Rapporto con il giudicato penale

  • Il giudicato penale di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento della insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato, ossia quando l’assoluzione sia stata pronunciata ai sensi dell’art. 530, c. 2, c.p.p. (Cass. 6/5/2014 n. 9654, Pres. Vidiri Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Elisabetta Bavasso, 889)
  • Il giudicato penale di assoluzione non preclude al giudice del lavoro di procedere a una autonoma valutazione dei fatti stessi ai fini propri del giudizio civile, cioè tenendo conto della loro incidenza sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti del rapporto, ben potendo essi avere un sufficiente rilievo disciplinare ed essere idonei a giustificare il licenziamento anche ove non costituiscano reato. (Cass. 10/9/2013 n. 20715, Pres. Stile Est. Fernandes, in Lav. nella giur. 2013, 1125)
  • La sentenza penale di assoluzione, pronunciata a seguito del dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per il risarcimento del danno promosso dal danneggiato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste, sempre che il danneggiato stesso si sia costituito, o sia stato in condizione di costituirsi parte civile. Tale efficacia sussiste anche allorquando l'assoluzione sia stata pronunciata non già a seguito di dibattimento bensì in via preliminare all'apertura del dibattimento stesso, avendo l'imputato chiesto il c.d. patteggiamento ex art. 444 c.p.p. (Trib. Pisa 14/3/2008 Giud. Santoni Rugiu, con nota di Fabbrini, "Sull'onere della prova e gli effetti del giudicato penale nel giudizio civile in tema di danno da infortunio sul lavoro o malattia professionale", 585)
  • La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cosiddetto patteggiamento) - pur non contenendo un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare. (Sulla base di tale principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in un processo per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro, aveva semplicemente escluso ogni rilevanza civile della sentenza di patteggiamento resa dal giudice penale nei confronti del datore di lavoro). (Cassa con rinvio, App. Milano, 30 ottobre 2003). (Cass. 19/11/2007 n. 23906, Pres. Senese Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2008, 1647) 
  • Incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. la decisione di merito che addivenga all’accoglimento della domanda di annullamento del licenziamento, rilevando d’ufficio l’irrituale esperimento della procedura di licenziamento collettivo, per nulla invocato dall’originario ricorrente. (Nella specie il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per carenza di giustificato motivo oggettivo e il datore di lavoro aveva sostenuto che si trattava di licenziamento collettivo. La Corte d’appello, aderendo alla tesi del licenziamento collettivo, lo aveva, tuttavia, dichiarato inefficace per violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, emettendo, in tal modo, una statuizione basata su elementi fattuali non allegati). (Cass. 20/12/2004 n. 23611, Pres. Ciciretti Rel. La terza, in Dir. e prat. lav. 2005, 1249)
  • Il vizio di ultrapetizione ricorre anche quando una sentenza trovi fondamento in elementi di fatto emersi nel corso del giudizio, quali specificazioni di altri fatti dedotti solo genericamente nel ricorso introduttivo (Corte di Appello di Bologna 21 luglio 2000, pres. Castiglione, est. Benassi, in D&L 2000, 1040, n. Scorbatti)
  • Al giudice non è consentito di rilevare d'ufficio una questione di nullità non prospettata dalla parte, e in particolare di esaminare d'ufficio la questione della violazione dell'art. 7 St. Lav., per il principio dispositivo del processo e per quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e perché in sede processuale non trova applicazione l'art. 1421 c.c. (nel caso di specie il lavoratore aveva dedotto la nullità del licenziamento per difetto di riferibilità alla società datrice di lavoro, essendo stato il direttore a manifestare il recesso, mentre il giudice d'appello, d'ufficio, aveva ritenuto la nullità per incompletezza della contestazione, in quanto esplicitata senza la previa indicazione delle sanzioni applicabili) (Cass. 26/6/00, n. 8702, pres. Amirante, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 292, con nota di Conte, Licenziamento disciplinare e obblighi risarcitori: poteri del giudice e oneri delle parti)