Somma eccedente le 5 mensilità

  • La dichiarazione di invalidità del licenziamento a norma dell'art. 18 St. lav. non comporta automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili di dolo o della colpa nel comportamento del recedente-cioè una forma di responsabilità oggettiva-, essendo l'irrilevanza degli elementi soggettivi rilevabile (per effetto della rigidità della formulazione normativa al riguardo) limitatamente alla misura minima delle cinque mensilità: essa è assimilabile ad una sorta di penale radicata nel rischio d'impresa, e può assumere la funzione di assegno di tipo assistenziale, in senso lato, nel caso di assenza di responsabilità di tipo soggettivo in capo al datore di lavoro. Ne consegue l'applicabilità-oltre il predetto limite delle cinque mensilità-dell'art. 1218 c.c., secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non imputabile (nella specie, il lavoratore era stato licenziato per incapacità fisica all'esercizio delle mansioni, certificata da specialisti di strutture pubbliche ex art. 18 St. lav. e successivamente negata da consulenza tecnica d'ufficio espletata nel corso del primo grado di giudizio. (Cass. 15/7/2002, n. 10260, Pres. Ianniruberto, Est. Mazzarella, in Riv. it. dir. lav. 2003, 387, con nota di Lara Lazzeroni, Risarcimento del danno oltre le cinque mensilità nel campo di applicazione della tutela reale: una questione di imputabilità del vizio del licenziamento).
  • L'indennità di disoccupazione percepita dal lavoratore licenziato illegittimamente non può essere detratta dal risarcimento dovutogli, poiché essa può essere ripetuta dall'INPS in seguito all'esecuzione della sentenza di condanna del datore. (Cass. 16/3/2002, n. 3904, Pres. Mileo, Est. Capitanio, in Riv. it. dir. lav. 2003, 124, con nota di Marco Mocella, Sulla configurabilità dell'indennità di disoccupazione come aliud perceptum)
  • A norma dell'art. 18, l. 20 maggio 1970, n. 300, il risarcimento del danno per il periodo intercorrente tra il licenziamento illegittimo e la sentenza di annullamento del medesimo si identifica-quanto al danno eccedente le cinque mensilità dovute per legge-con le retribuzioni non percepite, salvo che il dipendente provi di aver subito un danno maggiore o che il datore provi l'aliunde perceptum o la sussistenza di un fatto colposo del lavoratore in relazione al danno che il medesimo avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza. A tale ultimo fine può assumere rilievo anche la mancata iscrizione nelle liste di collocamento, non come circostanza di per sé sufficiente a ridurre il danno risarcibile, bensì come circostanza valutabile nell'ambito dell'intera condotta del lavoratore, tenendosi conto altresì delle effettive e concrete possibilità di nuova occupazione (nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva preso in considerazione, ai fini della detrazione dal risarcimento invocata dal datore di lavoro, la mancata iscrizione nelle liste di collocamento per un bimestre, posto che il restante periodo di circa sei-sette anni il lavoratore medesimo, nonostante l'eseguita iscrizione, non aveva reperito alcuna occupazione). (Cass. 16/3/2002, n. 3904, Pres. Mileo, Est. Capitanio, in Riv. it. dir. lav. 2003, 124, con nota di Marco Mocella, Sulla configurabilità dell'indennità di disoccupazione come aliud perceptum)
  • In caso di illegittimo licenziamento di lavoratore optante per la prosecuzione del rapporto dopo il conseguimento dell'età pensionabile, a norma dell'art. 6 D.L. 22/12/81 n. 791, convertito con modificazioni nella L. 26/2/82 n. 54, il relativo risarcimento del danno, commisurato, secondo i criteri di cui all'art. 18 L. 300/70, all'importo delle retribuzioni che sarebbero maturate dalla data del licenziamento, non può essere diminuito in misura pari alle somme percepite dal lavoratore a titolo di pensione, poiché può considerarsi compensativo del danno arrecato al lavoratore con il licenziamento (quale aliunde perceptum ) non qualsiasi reddito percepito dal medesimo, ma solo quello conseguito attraverso l'impiego della medesima capacità lavorativa (Cass. 19/5/00 n. 6548, pres. Grico, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 488; in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 351, con nota di Corsinovi, Risarcimento del danno da licenziamento illegittimo e deducibilità delle erogazioni pensionistiche percepite medio tempore dal lavoratore)
  • La dichiarazione di invalidità del licenziamento a norma dell'art. 18 legge n. 300 del 1970 non comporta automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del dolo o della colpa nel comportamento del recedente, e cioè per una forma di responsabilità oggettiva. L'irrilevanza degli elementi soggettivi è configurabile, per effetto della rigidità al riguardo della formulazione normativa, limitatamente alla misura minima delle cinque mensilità, la quale è assimilabile ad una sorta di penale avente la sua radice nel rischi di impresa e può assumere la funzione di un assegno di tipo, in senso lato, assistenziale nel caso di assenza di responsabilità di tipo soggettivo in capo al datore di lavoro. In termini generali invece la disposizione in esame-commisurando l'indennità risarcitoria alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento-contiene solo una presunzione legale iuris tantum circa l'entità del danno subito dal lavoratore, mentre la questione relativa alla sussistenza della responsabilità risarcitoria deve ritenersi regolata dalle norme del Codice civile in tema di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento delle obbligazioni, non introducendo l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori elementi distintivi. Ne consegue l'applicabilità dell'art. 1218 c.c., secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non imputabile. (Cass. 21/9/1998, n. 9464, Pres. Panzarani, Rel. Dell'Anno, in Argomenti dir. lav. 2003, 372)