Normativa comunitaria

  • L’art. 1, par. 1, comma 1, lett. a), Dir. 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, deve essere interpretato nel senso che, al fine di valutare se un licenziamento individuale contestato faccia parte di un licenziamento collettivo, il periodo di riferimento previsto da tale disposizione per determinare l’esistenza di un licenziamento collettivo deve essere calcolato prendendo in considerazione tutti i periodi di 30 o di 90 giorni consecutivi nel corso dei quali tale licenziamento individuale è intervenuto, e durante i quali si è verificato il maggior numero di licenziamenti effettuati dal datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti la persona del lavoratore, ai sensi della stessa disposizione. (Corte di Giustizia UE, 11/11/2020, causa C-300/19, Pres. Bonichot Rel. Safjan, in Lav. nella giur. 2021, con nota di R. Cosio, La nozione di licenziamento collettivo. Le precisazioni della Corte di Giustizia, 502)
  • Alla luce di una corretta interpretazione dell’art. 1, par. 1, comma 1, lett. a), Dir. 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo. (Cass. 20/7/2020 n. 15401, Pres. Berrino Est. Patti, in Lav. nella giur. 2021, con nota di F. Nardelli, Licenziamenti collettivi e numero dei posti soppressi: un revirement della Cassazione, 163)
  • L’art. 2, par. 4, co. 1, della direttiva 98/59/Ce del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, deve essere interpretato nel senso che la nozione di “impresa che (…) controll[a] [il datore di lavoro]” si riferisce a qualsiasi impresa collegata a tale datore di lavoro per mezzo di vincoli di partecipazione al capitale sociale di quest’ultimo o di altri vincoli giuridici che le consentono di esercitare un’influenza determinante sugli organi decisionali del datore di lavoro e di costringerlo a prevedere o a effettuare licenziamenti collettivi. (Corte di Giustizia 7/8/2018 C-61/17, C-62/17 e C-72/17, Pres. De Cruz Vilaҁa Rel. Levits, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di M. C. Degoli, “La nozione di impresa controllante nell’ambito dei licenziamenti collettivi. Rapporto de iure o de facto?”, 16)
  • L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2 della direttiva 98/59 in tema di licenziamenti collettivi devono essere interpretati nel senso che un datore di lavoro è tenuto a procedere alle consultazioni di cui all’articolo 2 qualora preveda di effettuare, a sfavore dei lavoratori, una modifica unilaterale delle condizioni salariali che, in caso di rifiuto da parte di questi ultimi, comporti la cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti in cui siano soddisfatte le condizioni numeriche previste dall’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva. (Corte di Giustizia 21/9/2017, C-149/16, Rel. Biltgen, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di F. Gadaleta, “Il problema dell’effettività nella Direttiva 98/59/CE e della cd. ‘dimensione comunitaria’ del licenziamento collettivo”, 131)
  • La direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, in forza della quale un datore di lavoro, in mancanza di accordo con i rappresentanti dei lavoratori su un piano di licenziamento collettivo, può procedere al suddetto licenziamento solo se l’autorità pubblica nazionale competente alla quale tale piano deve essere notificato non adotta, nel termine previsto dalla summenzionata normativa e in esito all’esame del fascicolo e a una valutazione delle condizioni del mercato del lavoro, della situazione dell’impresa nonché dell’interesse dell’economia nazionale, una decisione motivata con la quale è negata l’autorizzazione a realizzare, in tutto o in parte, i licenziamenti prospettati. Diverso è tuttavia il caso qualora risulti – circostanza che spetta, eventualmente, al giudice del rinvio verificare – che, alla luce dei tre criteri di valutazione ai quali tale normativa fa riferimento e dell’applicazione concreta che ne dà la suddetta autorità pubblica, sotto il controllo delle autorità giurisdizionali competenti, la summenzionata normativa ha la conseguenza di privare le disposizioni della direttiva 98/59 del loro effetto utile. (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 21/12/2016, C-201/15, Rel. Prechal, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di M.T. Salimbeni, “Dalla Corte di Giustizia un invito all’introduzione di limiti causali al licenziamento collettivo?”, 446, e in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di A, Lo Faro, “Corte di Giustizia, libertà di impresa e discipline nazionali dei licenziamenti: un altro passo verso la limitazione delle tutele del lavoro”, 217)
  • La libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE comprende anche la libertà di determinare la natura e la portata dell’attività economica che sarà svolta nello Stato membro ospitante, nonché la libertà di ridurre successivamente il volume di tale attività, sicché essa osta a una normativa nazionale come quella controversa, che consenta all’autorità pubblica di ridurre o bloccare i licenziamenti collettivi.  (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 21/12/2016, C-201/15, Rel. Prechal, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di M.T. Salimbeni, “Dalla Corte di Giustizia un invito all’introduzione di limiti causali al licenziamento collettivo?”, 446)
  • Ragioni sociali conseguenti a crisi economica acuta e tasso di disoccupazione particolarmente elevato non consentono di privare la Direttiva 98/59/CE di ogni effetto utile né di derogare all’art. 49 TFUE o di disapplicarlo. (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 21/12/2016, C-201/15, Rel. Prechal, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di M.T. Salimbeni, “Dalla Corte di Giustizia un invito all’introduzione di limiti causali al licenziamento collettivo?”, 446)
  • La nozione di “stabilimento” contenuta nell’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), ii), della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli altri Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, deve essere interpretata allo stesso modo della nozione contenuta nella lettera a), i), del medesimo comma. (Corte Giustizia 30/4/2015, C-80/14, Rel. Juhasz, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Cinzia Carta, “La nozione di stabilimento nella direttiva 98/59/CE. Riflessioni su interpretazione e lessico eurounitario”, 215)
  • L’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), ii), della direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che preveda un obbligo di informazione e consultazione dei lavoratori in caso di licenziamento, nel corso di un periodo di 90 giorni, di almeno 20 lavoratori di un particolare stabilimento di un’impresa, e non quando il numero complessivo di licenziamenti in tuti gli stabilimenti o in taluni stabilimenti di un’impresa nel corso del medesimo periodo raggiunge o supera la soglia di 20 lavoratori. (Corte Giustizia 30/4/2015, C-80/14, Rel. Juhasz, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Cinzia Carta, “La nozione di stabilimento nella direttiva 98/59/CE. Riflessioni su interpretazione e lessico eurounitario”, 215)
  • L’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi deve essere interpretato nel senso che l’adozione, nell’ambito di un gruppo di imprese, di decisioni strategiche o di modifiche di attività che costringono il datore di lavoro a prevedere o progettare licenziamenti collettivi fa sorgere per tale datore di lavoro un obbligo di consultazione dei rappresentanti dei lavoratori. (Corte Giustizia 10/9/2009 C-44/08, Rel. Juhàsz, in Riv. It. Dir. Lav. 2010, con nota di Carlo Zoli, “Licenziamenti collettivi e gruppi di imprese: la procedura di informazione e consultazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia”, 517)
  • L’insorgenza dell’obbligo del datore di lavoro di avviare le consultazioni sui licenziamenti collettivi previsti prescinde dalla circostanza che il medesimo sia già in grado di fornire ai rappresentanti dei lavoratori tutte le informazioni richieste dall’art. 2, n. 3, primo comma, lett. b), della direttiva 98/59. (Corte Giustizia 10/9/2009 C-44/08, Rel. Juhàsz, in Riv. It. Dir. Lav. 2010, con nota di Carlo Zoli, “Licenziamenti collettivi e gruppi di imprese: la procedura di informazione e consultazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia”, 517)

  • L’art. 2, n. 1, della direttiva 98/59, in combinato disposto con l’art. 2, n. 4, primo comma, della stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che, nel caso di un gruppo di imprese composto da una società controllante e da una o più controllate, l’obbligo di consultazione con i rappresentanti dei lavoratori sorge in capo alla controllata che ha la qualità di datore di lavoro soltanto quando tale controllata, nell’ambito della quale possono essere effettuati licenziamenti collettivi, è stata individuata. (Corte Giustizia 10/9/2009 C-44/08, Rel. Juhàsz, in Riv. It. Dir. Lav. 2010, con nota di Carlo Zoli, “Licenziamenti collettivi e gruppi di imprese: la procedura di informazione e consultazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia”, 517)

  • L’art. 2, n. 1, della direttiva 98/59, in combinato disposto con l’art. 2, n. 4, della medesima deve essere interpretato nel senso che, nel caso di un gruppo di imprese, la procedura di consultazione deve essere conclusa dalla controllata interessata dai licenziamenti collettivi prima che detta controllata, eventualmente su istruzione diretta della sua società controllante, risolva i contratti dei lavoratori interessati da tali licenziamenti. (Corte Giustizia 10/9/2009 C-44/08, Rel. Juhàsz, in Riv. It. Dir. Lav. 2010, con nota di Carlo Zoli, “Licenziamenti collettivi e gruppi di imprese: la procedura di informazione e consultazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia”, 517) 

  • Con il termine "stabilimento" di cui all'art. 1, n. 1, lett. a) della direttiva n. 98/59/CE, in materia di licenziamenti collettivi, si deve intendere l'unità alla quale i lavoratori colpiti da licenziamento sono addetti per lo svolgimento delle loro mansioni. (Corte di giustizia CE 15/2/2007 n. 270/05, Pres. Jann Rel. Juhasz, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Mariagrazia Lombardi, "La nozione di "stabilimento" e l'ambito di applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi, fra suggestioni comunitarie e disciplina interna", 493)
  • La deroga contemplata dall'art. 4, n. 4 della direttiva n. 98/59/CE, in riferimento al coinvolgimento dell'autorità pubblica nel caso in cui i licenziamenti collettivi siano determinati dalla cdessione delle attività di uno stabilimento conseguente a decisione giudiziaria, non può essere estesa fino a ricomprendervi casi in cui la cessazione dell'attività di un'impresa o di un'azienda sia dovuta esclusivamente alla volontà del datore di lavoro. (Corte di giustizia CE 15/2/2007 n. 270/05, Pres. Jann Rel. Juhasz, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Mariagrazia Lombardi, "La nozione di "stabilimento" e l'ambito di applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi, fra suggestioni comunitarie e disciplina interna", 493)
  • Sia l'art. 3 n. 1 della direttiva 11/3/02, 2002/14/Ce - che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea - sia l'art. 1 n. 1 lett. a) della direttiva 20/7/98, 98/59/Ce, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, devono essere interpretate nel senso che dette norme ostano a una normativa nazionale la quale esclude, ancorchè temporaneamente, una determinata categoaria di lavoratori dal calcolo del numero dei lavoratori impiegati ai sensi di tali norme. (Corte di Giustizia CE 18/1/2007 n. C-385/05, Pres. Timmermans Rel. Schintgen, in D&L 2007, 375)
  • Gli artt. 2-4 della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, devono essere interpretati nel senso che l’evento qualificabile come licenziamento è rappresentato dalla manifestazione di volontà del datore di lavoro di risolvere il contratto di lavoro. Il datore di lavoro ha il diritto di effettuare licenziamenti collettivi dopo la conclusione della procedura di consultazione di cui all’art. 2 della direttiva 98/59 e dopo la notifica del progetto di licenziamento collettivo prevista dagli artt. 3 e 4 della direttiva stessa. (CGCE 27/1/2005, Causa C-188/03, Pres. Timmermans Est. Gulmann, in Orient. Giur. Lav. 2005, Osservatorio comunitario, 11)
  • Gli artt. 2-4 direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, devono essere interpretati nel senso che l’evento qualificabile come licenziamento è rappresentato dalla manifestazione di volontà del datore di lavoro di risolvere il contratto di lavoro.Il datore di lavoro ha il diritto di effettuare licenziamenti collettivi dopo la conclusione della procedura di consultazione di cui all’art. 2 della direttiva 98/59 e dopo la notifica del progetto di licenziamento collettivo prevista agli articoli 3 e 4 della direttiva stessa. (Corte Giustizia UE 27/1/2005 causa C-188/03, Pres. Timmermans Rel. Gulmann, in Lav. e prev. oggi 2005, 1753)
  • La Repubblica italiana, non adottando per i licenziamenti collettivi le disposizioni necessarie relative ai datori di lavoro che nell'ambito della loro attività non perseguono fini di lucro, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi. (Corte di Giustizia UE 16/10/2003 n. C-32/02, Pres. Schintgen Rel. Colneric, in Lav. nella giur. 2003, 1121, con commento di Michele Miscione)
  • Dato che, secondo il diritto italiano, le persone, gli organismi o gli enti pubblici o privati che non perseguono uno scopo di lucro non possono essere inquadrati nella nozione di imprenditore né essere qualificati quali imprese ai fini dell'applicazione della L. n. 223/1991, che richiede specificatamente la ricerca del profitto come corrispettivo del rischio di impresa, la Repubblica italiana va condannata per mancato recepimento con la L. n. 223/1991 sui licenziamenti collettivi, della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, che riguarda indistintamente tutti i datori di lavoto; l'interpretazione contraria non sarebbe neanche conforme alla ratio di tale direttiva e creerebbe un'esenzione per i datori di lavoro che non perseguono scopo di lucro, pur occupando centinaia di persone o godendo di grande rilevanza economica (Come la Confederazione nazionale dei coltivatori diretti-Coldiretti-e la Confederazione nazionale delle imprese di commercio-Confcommercio-, che sono sindacati che occupano centinaia di persone). (Corte di Giustizia UE 16/10/2003 n. C-32/02, Pres. Schintgen Rel. Colneric, in Lav. nella giur. 2003, 1121, con commento di Michele Miscione)