Impossibilità di adibire ad altre mansioni

  • Illegittimo per violazione dell’obbligo di repêchage il licenziamento per giustificato motivo oggettivo reiterato a seguito di una sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità di un precedente licenziamento collettivo.
    La Corte accoglie il reclamo presentato nell’ambito del cd. “Rito Fornero” da alcuni lavoratori e condanna la società presso la quale erano impiegati a reintegrarli nel posto di lavoro. I ricorrenti, dapprima licenziati nell’ambito di un licenziamento collettivo, poi reintegrati da una precedente decisione per violazione dei criteri di scelta, avevano subito un nuovo licenziamento individuale per motivi oggettivi, motivato dalla esternalizzazione dell’attività cui erano originariamente addetti. Secondo il Collegio napoletano, la società non ha adempiuto all’obbligo di repêchage poiché non ha considerato la possibilità di assegnare i ricorrenti a mansioni diverse o inferiori, come previsto dall’art. 2103 c.c., che ha ampliato l’ambito di applicazione dell’obbligo di repêchage, superando il limite posto al datore di lavoro del rispetto della capacità professionale acquisita dal lavoratore. (Corte app. Napoli 28/3/2023, Pres. Iacone Rel. Lombardi, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2023)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha l’onere di dimostrare l’esistenza del rapporto a tempo indeterminato e di allegare l’illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore l’onere di allegare e provare l’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repêchage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore. (Cass. 15/3/2021 n. 7218, Pres. Raimondi Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2021, 659)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo di repechage a carico del datore di lavoro deve estendersi alla verifica della possibilità di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori se il dipendente esercitava, promiscuamente alle mansioni soppresse, anche compiti non riconducibili alla propria qualifica, sebbene in misura minore. (Cass. 26/5/2017, n. 13379, Pres. Di Cerbo Est. Patti, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di M. Salvagni, “Il repechage in mansioni inferiori dopo il Jobs Act: obbligo o facoltà?”, 577)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non sussiste alcun onere per il lavoratore-ricorrente di allegare eventuali altre posizioni lavorative, compatibili con il suo bagaglio professionale, nelle quali egli avrebbe potuto essere utilmente ricollocato. Spetta interamente al datore di lavoro-convenuto allegare e provare l’impossibilità del c.d. repêchage. (Cass. 5/1/2017, n. 160, Pres. Venuti Est. Lorito, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Calvellini, “Obbligo di repêchage: vecchi e nuovi problemi all’esame della Cassazione”, 245)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’onere del datore di lavoro di provare l’adempimento dell’obbligo di repêchage va assolto anche con riferimento alle mansioni inferiori, ove rientranti nel bagaglio professionale del lavoratore. Infatti, il datore di lavoro, in conformità al principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, è tenuto a prospettare al lavoratore la possibilità di assegnazione a mansioni inferiori disponibili quale unica alternativa al licenziamento e fornire la relativa prova al giudizio. (Cass. 21/12/2016, n. 26467, Pres. Napoletano Est. Spena, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Calvellini, “Obbligo di repêchage: vecchi e nuovi problemi all’esame della Cassazione”, 245)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’onere del datore di lavoro di provare l’adempimento dell’obbligo di repêchage si estende anche alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale del lavoratore. Ne consegue che, in mancanza di posizioni equivalenti, il recesso è da ritenersi illegittimo quando il datore di lavoro abbia omesso di prospettare al proprio dipendente la possibilità di assegnazione a mansioni inferiori disponibili come unica alternativa alla cessazione del rapporto. (Cass. 9/11/2016 n. 22798, Pres. Nobile Est. Amendola, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Calvellini, “Obbligo di repêchage: vecchi e nuovi problemi all’esame della Cassazione”, 245)
  • In tema di licenziamenti per giustificato motivo soggettivo ex art. 3, L. n. 604 del 1966, il datore di lavoro deve provare l’impossibilità del c.d. repechage, ma non anche l’impossibilità di rimedi alternativi alla prescelta riorganizzazione del lavoro, poiché diversamente opinando si introdurrebbe surrettiziamente un non consentito controllo giurisdizionale sul merito delle scelte dell’imprenditore relative all’organizzazione tecnico produttiva della sua azienda. (Cass. 21/7/2016 n. 15082, Pres. Bronzini Est. Manna, in Lav. nella giur. 2016, 1019)
  • Nel caso di recesso motivato da ragioni organizzative, l’obbligo di repêchage – operante per quanto riguarda operai, impiegati e quadri in base al costante orientamento giurisprudenziale – non trova invece applicazione nei confronti del personale inquadrato con qualifica dirigenziale, nei cui confronti vige il regime della libera recedibilità. (Cass. 12/7/2016 n. 14193, Pres. Venuti Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2016, 1023)
  • Con riferimento all’obbligo di repechage va osservato che se è pur vero che spetta al datore di lavoro assolvere l’onere probatorio in merito all’impossibilità di reimpiegare, è altrettanto vero che grava su quest’ultimo un onere di allegazione. Il lavoratore licenziato deve, in particolare, quanto meno indicare altri posti di lavoro esistenti – e non occupati da altri dipendenti – che siano compatibili con la propria qualifica e le proprie mansioni, con la possibilità, quindi, di un utile reimpiego, e a quel punto il datore di lavoro deve provare le ragioni del mancato reimpiego. (Trib. Milano 2/12/2013, Giud. Gasparini, in Lav. nella giur. 2014, 293)
  • Accertata la sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto dal datore di lavoro a fondamento del licenziamento, la prova dell’impossibilità di adibire il lavoratore licenziato ad altre mansioni compatibili con il suo livello professionale può essere fornita anche mediante presunzioni; fra di esse assume rilievo il fatto che il lavoratore, prima del licenziamento, abbia rifiutato la conversione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro part-time. (Cass. 6/6/2013 n. 14319, Pres. Vidiri Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Luigi Andrea Cosattini, 145)
  • Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro comporta unicamente la ricerca di mansioni corrispondenti alla professionalità di cui il lavoratore è già dotato e non implica – al solo fine di garantire la salvaguardia del posto di lavoro – anche il diverso onere di procedere alla riquialificazione del medesimo dipendente. (Cass. 11/3/2013 n. 5693, Pres. Stile Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2013, 519)
  • In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva, il datore di lavoro ha l’onere di provare – con riferimento alla capacità professionale del lavoratore e alla organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento, anche attraverso fatti positivi, tali da determinare presunzioni semplici – l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse dalle precedenti. (Cass. 13/6/2012 n. 9656, Pres. Roselli Est. Ianniello, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Maurizio Falsone, “Sul cd. Obbligo di repêchage e la ‘dequalificazione contrattata’”, 67)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro ha l’onere di dedurre e provare in giudizio che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro utile, alla quale avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore licenziato per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle da ultimo svolte o, in mancanza, anche di mansioni di livello professionale inferiore, provando altresì, in quest’ultima ipotesi, di avere offerto al lavoratore tale opportunità di prosecuzione del rapporto in compiti professionalmente inferiori, esistenti e comunque utili per l’impresa e che questa offerta non è stata accettata, prima del licenziamento. (Cass. 15/5/2012 n. 7515, Pres. Roselli Est. Ianniello, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Maurizio Falsone, “Sul cd. Obbligo di repêchage e la ‘dequalificazione contrattata’”, 67)
  • Il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi e indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti; inoltre, può concorrere a provare la mancata effettuazione di altre assunzioni nel periodo seguente il licenziamento per le medesime mansioni già assegnate al lavoratore licenziato anche l’esibizione da parte del datore di lavoro del libro matricola, se completo e tenuto in conformità con la legge. (Cass. 26/4/2012 n. 6501, Pres. Lamorgese Est. Tria, in Orient. Giur. Lav. 2012, 362)
  • L’obbligo datoriale di adibire il lavoratore divenuto inidoneo a mansioni equivalenti si considera efficacemente assolto allorché questi, attraverso la prova testimoniale e l’esibizione del libro matricola, dimostri l’inesistenza di posti in organico equivalenti. (Cass. 26/4/2012 n. 6501, Pres. Lamorgese Est. Tria, in D&L 2012, 552)
  • Quanto all’obbligo del c.d. repechage, deve osservarsi che lo stesso riguarda le ipotesi nelle quali il licenziamento trova la sua giustificazione nell’incompatibilità tra la struttura aziendale e la posizione lavorativa posseduta dal lavoratore nel suo ambito. In tal caso il potere risolutorio può essere legittimamente esercitato solo allorché il datore di lavoro abbia verificato che la professionalità del lavoratore da licenziare non sia utilizzabile in alcun modo nella sua organizzazione produttiva. Diversa invece è l’ipotesi in cui l’esercizio del potere risolutorio sia l’effetto non della incompatibilità – per ragioni tecnologiche – fra professionalità del lavoratore e struttura organizzativa, bensì della soppressione di una parte dell’azienda, del suo ridimensionamento, che prescinde dalla valutazione delle professionalità in essa coinvolte ed è piuttosto l’effetto della scelta riservata esclusivamente al datore di lavoro di determinare, nell’ambito di un diritto costituzionalmente garantitogli (art. 41 Cost.), la giusta dimensione dell’azienda in relazione alle esigenze di mercato. In tal caso è un gruppo di dipendenti a essere coinvolto nella vicenda estintiva, non in ragione della loro professionalità, bensì per effetto della loro collocazione in un certo settore destinato ad essere soppresso o ridotto. (Trib. Roma 17/6/2011, Giud. Bracci, in Lav. nella giur. 2011, 1060)
  • In materia di obbligo di repechage, il datore di lavoro deve dimostrare che non sia possibile impiegare il lavoratore presso tutte le sedi dell’azienda, anche all’estero. (Cass. 15/7/2010 n. 16579, Pres. Sciarelli Est. Monaci, in Orient. Giur. Lav. 2011, 182)
  • Ai fini della prova della sussistenza del giustificato motivo obiettivo del licenziamento, l'onere della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, pur non potendo essere posto a carico del lavoratore (in quanto gravante interamente sul datore di lavoro), implichi comunque per il primo un onere di deduzione e allegazione degli elementi posti a fondamento dell'azione e dei presupposti della sua domanda, sicché, ove il lavoratore non prospetti nel ricorso tale possibilità, neppure insorge l'onere per il datore di lavoro convenuto di offrire la prova della concreta insussistenza di tale possibilità di diverso e conveniente utilizzo del dipendente licenziato. (Trib. Roma 2/9/2010, Pres. Baroncini, in Lav. nella giur. 2010, 1144)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’impossibilità di impiegare in altra posizione deve essere provata dal datore di lavoro con riferimento a tutte le sedi o articolazioni dell’impresa, comprese quelle collocate all’estero. (Cass. 15/7/2010 n. 16579, Pres. Sciarelli Est.Monaci, in D&L 2010, con nota di Andrea Bordone, “Obbligo di repechage e rilevanza delle filiali estere”, 857)
  • Per quanto riguarda l’obbligo di repechage il lavoratore ha l’onere di indicare altri posti di lavoro, esistenti nella struttura imprenditoriale del datore di lavoro, che siano compatibili con la qualifica e le mansioni del lavoratore licenziato, e non siano già occupati da altri lavoratori. (Trib. Bologna 7/7/2010, Giud. Marchesini, in Lav. Nella giur. 2010, 1053)
  • Il datore di lavoro è tenuto a giustificare oggettivamente il recesso anche con l’impossibilità di assegnare mansioni non equivalenti nel solo caso in cui il lavoratore abbia, sia pure senza forme rituali, manifestato la sua disponibilità ad accettarle. (Cass. 19/8/2009 n. 18387, Pres. Ianniruberto Est. Picone, in Orient. Giur. Lav. 2010, con nota di Benedetto Fratello, “Limiti all’obbligo di cooperazione del datore di lavoro in caso di sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore”, 441)
  • La possibilità di adibire il lavoratore inidoneo per motivi di salute ad altro lavoro, che deve essere proficuo, ovviamente, per l'amministrazione, deve essere valutata in relazione alla pianta organica e alle posizioni professionali previste dalla contrattazione collettiva nell'ambito dell'organizzazione datoriale, non potendosi pretendere, nell'ambito del bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti, da un canto dall'art. 4 e 32 della costituzione, dall'altro dall'art. 97 Cost., che l'amministrazione, per ricollocare il dipendente inidoneo, modifichi la propria organizzazione, escludendo da talune posizioni lavorative una parte delle attività che le connotano, quelle incompatibili con le condizioni di salute per il lavoratore. (Fattispecie nella quale un collaboratore scolastico era stato dichiarato permanentemente inidoneo alla mansione del profilo, con possibilità di utilizzazione in "mansioni leggere che non comportassero contatto costante con gli alunni"). (Trib. Trieste 21/10/2008, Est. Barzazi, in Lav. nelle P.A. 2008, 1131) 
  • Affinché sussista il giustificato motivo oggettivo di licenziamento il datore di lavoro deve dare la prova dell'impossibilità di utilizzare il dipendente in altri settori della sua azienda, anche assegnandolo a mansioni diverse, purché non dequalificanti. (Trib. Milano 16/7/2008, Est. Mariani, in Orient. giur. lav. 2008, 2008, 739)
  • In tema di répechage il rapporto di specificazione esistente fra le norme degli artt. 1463-1464 c.c. e quelle dell'art. 3 della L. n. 604/1966 determina la necessità del controllo di legittimità del licenziamento e tale controllo in relazione all'invocazione dell'impossibilità sopravvenuta, deve riguardare anche l'esistenza della possibilità che il lavoratore svolga altra attività lavorativa rientrante nelle mansioni di provenienza o in altre equivalenti. Parimenti si deve osservare che grava anche sul lavoratore un onere di allegazione, seppur iniziale, in ordine ai posti di lavoro idonei a un suo reimpiego. (Trib. Milano 19/11/2007, Dott. Martello, in Lav. nella giur. 2008, 428)
  • In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l'onere della prova spetta al datore anche sotto il profilo dell'impossibilità di una diversa utilizzazione del dipendente - il c.d. repechage - con dimostrazione che tutti i posti residui equivalenti a quello del dipendente licenziato sono stabilmente occupati da altri lavoratori. Dal momento che non è possibile gravare il datore di lavoro di una prova diabolica o negativa e impossibile, tale onere va temperato con il richiedere che anche il lavoratore indichi circostanze di fatto utili a dimostrare o anche solo a far presumere l'esistenza, nell'ambito dell'azienda, di posti di lavoro cui poter essere ancora adibito. (Trib. Milano 8/10/2007, Dott. Taraborrelli, in Lav. nella giur. 2008, 199)
  • Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto di lavoro può essere ritenuto legittimo solo qualora il datore di lavoro dimostri di aver adempiuto all'obbligo di repechage avendo riscontrato l'assoluta impossibilità di ricollocazione del lavoratore estromesso in altra posizione di lavoro equivalente, fermo restando che la scelta del datore di lavoro di procedere a una riorganizzazione aziendale, che può comportare la soppressione di un posto di lavoro, se supportata dalla buona fede e debitamente provata, non può essere sindacata da parte del Giudice. (App. Roma 16/6/2006, Pres, Cataldi, in ADL 2007, con nota di Mariele Cottone, "Sul licenziamento per soppressione del posto di lavoro: obbligo di repechage e oneri probatori", 252)
  • Ai fini della prova della sussistenza del giustificato motivo obiettivo del licenziamento, l’onere incombente sul datore di lavoro, della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, deve essere contenuto nell’ambito delle circostanze di fatto e di luogo reali, verificando sul piano concreto la incompatibilità della professionalità del lavoratore licenziato con il nuovo assetto organizzativo dell’azienda e tenendo conto di dati oggettivamente rilevabili che possono essere sintomatici di tale incompatibilità, quali la mancata indicazione di alternative occupazionali da parte del dipendente licenziato o la mancata assunzione di altri dipendenti. In tale ambito e a tali fini, pur gravando interamente l’onere della prova sul datore di lavoro, il lavoratore è, però, tenuto a fornire elementi utili a individuare l’esistenza di realtà idonee a una sua possibile diversa collocazione, così configurandosi, comunque, su di esso un onere di deduzione e di allegazione circa la possibilità di reimpiego. (Cass. 23/6/2005 n. 13468, Pres. Senese Est. Nobile, in Orient. Giur. Lav. 2005, 647)
  • Qualora il lavoratore non possa più svolgere le mansioni cui sia addetto e l’impedimento sia a lui imputabile per dolo o colpa, è legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro per giustificato motivo oggettivo consistente nella sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa in relazione alle mansioni suddette, senza che il recedente debba fornire prova di non aver potuto adibire il lavoratore ad altro posto nell’azienda, anche con mutamento di mansioni, essendo tale prova necessaria solo quando l’impedimento non sia addebitabile al lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha cassata la sentenza di merito che, senza dare rilievo al comportamento dei lavoratori, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento di due dipendenti della Società Aeroporti di Roma – cui era stato ritirato il tesserino di accesso all’area aeroportuale in seguito a denuncia in flagranza per tentato furto di bagagli – per non aver la società fornito la prova dell’impossibilità di un loro diverso utilizzo). (Cass. 6/6/2005 n. 11753, Pres. Ciciretti rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2006, 94)
  • Ai fini della prova della sussistenza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento, l’onere della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, pur gravando interamente sul datore di lavoro e non potendo essere posto a carico del lavoratore, implica comunque per quest’ultimo un onere di deduzione ed allegazione della possibilità di essere adibito ad altre mansioni, sicchè, ove il lavoratore ometta di prospettare nel ricorso tale possibilità, non insorge per il datore di lavoro l’onere di offrire la prova sopraindicata. (Cass. 2/4/2004 n. 6566, Pres. Sciarelli Rel. Guglielmucci, in Lav. eprev. oggi 2004, 921)
  • Provata l'unicità del complesso aziendale facente capo a più società, è illegittimo perché priva di idonea motivazione il licenziamento intimato da una società che non abbia valutato la possibilità di ricollocare il lavoratore nell'ambito dell'intero complesso. Ne consegue il diritto del dipendente ad essere riassunto (ovvero risarcito) dalla società cui appartenga la posizione disponibile, anche se rimasta estranea all'atto di recesso. L'esercizio dell'attività nella medesima sede operativa, l'impiego promiscuo di dipendenti e l'utilizzo promiscuo di attrezzature sono indici sufficienti a determinare l'unicità del complesso aziendale. (Trib. Milano 14/3/2003, Est. Martello, in D&L 2003, 780)
  • La prova in ordine al concreto assolvimento dell'obbligo di repechege può essere accolta, concernendo un fatto negativo, mediante la dimostrazione di fatti positivi corrispondenti come il fatto che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori, o il fatto che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione. (Trib.Pascarella, in Lav. nella giur. 2003, 590) Roma 12/2/2003, Est.
  • Quando il giustificato motivo oggettivo di licenziamento consista nella accertata incompatibilità-per ragioni tecnologiche o più in generale organizzative-fra la professionalità del lavoratore e l'organizzazione produttiva, il potere risolutorio può essere legittimamente esercitato solo allorché il datore di lavoro abbia verificato che i licenziandi non siano utilizzabili in alcun modo nella sua azienda. Se, invece, il g.m.o. consista nella necessità di ridurre il personale derivante dalla decisione imprenditoriale di modificare la dimensione aziendale e investa indifferentemente un certo numero di lavoratori il cui posto si trovi nell'area da ridurre, non può essere richiesta all'imprenditore la prova dell'impossibilità di utilizzare altrimenti i lavoratori da licenziare, ma solo l'adempimento di un obbligo di correttezza e buona fede nella scelta dei licenziandi. (Cass. 9/5/2002, n.6667, Pres. ed Est. Guglielmucci, in Riv. it. dir. lav. 2003, 108).
  • Ai fini della prova della sussistenza del giustificato motivo obiettivo del licenziamento l'onere della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza - che deve essere contenuto nell'ambito delle circostanze di fatto e di luogo proprie della singola vicenda esaminata, in quanto il giudice del merito deve valutare sul piano concreto la incompatibilità della professionalità del lavoratore licenziato con il nuovo assetto organizzativo dell'azienda - pur gravando interamente sul datore di lavoro e non potendo essere posto a carico del lavoratore, implica comunque per quest'ultimo un onere di deduzione e allegazione, tra gli elementi posti a fondamento dell'azione e tra i presupposti della sua domanda, della possibilità di essere adibito ad altre mansioni, allo scopo di sollecitare il relativo onere probatorio datoriale (in base ai suddetti principi la S.C. ha cassato sul punto la sentenza impugnata che si era limitata ad una incongrua valutazione di ordine generale, del tutto avulsa dal caso in considerazione, senza verificare quale fosse stato in concreto l'atteggiamento assunto dalla lavoratrice licenziata) (Cass. 16/6/00, n. 8207, pres. Trezza, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 907)
  • In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro non soddisfa l'onere probatorio che gli incombe ex art. 5 L. 604/66 se si limita ad allegare un calo di commesse senza dimostrare anche che è impossibile collocare diversamente il lavoratore o che le sue mansioni possono essere accorpate a quelle di altro dipendente (Pret. Napoli 3/11/95, est. Papa, in D&L 1996, 745, nota MANNA, Ancora in tema di giustificato motivo oggettivo e riduzione del personale)
  • In relazione all'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell'art. 3 L. 604/66, l'onere del datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di un'altra utilizzazione dei lavoratori licenziati va assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi come il fatto che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori e il fatto che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati; tale dimostrazione deve concernere tutte le sedi dell'attività aziendale, essendo sufficiente la limitazione all'azienda cui erano addetti i lavoratori licenziati solo nel caso di preliminare rifiuto dei medesimi a trasferirsi altrove (Cass. 3/6/94 n. 5401, pres. Buccarelli, est. Putaturo, in D&L 1995, 190, nota MUGGIA, Risarcimento da licenziamento illegittimo: vecchia e nuova disciplina)
  • In relazione all'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell'art. 3 L. 604/66, l'onere del datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di un'altra utilizzazione dei lavoratori licenziati va assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi come il fatto che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori e il fatto che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati; tale dimostrazione deve concernere tutte le sedi dell'attività aziendale, essendo sufficiente la limitazione all'azienda cui erano addetti i lavoratori licenziati solo nel caso di preliminare rifiuto dei medesimi a trasferirsi altrove (Cass. 3/6/94 n. 5401, pres. Buccarelli, est. Putaturo, in D&L 1995, 190, nota MUGGIA, Risarcimento da licenziamento illegittimo: vecchia e nuova disciplina)