In genere

  • È consentito al lavoratore richiedere il tentativo di conciliazione o arbitrato a norma degli artt. 410 ss. c.p.c. con valenza impeditiva della decadenza a norma dell’art. 6 della l. n. 604/1966. (Trib. Napoli 23/5/2017, Est. Armato, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di F. Aiello, “Decadenza: ‘cambio appalto’ e tentativo di conciliazione”, 74)
  • Per la validità della richiesta del tentativo di conciliazione non è indispensabile l’esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità, e comunque ogni invalidità deve essere esclusa qualora, come nella fattispecie, l’indicazione erronea del datore sia stata di fatto priva di conseguenze pratiche, una volta che l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo, in quanto il datore effettivo è stato poi convocato ritualmente dalla Direzione Provinciale del Lavoro (che ha corretto l’errore del lavoratore) e ha anche partecipato concretamente al tentativo, senza sollevare eccezioni sul punto. (Cass. 23/1/2015 n. 1244, Pres. Macioce Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2015, 409)
  • Le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo. Pertanto, ai fini dell’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, il quale ai sensi dell’abrogato art. 412 bis, co. 1, c.p.c., costituiva condizione di procedibilità della domanda, era sufficiente, secondo quanto disponeva l’art. 410 bis, co. 1, c.p.c., la presentazione della richiesta all’organo istituito presso le Direzioni provinciali del lavoro, considerandosi comunque espletato il tentativo di conciliazione decorsi sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere dall’avvenuta comunicazione della richiesta stessa alla controparte. (Cass. 1/7/2013 n. 16452, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Antonio Maria Marzocco, “Sugli effetti dell’istanza ex art. 410 c.p.c. nel sistema dell’obbligatorietà e in quello della facoltatività del tentativo di conciliazione”, 123)
  • L’attuale art. 410, co. 2, c.p.c., dispone, come già il testo previgente, che la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. Attesa la natura recettizia degli atti interruttivi della prestazione, deve ritenersi che la comunicazione che interrompe la prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza sia quella fatta al datore di lavoro. (Cass. 1/7/2013 n. 16452, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Antonio Maria Marzocco, “Sugli effetti dell’istanza ex art. 410 c.p.c. nel sistema dell’obbligatorietà e in quello della facoltatività del tentativo di conciliazione”, 123)
  • È da escludere la validità del verbale di conciliazione se non risulta sottoscritto in sede sindacale e se non firmato dal rappresentante sindacale alla presenza e in contestualità con il lavoratore. (Cass. 10/2/2011 n. 3237, Pres. Foglia Est. Napoletano, in Orient. Giur. Lav. 2011, 246)
  • Ai fini del tentativo di conciliazione è sufficiente che il lavoratore abbia esposto la sua domanda in senso sostanziale, ma non ne discende alcuna preclusione quanto alla possibilità di prospettare nuove causae petendi, oppure nuovi profili. (Cass. 15/7/2010 n. 16579, Pres. Sciarelli Est. Monaci, in Orient. Giur. Lav. 2011, 182)
  • Qualora il contenuto di un verbale di conciliazione giudiziale sia controverso, esso va interpretato sulla base della volontà espressa dalle parti. In particolare, le regole ermeneutiche da seguire sono quelle indicate dagli artt. 1362 ss. c.c. In particolare nell'interpretare il verbale di conciliazione si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e si deve effettuare un'interpretazione complessiva delle clausole, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto. (Trib. Taranto 27/1/2009, dott. Magazzino, in Lav. nella giur. 2009, 415) 
  • Il fatto estintivo costituito dall'esistenza di una conciliazione tra le parti integra una eccezione in senso lato, ma la relativa circostanza, per essere presa in esame dal giudice, deve essere tempestivamente dedotta dalla parte nel rispetto dei tempi processuali fissati dalla legge e, quindi, nella prima difesa utile rispetto al momento in cui la conciliazione è venuta ad esistenza. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito relativa a controversa avente ad oggetto l'inclusione dei compensi riscossi per lavoro straordinario nella base del calcolo delle mensilità aggiuntive). (Cass. 12/2/2008 n. 3322, Pres. Ianniruberto Rel. Ianniruberto, in Dir. & prat. lav. 2008, 2157) 
  • Qualora il ricorso introduttivo debba essere notificato anche a un controinteressato, il giudizio è comunque procedibile anche qualora il precedente tentativo di conciliazione sia stato esperito solo nei confronti del convenuto principale, giacchè il controinteressato non potrebbe comunque disporre, in sede conciliativa, della controversia. (Trib. Napoli 10/1/2007, Est. Simeoli, in D&L 2007, 829)
  • L’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 410 c.p.c. non deve precedere la domanda che, pur inerente ad uno dei rapporti indicati dall’art. 409 c.p.c., sia proposta non in via principale bensì come riconvenzionale. (Trib. Ivrea 22/12/2004, ord., Giud. Morlini, in Giur. It 2005, 1684)
  • Nel rito del lavoro l’espletamento del libero interrogatorio delle parti e del tentativo di conciliazione, pur essendo obbligatorio, non è previsto a pena di nullità, restando affidato al potere discrezionale del giudice di merito di valutare, anche in relazione agli assunti delle parti, se tale espletamento si configuri di qualche potenziale utilità, o sotto il profilo del buon esito del tentativo o al fine di acquisire elementi di convincimento per la decisione; ne consegue che l’omissione di uno di tali adempimenti da parte del giudice non incide sulla validità dello svolgimento del rapporto processuale, restando ininfluente – e di conseguenza non denunciabile in sede di legittimità – la mancata considerazione dell’omissione stessa, ove lamentata in sede di appello, da parte del giudice del gravame. (Cass. 18/8/2004 n. 16141, Pres. Mattone Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2005, 180)
  • Nelle controversie di lavoro, la questione della procedibilità della domanda giudiziaria il relazione al preventivo espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione è sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa al potere – dovere del giudice di merito, da esercitarsi, ai sensi del secondo comma dell’art. 443 c.p.c., solo nella prima udienza di discussione, sicchè ove la improcedibilità, ancorchè segnalata, non venga rilevata dal giudice entro detto termine e non sia stato fissato il termine perentorio per la richiesta del tentativo, l’azione giudiziaria prosegue, in ossequio al principio di speditezza di cui agli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost., e la questione stessa non può essere riproposta nei successivi gradi del giudizio. (Cass. 19/7/2004 n. 13394, Pres. Senese Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Gianluigi Girardi, 135)
  • Ai fini del compimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 410 c.p.c., è sufficiente l'inoltro della relativa richiesta alla competente commissione di conciliazione. (Cass. 21/1/2004 n. 967, Pres. Sciarelli Rel. Curcuruto, in D&L 2004, 453)
  • L'obbligo di proporre il tentativo di conciliazione a pena di improcedibilità vale solo per il processo celebrato davanti all'autorità giudiziaria, ma non per il procedimento di conciliazione dinanzi al collegio arbitrale. (Trib. Firenze 21/10/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2004, 458)
  • È invalido ed inidoneo a produrre gli effetti di cui all'art. 2113 c.c. il verbale di conciliazione in sede sindacale sottoscritto in assenza del conciliatore e senza il rispetto dei requisiti e delle procedure stabiliti dal contratto collettivo in forza del quale il conciliatore trae i suoi poteri per il rinvio dell'art. 410 c.p.c. (nel caso di specie che mancavano tra le altre cose la presenza e l'assistenza dell'associazione datoriale, nonché l'assistenza del sindacato d'appartenenza della lavoratrice, così come previsti dal Ccnl commercio). L'associazione non riconosciuta non si estingue fino a quando vi siano rapporti giuridici pendenti di cui la stessa sia titolare. A definire tali rapporti restano in carica, eventualmente in regime di prorogatio, gli organi ordinari. (Trib. Milano 26/9/2002, Est. Frattin, in D&L 2003, 192, con nota di Monica Rota, "Le associazioni non riconosciute: un particolare caso di immortalità giuridica" e nota di Silvia Bochese, "Inerenza al ciclo produttivo del servizio di trasporto ex art. 3 L. 1369/1960")
  • L'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione prescritto dall'art. 410 c.p.c. non deve precedere la domanda che, pur inerente a uno dei rapporti indicati nell'art. 409 c.p.c., sia proposta non in via principale bensì come riconvenzionale o mediante chiamata di terzo in causa: in questi casi va perciò respinta l'eccezione di improcedibilità proposta ai sensi dell'art. 412 bis c.p.c. (Trib. Taranto 18/4/2002, ordinanza, Giud. Cavallone, in Giur. italiana 2003, 78)
  • In ipotesi di chiamata in causa di terzo, lo svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione si pone come condizione di procedibilità solo quando la domanda svolta nei suoi confronti attiene ai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c. e non anche quando tale domanda viene trattata con il rito del lavoro per mere ragioni di connessione (nel caso, in controversia promossa dal lavoratore infortunato per il ristoro del danno biologico e morale, è stata esclusa la necessità del tentativo di conciliazione relativamente alle domande di manleva svolte dal datore di lavoro e dal committente nei confronti delle rispettive assicurazioni chiamate in causa) (Trib. Pordenone 13/2/01, pres. e est. Costa, in Dir. lav. 2001, pag. 271, con nota di Pamio, Limiti alla necessità del tentativo obbligatorio di conciliazione anche nei confronti del terzo)
  • Il giudizio instaurato dal datore di lavoro per accertare la legittimità della disdetta di una serie di contratti collettivi aziendali, con contestuale condanna dei lavoratori alla restituzione di quanto percepito successivamente alla scadenza del termine di preavviso, deve essere preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione nei confronti delle organizzazioni sindacali interessate che hanno contestato la validità della disdetta medesima; l'omissione del tentativo viola gli artt. 410 e 412 bis c.p.c. e determina l'improcedibilità della domanda (Trib. Potenza 1/2/00, est. Colucci, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 186, con nota di Cattani, Sul tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie collettive di lavoro e sulla legittimazione attiva e passiva delle organizzazioni sindacali)
  • Il provvedimento di estinzione del processo, emesso dal giudice che opera come giudice unico nel caso in cui il processo non sia stato riassunto nel termine assegnato per l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, avendo carattere definitorio della controversia ha natura sostanziale di sentenza; di conseguenza non è ammissibile l'impugnazione di tale provvedimento mediante reclamo ex art. 178 c.p.c., dovendo lo stesso ritenersi impugnabile con l'atto di appello (Trib. Parma 17 gennaio 2000, pres. Federico, est. Brusati, in D&L 2000, 525, n. Manassero, Ricorso per decreto ingiuntivo e tentativo obbligatorio di conciliazione)
  • Qualora il mancato esperimento del tentativo di conciliazione sia ascrivibile al rifiuto dei componenti della Commissione di tentare la conciliazione della controversia (nella fattispecie, per asserita incompetenza per materia) e sia decorso il termine di cui all'art. 410 bis c.p.c., il tentativo è da ritenersi espletato e la domanda giudiziale non può ritenersi improcedibile (Trib. Milano 14 dicembre 1999 (ord.), est. Marasco, in D&L 2000, 526, n. Manassero, Ricorso per decreto ingiuntivo e tentativo obbligatorio di conciliazione)
  • La mancata comunicazione della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. al datore di lavoro non determina l'improcedibilità della domanda (Trib. Milano 27 ottobre 1999 (ord.), est. Porcelli, in D&L 2000, 254)
  • La richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. può essere effettuata anche personalmente dal difensore che sia munito di procura conferita anche solo verbalmente (Trib. Milano 10 maggio 1999, est. Atanasio, in D&L 2000, 255)
  • La richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. non costituisce impugnazione del licenziamento ex art. 6 L. 15/7/66 n. 604, se non sia sottoscritta personalmente dal lavoratore e non sia comunicata anche al datore di lavoro (Trib. Milano 10 maggio 1999, est. Atanasio, in D&L 2000, 255)
  • E’ procedibile la domanda proposta mediante ricorso in riassunzione prima della decorrenza del termine di 60 giorni dalla richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal D. Lgs. 31/3/98 n. 80, nel caso in cui il rispetto di tale termine comporti la decadenza dal termine di 30 giorni per la riassunzione in giudizio previsto dall’art. 669 octies c.p.c., con la conseguente perdita di efficacia del provvedimento cautelare (Pret. Milano 30/4/99, est. Vitali, in D&L 1999, 716)