba contenere l'avvertimento al convenuto, previsto per il procedimento innanzi al tribunale dall'art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., circa le conseguenze di una tardiva costituzione, né tale previsione è desumibile da un principio generale proprio dell'ordinamento processuale, atteso che, oltre alla diversità della forma dell'introduzione del giudizio con ricorso, nel giudizio d'appello, destinato a svolgersi nell'ambito degli accertamenti di fatto già acquisiti in primo grado, non opera lo stesso sistema di preclusioni e decadenze che caratterizza la prima istanza, sicché non si può neppure prospettare un'analoga esigenza di salvaguardia del diritto di difesa. (Cass. 18/10/2002, Pres. Ciciretti, Rel. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2003, 182)
  • Allorché sono convenute in giudizio più parti e le cause siano inscindibili o tra loro dipendenti, la notificazione al ricorrente della sentenza ad iniziativa di una sola delle parti convenute fa decorrere il termine breve per l'impugnazione anche nei confronti dell'altra parte con conseguente inammissibilità dell'appello proposto fuori termine. (Corte d'appello Milano 25/9/2002, Pres. e rel. Mannacio, in Lav. nella giur. 2003, 390)
  • Nel caso in cui la sentenza sia fondata su una pluralità di ragioni tra loro distinte e autonome, ciascuna logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, l’omessa specifica impugnazione di tutte tali ragioni rende inammissibile la censura su alcuna di esse, la quale non potrebbe mai condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre ragioni non impugnate, all’annullamento della decisione (Cass. 24/5/99 n. 5048, pres. Buccarelli, est. Mercurio, in D&L 1999, 921)