Cessione del rapporto di lavoro

  • Se più sono i cessionari di azienda, il rapporto di lavoro si trasferisce, se possibile, a ciascuno di essi, in proporzione alle funzioni del lavoratore interessato.
    Nel caso esaminato, si trattava della dipendente di un’impresa di pulizia belga, con mansioni di responsabile di tre cantieri, nei quali, a seguito di trasferimento d’azienda, erano subentrate due diverse imprese, la prima per due cantieri e l’altra per il terzo. Poiché nessuna delle cessionarie aveva riconosciuto gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, la lavoratrice aveva promosso un giudizio in cui era stata poi posta alla Corte di giustizia la questione incidentale alla quale la Corte ha dato la risposta di cui alla massima. La Corte ha altresì aggiunto che, nel caso in cui la divisione del rapporto tra le due cessionarie non sia possibile o arrechi pregiudizio ai diritti o alle condizioni di lavoro del dipendente, la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro va considerata come dovuta a fatto dei cessionari, anche se intervenuta per iniziativa del lavoratore. (Corte di Giustizia UE 26/3/2020 n. C-344/18, Pres. Vilaras Rel. Piçara, in Wikilabour, Newsletter n. 7/2020)
  • In caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’articolo 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle  energie  lavorative  in  favore  dell’alienante,  non  producono  un  effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa. (Cass. 21/10/2019, n. 26759, Pres. Napoletano Est. Blasutto, in Riv.it. dir. Lav. 2020, con nota di W. Falco, “Trasferimento d’azienda illegittimo: cosa accade se il cedente non riammette il dipendente”, 36)
  • Nei casi di cessione del ramo d’azienda il dipendente illegittimamente escluso dal trasferimento impugna il provvedimento di esclusione senza soggiacere ai termini decadenziali dell’art. 32, L. n. 183/2010. L’art. 2112 c.c. non è derogabile in virtù di accordi sindacali al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 47, comma 4 bis, L. n. 428/1990. L’azione promossa nei confronti del cessionario per violazione dell’art. 2112 c.c. è cumulabile con quella promossa contro l’originario datore di lavoro. (Trib. Roma 24/5/2016, Giud. Pagliarini, in Lav. nella giur. 2016, con commento di Maria Antonia Grazia, 1000)
  • Nel caso di illegittimo trasferimento del ramo d’azienda con la conseguente reintegrazione alle dipendenze dell’impresa cedente, la sottoscrizione di un accordo conciliativo tra impresa cessionaria e lavoratori non inficia l’interesse di questi ultimi ad agire nei confronti dell’impresa cedente, posto che lo svolgimento in via di fatto delle prestazioni lavorative non equivale ad accettazione della cessione del contratto di lavoro. (Corte app. Firenze 1/10/2015, Pres. ed Est. Bronzini, con nota di Chiara De Santis, “Trasferimento del ramo d’azienda e tutele del lavoratore”, 49)
Il principio secondo cui nel trasferimento d’azienda il lavoratore conserva tutti i diritti maturati alla data della cessione non consente al medesimo dipendente di rivendicare – sulla base delle norme collettive in vigore presso il cessionario e in modo retroattivo (ossia a far data dall’assunzione alle dipendenze dell’ente di provenienza) – un diritto a “scatti” retributivi non previsto dalla disciplina collettiva applicata dal cedente e pertanto estraneo al patrimonio giuridico dello stesso al momento del trasferimento. (Cass. 5/6/2013 n. 14208, Pres. Roselli Rel. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Giovanni Spinelli, “Al trasferimento di personale dal Comune alla società di gestione si applica l’art. 2112 c.c., ma gli scatti di anzianità si calcolano ex nunc”, 70)
  • Il mutamento di titolarità dell'azienda non interferisce con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente che continuano a tutti gli effetti con il cessionario il quale subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al primo; la natura precaria dell'effetto estintivo del licenziamento intimato prima del trasferimento dell'azienda e l'ipotetico ripristino, in caso di suo annullamento, del rapporto di lavoro fra le parti originarie, determina la legittimazione passiva del cessionario e rispetto all'impugnativa di quel licenziamento. (Cass. 12/4/2010 n. 8641, Pres. Battimiello Rel. Curcuruto, in D&L 2010, con nota di Paolo Perucco, "La legittimazione passiva del cessionario d'azienda nell'annullamento del licenziamento intimato prima del suo trasferimento", 572)
  • La Suprema Corte ribadisce il principio secondo il quale, in caso di trasferimento d'azienda o di ramo d'azienda, ai rapporti di lavoro dei dipendenti ceduti si applica la contrattazione collettiva dell'impresa cedente solo se manca, presso il cessionario, un contratto collettivo di pari livello. Altrimenti si verifica, fra contratti del medesimo livello, una sostituzione automatica delle norme di fonte collettiva in vigore presso l'impresa cessionaria, fatti salvi i diritti quesiti. Il medesimo principio regolatore trova applicazione in materia di usi aziendali, anch'essi secondo la Corte di Cassazione, al pari dei contratti collettivi, fonti eteronome di regolamento dei rapporti individuali di lavoro. (Cass. 11/3/2010 n. 5882, Pres. Roselli Est. D'Agostino, in Lav. nella giur. 2010, con commento di Elisabetta Bavasso, 785)
  • L’art. 2112 c.c., nel esto modificato dalla L. n. 428 del 1990, n. 47, che ha recepito la direttiva comunitaria 77/187/Cee (successivamente modificato dal D.Lgs. n. 18 del 2001, art. 1), in applicazione del canone dell’interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario, e in considerazione dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con le sentenze 25 gennaio 2001, C-172/99, 26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000, C-343/98, deve ritenersi applicabile anche nei casi in cui il trasferimento dell’azienda non derivi dall’esistenza di un contratto tra cedente e cessionario, ma sia riconducibile a un atto autoritativo della pubblica amministrazione, con conseguente diritto dei dipendenti dell’impresa cedente alla continuazione del rapporto di lavoro subordinato con l’impresa subentrante, purché si accerti l’esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese. (Cass. 10/3/2009 n. 5708, Pres. Sciarelli Est. Curcuruto, in Orient. Giur. Lav. 2009, 89)
  • L'esecuzione conforme del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario del ramo di azienda per circa sette anni, senza avanzare alcuna riserva o contestazione, è idonea a integrare adesione per comportamento concludente alla prosecuzione del rapporto con il nuovo datore di lavoro. (Trib. Roma 23/10/2008, Est. Baroncini, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Ilaria Alvino, "Sul consenso del lavoratore alla cessione del contratto di lavoro per comportamento concludente", 257)

 

 

  • Il consenso del lavoratore alla cessione del proprio contratto, che può essere espresso anche successivamente alla stipulazione del negozio, non deve risultare da forme solenni e può essere, oltre che espresso, anche tacito, purché manifesti la volontà di porre in essere una modificazione soggettiva del rapporto, con la conseguenza che la sua esistenza può anche essere desunta dalla lunga inerzia del lavoratore nell'opporsi alla cessione del suo rapporto che ha avuto, invece, regolare espressione presso il cessionario. (Trib. Milano 18/9/2008, Est. Cincotti, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Ilaria Alvino, "Sul consenso del lavoratore alla cessione del contratto di lavoro per comportamento concludente", 253)

  • Il consenso del lavoratore alla cessione del proprio contratto può risultare implicitamente dalla regolare esecuzione del contratto di lavoro presso il cessionario per oltre sei anni, senza che sia espressa alcuna doglianza, tenuto conto del coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nella procedura di cessione del ramo di azienda, della presumibile pubblicità che la procedura ha avuto all'interno dell'azienda e dell'elevato livello di protezione sindacale che ne deriva per i lavoratori. (Trib. Venezia 8/8/2008, Est. Bortolaso, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Ilaria Alvino, "Sul consenso del lavoratore alla cessione del contratto di lavoro per comportamento concludente", 254)
  • In ipotesi di trasferimento di ramo d'azienda, non sussiste la necessità del consenso del lavoratore ai fini del trasferimento del contratto; di conseguenza, non assume rilievo l'opposizione del medesimo. (Trib. Milano 28/7/2008, Est. Beccarini Crescenzi, in Orient. della giur. del lav. 2008, 680) 
  • A norma dell'art. 2112 c.c. la cessione ex lege del contratto di lavoro (nella psecie, relativa al passaggio dalle dipendenze di un Comune a una società privata di gestione dei servizi di nettezza urbana e cimiteriali) comporta il mantenimento dell'anzianità conseguita presso il precedente datore di lavoro e, con essa, un trattamento economico non inferiore a quello dei colleghi (con pari anzianità e qualifica) dell'impresa cessionari. (Cass. 4/2/2008 n. 2609, in Dir. e prat. lav. 2008, 1430)
  • I mutamenti della titolarità dell'azienda non interferiscono con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, che continuano a tutti gli effetti con il cessionario, con la conseguenza che questi subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al cedente, assumendo non solo le obbligazioni, ma anche i diritti e i poteri del cedente nella gestione di un identico rapporto di lavoro che continua. Ne consegue la legittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore, intimato dal cessionario, per fatto accaduto prima del trasferimento d'azienda. (Cass. 27/9/2007 n. 20221, Pres. Mattone Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Marco Mocella, "Trasferimento di azienda e traslazione del potere di licenziamento disciplinare", 817)
  • In virtù della differenza di tutela del rapporto di lavoro dei dirigenti (e della diversità del loro status anche sotto i profili previdenziale e sindacale), rispetto a quello delle altre categorie di lavoratori, soggetto alla libera recedibilità da parte del datore di lavoro, con la conseguenza che i dirigenti non possono fare affidamento sulla stabilità del rapporto, salvo diversa convenzione in tal senso, ma solo su quelle garanzie che derivano dalla contrattazione collettiva, in caso di trasferimento d'azienda in stato di insolvenza non si applica a essi la disposizione dettata dall'art. 47, comma quinto, della L. 29 dicembre 1990, n. 428, che, nell'ipotesi di raggiungimento di un accordo di cui al primo comma del medesimo articolo (finalizzato al mantenimento dei livelli di occupazione), deroga all'art. 2112 c.c., comma primo, c.c., secondo il quale, di norma, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. (Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso proposto da un dirigente aziendale nei cui confronti era stato disposto il recesso da parte della società cedente in amministrazione straordinaria dopo che si era perfezionata la cessione dell'azienda, con la conseguente affermazione della legittimità della prosecuzione del rapporto con la concessionaria, sul presupposto che non potesse avere alcuna efficacia il licenziamento intimato da soggetto non risultante più titolare del rapporto. (Cass. 11/1/2007 n. 398, Pres. ravagnani Est. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2007, 1039)
  • Nell'ipotesi di trasferimento d'azienda, in qualunque forma realizzato, il rapporto di lavoro prosegue con l'acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti derivanti, con la conseguenza che il licenziamento non fondato su giusti motivi diversi dal trasferimento è nullo e va disapplicato dal giudice, con condanna del datore di lavoro succedutosi al risarcimento del danno alla stregua delle norme di diritto comune (artt. 1218 c.c. ss.) e non degli artt. 18 Stat. Lav. oppure art. 8 della Legge n. 604/66. (Trib. Grosseto 19/12/2006, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2007, 838)
  • Il caso di trasferimento d'azienda o comunque di trasferimento della titolarità dell'azienda, con qualunque strumento giuridico effettuato, comporta, ai sensi dell'art. 2112 c.c., la continuazione del rapporto lavorativo con lo stesso contenuto che aveva in precedenza. L'unico presupposto di fatto per l'operatività delle disposizioni dell'art. 2112 c.c. a fravore del lavoratore è che egli sia alle dipendenze dell'imprenditore cedente in un momento anteriore al trasferimento, cosicchè il cessionario abbia acquisito, quale successore nella titolarità dell'azienda, la qualità di nuovo datore di lavoro. (App. Roma 20/3/2006, Pres. Pacioni Est. Blasutto, in Lav. nella giur. 2007, 206)
  • L’espressione “modifica sostanziale” delle condizioni di lavoro di cui al comma 4 dell’art. 2112 c.c., deve intendersi riferita al solo caso in cui la variazione in peius di dette condizioni derivi dall’applicazione, al lavoratore ceduto, del contratto collettivo del cessionario in luogo di quello applicato dal cedente. (Trib. Bologna 11/1/2005, Est. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Matteo Marsano, 675)
  • Il trasferimento di azienda comporta l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro presso il cessionario, ferma restando, in ogni caso, la facoltà dei lavoratori ceduti di opporsi all’indicato automatismo, rimanendo alle dipendenze del cedente: in tal caso, però, essi si espongono al rischio di essere licenziati, secondo le regole comuni, a causa della cessazione dell’attività cui erano adibiti. (Cass. 28/9/2004 n. 19379, Pres. Sciarelli Rel. Capitanio, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Enrico Barraco, 229)
  • La L. n. 58/92, disciplinando il passaggio dal rapporto pubblico al rapporto privato del personale adibito ai servizi di telecomunicazione trasferiti, ha dettato alcune regole speciali, ma non ha sostanzialmente derogato al regime generale di cui all’art. 2112 c.c. il quale dispone, in caso di trasferimento, la continuazione dei rapporti di lavoro e la conservazione dei diritti acquisiti, fra i quali quello dell’inquadramento in atto o questo a corrispondente. Ne consegue che la effettività della tutela va verificata in concreto, analizzando il contenuto specifico delle mansioni sulla base delle vecchie e delle nuove declaratorie, senza che possano al riguardo avere valore vincolante le tabelle di equiparazione tra le qualifiche dei contratti collettivi applicati elaborate dalle parti collettive con accordo del 1993. (Corte d’appello Milano 26/1/2004, Pres. Mannacio Rel. Ruiz, in Lav. nella giur. 2004, 908)
  • Per quanto attiene agli Istituto Fisioterapici Ospedalieri, è documentalmente provato che gli stessi sono subentrati nella titolarità della casa di cura ove la ricorrente prestava la propria opera professionale non già in forza di un accordo privato tra la società cedente e la cessionaria, ipotesi che questa ben si attaglia al disposto dell’art. 2112 c.c., bensì ope legis, il che esclude l’applicabilità di quella normativa per la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato.(Trib. Roma 26/6/2004, Est. Coco, in Lav. nella giur. 2004, 1211)
  • In caso di cessione di ramo d'azienda, la garanzia della continuazione del rapporto di lavoro dei dipendenti addetti al ramo ceduto, assicurata dall'art. 2112 c.c. e dall'art. 47 della legge n. 428 del 1990 ben può attuarsi, nel rispetto della procedura di consultazione sindacale di cui al citato art. 47, con il mantenimento, da parte della impresa cedente, nelle attività aziendali non interessate dalla cessione, dei rapporti di lavoro con i dipendenti, già addetti alla attività oggetto di cessione, senza che la esclusione del passaggio dei predetti dipendenti alla cessionaria comporti una lesione del diritto di costoro. (Cass. 13/12/2003 n. 19105, Pres. Mattone, Rel. Lamorgese, in Dir. e prat. lav. 2004, 1033)
  • E' irrilevante il consenso dei lavoratori ai fini del passaggio automatico dei rapporti di lavoro ai sensi dell'art. 2112 c.c. dal cedente al cessionario del ramo d'azienda. (Cass. 25/10/2002 n. 15105, Pres. Mercurio Est. Picone, in D&L 2002, 905, con nota di Lorenzo Franceschinis, "Il caso Ansaldo all'esame della Cassazione: è ramo d'azienda solo se vi è autonomia funzionale ed organizzativa preesistente al trasferimento")
  • Il trasferimento di azienda si configura come successione legale nella titolarità del contratto, che non richiede il consenso del lavoratore trasferito, a ciò ostando la causa dell'istituto che, al fine di soddisfare le esigenze dei processi di ristrutturazione aziendale, di riconversione industriale e di delocalizzazione delle imprese, non è compatibile con l'applicazione dell'art. 1406 c.c. (Cass. 23/7/2002, n. 10761, Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 148. In senso conforme, Cass. 25/10/2002, n. 15105, Pres. Mercurio, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 149).
  • Ai sensi dell'art. 2112 c.c., nel caso di trasferimento di ramo d'azienda, l'appartenenza del lavoratore al ramo d'azienda va determinata con riferimento alla prevalenza delle mansioni svolte nel senso che devono considerarsi come addetti al ramo d'azienda ceduto quei lavoratori che sono stati in precedenza destinati pressochè totalmente al settore ceduto. (Corte d'Appello Milano 4/6/2002, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2002, 651)
  • In caso di trasferimento di ramo di azienda, i contratti di lavoro degli addetti al ramo ceduto si trasferiscono ope legis in capo al nuovo datore di lavoro, indipendentemente dal consenso del dipendente, il quale-ove non accetti il trasferimento-è solo legittimato alle dimissioni immediate. (Trib. Padova, 25/5/2002, Est. Balletti, in D&L 2002, 978)
  • Il trasferimento di ramo d'azienda comporta automaticamente il passaggio del dipendente appartenente al ramo ceduto all'impresa acquirente, senza che tale effetto sia condizionato in alcun modo dal consenso del dipendente stesso (Corte Appello Milano 12/4/01, pres. e est. Mannaccio, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 87. In senso conforme, v. Corte Appello Milano 12/4/01, pres. Ruiz, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 90)
  • Nel caso in cui un trasferimento rientrante nella fattispecie dell'art. 2112 c.c., come modificato dall'art. 47, l. 29/12/90, n. 428, non comporti la cessione dell'intera azienda, ma solo di un ramo di essa, un accordo sindacale può legittimamente prevedere il mantenimento alle dipendenze del cedente di alcuni lavoratori, anche se precedentemente addetti alle attività svolte nella parte del complesso aziendale ceduto (Cass. 30/8/00, n. 11422, pres. Ianniruberto, est. Mazzarela, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 519, con nota di Marienlli, Il trasferimento di ramo d'azienda e i suoi effetti sui rapporti di lavoro)
  • In caso di trasferimento di ramo d’azienda, cui è applicabile l’art. 2112 c.c., è illegittimo il mantenimento in servizio presso l’imprenditore cedente di un lavoratore addetto al ramo trasferito, ove tale mantenimento non risulti funzionale alle esigenze dell’imprenditore cedente, ma sia finalizzato alla sospensione in Cigs del lavoratore (Trib. Milano 15/5/99, pres. Gargiulo, est. Ruiz, in D&L 1999, 567)
  • Nel caso di trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., interpretato alla luce della Direttiva Cee 14/2/77 n. 77/187, la cessione del rapporto di lavoro è automatica solo nei confronti del cedente e del cessionario, ma resta subordinata al consenso del lavoratore ceduto, che a tale cessione potrebbe efficacemente opporsi (Pret. Milano 14/5/99, est. Muntoni, in D&L 1999, 561, n. Chiusolo, Trasferimento di ramo d'azienda, art. 2112 c.c. e normativa comunitaria: la cessione del rapporto di lavoro è subordinata al consenso del lavoratore ceduto)
  • Qualora, in occasione della cessione di un ramo d’azienda, sia riconosciuto ai lavoratori ceduti il diritto di ritornare in forza al datore di lavoro cedente, nell’ipotesi di cessazione, entro una certa data, dell’attività cui gli stessi sono addetti, la condizione si ha per avverata allorché il mancato verificarsi della stessa sia imputabile alla responsabilità del cedente (Pret. Roma 8/7/98, est. Sannite, in D&L 1998, 983)
  • Il dipendente che – in occasione di un trasferimento d’azienda connesso a crisi aziendale, soggetto alla disciplina della L. 26/5/78 n. 215 – non abbia potuto ottenere il passaggio alle dipendenze dell’acquirente a seguito della mancata attuazione, nell’ordinamento italiano, della direttiva Cee 14/2/77 n. 187, ha diritto di ottenere dal Governo italiano il risarcimento del danno, da commisurarsi alle retribuzioni che avrebbe maturato alle dipendenze dell’acquirente (Pret. Milano 14/7/98, est. Taraborrelli, in D&L 1998, 1024, nota Guariso, A vent'anni di distanza lo Stato risarcisce una vittima della>)
  • Ai sensi dell’art. 2112 c.c., applicabile anche in caso di trasferimento di ramo d’azienda, è illegittimo il mantenimento in servizio, presso l’imprenditore cedente, di un lavoratore addetto al ramo trasferito, ove non ricorrano i requisiti di cui all’art. 47, 5° comma, L. 29/12/90 n. 428 (Pret. Milano 31/7/97, est. Vitali, in D&L 1998, 115)